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giovedì 24 ottobre 2024

Vita social dopo l'abiura -

 Vita social dopo l'abiura -


Da quando in Agosto ho sospeso la mia credenza in Dio, passo, anche ai miei occhi, per un idolatra della Scienza. La cosa mi preoccupa ma riflettendoci mi consolo pensando: calma, non credo certo che la Scienza conduca a verità reali e oggettive (come forse è doveroso per uno scientista doc), altrimenti mi sarei tenuto la vecchia fede, più solida. Mi limito a dire che "la scienza funziona" (come doveroso per un pragmatista doc) e finirla lì. Ma funziona veramente? Penso di sì ma questo non lo so bene poiché sono un asino in materia. Quello che so è che quando lo dico al mio interlocutore si zittisce e io "vinco" la discussione a mani basse. Oddio, che si achiaro, di solito non "vinco" mai niente perché sui social nessuno ammette mai le sue debolezze, di certo mi mette in una posizione di tranquillità, una posizione in cui mi sembra di giocare "come il gatto con il topo". Ovvero, al limite mi si obbietta che la Scienza non dice cio' che io le faccio dire, dopodiché siamo sul mio terreno e si puo' anche discutere nel merito (ho sempre in tasca qualche studio scientifico da sfoggiare, la cosa è abbastanza impressionante). Oppure mi si obbietta che "la scienza non si occupa di queste cose", il che non è quasi mai vero, oppure, se è vero, fa diventare l'oggetto della discussione irrilevante, almeno per me (*). Quando poi mi si obbietta velatamente che mettere al centro di certe questioni la scienza sia socialmente pericoloso, ho gioco facile nel replicare che si puo' far finta di mettere al centro qualche ideale più nobile (la lezione esoterista è ancora valida). Insomma, la scienza probabilmente "funziona" poiché noi tutti siamo impressionati dalla tecnologia che produce, di certo funziona per "vincere le discussioni sui social", poiché nessuno osa replicare quando lo affermi e chi lo fa passa sulla difensiva. Al momento, devo dire, mi trovo abbastanza bene con questa impostazione, soprattutto perché molto "economica" ( = a esiguo carico cognitivo).

p.s. Se parliamo d'amore, per esempio, è abbastanza chiaro che la scienza se ne occupi in modo arido ma secondo me la parte più bella dell'amore si vive nella vita di tutti i giorni, oppure nelle poesie, non in una discussione social che ti contrappone ad altri e intendi "vincere

mercoledì 1 febbraio 2023

Elogio dell'eclettismo.

Un giorno Milton Friedman fece notare che, immaginando i giocatori di biliardo come geometri, era in grado di prevedere in modo quasi infallibile le loro giocate. Subito ci fu chi gli rispose (Herbert Simon) che l'irrealismo delle ipotesi non fa parte della scienza. Ma perché? - rispose Friedman in un dialogo immaginario che mi sto inventando adesso - in fondo funziona e tutto quello che funziona puo' chiamarsi in qualche modo scienza. Herbert Simon fece notare che la cosa funziona nel prevedere le giocate sul tavolo verde ma non altrove. Friedman: fa niente, altrove, se non funziona, cambierò la mia ipotesi.

Diventando vecchio, l'eclettismo di Friedman mi è sempre più simpatico. Prima tifavo Herbert, oggi Milton: c'è sempre un altrove dove le cose non funzionano.

martedì 4 settembre 2018

Il pragmatismo non funziona SAGGIO



Il pragmatismo non funziona


Il pragmatismo è una filosofia di pace, e poiché i “valori” ci fanno litigare i pragmatisti hanno pensato bene di toglierli di mezzo: finché non servono a qualcosa di concreto la parola “valore” è da ritenersi vuota, almeno per la discussione pubblica.
E’ come se la modernità occidentale, ad un certo punto della sua storia, si fosse voltata indietro e avesse preso coscienza dei cadaveri lasciati sul campo: religioni, ideali e valori, fino ad allora così preziosi, avevano realizzato una carneficina e andavano in qualche modo screditati al fine di entrare  nel regno della pace. Fu dato immediatamente mandato ai migliori filosofi sulla piazza di farla finita con la vecchia metafisica e di sostituirla con qualcosa di più “leggero” e facilmente rinnegabile.
Il pragmatismo va al sodo, si appella al senso comune, esalta la praticità della scienza, persino lo stereotipo è riabilitato, diffida però dei sofismi filosofici (che fanno litigare) ma poiché non puo’ farne a meno, almeno finché desidera presentarsi come “pensiero” compiuto, impronta il suo discorso filosofico ad un attacco a testa bassa contro ogni metafisica.
Attenzione, non che prima la sicumera e la temerarietà fossero virtù, non che prima il dubbio fosse calpestato e deriso, tuttavia, “prima”, non si sentiva il bisogno di trincerarsi in un relativismo dei valori come ci chiede di fare il pragmatista. Oggi veniamo continuamente invitati a concentrarci su cio’ che funziona lasciando perdere ubbie relative ai principi. Il pragmatista trasforma l’ideale in ideologia e il principio in dogmatismo, così facendo li mette alla berlina.
Il pragmatismo pone al centro i fatti e le conseguenze di certi fatti. I fatti sono adorati perchè oggettivi, i fatti non possono essere rinnegati, sui fatti non si costruiscono sofismi, i successi della scienza ce lo hanno insegnato. Chi proprio non vuol rinunciare alla moralità la coltivi pure nel privato, lì il suo arbitrio non potrà fare danni, ma nella sfera pubblica si dia la precedenza all’oggettiva imparzialità dei fatti, la loro chiarezza porterà pace anche tra le teste più calde.
Ebbene, possiamo dire che il pragmatismo sia stata una soluzione pragmatica? No, oggi possiamo dirlo, in questa filosofia c’è del genio, ma non funziona: noi litighiamo più sui fatti che sui valori, una scoperta imbarazzante ma solida. Per farmi capire porto un paio di esempi citati da chi ha studiato la materia: la scelta tra libertà ed eguaglianza (scelta valoriale) ci divide meno che il dibattito sui dati del riscaldamento globale (analisi dei fatti). La discussione sul Crocifisso in classe (scelta valoriale) ci polarizza meno che la discussione sugli omicidi fomentati o evitati dalla libera circolazione delle armi (analisi dei fatti). L’ “evidenza empirica” a quanto pare è oggi molto meno evidente degli ineffabili valori. Perché?
Qui le ipotesi sono tante ma voglio menzionare quella dello psicologo Dan Kahan, il quale arriva a dire che siamo “troppo razionali”: quando un dato nudo e crudo non ci soddisfa approfondiamo finché non riusciamo ad incastrarlo al meglio nella nostra “narrazione” preferita. Oggi, d’altronde, possediamo i mezzi cognitivi per farlo mentre ieri eravamo molto più ingenui e “passivi” di fronte all’apparire di un semplice fatto (forse eravamo troppo impegnati a scannarci sui valori).
E qui viene il bello: siccome far rientrare i fatti nel nostro schemino ci costa pur sempre uno sforzo (cognitivo), poi risultiamo ancora più aggressivi nel difendere il nostro duro lavoro, con tanti saluti alle buone intenzioni del pragmatista. E’ come se ci affezionassimo alla nostra interpretazione difendendola a spada tratta. Morale: se il “fatto oggettivo” offre più resistenza di un valore resta pur sempre malleabile. Non solo, lo sforzo per ottenere il “prodotto finito” che più ci aggrada si commuta poi in potenziale di violenza contro chi osa rinnegarlo.
Fatevi un giretto sui social, si litiga e si odia che è un piacere, siamo nel regno del conflitto eterno, e si litiga sui fatti tanto amati dal pragmatista, non sui pericolosi “valori arbitrari”, ci si odia per interpretazioni differenti della realtà, è così facile d’altronde divergere: basta ipotizzare un complottino al momento giusto raccogliendo qualche indizio qua e là ed ecco che gli amati “fatti” avvalorano la mia narrazione anziché la tua.
Sì, certo, però non scoppia la terza guerra mondiale, è questa l’obiezione che sento più spesso. Già, non scoppia la terza guerra mondiale, ma lo dobbiamo al pragmatismo? Forse lo dobbiamo alle nostre istituzioni, alla democrazia (che fa votare la discesa in guerra a chi deve poi andarci) o al mercato (che ci ha arricchito con annessa strizza di perdere tutto), non al pragmatismo che invece ci ha reso, se possibile, ancor più litigiosi e nevrastenici di prima. 
No, il pragmatismo non funziona, torniamo pure ai nostri valori assoluti, ai nostri ideali, ai nostri principi: saremo più felici, più realizzati e, a quanto pare, non litigheremo affatto di più.

mercoledì 25 maggio 2016

Una difesa del darwinismo sociale

La tesi centrale del darwinismo sociale è presto detta: se in una comunità sono i “peggiori” ad essere più fertili, quella comunità andrà in rovina.
Il motto è all’incirca questo questo: “tre generazioni di imbecilli posson bastare”.
Ma chi sono i “peggiori”? Potete metterci chi credete voi: i matti, i meno istruiti, i meno intelligenti, i poveri, i violenti…
Herbert Spencer, il padre della teoria, raccomandava di non aiutare i poveri (tra cui matti, stupidi, violenti e ignoranti abbondano) perché cio’ facilita la loro riproduzione.
Meglio chiarire che Darwin si smarcò da Spencer facendo notare che aiutare il debole è comunque un nostro istinto naturale difficile da reprimere.
Dal darwinismo sociale scaturì poi l’eugenetica: migliorare la razza umana, migliorerà la vita dell’uomo.
Dall’eugenetica si arrivò alla shoah.
Non sorprende che oggi l’epiteto “darwinista sociale” sia un insulto. In un certo senso è facile fare quel paio di passaggi storici ed abbinare la teoria di Spencer ai  lager.
Tuttavia, all’epoca una miriade di luminari e generosi filantropi in buona fede furono coinvolti nel movimento eugenetico, lo stesso Spencer era un intellettuale sopraffino. Le vaccinazioni e la chiusura delle tube meno promettenti procedevano di pari passo: una società avanzata non poteva prescindere da questa profilassi di base. Una gigantesca illusione collettiva?
Quando una mattocca come Carrie Buck fece causa allo stato della Virginia che la voleva sterilizzare, la Suprema Corte sentenziò all’unanimità contro di lei con il civilissimo giudice Holmes a perorare la causa dell’eugenetica come “vaccinazione” essenziale della comunità americana. Solo un bifolco delle praterie avrebbe osato opinare.
Come mai allora tanta intellighenzia schierata a favore?
lombroso
Essenzialmente per un motivo: il darwinismo sociale è una teoria corretta.
E’ l’utilitarismo ad essere una teoria etica essenzialmente scorretta.
Il fatto centrale è che l’intelligenza progressista dei paesi più avanzati non poteva permettersi di non essere utilitarista.
Principi, dogmi, e Verità etiche (con la V maiuscola) erano concetti visti come collegati alle superstizioni del passato: l’uomo moderno è pragmatico, guarda alla convenienza sociale e adatta i suoi comportamenti a quella. Se l’eugenetica ci promette una società migliore noi ci rimettiamo a questo giudizio.
In sintesi, perché non dobbiamo sterilizzare Carrie Buck?
Uno puo’ dire: perché il darwinismo sociale è una teoria sbagliata.
Oppure puo’ dire: perché violentare una persona è semplicemente immorale.
La seconda via era inaccessibile all’ uomo moderno poiché a costui ripugna il  concetto stesso di Principio Etico.
Del resto, la prima via era palesemente irragionevole, poiché è ben difficile confutare il darwinismo sociale sul piano dei fatti.
Difficile essere utilitaristi e darwinisti sociali allo stesso tempo senza optare per l’eugenetica.
Ancora oggi l’utilitarismo viene conservato ai danni del darwinismo sociale. In questo senso viene da dire che sebbene le superstizioni del passato convivano male con la scienza, anche l’etica moderna ha i suoi problemini non da poco. Il politically correct è una spia inquietante.
Ancora oggi, quindi, la retorica ripropone un great divide illusorio: darwinisti sociali vs contrari al darwinismo sociale. Ma tra i contrari ci sono sia i pragmatisti che i sostenitori dei principi morali e la differenza tra questi due tipi è molto spesso più grande di quella che li divide dai darwinisti sociali.
Il darwinismo sociale è una teoria corretta, e quindi destinata ad aumentare la conoscenza umana. Tuttavia, solo chi crede nell’ esistenza di solidi Principi Etici puo’ maneggiarla. L’ utilitarista e il pragmatista, per contro, sono costretti a buttare il bambino con l’acqua sporca e a silenziare la scienza scomoda (per esempio quella che studia il genoma e l'esistenza delle razze umane)

giovedì 10 dicembre 2015

Cosa non va nel pragmatismo

Il pragmatico non giustifica le sue scelte (è cio' che ci differenzia dagli animali) cosicché non esplicita i principi che considera validi e questo fatto lo rende un individuo imprevedibile.

La prevedibilità è un fattore importante nella vita condivisa, consente un maggior coordinamento e strategie win win.

venerdì 25 settembre 2015

The Vacuity of Postmodernist di Nicholas Shackel

The Vacuity of Postmodernist di Nicholas Shackel
  • Troll truism: affermazionee ambigua in bilico tra il palesemente falso e il palesemente vero. Esempio: "ciò che è stato costruito poteva esserlo diversamente".
  • Fox trott: tentativo postmodernista di sminuire il valore della verità (x liberare le idee e le contraddizioni creative).
  • Il primo dogma del postmodernista si chiama NPP(no position position): affermare è sempre errato, solo la negazione è concessa
  • Altra fissa: la razionalità è sempre gratuita e costruita secondo le convenienze
  • Corollario: è sempre possibile costruire una razionalità che smonti le altre votandosi alla causa del negativo. La decostruzione della ragione è una specie di smascheramento.
  • Rorty: la verità è un aspetto secondario in una teoria. Corollario: se anche confuti la mia teoria la cosa non è poi così irrilevante. Se continua a sprigionare del bene vale la pena di conservarla come valida...
  • NPP viene adottato perché si ritiene che la verità sia violenta e brandire un buon argomento è in un certo senso uno strumento oppressivo
  • Rorty: credere nella ragione è un po' come credere in una fede religiosa. I rischi sono alti, meglio evitare.
  • Risposta: certo si parte da verità autoevidenti ma xchè mai nn dovrebbero essere condivise? Perché mai quello non dovrebbe essere un buon punto di partenza per discutere. Una cosa è certa: NPP nn è una premessa condivisa quindi un pessimo punto di partenza
  • NPP è coerente fintantochè nessuno avanza concretamente quell'ipotesi. In che forma sostenerla allora? Proposta degli adepti: negare sempre finché di fatto NPP emerga da sola senza essere affermata.
  • Accuse a NPP: 1 è comoda 2 è incoerente e 3 è trascendentale (autoevidente)
  • Tesi di Bloor: le medesime premesse inferiscono sia conclusioni  false che vere
  • La posizione di Bloor: pretende di essere naturalista puro mentre il razionalista  tollerare realtà nn fisiche (es.logiche). Il suo programma consiste in un naturalismo integrale quindi disinteressato alla realtà complessiva perché qs introdurrebbe elementi nn naturali. Consodero corretta qs. ipotesi ma nn posso enunciarla x nn contraddirmi. 
  • Una posizione contradittoria con tanto di ammissione: nn si capisce xchè Bloor ragioni con noi; xchè xda tempo a rispondere ai suoi critici
  • Bloor nn nega l' esistenza di una ragione ma nega che abbia un ruolo nel validare la sua posizione
  • La danza postmodrnista: utilizzo di argomenti razionali negando di mantenere una posizione razoonalista. Spesso si tratta solo dei soliti ritriti paradossi che hanno lo scopo di mettere in luce alcune falle della logica. Niente di nuovo sotto il sole.
  • il paradosso x i postmodernisti è un fallimento e una condanna della ragione mentre nella storia si è spesso dimostrato occasione per l'avanzamento della stessa
  • il postmodernista si difende passando da un concetto equivoco all' altro in modo sfuggente facendo della NPP la leva x un relativismo assoluto
  • Più comprensibile e chiara la posizione della psicologia evoluzionista radicale: la ragione è solo un espediente usato per ottenere, l'equivalente di un'esibizione dei muscoli. Ecco, il postmodernista a volte sembra credere questo ma non lo afferma chiaramente per poter esibire meglio i suoi muscoli.
continua

domenica 14 giugno 2015

Nicholas Shalcke: the vacuity of postmodernism

Punti

  1. Il postmod tenta di sminuire il valore della verità al fine di liberare contraddizioni creative e utili
  2. NPP. No Position Position. Affermare è sempre negativo, una protervia che implica violenza. La verità è violenta e i buoni argomenti oppressivi
  3. La razionalità ha una sua storia che ne definisce la costruzione. Il che implica una costruzione differente e secondo diverse convenienze
  4. il fox trot di Rorty: la verità è un aspetto secondario della mia posizione in ogni caso nn puoi confutarmi poichè io non ho una posizione NPP. Credere alla ragione è una fede religiosa
  5. risposta a rorty: certo, anche la ragione parte da premesse autoevidenti e indimostrabili ma tali premesse, contrariamente a NPP, sono condivise
  6. NPP è coerente fintantochè nessuno l'avanza, cosicchè il postmod non parla in modo esplicito ma allude con discorsi obliqui che dovrebbero risultare convincenti
  7. Accuse a NPP: 1 è comoda 2 è autorimuovente 3 è indimostrata (quindi trascendentale)
  8. Bloor: premesse simili possono condurre sia a conclusioni false che vere. Accusa alla razionalità: introduce elementi sopranaturali, noi dobbiamo essere naturalisti integrali. Consideriamo corretto il ns programma ma evitiamo di dirlo per nn cadere in contraddizione introducendo elementi razionali e quindi sovranaturali
  9. Obiezione a Bloor: non si capisce perchè bloor ragioni con noi o risponda alle ns obiezioni viste le premesse da cui parte che implicano un rifiuto della ragione.
  10. Spesso la critica postmod alla ragione si risolve nell'introduzione dei soliti paradossi, quasi fossero distruttivi. Ma così nn è, e basterebbe guardare alla storia: l'introduzione dei paradossi logici è spessostata occasione di miglioramento della ragione e non di empasse.
  11. Postmod è un relativista assoluto e si difende saltando da un'affermazione ambigua all'altra. La retorica è la sua arma insieme all'allusione, al non detto e al discorso ellittico.

giovedì 31 gennaio 2013

Sessantadue pensierini sulla “società armata”


  1. L’ ultimo massacro nella scuola di Newtown ha di nuovo scaldato i proibizionisti del porto d’ armi. C’ è chi parla di sciacallaggio, mi sembra esagerato.
  2. Noi tutti siamo rimasti colpiti da questa ennesima tragedia, e un frettoloso sentimento che scambiamo per buon senso sembra dirci: stop alle pistole.
  3. Tuttavia il buon senso è prezioso per far partire un ragionamento, molto meno per rimpiazzarlo del tutto. Meglio allora se viene impiegato per fissare le premesse più che le tesi. Queste ultime emergono solide solo quando buon senso ed elaborazione dei dati disponibili si coniugano armoniosamente.
  4. Ma quali sono i dati da considerare per informare una decisione sensata in merito?
  5. Prendiamoci cinque minuti, vale la pena fare il punto sullo stato dell’ arte, innanzitutto perché spesso se ne parla di getto teleguidati da sensazioni epidermiche, e poi perché puo’ essere un’ occasione preziosa per riflettere sull’ uso e sul modo in cui interagiscono etica & statistica, argomento d’ interesse generale che va ben al di là delle noiose discussioni di policy.
  6. Il possesso di armi crea danni visibili ed evita danni invisibili, questo semplice fatto manda in confusione il neofita.
  7. L’ evoluzione ci ha programmato per dare peso alle cause immediate che possiamo vedere e toccare. E’ spiacevole però constatare quante topiche prendiamo lasciando campo libero alla rudimentale epistemologia della “scimmietta” tutto istinto che ci portiamo dentro: lei, d’ altronde, sa conoscere solo in questo modo! Purtroppo, le cause dei fenomeni sono spesso assai remote e del tutto inavvistabili dal punto in cui ci troviamo.
  8. Non parliamo poi dei guai che combina questo vizietto quando si miscela con il culto dell’ esperienza personale. Un esempio sostituisce tante parole: il “grande guerriero” credeva di essere invincibile stuprando una vergine prima di scendere nel campo di battaglia. Non gli passava neanche per l’ anticamera del cervello di essere invincibile perché era un “grande guerriero”. In breve tempo ogni “grande guerriero” divenne capo della sua comunità rendendo lo stupro della vergine un preliminare obbligatorio a cui ciascun soldato avrebbe dovuto attenersi. Come potremmo mai rimproverare questi capi se siamo noi i primi che si lasciano abbagliare dalla potenza esplicativa di cause visibili ed esperienza personale? Lo stupro e la vittoria, infatti, risultano unite in un solido nesso che ciascun “grande guerriero” puo’ toccare con mano grazie alle ripetute esperienze personali! Chi non ha toccato con mano questa verità è morto e sepolto da un pezzo, si è reso “invisibile” non potendo più offrire la sua testimonianza.
  9. Poi arrivarono lo studio della storia e delle statistiche, e l’ uomo fece un passo verso la civiltà. Ecco, vediamo allora di non fare un passo indietro quando trattiamo di pistole, fucili e vivere comunitario.
  10. Il “personalismo” è ottimo per prendere decisioni personali (che riguardano solo noi) ma per prendere decisioni politiche (che riguardano tutti) meglio affidarsi allo studio di storia e statistica. I passati recenti e remoti di molte comunità umane sono lì davanti a noi – anzi, dietro – bisogna solo osservarli e interpretarli.
  11. Adesso che il discorso mi ha preso la mano, lasciatemi dire ancora due parole sul persistente bias della personalizzazione.
  12. Parlare di sé è coinvolgente, sarà per questo che spesso lo si fa tanto spesso anche al di fuori delle autobiografie. Mi chiedo infatti che posto puo’ avere la domanda “tu compreresti un’ arma?” quando si discute come regolamentare il mercato delle armi.
  13. Dietro una “curiosità” del genere gli equivoci si affollano. Quali equivoci? be’, i soliti, quelli in cui cade chi, mescolando i piani della discussione, non riesce mai a capire fino in fondo che si puo’ essere “a favore” della libera circolazione delle armi pur aborrendo armi e violenza, che si puo’ essere “a favore” del divorzio pur considerandolo un peccato mortale, che si puo’ essere “a favore” della libertà d’ espressione pur schifando il negazionismo, che si puo’ essere “a favore” della libera discriminazione pur essendo anti-razzisti convinti, che si puo’ essere “a favore” della droga libera pur considerandola una minaccia letale per la gioventù, che si puo’ essere “a favore” di poligamia e matrimonio gay pur essendo convinti che la famiglia tradizionale sia un perno della nostra civiltà. Si puo’ essere “a favore” di tante cose perché pur avendo delle certezze non ci riteniamo infallibili e si lascia volentieri che altri esplorino per noi terreni che riteniamo minati.
  14. Ora cerchiamo di passare al sodo guardando da vicino la rugosa realtà: la pace che dura è sempre “armata”, tant’ è che in campo internazionale lo diamo per scontato. Una sonora risata accoglie chi propone di “abolire gli eserciti nazionali”. Ma se il medesimo problema strategico ci viene riproposto a livello “locale”, facciamo fatica a trasporre la medesima soluzione, e anche la voglia di ridere ci passa.
  15. La deterrenza, poi, è qualcosa di impalpabile: una brutta bestia da studiare. Anche il meccanismo che trasforma di fatto lo slogan “niente armi” in un molto meno rassicurante “armi solo ai cattivi”, non è poi così chiaro all’ attenzione intermittente dell’ elettore democratico.
  16. Per queste e per altre insidie che costellano la tematica si preferisce cedere la parola all’ esperto piuttosto che al lettore (di titoli) di giornali.
  17. Iniziamo a scalare il versante etico della faccenda, è breve ma decisivo. Propongo questo principio: portare con sé un’ arma rappresenta un diritto della persona, per conculcarlo occorre provare la pericolosità di questa pratica, e l’ onere della prova spetta al conculcatore. Liberty first.
  18. Questa soluzione ha il pregio di girare al largo dai bilancini mercuriali dell’ utilitarista, sempre in cerca di quantificare anche l’ “inquantificabile” con le sue ossessive analisi costi/benefici; evita inoltre il pragmatismo pasticcione e disorientante di chi di volta in volta  “va dove lo porta il cuore” finendo presto fuori strada dopo un rapsodico zigzagare. D’ altro canto elude anche la spietata deontologia dei valori non negoziabili, quelli per cui ci si attiene scrupolosamente a certi principi, dopodiché succeda quel che succeda. Viene invece valorizzato il senso comune: si seguono i principi ordinari a meno che esistano “forti ragioni” per fare altrimenti.
  19. L’ alternativa a questo modo di procedere s’ incarna nel principio di precauzione: è consentito solo cio’ che è provato come non dannoso. Presenta almeno tre difetti che per me lo rendono inservibile.
  20. Primo, voi capite, in un mondo in cui lo “sbatter d’ ali di una farfalla” crea cataclismi, anche lo spericolato volo della colomba della pace potrebbe essere interdetto per precauzione. Insomma, è praticamente impossibile provare la non-pericolosità di alcunché.
  21. Secondo: punire gli innocenti per punire i potenziali colpevoli, è una strategia dalla dubbia portata etica.
  22. Terzo: è un principio decisionale che, chissà perché, non si applica praticamente mai nelle scelte che ciascuno di noi è chiamato a fare quotidianamente; il fatto di introdurlo ad hoc qua e là desta sospetto. Vuoi vedere che risulta simpatico soprattutto a chi non ha una grande passione per le armi?
  23. Ultima osservazione e chiudiamo con la parte etica: c’ è chi considera la libertà stessa come un valore. Magari non proprio un valore “non-negoziabile”, tuttavia, in questo caso, si porrebbe il problema di stabilire il prezzo che si è disposti a pagare per rinunciarvi.
  24. Operazione complessa visto che nessuno puo’ leggere nella testa dell’ altro, siamo così diversi!: chi detesta le armi difficilmente potrà avere una chiara idea dei benefici che ne trae chi ama collezionarle. A volte sembra che chi non ci è empatico non sia neppure un essere umano da considerare al nostro pari. Le crociate partono quando non si riesce a concepire la radicale diversità che ci separa. Una volta realizzata, invece, passare alla tolleranza è un tutt’ uno. Domanda: come mai le comunità eterogene sono anche le più libere? 
  25. Penso che il cattolico, poi, debba essere particolarmente generoso nel valutare la libertà: il suo Dio giustifica il male del mondo con il dono della libertà all’ uomo. Le carneficine di Mao e Stalin valgono la libertà di questi due tristi figuri. Auschwitz appartiene a pieno diritto al “migliore dei mondi possibili”: a fare da contrappeso basta il dono della libertà. Francamente non conosco un libertario più radicale di così.
  26. C’ è poi un coté culturale: la testa delle persone conta e parecchio. Alcuni paesi con tassi di criminalità infimi, hanno cittadini armati fino ai denti (Svizzera, Israele, Canada…). Ha poco senso fare confronti tra comunità troppo distanti nel tempo e nello spazio, ovvero tra “culture” diverse. In questo senso tra indagine storica e indagine statistica, dovremmo privilegiare la seconda.
  27. Penso poi alla nostra Europa: la “libertà” traumatizza il cittadino protetto e “infantilizzato” da divieti perduranti nel tempo; così come, altrove, regole stringenti non migliorano di molto la situazione del cittadino abituato alla responsabilità.
  28. In questo senso si capisce perché combattere per introdurre un diritto è meno urgente che combattere contro la revoca di un diritto. Un libertario al timone in Italia farebbe bene ad abbattere di qualche punto la pressione fiscale lasciando perdere il “problema delle armi”. Cio’ non toglie che per amor di discussione se ne possa parlare.
  29. I confronti andrebbero fatti tra comunità omogenee, per esempio gli Stati o, ancora meglio, le contee degli Stati Uniti. Fortunatamente la stragrande quantità degli studi si concentra proprio lì.
  30. C’ è poi il problema dell’ enforcement: quand’ anche elaborassimo una strategia ottima dal punto di vista etico e quantitativo, bisognerà considerare i costi di implementazione. E’ difficoltoso legiferare e regolamentare quei beni che hanno un florido mercato nero.
  31. Noi anti-abortisti lo sappiamo bene: una proibizione pura e semplice senza stato di polizia scatena il mercato nero delle “mammane”, ne vale la pena? Noi contribuenti lo sappiamo altrettanto bene: una tassazione al 50% senza stato di polizia scatena il mercato nero dell’ evasione, ne vale la pena?
  32. Ecco, lo stesso dicasi per le armi: purtroppo le armi sono un bene apprezzato soprattutto dal mondo criminale, ovvero da un soggetto specializzato in “mercato nero” (altro che idraulici, pasticceri e mammane!); e si capisce, chi ordina omicidi tutti i giorni non viene certo colto da tremarella se costretto dalle contingenze a non battere lo scontrino.
  33. L’ ultima parte è quella meramente quantitativa: il proibizionista ha assolto il suo compito? Ha provato inequivocabilmente la presenza di un danno sociale?
  34. La sintesi della risposta è “no”. L’ analisi è un po’ più lunga, purtroppo.
  35. Partiamo dai “pazzi” stragisti. Fanno sempre notizia, specie se non sono “pazzi” del tutto e in loro riscontriamo somiglianze con la persona che conosciamo meglio: noi stessi. Quel tale che ha compiuto la strage non è poi un “marziano”, i suoi problemi sono simili ai miei, così come le sue debolezze. E chissà quanti ne girano nella medesima condizione! Come se non bastasse agisce in luoghi che frequentiamo tutti i giorni: la scuola, il supermercato, l’ autobus…
  36. Il “pazzo” lo sentiamo più contiguo del criminale. Forse un giorno saremo chiamati davanti a una telecamera per testimoniare al mondo quanto il nostro vicino era “una brava persona”. Magari un po’ chiusa ma una bravissima persona.
  37. Queste impressioni sono potenti ma insidiose, saltare a conclusioni sull’ onda emotiva sarebbe ingannevole: i “pazzi”, spiace dirlo, pesano poco nel computo costi/benefici che siamo chiamati a fare. Una ventina di morti per armi da fuoco su quindicimila difficilmente faranno la differenza.
  38. Persino l’ azione tipica dei “pazzi”, il mass shooting, nel tempo è diminuito visto che l’ aumento di “pazzi” armati – che pure bisogna ammettere – è stato più che bilanciato da una diminuzione di mass shooting dovuti a moventi più tradizionali.
  39. Ma veniamo ora ai dati nudi e crudi, il modo più semplice di studiarli consiste nel produrre regressioni statistiche, ovvero nel vedere se le variabili che ci interessano sono tra loro collegate (nel nostro caso armi & criminalità).
  40. La regressione statistica ha molti inconvenienti, non solo il fatto di limitarsi a stabilire “correlazioni” – ricordare all’ economista che correlazione e causalità non sono la stessa cosa è come ricordare al chimico di lavare le provette – ma anche il fatto di richiedere “specificazioni”. Come specificare allora la diffusione delle armi? Non esistono quasi mai registri da cui attingere informazioni di prima mano.
  41. Alla ricerca di proxy credibili, c’ è chi ha usato i sondaggi, c’ è chi ha usato gli abbonamenti a riviste di settore e c’ è chi ha guardato ai suicidi con armi da fuoco.
  42. Gli esiti alla fine sono differenti: si va da una forte correlazione inversa tra armi e criminalità (more guns less crime) a una leggera correlazione diretta.
  43. E non scordiamo la variabile dipendente: il tasso di criminalità. E’ una variabile estremamente volatile, molti sono i fattori che la determinano. Bisogna far le “grandi pulizie” per isolare l’ effetto che ci interessa, quello delle armi da fuoco.
  44. Dopo aver avanzato forti dubbi sul metodo delle regressioni, faccio comunque notare che se adottassimo gli standard comunemente usati per questioni politicamente corrette anche in tema di armi, allora la questione sarebbe già sentenziata da tempo: il proibizionista non è in grado di provare le sue tesi. Chi non ritiene provata la pericolosità che comporta l' avere genitori dello stesso sesso, come potrà mai pensare che le armi siano in qualche modo pericolose? Sono stato chiaro? Posso evitare di fare esempi parlando di ambiente o razza?
  45. Ma i pignoli, e giustamente, si rivolgono a metodi d’ indagine più sofisticati. Si è guardato allora con interesse, per esempio, a quello impiegato nella sperimentazione di nuovi medicinali: su cento gruppi di pazienti se ne prendono a caso venti a cui propinare il “trattamento”, dopodiché si misurano gli effetti facendo un confronto tra “trattati” e “non trattati”. Il caso ha un potere prodigioso: elide le differenze tra gruppi neutralizzando la presenza di variabili fastidiose che potrebbero interferire sugli esiti.
  46. Per noi “il trattamento” potrebbe essere una legge contro il porto d’ armi: promulgarla in una contea sarebbe come inoculare un vaccino. Dopodiché, basterà stare a vedere quel che succede confrontando la reazione della comunità “trattata” con un gruppo di controllo.
  47. Primo problema: le comunità che adottano una legge “contro il porto d’ armi” non sono propriamente scelte a caso, quindi le differenze non si elidono mai del tutto.
  48. Ci mette una pezza la tecnica “difference in difference”: l’ effetto viene isolato analizzando solo gli scostamenti sulle differenze pre-esistenti.
  49. Secondo problema: l’ effetto placebo.
  50. Gli sperimentatori di medicinali lo conoscono benissimo: se il “trattato” sa di essere tale, spesso guarisce anche bevendo un bicchier d’ acqua. E’ necessario non informarlo (blind test).
  51. L’ effetto placebo si manifesta nei modi più impensati. Sembra esserci persino quando si sperimentano nuove sementi nei villaggi africani: i villaggi scelti per la sperimentazione diventano improvvisamente più produttivi… ma solo se sanno di essere tra i prescelti! (il link a questo studio devo metterlo perché mi ha troppo divertito).
  52. [… veramente la legge-placebo la conosciamo anche noi religiosi: per negare effetto miracolistico alle preghiere gli sperimentatori hanno dovuto imporre al test la doppia cecità: i gruppi di preghiera dovevano pregare per “non si sa chi” e il malato non doveva assolutamente sapere se qualcuno pregava per lui…]
  53. L’ effetto placebo va comunque inteso in senso lato come “effetto annuncio”, qualcosa destinato a sfumare nel tempo. Qualcosa che va di pari passo con l’ introduzione della misura.
  54. Ci sono comunque tecniche che, anche nel caso delle armi, ripuliscono gli studi dalla “placebo law”. La cosa qui si fa complessa: fidatevi o vi ammollo un link impegnativo.
  55. Ma veniamo agli esiti degli studi “difference in difference” ripuliti dalla “placebo law”: il proibizionismo (“all’ europea”) serve a poco o nulla.
  56. Quali soluzioni raccomandano allora gli esperti?
  57. C’ è chi spinge per sussidiare le armi: una loro maggior diffusione presso la cittadinanza sarebbe un deterrente al crimine. Problema: leggi anti-proibizioniste in una regione non fanno che spostare il crimine in quelle limitrofe.
  58. C’ è anche chi si spinge a proporre di contrassegnare le case in cui si detiene un’ arma per “internalizzare” i benefici del possesso.
  59. Altri chiedono di alzare l’ età consentita per il porto d’ armi istituendo al contempo vere e proprie taglie a favore di chi denuncia gli illeciti: se il proibizionismo generico è inutile, puo’ avere un senso quando insiste su gruppi sociali (i giovanissimi) dove i “coglioni” si concentrano. Quasi sempre i guai cominciano quando il ragazzino va a spasso per il quartiere in cerca di autostima facendo mostra del suo cannone.
  60. Per lo stesso motivo c’ è chi vede bene un pesante coinvolgimento dei genitori: dovrebbero pagare anche loro per le marachelle letali del figlio minorenne.
  61. Anche l’ introduzione di una tassa o di un’ assicurazione obbligatoria sul tipo rc auto è caldeggiata da qualcuno. Alternativa: tassare i “non-armati” e offrire un premio agli “armati” che riconsegnano l’ arma.
  62. Infine c’ è chi chiede ancora più studi in materia. Chissà, torturando a sufficienza i dati puo’ darsi che “confessino” quel che vogliamo sentirci dire.
  63. Oggi sappiamo che esiste comunque una correlazione robusta tra suicidi e detenzione di armi.
  64. Difficile che un liberal sia autenticamente interessato ai suicidi visto che, tanto per dirne una "OxyContin abuse kills three times more people than gun homicides yearly". E il liberal è sempre impegnato a battersi contro la war on drug
  65. Sei preoccupato per la vita del tuo prossimo? Non occuparti della diffusione delle armi, non è certo una priprità.
  66. Negli USA la libertà di portare armi ha un' origine storica: i cittadini difendono la democrazia presentandosi armati ai governanti.
  67. Anche nella storia delle lotte per i diritti civili dei neri le pistole hanno giocato un ruolo importante, specie negli anni 60. Sembra una contraddizione (pistole + lotta non violenta) ma è così.
  68. Chi possiede armi è più felice. arthur brooks http://mobile2.wsj.com/device/html_article.php?id=77&CALL_URL=http://online.wsj.com%2Farticle%2FSB120856454897828049.html%3Fmod%3Dopinion_main_commentaries
  69. sul tasso degli omicidi gli usa sfigurano con l'europa occidentale ma fanno bene rispetto agli altri paesi americani. premesso che reddito e tasso degli omicidi non sembrano correlati (nell'africa povera ci sono molto più omicidi che nell'asia povera), a questo punto sarebbe interessante sapere il tasso degli omicidi usa disaggregato razzialmente. così, tanto per capire quali termini di paragone sono più uniformi.-

    https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_countries_by_intentional_homicide_rate
  70. Militarismo. Nelle zone dove le armi sono più diffuse vige una cultura militarista. In questo senso le persone armate non vogliono "sostituirsi" ai tutori dell'ordine quanto aiutarli e integrarli.
  71. Freedomnomics: Why the Free Market Works and Other Half-baked Theories Don't di  John R. Lott - crimini e pistole
    • usa: nel 2004 spira un importante bando alle armi ma gli omicidi continuano a diminuire tra le grida d allarme degli attivisti....
    • altro provvedimento importante: il brady act. nessuna conseguenza sul tasso degli omicidi...
    • il problema con il proibizionismo? che ubbidiscono solo i cittadini modello nn i criminali. un pò come con le droghe o l alcol
    continua
  72. Freakonomics  Steven D. Levitt, Stephen J. Dubner - CRIMINI E PISTOLE
    • teoria anti gun: senza pistole chi è più debole si rassegna senza spargimenti di sangue...
    • pro gun: se tutti sono armati: meno ingiustizie e nn più sangue. perchè mai i forti dovrebbero vantare le loro pretese?...
    • gli usa hanno un tasso di omicidi elevatissimo. le pistole contano? e la svizzera? sono più armati e più sicuri. xchè?...
    • brady act: un fallimento. ragioni: il mercato nero prospero compensa i divieti....
    • chicago e wachington città gun free ma anche i fanalini di coda nella diminuzione dei crimini...
    • gun buyback: dove ha avuto successo il crimine nn è diminuito...
    • c è l iopotesi opposta: more gun less crime. nn sembrano replicabili gli studi di lott
    • conclusione: l ipotesi del bando non sembra spiegare il crollo della criminalità negli usa durante gli anni 90
    continua
  73. More guns less crime - John Lott
    • Tesi dello studio empirico: dopo il passaggio di leggi liberali sulle armi il crimine crolla.
    • Critica: le conclusioni dipendono  da quale intervallo di tempo consideri dopo la promulgazione. Se accorciamo i risultati svaniscono
    • Risposta: l effetto deterrenza nn può essere immediato, i criminali non calcolano a tavolino ma si avvalgono dell'esperienza
    • Critica: di solito qs leggi vengono passate in un pacchetto di misure
    • Vero ma il controllo dettagliato città/città contea/contea stato/stato neutralizza l'effetto mix. E cmq in molti casi la scrematura è stata fatta mantenendo le conclusioniinalterate
    • Critica: altre proxy - es la vendita di giornali - danno esiti diversi.
    • Risposta: la deterrenza spiega i suoi effetti soprattutto se non solo attraverso la legge, che è un atto pubblico.
    • Obiezione: esiste uno spillover: liberalizzi qui e i guai accadono là.
    • Risposta: non puo' essere una regola generale, se il campione è adeguato l'effetto è neutralizzato. L'evidenza degli spillover è anedottica.
    • imho: la materia è complessa e isolare le variabili impossibile ma una cosa è certa: se le conclusioni fossero state "socialmente desiderabili" il dettaglio delle critiche non sarebbe di certo stato quello noto.
    • https://www.facebook.com/ymaltsev/posts/10207310750864817 ****** https://www.washingtonpost.com/news/volokh-conspiracy/wp/2015/10/06/zero-correlation-between-state-homicide-rate-and-state-gun-laws/
    continua
  74. Se Hitler non avesse controllato la circolazione delle armi l'olocausto sarebbe stato possibile? http://econlog.econlib.org/archives/2015/10/does_gun_contro.html
  75.  This Nonviolent Stuff'll Get You Killed: How Guns Made the Civil Rights Movement Possible di Charles E. Cobb Jr. - il ruolo delle armi nella lotta per i diritti civili dei neri d'america.
    • in molti decisero di impugnare le pistole x difendere il movimento nn violento
    • attacchi ai nonviolenti del gruppo di mlk: malcom e du bois
    • x molti neri la nn violenza era una strategia nn un credo: x compensare o se nn funzionava erano sempre pronte le pistole
    • la cultura delle armi nel sud consentì ai neri di armarsi
    • il vero militante nn violento: in fondo un elite ristretta della leadership. dietro di lui una massa armata
    • dividere violenza e nn violenza nn è utile
    • nella storia usa la violenza è stata spesso celebrata. ma nn quella nera, che pure c'è stata ed è stata fruttuosa
    • tema del libro: chi partecipava alla lotta nnviolenta senza credervi... 
    • dilemmi morali del nonviolento: fino a che punto puoi coinvolgere terzi sodali nel rischio che prendi. c'è un limite oltre il quale devi armarti o consentire agli altri di farlo
    • fanon: le virtù liberanti dell imbracciarr un arma
    • alleanze esplicite tra violenti r nn violenti
    continua
  76. Confronti internazionali in tema di omicidi e possesso di armi
    • America’s unusually high gun homicide rate.


    • The United States’ homicide rate of 3.8 is clearly higher than that of eg France (1.0), Germany (0.8), Australia (1.1), or Canada (1.4). However, as per the FBI, only 11,208 of our 16,121 murders were committed with firearms, eg 69%. By my calculations, that means our nonfirearm murder rate is 1.2. In other words, our non-firearm homicide rate alone is higher than France, Germany, and Australia’s total homicide rate.
    • There are many US states that combine very high firearm ownership with very low murder rates. The highest gun-ownership state in the nation is Wyoming, where 59.7% of households have a gun (really!). But Wyoming has a murder rate of only 1.4 
    • There are many US states that combine very low firearm ownership with very high murder rates. The highest murder rate in the country is that of Washington, DC, which has a murder rate of 21.8, more



    continua
  77. Esiste un collegamento tra possesso delle armi e tasso di omicidi, e, diversamente da quello tra armi e morti per armi da fuoco, è negativo, almeno se misurato tra gli stati degli USA. Il fatto è che ci sono parecchi stati ad ad alta criminalità con leggi proibizioniste. Si tratta di stati con una forte presenza, specie urbana di neri. Ecco allora che un modo per cambiare di segno al collegamento esisterebbe: far rientrare nella funzione esplicativa anche la razza. Ma forse è un espediente troppo imbarazzante, per quanto uno sia un invasato proibizionista non se la sente di arrivare a tanto, anche per evitare la soluzione più razionale in casi del genere: proibire solo ai neri.
  78. Di solito gli argomenti pro gun sono tre: 1 secondo emendamento 2 deterrenza crimine 3 protezione da un governo invadente. Vediamone un quarto. There is another, and perhaps better, argument for private possession of firearms. If the population is disarmed, protection against crimes is provided mainly by the police. People very much want not to be victims of crimes, so if protection depends on the police there will be public support for expanding the powers of the police in order to better protect us. The result is a more powerful and invasive government, which I think a bad thing. Given the current government, I would expect that argument to appeal to many people who find the first three unconvincing.
  79. brian doherty sulle armi
    • Più pistole in america ma meno omicidi con pistole. Mi sembra che questo semplice dato renda sempre meno urgente varare leggi proibizioniste, anche qualora una parte degli omicidi siano collegate con la possibilità di ottenere facilmente una pistola!
    • nota la psicologia dell'anti-gun: accoglie senza colpo ferire gli studi che dimostrano un collegamento tra pistole ed omicidi a livello statale. Poi, quando si dimostra come studi del genere siano viziati perché comprendono anche gli omicidi cio' che resta dello studio, e che dimostra una relazione negativa tra le due variabili, viene integrato in modo estremamente sofisticato (e forse anche arbitrario) pur di rovesciare la relazione sgradita. Morale: le pulci si fanno solo agli studi sgraditi.
    • che fare davanti ai ladri o rapinatori? fuggire è solo leggermente più sicuro che difendersi con una pistola. Difendersi con una pistola è comunque più sicuro che difendersi senza pistola. Quanto ai danni patrimoniali la cosa migliore da fare è difendersi con una pistola.  study, by Harvard's Hemenway and Sara J. Solnick of the University of Vermont,
    • A 2013 Pew Research Poll found 56 percent of respondents thought that gun crime had gone up over the past 20 years, and only 12 percent were aware it had declined.
    • Suicidi/omicidi. Due affari ben diversi
    • Occhio ai trucchetti atatistici. Among other anomalies in Fleegler's research, Hinderaker pointed out that it didn't include Washington, D.C., with its strict gun laws and frequent homicides.
    • Udare un arma nn è dannoso x la tua incolumità ed è vantaggioso x la tua prop.  "attacking or threatening the perpetrator with a gun had no significant effect on the likelihood of the victim being injured after taking self-protective action," since slightly more people who tried non-firearm means of defending themselves were injured. for those who place value on self-defense and resistance over running, the use of a weapon doesn't seem too bad comparatively; Hemenway found that 55.9 percent of victims who took any kind of protective action lost property, but only 38.5 percent of people who used a gun in self-defense did...
    • Cost-Benefit Analysis Leaving Out a Key Set of Benefits. avere un arma ci rende felici e realizzati. la cosa nn deve stupire poiché rafforza il nostro senso di autonomia, che è una variabile fondamentale a detta di qualsiasi psicologo. eppure questo fattore fondamentale nn viene contabilizzato.
    • Perché stimare l'impatto delle armi è difficile? Il lavoro di Lott è sintomatico. The range of contentious issues involved in Lott's techniques were summed up pretty thoroughly in a sympathetic but critical review of the third** edition inRegulation. The economist Stan Liebowitz of the University of Texas at Dallas wrote: "Should county level data or state level data be used? Should all counties (or states) be given equal weight? What control variables should be included in the regression? What violent crime categories should be used? How should counties that have zero crimes in a category, such as murder, be treated? How much time after passage of a law is enough to determine the effect of RTC laws? What is the appropriate time period for the analysis?". He attempted to control for many handfuls of other variables that might affect crime rates--indeed, some researchers accused him of accounting for too many variables, while others slammed him for failing to account for other factors... Trying to prove Lott wrong quickly became a cottage industry...
    • In all of the discussions of how to address "gun violence" something that is almost invisible is how race is a major factor in the composition of gun death statistics. Blacks die at the hands of other blacks and commit a disproportionate percentage
    • The best way to reduce gun violence is to legalize drugs and restrict access.
    • alcuni studiosi (miller hemenway) arrivano a dimostrare una correlazione positiva tra omicidi e detenzione di pistole. come fanno? inseriscono tra i confounders il tasso di criminalità. ovvero dicono: gli omicidi elevati in assenza di pistole si spiegano con la presenza di altri crimini (es rapine); a parità di rapine o crimini senza armi coinvolte il danno del possedere armi emerge. Il ragionamento: in un posto tranquillo, senza criminalità, è più facile che le armi non facciano danno. qs è vero pensando alla campagna ma forse non è sempre vero  poiché le basse rapine forse  sono un beneficio  dovuto anche dalla presenza delle armi http://johnrlott.tripod.com/2007/01/problems-with-latest-miller-hemenway.html
    • http://econlog.econlib.org/archives/2016/01/brian_doherty_o.html
    • In yesterday’s post, I suggested that the difference in homicide rates between America and other First World countries were about two-thirds cultural, one-third gun-related. That’s sort of true, but people have reminded me to think of it as an interaction. Without the cultural factors in place, guns are pretty harmless. 
    • una possibile parola finale sulla relazione armi-stati-omicidi dal meta studio di gary cleck: su tot studi analizzati metà propendono per una relazione positiva metà per una relazione negativa. quanto più lo studio è accurato tanto più si evidenzia una relazione negativa. http://slatestarcodex.com/2016/01/10/guns-and-states-2-son-of-a-gun/
    continua
  80. Faccio seguire un elenco degli autori che mi hanno ispirato diversi “pensierini”, puo’ essere utile a chi intende approfondire:
  81. il secondo emendamento, nel quadro dell'equilibrio dei poterei, forniva una soluzione ottimale ai pericoli di un esercito professionista: una milizia privata poteva aiutarlo in caso di invasione o osteggiarlo in caso di colpo di stato. Ma oggi la disparità di forse e di armamenti sarebbe eccessiva, oggi la funzione del secondo emendamento è meglio svolta da una garanzia della privacy. vedi david friedman nel capitolo sui codici encrypton
Frederic Bastiat, sulla dialettica visibile\invisibile.
Daniel Kahneman, su personalizzazione e availability bias.
Adam Winkler, sulle guerre culturali in tema di armi.
Isabel Briggs Myers, sulle differenze psicologiche tra individui.
Michael Huemer, sulla relazione tra statistica, etica, utilitarismo, pragmatismo e senso comune.
David Friedman e Kenneth Arrow, sul principio di precauzione.
Peter van Inwagen, sul Dio cristiano, il male e la libertà dell’ uomo.
David Murray, su stato sociale e “regressione infantile” del cittadino deresponsabilizzato.
David Kopel, sull’ idea di “pace armata” e su come il “no alle armi” puo’ trasformarsi in “armi solo ai cattivi”.
William Briggs, sullo scarso peso del mass-shooting nel computo complessivo degli effetti.
Jesse Walker, sui tendenziali del mass-shooting.
Alicia Miller, su correlazione e causalità.
Ed Leamer, sul problema delle specificazioni statistiche.
John Lott, sulle regressioni con utilizzo di sondaggi.
Philip Cook\Jens Ludwig, sulle regressioni con i suicidi come proxy.
Mark Duggan, sulle regressioni con gli abbonamenti a riviste specializzate come proxy.
Esther Duflo, sui metodi “differences in differences”.
Steve Leavitt, per una rassegna sugli studi “differences in differences”
Richard Swinburne, sull’ effetto miracolistico delle preghiere.
Alex Tabarrok, su come correggere le conclusioni “difference in difference” tenendo conto della “placebo law”.
Jesus Castro Jr., sul ruolo dei genitori nell’ abuso di armi.
Megan Mcardle, sui limiti dell’ assicurazione obbligatoria.
David Henderson, sulla segnalazione dei possessori di armi.
Robert Wiblin, sull' importanza del problema delle armi http://www.overcomingbias.com/2013/02/is-us-gun-control-an-important-issue.html
Charles E. Cobb Jr.   This Nonviolent Stuff'll Get You Killed: How Guns Made the Civil Rights Movement  sul ruolo delle pistole nella lotta per i diritti civili dei neri.







mercoledì 22 giugno 2011

L’ inconveniente Gettier

Gettier con un articolo di tre pagine mise in crisi gli epistemologi.

Si riteneva che "conoscere" equivalesse a sapere che una certa cosa era vera quando questa cosa era vera e si era giustificati a credere alla sua veirutà.

Gettier mostra che anche se c' è 1) credenza 2) verità e 3) giustificazione, non si puo' parlare di conoscenza.

Alternative?

Forse l' alternativa migliore consiste nel considerare la conoscenza un processo anziché uno stato:

1) io credo a X (fino a prova contraria) perché alle mie facoltà X appare come vero

2) mi si presenta una prova contraria

3) rintuzzo la prova contraria e torno a credere a X (fino a nuova contraria) oppure accetto la prova e credo a non-X (fino a prova contraria)

In questo processo non esiste una netta distinzione tra credere e conoscere.

Se però ci accontentiamo potremmo dire che chi conosce s' impegna a seguire un processo (quello sopra descritto) a cui chi crede si disinteressa.


martedì 31 maggio 2011

Nel paese dei muri con le orecchie

Per molti di noi “essere buoni” implica in qualche modo anche il “saper fare di conto”: poiché una buona azione deve produrre buone conseguenze, è necessario saperle prevedere e soppesare, almeno per quanto nelle nostre forze.

Oggi ancora più che un tempo le conseguenze sembrano al centro di ogni ragionamento etico. Pragmatici e utilitaristi danno grande enfasi all’ effetto ultimo di cio’ che si compie.

Possiamo chiamare “conseguenzialista” chi simpatizza con questo approccio.

Si è parlato tanto di “etica della responsabilità” (attenta alle conseguenze) contrapponendola all’ “etica delle intenzioni” (attenta all’ interiorità). Se non ti schieri per la prima vivi nel passato.

Ma c’ è un “ma” e con un esempio cerco di indicare dove si trovi la pietra d’ inciampo di ogni visione “conseguenzialista”.

… L’ albergo dove alloggia Clara prende fuoco e le fiamme divampano in pochi secondi. Lei fa appena in tempo a mettere in salvo suo figlio che giocava nell’ atrio. Ricostruendo a posteriori l’ accaduto ci si accorge che la donna avrebbe potuto salvare i due bimbi tragicamente periti che stazionavano più vicino a lei se non fosse corsa d’ istinto verso suo figlio che in quel momento giocava più distante. Giovanni, un pragmatista, chiamato a giudicare l’ operato di Clara da un punto di vista etico, applicando il suo approccio non puo’ esimersi da una condanna. Non è possibile fare altrimenti visto che, sebbene dirlo non sia facile, due vite pesano più di una. Anche Clara, a sorpresa, si dice una seguace del pragmatismo e capisce che ha agito in modo eticamente scorretto, eppure non si sente colpevole, non riesce a pronunciare una sincera condanna su di sé e sul suo operato in quelmaledetto giorno. In fondo l’ amore che ha coltivato per tutta la vita verso suo figlio aveva anche una funzione “pragmatica” e non poteva certo “liberarsene” in un attimo nel corso di quei terribili secondi…

Tutti comprendiamo lo stato di Clara e riflettendo sul suo dramma scorgiamo qual è il limite delle teorie etiche conseguenzialiste: spesso individuano comportamenti scorretti che poi non riescono a “condannare”. Una grave dissociazione. Clara si è comportata in modo sbagliato ma non è colpevole.

Per riepilogare da un’ angolazione leggermente diversa, secondo il pragmatista “rubare è sbagliato finché procura del male”, ma, affinché la gente si educhi a non rubare, potrebbe essere più efficace farle credere che rubare sia un “male in sé”, senza far intervenire nel ragionamento tanti faticosi distinguo. Un auto-inganno di questo tipo sembra proprio la soluzione più efficace. Ma credere che “rubare sia sbagliato in sé” vuol dire cessare di aderire al pragmatismo.

Insomma, capita spesso che il pragmatismo ci spinga verso teorie etiche diverse dal pragmatismo. Se il pragmatismo viene “professato” cessa di funzionare al meglio.  Una teoria etica del genere si suole etichettare come “auto rimuovente”.

Oltre ad essere auto-rimuovente il conseguenzialismo è probabilmente “esoterico”, ovvero: funziona al meglio solo se  creduto vero e praticate da pochi. Questa élite è tenuta a sussurrare la sua fede in circoli ristretti stando ben attenta al fatto che anche i muri possono ascoltare.

A voce alta, quando sentono popolo e muri, meglio sarebbe emettere un edificante fiotto d’ ipocrisie ben confezionate.

E se si vive davvero nel paese in cui “anche i muri hanno orecchi”, allora possiamo arrivare a dire che il pragmatismo si auto-confuta.

Michael Beitz i muri hanno orecchie  link

Ma è funzionale che una teoria etica sia auto-rimuovente? E’ morale che una teoria etica sia “esoterica” e “ipocrita”?

Ci sono buone ragioni per rispondere di no ad entrambe le questioni. Specie se dobbiamo fornire una risposta che travalichi il circolo esoterico.

Spero di aver seminato qualche dubbio ai pragmatisti che magari saranno indotti a cercare sul mercato dell’ etica qualcosa di più promettente. La merce non manca. 

Derek Parfit – Reasons and Persons

lunedì 6 settembre 2010

Il paradosso dell' ambiente

Da un lato l' ambiente si deteriora mettendo a rischio la nostra qualità della vita.

Dall' altro la nostra qualità della vita non è mai stata così alta.

Come spiegarlo?

Forse con il pragmatismo: l' uomo affronta un problema alla volta, specie se alcuni problemi non toccheranno mai gli interessati.