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lunedì 23 dicembre 2019

LA TRISTE VICENDA

Trigger Warning: qui parlo di aborto, argomento che puo' turbare chi non riesce ad affrontarlo su un piano unicamente razionale.
LA TRISTE VICENDA


Nella triste vicenda dell'aborto gli interessi in gioco sono tanti. Innanzitutto, quelli della madre, ovvero la sua sicurezza, la sua salute, ma anche gli oneri economici, emotivi e fisici della maternità. C'è poi il padre, che condivide gli oneri economici ed emotivi della genitorialità. Il feto mette in ballo nientemeno che la sua sopravvivenza. Infine la società in generale, che ha interesse nell'applicare la giustizia e preservare i diritti dei suoi membri. Il punto di conflitto sorge quando una madre (o entrambi i genitori) desiderano interrompere e sopprimere il feto prima del parte.
Prima di prendere di petto, qualche dato di contorno: 1) gli aborti sono in calo. 2) Per le donne sottoporsi ad aborto è meno rischioso che partorire. 3) Il rischio di un parto non è una bazzecola, ancora oggi sfiora quello di avere un incidente mortale in auto. 4) Le madri a cui è stato negato l'aborto hanno una probabilità significativamente maggiore ritrovarsi disoccupate, in condizioni di povertà e di utilizzare programmi di assistenza sociale (non traete conclusioni sui nessi) 5) i bambini indesiderati hanno una una maggiore probabilità di vivere in condizioni di povertà e di commettere crimini. 6) L'adozione è un'alternativa all'aborto ed elimina gli oneri socioeconomici a carico dei genitori. Tuttavia, l'adozione è raramente considerata. I gruppi pro-adozione denunciano che sia i pro-choice che i pro-life non presentano in modo adeguato questa opzione. E' anche vero che la capacità ricettiva dell'istituto è sottodimensionato rispetto agli aborti.
Ma poi, al di là del contorno c'è la pietanza, ovvero la domanda fondamentale: a che punto dello sviluppo del feto l'aborto diventa un atto eticamente deprecabile? Riduco a due le ipotesi in campo: 1)concepimento e 2) vitalità. Chi supporta la prima di solito ricorre alla cosiddetta "tesi del futuro", chi supporta la seconda alla "tesi della vita". Cerco di esporle in modo imparziale cosicché ognuno faccia la sua scelta, io alla fine non mancherò di assegnare la mia preferenza cercando però di tenere distinte le opinioni dai fatti.
Cominciamo dalla prima. In molti individuano nelle caratteristiche del feto - dimensione, livello di coscienza, capacità di provare dolore, ecc. - la variabile fondamentale su cui condurre gli approfondimenti del caso. Si sostiene cioè che una certa caratteristica, o la sua mancanza, conferisca al feto un diritto alla vita. Sfortunatamente, come vedremo, approcci del genere finiscono per avere effetti collaterali perversi, come quello di dare diritti a una pecora ma non a un bambino. Un punto di partenza più promettente lo fornisce il buon senso: chiediamoci perché uccidere un uomo come te o me sia sbagliato e verifichiamo se il medesimo standard sia applicabile o meno al feto.
Donald Robert Perry Marquis sosteneva, per esempio, che uccidere qualcuno come te o me sia prima facie condannabile poiché il defunto resta privato di una "vita futura", ovvero un bene che gli spetta di diritto. Il danno per il defunto, cioè, è la perdita del suo prezioso futuro prima ancora che la sofferenza per aver subito un atto violento. Questo è talmente vero che l'omicidio viene punito a prescindere dalla sofferenza della vittima. Chi muore nelle camere a gas non soffre, ma nessuno dubita che anche in questo caso un diritto sia stato violato. Chiaramente, questo approccio spiega perché sia sbagliato uccidere gli uomini adulti o i neonati, si tratta di soggetti che hanno un futuro, nessuno lo negherebbe. Lo sperma e un ovulo, al contrario, non hanno futuro che appartenga loro. A questo punto non resta che capire cosa ci troviamo di fronte nel caso dell'aborto. Le nostre intuizioni differiscono sullo status di un tipico zigote a singola cellula. Si puo' davvero dire che questo ente abbia un futuro? Un criterio prudenziale, ma soprattutto l'assenza di buone teorie alternative, consiglia una risposta affermativa alla domanda. Secondo molti, quella continuità di processo naturale che congiunge lo zigote all'individuo che sarà ci consente di parlare in modo legittimo di passato-presente-futuro. In altre parole: lo zigote è il nostro passato. E noi tutti siamo a pieno titolo il futuro di uno zigote. Se riuscite a pensare questa cosa non potete eludere la cosiddetta "tesi del futuro".
Secondo altri, invece, l'aborto è moralmente accettabile fino a quando il feto non sviluppa le strutture necessarie per la percezione degli stimoli esterni. La capacità da parte del feto di sperimentare una sofferenza cosciente è decisiva. Senza quella sofferenza, il "contorno" di cui sopra, ovvero il carico fisico, mentale ed economico imposto alla madre prevarrebbe. Poiché i requisiti minimi per la percezione cosciente sono effettivamente soddisfatti solo dopo la cosiddetta "vitalità fetale", sarà proprio questo momento a costituire la barriera etica che cerchiamo.
Ebbene, a livello empirico, alcune strutture neurologiche sono necessarie per la percezione del dolore. Pertanto, finché queste strutture non sono presenti e attive, la percezione non può verificarsi. Per provare dolore, il sistema nervoso deve formare le sue sinapsi spino-talamiche che si proiettano sul talamo, che poi si connettono a loro volta ai neuroni talamo-corticali, che si innervano nella corteccia (la regione della coscienza). Queste componenti devono essere tutte attive per consentire la percezione del dolore. Sulla base di studi multipli, i neuroni ricettivi si sviluppano intorno alle 19 settimane, gli afferenti talamici raggiungono la corteccia dopo 20-24 settimane e l'attività somato-sensoriale provocata dall'attività talamica è rilevabile intorno alle 28-29 settimane. Prima di tale sviluppo del sistema nervoso, l'esperienza del dolore di un feto sarebbe probabilmente simile a quella di un individuo in coma, ovvero nulla. Pertanto, quando si considera un aborto prima di questa fase di sviluppo, stiamo bilanciando (1) i danni indubitabili e sopra descritti che affronta la madre, un agente cosciente, contro (2) i danni inflitti ad un'entità che non "sperimenta" nulla. La tesi della "vitalità" comporta che di fatto il feto sia intoccabile solo dal momento in cui non richiede più un corpo entro il quale sopravvivere (a 28-29 settimane puo' essere tenuto in vita all'esterno). La "vitalità" rappresenta un momento speciale nello sviluppo di un feto, perché, oltre a provare dolore, superata questa soglia puo' vivere la sua vita senza rappresentare più un rischio significativo per il benessere fisico della madre.
I fautori della "tesi vitale" sostengono in sintesi che poiché un feto prima delle 28/29 settimane non è in grado di "soffrire in modo cosciente", è possibile abortirlo. Tuttavia, ci sono momenti in cui anche un uomo fatto e finito non è cosciente, per esempio quando è temporaneamente in coma. Gli stessi sostenitori della "tesi vitale" propongono questa analogia per il feto non vitale. Eppure, per quanto in quelle condizioni non si soffra, cio' non significa che si possa essere eliminati. Basta spingere oltre l'analogia per comprenderlo. La capacità cosciente di soffrire non sembra una variabile chiave per decidere cosa è consentito fare. Oltretutto, è improbabile che un feto vitale o un bambino abbiano un senso di sé molto superiore a quello di un cane o di un delfino. E' vero semmai il contrario, cosicché, stando alla "tesi della vitalità", dovrebbe essere lecito sacrificare i primi per salvare i secondi, cosa che contrasta in modo stridente con le nostre intuizioni. Per questi motivi, l'esperienza della sofferenza non sembra essere ciò che rende sbagliato raschiare un feto. In questo senso, la "tesi del futuro" sembrerebbe prevalere.
Ma davvero il "potenziale" conta quanto l'attuale? Molti non sono disposti ad accettarlo. Da un lato si dubita che abbia senso parlare del "futuro" di un feto; certo, immaginiamo cio' che diverrà, immaginiamo il suo potenziale ed estrapoliamo i suoi diritti da lì. Tuttavia, un feto incarna un potenziale ma non si può dire che "possieda attualmente quel futuro". Perché? Secondo Boonin, il valore intuitivo del futuro deve avere un corrispettivo in un valore attuale che nel caso del feto non c'è, visto che latitano le adeguate strutture neurologiche atte ad esperire la vita. Un feto vitale, al contrario, desidera il cibo, il contatto ravvicinato ed è sensibile alla voce dei genitori: è già cio' che sarà in futuro.
Quanto alla persona in coma, l'analogia per Boonin non regge: esiste una chiara distinzione tra un'entità che ha avuto in passato un'esperienza cosciente e un'entità che cosciente non è mai stata. Una persona che dorme in coma ha ancora i suoi ricordi, i suoi desideri, tutto è presente e codificato nel suo cervello al momento in un limbo; il fatto che sia temporaneamente inconsapevole non significa che non esistano più quei beni! Non abbiamo diritto di azzerare questo suo patrimonio. Al contrario, un feto prima di essere vitale non ha alcun desiderio, nessuna memoria, nessun patrimonio da dover preservare. Nel caso speciale di un feto, inoltre, l'ubicazione ha eccome un significato morale. Il feto che vive all'interno e dipende dal corpo della madre, comporta costi e rischi immediati per la l'ospite. Al contrario, una volta uscito da quel corpo, il feto/neonato non pone più di queste minacce, per quanto sulla madre gravino ancora i significativi oneri economici e sociali della maternità.
Francamente non so fino a che punto una replica del genere puo' risultare convincente. A me personalmente non convince. Il futuro di cui è privato il feto non dipende certo dal fatto che il feto ne debba averne coscienza qui ed ora. Nemmeno un bambino di 4 anni ha una buona comprensione di cosa significhi essere un 60enne, eppure del suo futuro fa parte anche quel periodo della vita. Se il bambino di 4 anni viene ucciso, ha perso non solo le relazioni che in qualche modo comprende in quanto bambino di 4 anni perché fanno parte della sua vita già in questo momento, ma anche un futuro estraneo a ogni discernimento attuale, come la sua carriera o i suoi figli, ovvero ciò che avrebbe trovato prezioso e significativo da adulto. Anche la replica sull'uomo in coma è carente. Si dice che costui, contrariamente al feto, ha una memoria già formata di cui verrebbe privato, che ha cioè un patrimonio pregresso, a fronte del nulla fetale. Tuttavia, le cose non cambierebbero affatto anche ipotizzando che azzeri tutta la sua memoria e la sua personalità precedente: l'interdetto ad uccidere rimarrebbe, e rimane in nome del suo diritto al futuro (visto che il passato non c'è più). Proprio come nel caso del feto.
Per concludere, personalmente considero rilevanti due fattori: 1) è ragionevole, in caso di sesso consensuale, attribuire ai genitori una qualche responsabilità nei confronti del feto che hanno procreato. Questo obbligo deriverebbe dal fatto che si sono impegnati in attività le cui conseguenze sono ben note, o dovrebbero esserlo. 2) In secondo luogo, nel valutare lo status del feto, la "tesi del futuro" mi sembra più stringente rispetto alla "tesi della vitalità". L'equiparazione tra feto vitale e delfino, nonché quella tra feto non vitale e uomo in coma, secondo me risolvono la contesa. Tuttavia, ammetto che vedere uno zigote monocellulare come persona va contro la mia intuizione, cosicché constato che all'attribuzione di questo status pervengo unicamente attraverso gli argomenti migliori a disposizione e le ragioni prudenziali.
Detto questo, ammetto anche di vedere con orrore la presenza di burocrati incaricati di far portare a termine le gravidanze. Favorirei piuttosto una legislazione decentrata a livello regionale con l'unico vincolo di consentire in materia un'obiezione di coscienza a tutto campo. La prima misura esalta la sperimentazione sociale di cui abbiamo sempre bisogno per il calcolo delle conseguenze, la seconda tutela dei diritti e impone un minimo di costo a chi intraprende attività che mi sembrano eticamente condannabili.