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sabato 28 marzo 2020

bruni appunti sparsi e disordinati

 CAPITALISMO E CRISTIANESIMO

1 il cuculo

E' tautologico dire che che lo spirito del capitalismo ha natura cristiana solo perché è bato all'interno dell'europa cristiana. In questo senso anche fascismo, nazismo e comunismo sarebbero cristiani. Tutto sarebbe cristiano. Un po' come dire che i concetti della politica sono teologici: è ovvio poiché i primi studiosi della politica disponevano solo di concetti teologici. Meglio chedersi: che cosa del cristianesimo è entrato nel capitalismo e che cosa è stato respinto.

Il cristianesimo assume che gli uomini siano per loro natura uguali (Paolo: non c'è né giudeo né pagano, né ricco né povero...). Questa è una condizione culturale importante per la nascita del capitalismo, che anche solo per vendere le sue merci a tutti o consentire la libera concorrenza realizza in pieno questo assunto.

Tuttavia, ci sono cose del cristianesimo che il capitalismo è ben lungi da realizzare. Il culto dei soldi e dell'io, il narcisismo di massa, l'idea che si è tutti in competizione, sembrano cose molto distanti dallo spirito cristiano.

Le categorie teologiche che hanno influenzato il capitalismo erano state a loro volta influenzate da categorie economiche come il do ut des. La preghiera brahminica: "ecco il mio burro, dove sono Dio i tuoi doni?".

Benjamin: il capitalismo si è sviluppato parassitariamente sul cristianesimo e il cristianesimo si è adattato al capitalismo. Perché parassitismo e non simbiosi? O figliolanza? Bruni assume l'immagine del parassitismo. Io quello della simbiosi: il cristianesimo sarebbe stata una religione anti-sociale senza un addomesticamento.

Il parassita allunga la vita dell'ospite per poterlo sfruttare. Così fa il capitalismo: allunga la vita del cristianesimo per rendersi presentabile.

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2 cristianesimo e ricchezza

Che rapporto c'è tra etica cristiana e ricchezza? Difficile dirlo perché i vangeli non sono trattati morali. Raccontano storie, e molte sembrano tra loro incompatibili. Buon samaritano o amministratore disonesto? Gesù chiamava i poveri beati ma lui era un piccolo artigiano che spesso si accompagnava ai ricchi, e non escludeva tra i suoi discepoli i benestanti (Matteo, Zaccheo, Giuseppe di Arimatea) piccoli imprenditori proprietari di barche

Emergono comunque tre filoni: 1) nell'antico testamento la ricchezza è spesso vista come benedizione (ti darò beni, figli, discendenza), alcuni echi si sentono anche nel nuovo (teologia della prosperità); 2) nella parabola del giovane ricco la ricchezza è vista come un veleno di cui disfarsi, si parla di cammelli e di crune, la ricchezza è maledizione; 3) negli atti degli apostoli (capitolo IV) la ricchezza va messa in comune con gli altri membri della comunità, lo stesso Paolo invoca (II lettera ai Corinzi) uguaglianza e comunione dei beni, non povertà: la ricchezza deve crescere ma l'uso va distinto dalla proprietà, elemento centrale nel francescanesimo. Mettere insieme e distribuire secondo il bisogno.

Si pone il dilemma: povertà o condivisione? 2 o 3? Il monachesimo sceglierà 3: povertà dei singoli ma ricchezza di tutti. Tra i Padri la divisione si ripropone in modo aspro. Tutti condividono il "problema" della ricchezza dando però soluzioni diverse.

Nel primo cristianesimo cominciano ad arrivare molte persone benestanti, non parliamo più di comunità carsmatiche. Emblematico l'episodio della "vita di melania", narra di due sposi ricchissimi convertiti. Svendettero tutto liberando anche gli schiavi, che protestarono insorgendo: non volevano essere liberati ma protetti. L'episodio fu molto discusso tra i cristiani. Se i ricchi diventano poveri chi amministra il bene comune? L'impoverimento volontario è anti-sociale.

Fu Agostino a fornire una nuova etica della ricchezza. Fu costretto ad una certa reticenza con i ricchi. Comincia la lettura metaforica della ricchezza. La ricchezza diventa la superbia, la vanità. Ad Ago interessava la filantropia, l'elemosina, la concordia. Riprese l'idea classica che i ricchi siano necessari a governare i poveri.

Il nemico di Ago fu il radicale Pelagio, molto ascoltato dai ricchi, che seguendo gli stoici predicava la rinuncia totale dei beni (elimina i ricchi e non ci saranno più i poveri). Quindi: elemosine contro rinuncia. Alla fine vinse Ago: se i ricchi saranno virtuosi stiano pure tranquilli. Togli la superbia e la ricchezza non danneggia. Il cammello passò per la cuna.

Conclusione (siamo al IV-V secolo): sull'uso delle ricchezze il cristianesimo ha innovato molto poco, vinse infatti ago che riprendeva un'impostazione classica: la ricchezza non è un problema se usata bene. Il radicalismo di Pelagio fu sconfitto. Furono più influenti Cicerone e Seneca che il giovane ricco o gli Atti. Cambiò qualcosa ma poco: il compenso per la generosità non fu più la statua ma il Paradiso. Si crebbe parassitariamente sull'impero che stava morendo. Da qui la domanda: cio' che è entrato nel capitalismo è evangelico o romano?

Ma la tensione tra ago e pelagio sfociò nel doppio binario: un'etica della ricchezza conciliante per le masse e una radicalità (impoverimento+condivisione) per certe élite (per esempio i monasteri). Nei monasteri si poteva rivedere la prima comunità mentre nelle città il diritto romano continuava a vigere. Lo stesso Ago scrisse una regola monastica molto influente.

La riforma abolì i monasteri trasferendo la vocazione elitaria nel lavoro. In un certo senso abolì il doppio binario.

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3 monachesimo

Tesi: il capitalismo non sarebbe nato senza monachesimo. Eterogenesi dei fini.

Confessioni e penitenze sono gli strumenti di management con cui gestire lo scarto tra l'ideale e il reale. Con San Colombano la confessione comincia a diventare privata, non più pubblica come nei primi secoli. Anche la penitenza è privata e a tariffa: una colpa, una penitenza. In quanto oggettiva poteva poi essere negoziata, scontata da altri debitori del penitente. Praticamente una borsa valori. La penitenza si sganciò dalla persona per avere vita autonoma, un fenomeno favorito anche dalla diffusione crescente della moneta. E siamo a Lutero e alle indulgente. Ergo: quando si svilupparono i mercati trovarono un'etica degli scambi già molto sviluppata perché nata per tempo sulle penitenze e le confessioni.

Tesi: le grandi corporation hanno cpme modello, non tanto le imprese ottocentesche o le botteghe italiane, quanto i grandi monasteri medievali. La condivisione del lavoro e la leadership dell'abate sono eredità dei monaci. Ma sulla leadership si discute: nei monasteri è la regola a prevalere, non il boss. Tanto che la durata media di un konastero è 5 secoli, le imprese muoiono con la morte del leader carismatico.

Nell'antichità lavoravano solo gli schiavi, nel monastero lavoravano TUTTI, anche i più colti. Vedere i monaci lavorare nobilitava anche gli umili che li vedevano all'opera. Senza questa etica del lavoro, questo mettere insieme mani e testa, questa nobilitazione del fare (ora et labora) non avremmo mai avuto il capitalismo, da qui la tesi di cui sopra.

Ma il colpo di genio fu nel non separare preghiera e lavoro: il lavoro non sottrae tempo alla preghiera e viceversa, ma tutto rientra nella medesima liturgia della regola. Inventarono il tempo qualità. Le ore erano dodici (quantità) ma la preghiera lo intensifica rendendolo qualitativo. L liturgia aggiunse una dimensione al tempo così da trasformare le 12 ore in infinito. Nel monastero il tempo rallenta, si entra in un'altra dimensione. Il lavoro vale la preghiera perchè parte della medesima liturgia. Il lavoro è valutato in sé, non deve essere gerarchizzato. E' proprio questa dimensione qualitativa del tempo che manca nella grande impresa dei cartellini, dei badge e dei minutaggi. D'altra parte la grande impresa ambisce al lavoratore monaco, con vocazione, che aderisca liberamente alla mission, che non si limiti all'incentivo. Ma la promessa dell'impresa è troppo piccola, non hanno il Paradiso, anche se fanno di tutto per farcelo credere.

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4 francescanesimo

Il paradosso: da un movimento fondato sulla rinuncia nacquero vere e proprie teorie economiche, sebbene i francescani non abbiano inventato il capitalismo, come arriva a dire qualcuno. Le banche dei francescani, per esempio, nacquero in opposizione ai prestatori a interesse (usurai), furono enti senza scopo di lucro. D'altro canto alcuni pensatori francescani introdussero il concetto di "profitto giusto". Ad un'apertura verso la ricchezza contribuì la presenza dei terziari, il terzo ordine formato da laici ex ricchi. Quanto ci sia di Francesco nei suoi eredi è difficile dire. Così come è difficile dire quanto i suoi eredi contribuirono alla nascita teorica del capitalismo.

La radicalità di Francesco riprese la lezione evangelica opponendosi agli esiti di Ago. Francesco chiede sia povertà personale e povertà comunitaria. Anche il monastero deve essere povero. Il frate non deve essere proprietario di nulla. Il frate è come un bambino, un'interdetto, una persona in stato di necessità. E qui si arriva all'opposizione tra uso e proprietà, con Francesco che sceglie la regola del solo possesso. La chiesa prima acconsente ma poi con papa Giovanni XXII condanna.

Vi è poi nella chiesa il grande scontro sul principio dell'ex opera operato: le opere dipendono dalla condizione di chi le realizza o dagli esiti oggettivi? Se un sacerdote in peccato benedice l'ostia o perdona i peccati, questi gesti sono inficiati dalla sua condizione peccaminosa? La chiesa dice no, i monaci e i francescani dicono sì. La condizione soggettiva, per i monaci, pregiudica gli atti. La chiesa va in altra direzione, da qui il detto: "fa cio' che il prete dice, non cio' che il prete fa". Il concilio di Trento stabilì ufficialmente questo principio. Ma un frate indegno è un controsenso.

L'econonia si è inventata il suo "opera operato" separando la merce dal produttore. Non è più necessario firmare la merce. Pensiamo alle certificazioni di qualità, procedure oggettive che sostituiscono la firma. La tecnica si fa sempre più simile alla magia.

Ma nell'economia moderna c'è anche un movimento contrario. Cerchiamo la firma, l'autenticità. Pensiamo ai cibi, ai luoghi. Ci interessano le persone nascoste, anche nel management il carisma è sempre più importante. Nelle grandi crisi muoiono gli oggetti e torna forte la nostalgia dello sguardo di uomini e donne.

Il finale è un po' sconclusionato, si assume che "siamo entrati nell'era dei beni comuni" e che quindi Francesco è quindi più che mai attuale. Manca un raccordo con tutto il resto.

aaaaaaaaaaaaaa


il linguaggio dell'economia entra nelle cose di chiesa. Le penitenze diventano negoziabili il ricco può pagare il povero affinché faccia pellegrinaggi per suo conto. L'utero si scandalizza e vara la riforma protestante.

Da questo atto per una singolare eterogenesi dei fini nasce il capitalismo. Il progetto è quello di separare l'economia dallo spirito. Lutero Monaco agostiniano crede nel dogma dei due regni della città celeste di quella degli uomini. Nella seconda l'uomo è soggetto ai suoi vizi e occorre un sistema coerente con questi difetti. L'imprenditore penso solo a far soldi finché è imprenditore poi quando tornato a casa si trasforma in fedele con quei soldi farà del bene reinvestendo lì pure facendo filantropia.

Il pessimismo antropologico di Lutero Non si può capire Ops senza l'utero e nemmeno Adam Smith. Il sistema di Smith funziona grazie il sistema di Smith trasforma l'egoismo dall'inizio privato in pubblica virtù.

La teologia della Grazia e centrale in Lutero punto non sono i meriti che salvano così come non è il merito che dà il successo all'imprenditore. Lui è solo una rotella del meccanismo. La ricchezza lo benedice e lo segnala come predestinato.

Il capitalismo del nord che nasce con lo spirito luterano soggetto pessimismo antropologico abbandona l'etica delle Virtù limitandosi all'etica del contratto. Il capitalismo Meridiano persegue l'etica delle Virtù crede nel potere salvifico del buone intenzioni è in alternativa al meccanismo di Adam Smith che opera a livello individuale realizza i corpi intermedi che mettono in contatto l'individuo con il pene comune. L'ispirazione del capitalismo meridionale e cattolico viene da Aristotele e Tommaso dalla pubblica felicità e dal bene comune.

Il merito è ciò che legittima la diseguaglianza. Nell'Ottocento la diseguaglianza viene considerata un dato naturale le persone nascono con Talenti diversi finiscono con redditi diversi. In Italia vedi Pareto. Il 900 è un secolo che sogna un mondo artificiale di eguali. Da questo sogno nasce il Welfare State ma il capitalismo moderno nelle scuole di business e di Management attacca questo sogno e torna idee ottocentesche di diseguaglianza per realizzare questo progetto e quell'ora l'enfasi sul merito. La meritocrazia si presenta come giustizia. Ma quando si parla di merito entriamo su un terreno molto scivoloso. Alla fine la meritocrazia si risolve in ideologia. Il paradosso la pietra scartata da Lutero ovvero il merito è oggi diventata testata d'angolo proprio nel capitalismo nordico.

 dietro la teologia del merito rivive la disputa tra Agostino e Pelagio. Quest'ultimo sosteneva che noi ci guadagniamo la nostra salvezza con i nostri meriti.

Nella teologia del merito il talento viene ridotto a merito anziché a dono. In secondo luogo, è l'impresa che stabilisce quali siano i meriti scartando Quindi tutta una serie di meriti che l'uomo possiede. Molti meriti vengono addirittura disincentivate come quello della mitezza e della Misericordia Eppure si tratta di meriti importanti nella vita. 

Tutte le teologie del merito sono anche théologie del demerito e presentano la sconfitta la povertà come una colpa.