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sabato 14 giugno 2008

Inetti per vendetta

"... stava bene solo nel suo letto con gli occhi chiusi..."
Tozzi


C' è sempre un soprassalto di tedio quando parlando di letteratura comincia a spuntare il nome di Freud, oppure quando vengono tirate in ballo le sue stantie strutture come chiave interpretativa. Si sa già come va a finire.

Ma se il cuoco che maneggia un simile prezzemolo è Giacomo Debenedetti, allora il pericolo è scongiurato. Aprite bene le orecchie e mantenete la massima ricettività. Il piatto di sempre verrà reso una leccornia.

Esempio, il critico spiega mirabilmente come l' elettricità tra padre e figlio si riversi nella pagina di Tozzi fornendo le ossa ad ogni creazione artistica dello scrittore. Ma il Tozzi è solo una cavia ben scelta, a Debenedetti interessa isolare la filigrana del romanzo novecentesco.

Il padre di Tozzi era di un' affettuosità tirannica: uomo energico, tenace. Da contadino nullatenente aveva creato una bottega prospera, era riuscito a farsi la roba e a conservarla. Naturale che avesse aspettative sul figlio, ma con la sua rustichezza non fu in grado di mdularle nel modo più proprio.

Il figlio sarà pigro a scuola, si dimostrerà inetto nei vari studi che intraprende e in tutte le manifestazioni della vita pratica proprio al fine di affermarsi negativamente consapevole delle attenzioni e delle sofferenze che puo' così infliggere a chi lo ama.

Offre al Padre il triste, irritante, sconcertante spettacolo della propria vita mutilata. Incapace e impotente proprio per vendicarsi, proprio per rendere a qualcuno le mutilazioni subite.

Il Padre inveisce dandogli del "buono a nulla" (il figlio in realtà non desidera altro), finchè non cede e trae le conseguenze da una situazione bloccata nell' auto-distruzione. Con le resistenze di chi accetta un figlio finocchio, si decide a far concorrere il degenerato ad un piccolo subordinato impiego statale alle Poste e Ferrovie.

Ed ecco finalmente la divisa perfetta del Figlio: impiegato subordinato. E' la vera unifome in grado di rivestire la sua intimità. Indossandola puo' sempre ostentare al Padre (che si reincarna in varie persone incontrate sul percorso) una rappresentazione clamorosa e rabbiosa di cio' che egli è, di cio' a cui l' ha ridotto il trauma iniziale.

Ultimo snodo: il Tozzi poi tornerà a prendersi cura del patrimonio paterno. Il Padre gli dà (gli impone) un' altra magnanima occasione. Succede quel che deve succedere: con una specie di ottusa, cieca, indifferente ostinazione larvata di passività, debolezza, infingardaggine, egli si adopera per dissipare il patrimonio affidatogli. I beni materiali sono il simbolo della potenza paterna da minare, e lui deve rinfacciare a qualcuno la propria impotenza.

Non ci siamo divertiti a costruire un caso clinico. I personaggi più significativi della letteratura novecentesca escono da dinamiche similari.

Il modo migliore per dimostrare di non averli capiti è di considerarli degli inetti poco abili alla vita pratica. Debenedetti rimprovera questa ingenuità a Luigi Russo.

Non si tratta di inettitudine o di impotenza, bensì di devastanti e rabbiose vendette compiute con l' arma della passività.

E' lo "sciopero dei personaggi". E' la passività che nasce dall' odio. E' la renitenza di chi aggredisce il nemico che lo ama subendo tutto "con gli occhi chiusi"