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giovedì 2 luglio 2020

.. non è vero che noi donne abbiamo un carico maggiore perché gli uomini se ne fregano – la tesi del libro "Bastava Chiedere" – abbiamo un carico maggiore perché vogliamo che le cose vadano a modo nostro, in molte situazioni non vogliamo mollare il controllo. Io non riordino da sola perché mio marito non lo fa, riordino perché la sua idea di ordine non è la mia (basta che la casa non sia allagata, incendiata, esplosa, e per lui va bene, se la forchetta per girare il sugo è appoggiata sul piano di marmo sopravvive, se i calzini di spugna sono insieme a quelli in microfibra riesce a dormire, lui). Non delego quello che non voglio delegare, non è che non delego perché lui sia un egoista, anzi...
dentro c'è anche l'elogio dell'operaio rumeno, l'unico ad accorgersi ancora dei "modelli d'epoca" che passano per la strada...

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domenica 4 agosto 2019

mercoledì 15 maggio 2019

LE SCACCHISTE

Elenco dei paesi dove le donne sono più incoraggiate a giocare a scacchi
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sabato 16 marzo 2019

Una donna sbagliata SAGGIO

Una donna sbagliata

Dall’America non arrivano solo le icone del femminismo ma anche quelle dell’anti-femminismo, Camille Paglia si è battuta in solitudine per anni contro quello che definirei con un eufemismo “un ambiente accademico ostile”. Dall’omaggio che le rende Mark Bauerlein nell’articolo “Force of nature” traggo qualche spunto di meditazione.

Anni ottanta. La regola numero uno per i prof in carriera nei campus americani: mai accennare alla natura parlando di differenze tra i generi.
Incipit di  “Sexual Personae” (1990) della Paglia: “In principio era la natura”. Scandalo.
Ricordo di un’epoca con la sinistra in crisi: l’ala marxista tarpata dal crollo del muro, l’ala decostruzionista, almeno in America, tarpata dall’aver scoperto i libelli antisemiti del suo mentore principale, Paul de Man. Solo il femminismo era in piena salute. Si puntò tutto lì.
Tesi Paglia: la civiltà è stata eretta contro i nostri istinti di base, ovvero contro la natura.
La visione contraria è quella di Jean-Jacques Rousseau e William Wordsworth. Immaginavano la natura come consolatrice materna e gli individui nel loro stato primitivo come tanti “innocenti”.
Degni eredi di Rousseau: i liberal e le femministe, almeno quelle che pensano di poter espellere l’aggressività e la diseguaglianza dal mondo “raddrizzando” le teste come si raddrizzano le banane.
Paglia: tutta la grandezza umana è una sfida vincente alla natura… che pur tuttavia non sparisce mai del tutto da noi. Altrettanto “grande” è l’averne coscienza.
Decostruzionisti: la civiltà – lungi dall’essere la nostra grandezza – non è che soggiogamento e sorveglianza.
La provocazione di Paglia: le biologie di uomini e donne sono distinte e ci fanno reagire diversamente nelle varie situazioni. Il genere inizia nei nostri corpi ed è ben più radicato di un costrutto sociale.
Tesi: la donna, rispetto all’uomo, è più legata alla natura, più propensa ad accoglierla e ad accettarla.
Paglia si ispira ad Harold Bloom, il relatore della sua tesi di dottorato: la donna nasce da donna ma l’uomo nasce da donna e non si riprende mai da questo trauma. Tutta la sua vita è una reazione in cui risponde “proiettando” se stesso attraverso atti sessuali con donne o atti culturali con oggetti, costruendo chiese, componendo canzoni, conducendo esperimenti, scrivendo poesie, formando governi e dipingendo quadri. Tutti i generi di filosofia, scienza, arte, atletica e politica sono stati inventati dagli uomini.
Paglia: il fardello della natura cade più pesantemente su un sesso, ma non è possibile trascurare questo fatto fingendo che derivi dall’ingiustizia sociale.
L’errore del liberalismo sinistrorso: l’ ambizione di poter occultare le turbolenze che la natura produce in uomini e donne.
Paglia si unisce a  Sant’Agostino nel condannare la Grande Madre, ovvero la dea oscura della natura, il nemico più formidabile del cristianesimo.
L’entrata in campo della Paglia all’epoca fu uno shock. La tipica erudita attivista femminista era abile nell’esprimere disprezzo per tutto ciò che bollava come “sessista”,  ma non era abituata ad avere le proprie compiaciute certezze  sdegnosamente respinte dagli altri.
Editoriale del 1990: “Madonna. Finalmente, una vera femminista“. “Madonna espone il puritanesimo e l’ideologia soffocante del femminismo americano, che è bloccato in una modalità piagnona adolescenziale ….”.
Paglia sulle campagne contro lo stupro del 1991: un prodotto artificiale sfornato da femministe accademiche, noiose e stremate, oltre che da studenti viziati e benestanti”.
Sette editori hanno rifiutato Sexual Personae  prima che la Yale University Press lo accettasse. La carriera della Paglia si svolse sempre ai margini.
“La Dissidenza sessuale”, “Da Augustine a Wilde, da Freud a Foucault”, “Sodometrie”… gli studiosi della sessualità allora erano molto trasgressivi e scrivevano libri con titoli come questi. La svolta “conservatrice” della Paglia spiazzò molti.
Paglia si interessa al travestitismo. Sostiene che sorga nei momenti di collasso culturale: “siamo in una decadenza, come quella della Roma imperiale?”. E accusa le sue colleghe che ne parlano con il criptico linguaggio lacaniano dimenticandosi completamente la storia.
A proposito di linguaggi criptici, ecco Judith Butler Gender Trouble: Feminism and the Subversion of Identity): “… una volta che il tabù dell’incesto è soggetto alla critica di Foucault dell’ipotesi repressiva elaborata in “Storia della sessualità”, quella struttura proibitiva e giuridica viene mostrata sia per instillare l’eterosessualità obbligatoria all’interno di un’economia sessuale mascolina sia per consentire una sfida critica a quell’economia”. La reazione di Paglia: “Perché prendere sul serio gente che scrive in questo modo? E’ dilettantismo, non creatività…”.
Diana Fuss, un’altra femminista che parla ostrogoto su argomenti che non conosce bene come l’arte, la pubblicità e la cultura popolare.
I professori di letteratura nelle università americane all’inizio degli anni novanta secondo Paglia: “persone alla moda che credono che il mondo sia stato creato da Foucault nel 1969″.
Consiglio agli studenti: educatevi da soli, riscoprite il canone della tradizione letteraria, trascurate i vostri insegnanti “frignoni”.
Il vero punto di forza dei professori decostruzionisti: la politica accademica, in quel campo si sono rivelati veramente lungimiranti e hanno giocato molto bene la loro partita occupando tutti i posti e cooptando nel mondo universitario i loro adepti.
Risposta al femminismo accademico che insiste sull’omosessualità di Shakespeare (ma anche di Alessandro Magno e Eleonor Roosvelt): “chi promuove l’omosessualità di Shakespeare al solo fine di promuovere la propria agenda ideologica trascura il fatto che nessuna delle sue trentasette opere affronta l’omosessualità o allude ad essa in termini che non siano negativi”.
Il peggior crimine dell’ideologia femminista? Aver ridotto la storia delle donne a una litania di lamentele infiammatorie.
Per Paglia la donna è estranea al concetto di civiltà: “… se la civiltà fosse stata lasciata nelle mani delle donne, vivremmo ancora in capanne di erba”.
Contraddizione radical chic: quello sgomento snobistico misto a sdegno verso i valori religiosi della classe operaia, quella stessa classe che intendevano difendere. Una simile estraneità tra protetti e protettori non poteva che sfociare in un turbo-paternalismo lontano anni luce da qualsiasi valore liberale.
La religione per la non credente Paglia: “… non devi credere necessariamente in Dio, solo capire che la religione è “una poesia più alta”, la prima e fondamentale risposta alla bassezza della natura”. Al progressista manca il senso profondo del male.
dogmi liberal: il genere è socialmente costruito, uomini e donne sono intercambiabili, la religione è oscurantismo, fare tabula rasa del passato, i docenti universitari  sono i nuovi saggi…
La difesa di quei dogmi contorti ha reso il liberalismo moderno più repressivo del cristianesimo conservatore, più inquisitore del puritanesimo.
Ricordiamo chi era Paglia: una professoressa d’ arte con la passione per il rock-and-roll, rumorosamente bisessuale, solidamente democratica, pro-pornografica che adorava la libera espressione. Insomma, era una “del gruppo”, veniva dalle facoltà giuste.
Paglia ha l’arte e la religione dalla sua parte, entrambe testimoniano di quel tumulto emotivo che sta al di sopra e al di sotto della politica. Cercare di annullarlo con la politica è una crociata vana, come vane sono le crociate contro la “tossicità mascolina“.




lunedì 4 marzo 2019

BASTA CON L’ 8 MARZO!

BASTA CON L’ 8 MARZO!

Com’è bello litigare sul patriarcato!

Da quando sono sui social 1/8 dei miei interventi è su questo tema; non solo, sono gli interventi di maggior “successo” mediatico (che nel mio caso vuol dire due like).

Ma in un ambiente che mira all’efficienza non si puo’ perdere troppo tempo in quisquillie del genere. E allora che si fa? Guardate alle multinazionali: si media, si risarcisce il danno presunto, la si fa finita e si ricomincia a “produrre”. Il tutto indipendentemente dalle ragioni sostanziali.

Proposta: che ogni uomo paghi ad ogni donna una somma in denaro prefissata in qualità di risarcimento per cio’ che ha “sofferto” e la si faccia finita una volta per tutte.

La si faccia finita con il patriarcato, con le quote rosa, con il politically correct, con il metoo, con l’ 8 marzo, con tutto! Pari diritti e pedalare, si ricomincia da zero.

La soluzione che propongo presenta molti dubbi: le colpe dei padri non dovrebbero ricadere sui figli, molte donne non si ritengono danneggiate, molte altre si ritroverebbero disoccupate e in crisi esistenziale, la somma è difficile da determinare, eccetera eccetera.

Ad ogni problema pratico c’è una soluzione pratica e quelli teorici che non ce l’hanno pazienza, seguiamo l’esempio delle multinazionali: l’importante è mettere a tacere la cosa pagando.

Qualcuno dirà che dobbiamo modificare una cultura, con i soldi non si centra l’obbiettivo. Ma la cultura, almeno quella presente, esprime una preferenza, che senso ha modificare delle preferenze? Forse ha senso nel marketing ma non nella politica, la politica dovrebbe soddisfare le preferenze, non modificarle. E nella misura in cui la cultura passata influenza quella attuale vale il risarcimento di cui sopra.

P.S. Sia chiaro, non penso che il mio piano abbia successo: ci piace troppo litigare sul patriarcato!

http://www.overcomingbias.com/2019/03/consider-reparations.html

venerdì 4 gennaio 2019

SEMPRE COLPA DELLA CULTURA PATRIARCALE

SEMPRE COLPA DELLA CULTURA PATRIARCALE

Nei media contemporanei qualsiasi giudizio pro-donna – per quanto fragili siano le basi che lo sostengono - sembra immune da critica. Se ti esprimi in un certo senso vai sul sicuro.

Si noti che "andare sul sicuro" è la massima aspirazione di chi non ha niente da dire ma desidera ugualmente "partecipare" al Grande Gioco.

Puoi anche dire che ogni maschio è uno “stupratore naturale” e il peggio che ti puo’ capitare è d’incontrare un sorrisino di assenso imbarazzato.

A volte sono le donne stesse che ci spronano: “ma rispondete qualcosa... siete proprio degli zerbini voi maschi!”.

Perché questa passività?

Penso che la colpa sia della “cultura patriarcale”. Oggi trasforma il grande classico “una donna non si tocca neanche con un fiore” nel più attuale “a una castroneria femminista non si obbietta neanche rollando dolcemente il capino”.

Insomma, molte femministe chiedono a gran voce di essere trattate da disabili e la “cultura patriarcale” è il loro migliore alleato.

martedì 13 marzo 2018

La donna manager

Meno welfare, più donne manager
The Nordic countries are widely regarded as world leaders in gender equality. In the Global Gender Gap Index, the Nordic nations are top performers. Iceland leads the list, followed by Norway, Finland, and Sweden in second, third, and fifth places, respectively. Denmark ranks lowest in 14th place, b...
CATO.ORG

sabato 3 marzo 2018

La frontiera e i diritti della donna

In America la "gloriosa frontiera" consegnò al genere femminile quei diritti che oggi diamo per scontati.
Presso i pionieri la penuria di donne era drammatica, cosicchè per attirarne un numero congruo nei loro sperduti villaggi offrirono diritto al voto e alla proprietà.
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mercoledì 21 febbraio 2018

Definire il femminismo

Per discutere costruttivamente è bene definire i concetti in modo neutro. Cos’è allora il femminismo?
Definizione 1: “movimento per la difesa dei diritti della donna al fine di perseguire la parità tra i sessi”. Definizione 2: “La teoria secondo cui uomo e donna devono avere pari diritti”.
Non mi sembrano buone definizioni poiché non fanno capire come mai circa la metà delle donne e oltre la metà degli uomini non aderiscano al femminismo.
Proposta alternativa: “La visione per cui la società contemporanea tratta gli uomini in modo più corretto delle donne”.
M sembra una buona definizione: facilita la discussione e spiega il divario nelle posizioni.
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mercoledì 18 ottobre 2017

La libertà delle bisnonne

La libertà delle bisnonne

PREMESSA
1. Giovanni si trova di fronte ad un’ alternativa: bianco o nero? La legge gli consente di scegliere e lui, siccome preferisce il nero, sceglie il nero.
2. Giuseppe si trova di fronte ad un’alternativa: bianco o nero? La legge gli impone di scegliere nero, ovvero proprio ciò che avrebbe scelto senza imposizioni di sorta.
3. Gino si trova davanti ad un’alternativa, bianco o nero? La legge gli impone di scegliere il nero anche se lui avrebbe preferito scegliere bianco.
Nota: la prima legge è liberale, la seconda naturale e la terzacoercitiva.
Si noti che Giovanni e Giuseppe sono due individui parimenti liberi grazie a leggi liberali o naturali. L’unica libertà violata dalla legge è quella di Gino.
Applicando alla realtà questi concetti faccio una considerazione: fatte 100 le leggi in vigore nell’epoca contemporanea, 50 sono del primo tipo e 50 del terzo. Fatte 100 le leggi in vigore nel XIX secolo, 50 sono del secondo tipo, 25 del primo e 25 del terzo.
Dal che si evince che nel XIX secolo la libertà era più tutelata di oggi.
In altri termini, il nostro mondo è più “liberale” ma garantisce meno la libertà.
Sembra un paradosso ma è così se si va oltre le parole.
Attraverso lo stesso meccanismo è possibile congetturare che una donna del XIX secolo fosse più libera di una donna contemporanea.
CORPO
Focalizziamoci allora sulla provocatoria questione: la donna dell’800 era più libera di quella contemporanea?
Rispondere è importante, parliamo di un gruppo che costituisce metà della popolazione! Qualora la risposta fosse affermativa potremmo dichiarare che non esiste un collegamento tra libertà e quel che chiamiamo “progresso”.
Certo, un secolo fa la vita era più dura, ma lo era per tutti! Deve essere chiaro che il nostro tema non riguarda le comodità e il benessere materiale, sul quale non c’è confronto.
Passiamo ora al setaccio le varie obiezioni di chi si oppone alla tesi per cui la donna del XIX secolo fosse più libera delle sgallettate di Sex im the City.
Qualcuno potrebbe far notare come nel XIX secolo le donne non votassero.
Vero. Ma questo è irrilevante se poi di fatto erano più libere. Ai nostri fini il voto è un mero strumento per guadagnarsi la libertà. Concentriamoci allora sulla sostanza!
Tuttavia, esiste un’ obiezione ben più cogente: la donna sposata non poteva possedere proprietà, né firmare contratti.
Questo era un grave vulnus alla libertà, bisogna ammetterlo. Tuttavia, il matrimonio rimaneva volontario.
Se non si desiderava  andare “sotto tutela” si poteva evitarlo: la “donna sola” manteneva intatte tutte le sue prerogative.
Ma direi di più, il fatto che praticamente tutte si sposasserosegnala che i diritti di cui qui ci preoccupiamo tanto non fossero ritenuti poi così preziosi dalle interessate.
Inoltre, esistevano dettagliati contratti prematrimonialiattraverso i quali porre dei limiti alla tutela. Erano uno strumento largamente utilizzato dai familiari delle spose facoltose.
Alcuni potrebbero pensare che una legislazione del genere costituisca comunque una “spintarella” paternalista verso una certa  organizzazione  della propria vita. Forse sì, ma nemmeno oggi siamo al riparo dal paternalismo. Oserei dire che se la mettiamo su questo piano il presente perde in partenza rispetto al passato. Abbiamo appena conferito il Premio Nobel al “re delle spintarelle” paternaliste.
Forse non cogliamo un punto cruciale: quando una legge ci impone di fare quel che vogliamo fare cessa di essere coercitiva e di conculcare  libertà. È proprio quello che accade con le donne del XIX secolo: molte leggi che le riguardano ci appaiono “coercitive” ma erano di fatto “naturali”.
La famiglia tradizionale oggi ci appare incomprensibile ma ha invece molto senso se vista nel quadro… della tradizione. Specializzarsi in ruoli diversi era vantaggioso per tutti ed era di fatto ciò che tutti volevano.
Aggiungo che all’interno del matrimonio la lettera della legge contava è conta ancora ben poco. Opponiti al volere della moglie e te ne accorgerai! i I modi per rivalersi contro un marito prepotente erano infiniti.
E gli stupri intramoenia? Pochi, e oggi comunque non sono molti di meno. Il fatto rilevante è ancora quello: la legge  incide poco tra le mura domestiche.
La coabitazione era illegale, vero, ma era anche un reato di fatto lasciato impunito anche quando ben noto. Non c’è niente di più libertario che un proibizionismo non attuato.
Si potrebbe pensare che la legge contasse laddove si veniva a realizzare una tensione tra i coniugi. Non è così: nel momento in cui si litiga invocando la legge il matrimonio è già finito, è ben difficile convincere una moglie appellandosi ad un comma! La legge, piuttosto,  pesa laddove si è già separati o divorziati.
E che dire della pressione sociale sulle donne?
La pressione sociale “non violenta” ha un nome preciso, si chiama “cultura“.
Nella cultura di cui parliamo erano immerse anche le donne, che a quanto pare la condividevano appieno. Molto spesso erano proprio loro a realizzare la “pressione” di cui sopra! Inoltre, il mercato, laddove esiste, allenta fino a neutralizzare le pressioni sociali.
A questo punto l’ipotesi che la donna del XIX secolo fosse più libera si rafforza, soprattutto considerato il peso centuplicato oggi assunto da fisco e regole.
Come escludere che questa perdita di libertà sia alla radice della misteriosa infelicità femminile?
CHIUSA
Forse la domanda che ci siamo posti all’inizio potrebbe essere riformulata così: la cultura può mai “violentare” qualcuno?
È evidente che la cultura “violenta” solo chi non la condivide. È altrettanto evidente che nel XIX secolo legge e “cultura condivisa” andavano a braccetto in modo molto più armonioso che oggi.
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