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martedì 20 marzo 2012

L’ “Altro”

La Sinistra italiana ha sempre avuto un problema a relazionarsi e a riconoscere l’ “Altro”. In politica la diversità nasconde qualcosa di orribile che induce irrefrenabile ribrezzo.

Bertjan Pot

L’ antagonista non è un tale che la pensa diversamente ma solo un “servo”. Ora del capitale, ora delle televisioni; ora buffo, ora spregevole ma sempre servo ottenebrato.

Cio’ è molto rassicurante poiché consente di pensarsi come “la parte migliore del paese”.

Questo sentimento, a metà tra spocchia e misantropia, spesso è incosciente, altre volte addirittura formulato e rivendicato a chiare lettere, come nel caso del suo teorizzatore più recente, Umberto Eco:

… secondo cui gli elettori di centro-destra rientrerebbero in due categorie: l’Elettorato Motivato, che vota in base a interessi egoistici e ai propri pregiudizi contro stranieri e meridionali, e l’Elettorato Affascinato «che ha fondato il proprio sistema di valori sull’educazione strisciante
impartita da decenni dalle televisioni, e non solo da quelle di Berlusconi». Due elettorati ai quali non avrebbe neppure senso parlare, visto che non si informano leggendo i giornali seri e «salendo in treno comperano indifferentemente una rivista di destra o di sinistra purché ci sia un sedere in copertina»…

mercoledì 14 marzo 2012

L’ evasione redentrice

Ti è piaciuto il cappuccino?

latte

Hai chiesto lo scontrino da bravo bambino?

Aspetta, prima di tornare indietro a chiederlo ti racconto una storia che ci tocca tutti direttamente.

E’ la storia dell’ evasione fiscale in Italia negli ultimi quindici anni. Te la racconto perché 1. scommetto che non la sai e 2. è meglio di una barzelletta.

L’ Italia degli ultimi 15 anni fornisce l’ esperimento naturale migliore per sostenere la tesi di un’ evasione fiscale che “salva”; mi spiego: l’ autoriduzione delle imposte, almeno per una parte del paese, è stata la chiave dello sviluppo in assenza di riforme. Anzi, dell’ unica riforma che, fuor di retorica, conta: l’ abbassamento delle tasse.

Nel giro di pochi anni – fra il 1985 e il 2003 – le imprese del Centro-Nord… si trovano sulle spalle una pressione fiscale che non riescono più a reggere. E non riescono più a reggerla per due motivi distinti: primo, perché l’Italia… rinuncia alle svalutazioni competitive; secondo, perché l’economia del Centro-Nord è in gran parte regolare, o «emersa», e non può quindi ricorrere all’evasione fiscale per parare il colpo dell’aumento delle tasse.


È curioso come quasi nessuno, negli anni della seconda Repubblica, abbia notato che il rallentamento della crescita dell’Italia, in virtù del quale il Paese nel suo insieme ha cominciato a correre meno degli altri Paesi europei, è coinciso con il sorpasso del Sud nei confronti del Nord: nel passaggio fra prima e seconda Repubblica le regioni del Sud hanno cominciato a crescere più rapidamente di quelle del Nord.

… se guardiamo al reddito per abitante, al tasso di disoccupazione, ai livelli di apprendimento degli studenti, all’occupazione femminile, effettivamente il Nord (a differenza del Sud) se la cava più che bene nel confronto con i maggiori Paesi europei. Ma c’è un punto fondamentale su cui, contrariamente a quanto si crede, il Nord non è affatto in vantaggio sul Sud. Questo
punto è la crescita: dal 1995 a oggi, il prodotto interno lordo (Pil) del Nord non è cresciuto più di quello del Sud, e in termini pro capite è cresciuto decisamente di meno …

Se il Sud cresce più del Nord nonostante tutti gli handicap che lo affliggono, vuol dire che – accanto a questi handicap – ci devono essere anche alcuni vantaggi. E questi vantaggi devono essere così importanti da compensare i moltissimi handicap di cui il Sud soffre; più esattamente, devono avere un impatto (positivo) ancora maggiore di quello (negativo) dei fattori frenanti di cui il Sud è costellato.

Ma quale può essere questa forza misteriosa che spinge il Sud ma non il Nord? La forza misteriosa che stiamo cercando di identificare non è altro che la pressione fiscale sui
produttori.  Questo, a mio parere, è
il solo terreno su cui il Sud gode di un vantaggio
enorme rispetto al resto del Paese, e in particolare nei confronti del Nord. Non tanto a causa di agevolazioni e sgravi, quanto semplicemente per la diversa propensione a pagare le tasse… la graduatoria è sempre la stessa a prescindere dall’ indicatore prescelto: l’intensità dell’evasione fiscale è massima nel Mezzogiorno (intorno al 55% secondo le mie stime), intermedia nel Centro (27%), minima nel Nord (19%).

È come se, di fronte all’incapacità di tutti i governi, di destra e di sinistra, di ridurre in modo apprezzabile le aliquote fiscali che gravano su lavoratori e imprese, una parte del Paese se le fosse autoridotte senza aspettare alcuna riforma. Curioso e sconcertante: la secessione fiscale, che Bossi minaccia da vent’anni di praticare in Padania, è già in atto da molti decenni nelle regioni del Sud.


 Per anni ci siamo raccontati che la crescita è frenata da fattori come la mancanza di infrastrutture, il costo del denaro, la lentezza della giustizia civile, la criminalità organizzata, l’inefficienza della pubblica amministrazione, la bassa qualità delle istituzioni scolastiche. Per anni abbiamo ripetuto che tutti questi handicap sono tipicamente concentrati nel Mezzogiorno. Ma ora scopriamo che, nonostante tutti questi fattori che indubbiamente ostacolano la crescita, il Sud cresce più del Nord. Com’è possibile? Se è vero che il Nord è più attrezzato del Sud per crescere, come mai da 15 anni cresce di meno?


L’aumento delle aliquote nominali ha riguardato tutta l’Italia, ma – grazie al peso dell’economia sommersa – il Sud è riuscito a limitare l’impatto della maggiore pressione fiscale, mentre il Nord, proprio perché la sua economia è in gran parte emersa, non è riuscito ad autoridursi le tasse mediante l’evasione fiscale. L’evidenza econometrica che supporta questa interpretazione è piuttosto robusta… i territori in cui l’evasione è più intensa crescono di più, i territori in cui l’evasione è minore crescono di meno.

La correlazione fra tasso di evasione e crescita è…statisticamente significativa in Italia. Si potrebbe pensare, naturalmente, che si tratti di correlazioni spurie, ma esse resistono all’introduzione di ogni plausibile variabile di controllo, compreso il livello iniziale del reddito
pro capite (che dovrebbe «spingere» i territori meno sviluppati) e vari indicatori di inefficienza della pubblica amministrazione.

Il fatto è che nessun Paese sviluppato ha una pressione fiscale sui produttori alta come la nostra…

Oggi in Italia ci sono aziende in crisi che starebbero tranquillamente sul mercato se il nostro Ttr (Total Tax Rate) fosse quello dei Paesi scandinavi, e simmetricamente ci sono floride aziende scandinave che uscirebbero dal mercato se le aliquote fossero quelle dell’Italia.

Il Ttr dell’Italia è pari al 68.6%, quello della Svezia è più basso di 14 punti, quello della Finlandia di 24, quello della Norvegia di 27, quello della Danimarca addirittura di 40 (29.2%).

La politica ha tutto l’interesse a occultare il ruolo frenante delle tasse, perché non ha il coraggio di ridurle. Le cosiddette forze sociali, d’altro canto, hanno tutto l’interesse a concentrare l’attenzione sugli altri fattori che limitano la crescita, perché ogni singolo fattore di handicap reclama più risorse pubbliche per i soggetti che lo controllano o se ne fanno paladini. Il risultato è che la spesa non diminuisce, la pressione fiscale resta quella che è, il Paese – sia pure molto lentamente, per fortuna – sprofonda nel sottosviluppo…

Hai ascoltato con discernimento? Bene, allora adesso decidi tu cosa fare con il tuo scontrino.