Anti-abortisti alla prova
Kevin Williamson è stato assunto qualche tempo fa dalla rivista online “The Atlantic” in quanto opinionista pro-life ed è stato successivamente licenziato per aver esposto la tesi pro-life: l’aborto è la soppressione di una vita umana, ovvero un crimine equiparabile in qualche modo all’omicidio. Il mandante di questo crimine – la donna incinta – deve pagare per averlo commesso.
E’ curioso che la chiarezza di Kevin Williamson sia stata mal digerita anche da molti ambienti anti-abortisti. In realtà bisogna subito dire che anche laddove l’aborto è o è stato illegale, la donna che abortisce non è mai perseguita per aver infranto la legge, si preferisce punire le cliniche abortiste e i medici. Perché? Da che mondo e mondo il mandante di un crimine ha colpe maggiori del killer?
Come conferma anche la vicenda di Williamson, la discussione politica su un’eventuale legge anti-abortista verte per lo più su “chi” colpire trascurando temi nella sostanza ben più importanti quali l’entità della pena e le modalità di applicazione. Se io fossi un abortista, per esempio, preferirei pene leggere alla donna che pene pesanti ai dottori, sarebbe il modo più efficace per tutelare la libertà di scelta. Perché allora tanta attenzione sul target e così poca su severità e probabilità?
Per rispondere faccio una premessa: le regole che siamo chiamati ad osservare sono a volte giuste a volte ingiuste, come distinguerle? Un metodo fallibile ma pratico sta nel considerare altamente sospette le regole occulte e invece “giuste” quelle proposte e applicate in modo palese. Quando si teme di agire allo scoperto di solito c’è sotto del marcio. Il metodo scelto per occultare le regole consiste generalmente nel renderle indirette, nel fare cioè in modo che siano dei terzi ad esserne colpiti e a dover scaricare poi sul vero obbiettivo le conseguenze. Per esempio, l’ IVA è un’ imposta occulta poiché viene versata dalle imprese e poi ricaricata nei prezzi in modo occulto affinché il consumatore paghi la sua parte. L’IMU è invece un’imposta palese poiché sono io che devo calcolarla, compilare il bollettino e pagarla. In materia di regole il trucchetto del governo consiste quindi nel concentrarle tutte sul lato del “business”, un soggetto che ai nostri occhi appare “disumano” e quindi non particolarmente meritevole di compassione. Quando un onere colpisce un’entità “disumana” siamo più disposti ad accettarlo, anche se poi, indirettamente, colpirà anche noi in modo occulto: lontano dagli occhi, lontano dal cuore. Se invece quell’onere colpisse delle persone in carne ed ossa (magari noi) ci apparirebbe brutale, scorretto e sbagliato.
Immaginatevi la polizia irrompere nelle nostre case per arrestare la badante o la baby sitter senza documenti multandoci pesantemente. Sarebbe uno spettacolo penoso e inaccettabile. Immaginate poi se i NAS vi entrassero in casa perquisendo il vostro frigo in cerca di alimenti scaduti! Tutto cio’ ci sembrerebbe un po’ esagerato. Anche di fronte al problema dell’immigrazione clandestina preferiamo prendercela con gli “scafisti”. Lo stato chiede poi ai datori di lavoro di trattenere le tasse e i contributi INPS dei loro dipendenti in modo tale che costoro – non percependo quanto accade – accettino meglio un trattamento vessatorio.
Ma perché si agisce in questo modo? Per evitare che si attivi la nostra intuizione morale legata al buon senso: se la regola fosse applicata in modo semplice e diretto apparirebbe in tutta la sua portata vessatoria e ingiustificabile. Per questo un governo astuto reindirizza la coercizione verso attori “disumani” come le società commerciali, in questo modo maschera meglio il suo bullismo. Il governo ci impone mille regole, ma lo fa indirettamente prendendosela con chi ci vende le cose.
Un paio di obiezioni prima di concludere. Qualcuno fa notare che una regola diretta sarebbe di difficile applicazione. Sbagliato, il metodo delle taglie e delle spie è in sé efficacissimo, se non funziona è solo perché crea un preoccupante conflitto sociale; ma questo difetto non fa che confermare la tesi di partenza: il conflitto sociale si genera proprio perché la regola che lo spione o il cacciatore di taglie fa osservare in modo tanto solerte non corrisponde alla nostra intuizione morale. Altri opinano che sarebbe ingiusto colpire un “soggetto debole” che agisce in stato di bisogno. Si potrebbe rispondere che quanto più scemano le responsabilità di un “soggetto debole”, tanto più calano anche quelle dei soggetti (scafisti, mammane…) che forniscono l’unico aiuto di cui puo’ disporre il soggetto debole.
Conclusione: chi pensa che una regola sia sbagliata dovrebbe insistere affinché sia applicata in modo palese e diretto, in questo modo la sua ingiustizia emergerebbe in modo palese. Questo vale anche per gli anti-abortisti: perché nicchiare di fronte alle uscite di Kevin Williamson? Se l’aborto è un crimine si punisca innanzitutto il criminale numero uno di tutta questa faccenda: la donna mandante. Se la cosa ci disturba dovremmo preoccuparci, forse c’è una discrasia tra le parole e l’intuizione morale. Oltretutto, il fronte abortista ha fatto della chiarezza un suo punto di forza, ancora recentemente a Roma il Movimento per la Vita ha esposto dei cartelloni giganti perché fosse chiaro a tutti chi viene fatto fuori quando si abortisce.