Sulla felicità abbiamo discusso tanto e il blog è pieno di link, basterebbe aprire a caso uno dei 25 post.
La traccia cita un articolo del 2003 (!?) in cui si constata il debole legame tra benessere economico e felicità. Dopodichè ci si chiede, se non è la ricchezza, che cosa ci rende liberi?
L' argomento mi ha un po' annoiato, devo ammetterlo, mi limiterei ad esprimere un paio di concetti.
Innanzitutto la ricchezza ci rende molto più felici di quanto pensavamo (specie nel 2003!!), e qui si puo' chiosare il lavoro certosino di Justin Wolfer, a cominciare da questo.
Secondo, a renderci felici è in genere una vita vissuta da protagonisti, nel bene e nel male: fai impresa e sarai felice. E qui viene buono l' ultimo libro di Arthur Brooks.
Si potrebbe poi chiudere con una ricetta per la felicità, nessuno ci crede ma perlomeno deriva da una vita spesa sul tema: non fidatevi troppo di voi stessi, imitate chi, simile a voi, vi sembra felice.
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mercoledì 30 giugno 2010
venerdì 9 maggio 2008
L' invasione delle false credenze
DG dà per scontato che non esista un legame tra ricchezza e felicità, almeno qualora sia garantita una ricchezza minima. A pagina 239 cita una serie di studi che sostengono questa tesi.
Perchè allora la gente ambisce alla ricchezza? C' è solo una risposta: falsa credenza.
DG dimostra, utilizzando i meccanismi evolutivi, come una falsa credenza possa diffondersi ed avere successo autoreplicandosi. Una falsa credenza ci danneggia ma puo' beneficare qualcun altro e non è detto che il "qualcuno" sia una persona.
Credere che i soldi ci rendono felici è un inganno di cui però qualcuno beneficia: la società (capitalistica) tutta, la quale prospera anche grazie ai nostri sforzi volti all' arricchimento.
E' la società stessa che mette a punto quei meccanismi evolutivi che consentono ad una falsa credenza di auto replicarsi. Vivendo in quella società riceviamo quindi forme di "indottrinamento" che rinforzano l' errore.
Attenzione, non si parla di "complotto" bensì di selezione evolutiva. questa differenza è essenziale.
E' un po' come quando notiamo che scuole pubbliche, radio pubbliche, ospedali pubblici... sono riempite con personale che professa certe ideologie ben precise: non esiste un "complotto" attraverso il quale realizzare questo discrimine. Molto semplicemente è all' opera una selezione evolutiva che garantisce ad un organismo (scuola pubblica, radio pubblica, organismo culturale pubblico...) di continuare a vivere e prosperare grazie a false credenze indotte da indottrinamenti morbidi.
Dimenticavo, le conclusioni specifiche di DG hanno però due punti deboli: 1) sono incoerenti con il postulato della felicità come sentimento "soggettivo", 2) gli studi che cita hanno ricevuto parecchie disconferme, in particolare di recente.
Perchè allora la gente ambisce alla ricchezza? C' è solo una risposta: falsa credenza.
DG dimostra, utilizzando i meccanismi evolutivi, come una falsa credenza possa diffondersi ed avere successo autoreplicandosi. Una falsa credenza ci danneggia ma puo' beneficare qualcun altro e non è detto che il "qualcuno" sia una persona.
Credere che i soldi ci rendono felici è un inganno di cui però qualcuno beneficia: la società (capitalistica) tutta, la quale prospera anche grazie ai nostri sforzi volti all' arricchimento.
E' la società stessa che mette a punto quei meccanismi evolutivi che consentono ad una falsa credenza di auto replicarsi. Vivendo in quella società riceviamo quindi forme di "indottrinamento" che rinforzano l' errore.
Attenzione, non si parla di "complotto" bensì di selezione evolutiva. questa differenza è essenziale.
E' un po' come quando notiamo che scuole pubbliche, radio pubbliche, ospedali pubblici... sono riempite con personale che professa certe ideologie ben precise: non esiste un "complotto" attraverso il quale realizzare questo discrimine. Molto semplicemente è all' opera una selezione evolutiva che garantisce ad un organismo (scuola pubblica, radio pubblica, organismo culturale pubblico...) di continuare a vivere e prosperare grazie a false credenze indotte da indottrinamenti morbidi.
Dimenticavo, le conclusioni specifiche di DG hanno però due punti deboli: 1) sono incoerenti con il postulato della felicità come sentimento "soggettivo", 2) gli studi che cita hanno ricevuto parecchie disconferme, in particolare di recente.
giovedì 8 maggio 2008
Il segreto della felicità
Caro diario,
il prof. G. ha adempiuto al suo dovere di bravo psicologo positivista compilando la famosa sentenza. Per lui l' Uomo è l' unico Animale che... pensa al suo futuro.
Attenzione, parecchi altri animali dimostrano di organizzarsi per il futuro.
Cio' non significa che lo "pensino" come fa l' uomo. Il loro è piuttosto un riflesso condizionato che elabora in modo elementare l' esperienza passata. In ogni caso si preoccupano solo di un futuro "immediato, personale e locale". Vuoi mettere con i nostri vasti orizzonti? Noi "pensiamo scenari", addirittura "immaginiamo".
Nonostante i corsivi, le virgolette e i "vuoi mettere", la rilevazioone non mi ha scosso. Forse perchè il bello doveva ancora venire.
Perchè pensiamo al nostro futuro? Scontato: per organizzarci al meglio e fare in modo che il nostro futuro effettivo sia il migliore possibile tra tutti i futuri eventuali.
Risposta sbagliata.
Si puo' dire che il Prof. Gilbert dedichi il suo libro a segnalare con gusto questa topica, le sue radici e le sue conseguenze.
Se la risposta "scontata" fosse anche corretta potremmo concludere con Leopardi che Madre Natura fosse proprio una crudele matrigna. Infatti, con tutto il nostro voluminoso cervellone, risultiamo gravemente sprovvisti di simili facoltà preveggenti. Se quello fosse il nostro vero obiettivo saremmo degli esseri fortissimamente imperfetti visto che commettiamo errori sistematici nel programmare la nostra felicità futura. Ci imbattiamo continuamente nei tre errori canonici su cui ora non voglio soffermarmi.
Dunque, l' uomo è l' unico animale che pensa al suo futuro (grazie al lobo frontale che gli è spuntato di recente, 3 milioni di anni fa) e lo fa, non perchè ricavi particolari benefici da questa attività, quanto piuttosto per il bnenessere in sè che ne trae. La sensazione di avere sotto controllo cio' che ci accadrà e di ingabbiarlo in un progetto è una vitamina dello spirito. Anche quando l' esperienza è lì a dimostrarci che non abbiamo sotto controllo proprio un bel niente.
Se talvolta la felicità ci tocca è perchè c' inciampiamo nel tentativo d' inseguire una chimera che mai afferreremo.
Ma, attenzione. Forse, con un po' di modestia qualcosa si puo' fare.
il prof. G. ha adempiuto al suo dovere di bravo psicologo positivista compilando la famosa sentenza. Per lui l' Uomo è l' unico Animale che... pensa al suo futuro.
Attenzione, parecchi altri animali dimostrano di organizzarsi per il futuro.
Cio' non significa che lo "pensino" come fa l' uomo. Il loro è piuttosto un riflesso condizionato che elabora in modo elementare l' esperienza passata. In ogni caso si preoccupano solo di un futuro "immediato, personale e locale". Vuoi mettere con i nostri vasti orizzonti? Noi "pensiamo scenari", addirittura "immaginiamo".
Nonostante i corsivi, le virgolette e i "vuoi mettere", la rilevazioone non mi ha scosso. Forse perchè il bello doveva ancora venire.
Perchè pensiamo al nostro futuro? Scontato: per organizzarci al meglio e fare in modo che il nostro futuro effettivo sia il migliore possibile tra tutti i futuri eventuali.
Risposta sbagliata.
Si puo' dire che il Prof. Gilbert dedichi il suo libro a segnalare con gusto questa topica, le sue radici e le sue conseguenze.
Se la risposta "scontata" fosse anche corretta potremmo concludere con Leopardi che Madre Natura fosse proprio una crudele matrigna. Infatti, con tutto il nostro voluminoso cervellone, risultiamo gravemente sprovvisti di simili facoltà preveggenti. Se quello fosse il nostro vero obiettivo saremmo degli esseri fortissimamente imperfetti visto che commettiamo errori sistematici nel programmare la nostra felicità futura. Ci imbattiamo continuamente nei tre errori canonici su cui ora non voglio soffermarmi.
Dunque, l' uomo è l' unico animale che pensa al suo futuro (grazie al lobo frontale che gli è spuntato di recente, 3 milioni di anni fa) e lo fa, non perchè ricavi particolari benefici da questa attività, quanto piuttosto per il bnenessere in sè che ne trae. La sensazione di avere sotto controllo cio' che ci accadrà e di ingabbiarlo in un progetto è una vitamina dello spirito. Anche quando l' esperienza è lì a dimostrarci che non abbiamo sotto controllo proprio un bel niente.
Se talvolta la felicità ci tocca è perchè c' inciampiamo nel tentativo d' inseguire una chimera che mai afferreremo.
Ma, attenzione. Forse, con un po' di modestia qualcosa si puo' fare.
***
Siccome sono molto immaturo e siccome alla prima pagina il sig. G. prometteva di rivelare in fondo al suo discorso un trucchetto per essere felici, sono corso di gran carriera all' ultima pagina.
Il trucco è il seguente: imitate chi giudicate felice.
Il trucco è inapplicabile. E' lo stesso G. a rivelarcelo in modo beffardo. Lui afferma che qualcosa nel nostro cervello ci fa pensare a noi stessi come "unici". Cio' ci impedisce di concepire la felicità come il frutto di un' attività meramente imitativa.
Tendiamo a sovrastimare le differenze quando invece noi uomini siamo quasi tutti uguali. Un po' di modestia e di imitazione pedissequa puo' solo farci del bene. Ma chi arriva a leggere i libri del Prof. è difficile che non si senta umiliato nel seguirne i consigli.
Io affianco una mia congettura. Per seguire il consiglio aureo devo dapprima individuare chi è felice. Impresa non facile a causa di un corto circuito.
Se il mio potenziale modello mi assomiglia ho poco da imitare. Se il mio potenziale modello differisce molto da me, contro di lui giocherà tutta la teoria di sentimenti che ho edificato per coltivare al meglio la mia personale autostima.
Come minimo, il "potenziale modello molto diverso da me", sarà oggetto di un' invidia incoffessata.
Generalizzando: è felice colui che è invidiato, soprattutto dagli infelici.
Da cio' consegue che, se gli infelici hanno ancora una stilla di energia, la useranno per combattere alla morte il "potenziale modello" piuttosto che imitarlo.
Inoltre, difficilmente riconosceranno uno stato di "reale" benessere a colui che segretamente hanno imparato a disprezzare.
Infine, saranno sempre spinti a marcare le distanze dall' oggetto delle loro invidie. In genere la persona felice verrà marchiata come "idiota", "rozza", "inconsapevole".
Felice perchè inconsapevole della sua dappocaggine che invece a noi tristi illuminati appare chiara. Cioran chiamava questa elite i "condannati alla lucidità".
Faccio un esempio: mia mamma. Lo ammetto a denti stretti, mi appare una persona maledettamente felice, insomma niente di eccezionale, eppure sta al mondo tanto volentieri. Ci credo, basta una sagra paesana per mandarla in sollucchero. E di sagre ce ne sono due alla settimana.
Faccio forse qualcosa per imitarla? Al contrario, passo il tempo a prenderne le distanze: è proprio una cafona, ride sguaiatamente per battutacce di dubbio gusto, è piena di pregiudizi, è ignorante, è ipocrita, ama il pettegolezzo, è una bonacciona senza orgoglio, non venera la parola data, accetta di buon grado di subire soprusi intollerabili (li dimentica un attimo dopo), è continuamente alle prese con qualche angolo da smussare, la sua ingenuità è disarmante, i paraocchi sono irremovibili... Insomma, come previsto faccio di tutto per disattendere i consigli del sig. G., faccio di tutto per prendere le distanze e stigmatizzare una persona contenta, benvoluta, che canticchia continuamente e che lascia cadere ogni provocazione mandandomi il sangue alla testa.
P.S. il sig. G dedica un lungo capitolo a spiegarci che la felicità è un sentimento solipsistico. Come tutti i sentimenti del resto. Anche la sensazione del giallo è una sensazione solipsista: la provo, te la comunico, mi confermi ma non sapremo mai se stiamo provando la medesima sensazione. Questo fatto costituisce il grande vantaggio degli economisti rispetto agli psicologi. I primi possono condurre le loro argomentazioni mantenendo lo status pienamente soggettivo dei sentimenti.
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