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martedì 19 marzo 2019

L’egemonia culturale

L’egemonia culturale

Non è poi cosi difficile raggiungerla!
Il sistema universitario come è organizzato oggi aiuta non poco, oserei dire che l’utilizzo esteso della regola di maggioranza nei dipartimenti la rende inevitabile. Cio’ non significa che sia anche auspicabile, gli inconvenienti dell’egemonia ideologica sono molti ma uno spicca su tutti, il “groupthinking” o “pensiero da parrocchietta.
Il mondo universitario è soggetto ai difetti del “pensiero da parrocchietta”? E’ importante saperlo perché l’egemonia esclude molte idee rispettabili, per esempio quelle dei conservatori, ma anche quelle del liberalismo classico. Daniel B. Klein e Charlotta Stern hanno tentato di rispondere al quesito nel loro articolo “Groupthink in Academia. Majoritarian Departmental Politics and the Professional Pyramid”. Un lavoro che approfondisce alcuni alcuni punti critici. Provo a metterli in fila.
Risultati immagini per art group thinking
Nel calcio i fan delle varie squadre possono accordarsi facilmente su questioni generali relative a regole, arbitraggio e valutazione delle prestazioni, poiché tali questioni prescindono dal supporto per una squadra specifica. Nel mondo accademico non è così: le regole e gli standard per le prestazioni non sono ben separabili da credenze specifiche. La sensibilità ideologica tende a ripercuotersi su tutta l’impresa accademica. La discussione stessa sull’ideologia nel mondo accademico – ovvero quella tenuta qui – è necessariamente ideologica.
Ampia evidenza sul profilo ideologico dei professori nelle scienze umane e sociali. Praticamente tutti liberal (= socialdemocratici). Trascurate le idee liberali e conservatrici.
Tesi: il monolitismo ideologico è una sfortuna.
Il lavoro fondamentale sul bias della parrocchietta: “Groupthink: Psychological Studies of Policy Decisions e Fiascoes (1982), Irving L. Janis. Si esaminavano fallimenti nelle decisioni della politica. Esempi: Baia dei Porci, escalation in Vietnam e alcuni episodi del Watergate.
Definizione di “pensiero della parrocchietta”: pensiero in cui  i membri si sforzano per non rompere l’unanimità e sopprimono o autocensurano ogni valutazione alternativa e autonoma della realtà.
Paul Hart: “Groupthink in Government: A Study of Small Groups e Policy Failure” (1990). Il pensiero da parrocchietta consiste nell’ “eccessiva ricerca di concomitanza“. E’ tipico dei piccoli gruppi piramidali. Hart si occupa dell’affare Iran-Contra. Diane Vaughan analizza il disastro dello Space Shuttle Challenger.
I teorici del bias si sono concentrati su casi incontrovertibili, ma il loro modello puo’ essere esteso ad altri casi.
Quando si produce più facilmente il bias? 1) quando il gruppo è piccolo, 2) quando si tratta di addetti ai lavori, 3) quando c’è un capo, 4) quando l processo è centralizzato, 5) quando si agisce sotto stress, 6) quando c’è emergenza e la posta in palio è alta.
L’accademia sembra esente da queste caratteristiche: i gruppi sono più estesi, le situazioni di stress assenti e le decisioni da prendere meno cruciali. Ma le convinzioni espresse sono profonde, oserei dire esistenziali. Dissociarsi significa ferire il nostro vicino, aprire un conflitto, tutti ne sono consapevoli. Ecco, questo fatto rende preziosa l’armonia e potrebbe compensare le precedenti anomalie.
In università i dipartimenti sono di fatto autonomi, la discrezionalità è ampia poiché la supervisione del rettore è problematica. Le decisioni dipartimentali più importanti riguardano il reclutamento, il licenziamento e la promozione dei docenti di ruolo. Tali decisioni vengono prese a maggioranza.
La maggior parte degli intellettuali sviluppa una sua sensibilità ideologica all’età di venticinque/trenta anni (Sears and Funk 1999). Difficilmente rivede poi le sue posizioni. È più che probabile che chi assume favorisca studiosi affini ideologicamente e che padroneggiano modalità di pensiero simili. Se un candidato è sentito come estraneo potrebbe dare origine ad angoscia personale e creare acrimonia in facoltà. Il professore A potrebbe perdere la sua reputazione e la sua credibilità con gli studenti se un collega, il professor B, che sta insegnando a quegli stessi studenti in un corso differente, dovesse minare alcune premesse fondamentali delle sue lezioni.
In astratto l’esclusione dello studioso estraneo al gruppo è sempre giustificabile, si puo’ plausibilmente affermare: “se il candidato A ha un giudizio diverso dal mio sui fondamenti della disciplina, allora mostra di avere un pessimo giudizio scientifico nel merito” Questa modalità non puo’ essere eliminato. la discriminazione è sempre legittima.
Dinamica dei gruppi. I gruppi sociali cercare di apliarsi attirando nuovi arrivati omogenei (McPherson, Smith-Lovin e Cook 2001), schermano e respingono i disadattati (Allport 1954; Brewer 1999) e plasmano l’informe a loro immagine (Katz e Lazarsfeld 1955, 62-63; Moscovici 1985). Queste tendenze sono radicate nella natura umana.
Supponiamo che un dipartimento debba assumere un nuovo membro e che il 51 percento degli attuali membri condivida un’ideologia socialdemocratica.  Se vale quanto detto il 51 percento diventerà presto il 55 percento, quindi il 60 percento, quindi il 65 percento, quindi il 70 percento e così via. Stephen Balch (2003): la regola della maggioranza tende a produrre uniformità ideologica.
Il processo non dipende dall’identità dell’ideologia. Il Dipartimento di Economia della George Mason University, per esempio, è guidato e dominato da liberali classici. Molti economisti alla George Mason considerano l’indebita fiducia nei governi espressa da alcuni loro colleghi come un cattivo giudizio scientifico e non assumerebbero mai un professore che commettesse errori del genere.
Un “marziano” ideologico potrebbe essere il benvenuto in facoltà perché considerato non minaccioso, forse anche perché mite o perché fa ricerca in settori marginali. D’altronde, la maggioranza di solito non intende attuare la sua politica di uniformità in modo esplicito, non intende cioè mettersi troppo in evidenza o generare provocazioni.
E i cittadini? L’opinione pubblica non incide in queste faccende, in genere si limita a sperare che la pubblica conversazione tra prestigiosi accademici mitighi gli inconvenienti. Oltre non si va.
I dipartimenti di una certa disciplina – es. di storia – sono più connessi tra loro che con gli altri dipartimenti dell’università. Grazie alle dinamiche dell’uniformità maggioritaria, intere discipline vengono “colonizzate” in breve tempo. E’ più facile colonizzare una disciplina che un’università.
Gli studiosi, oltre a svolgere ruoli specifici (insegnante, scrittore, editore…), offrono il loro contributo nel fissare il rango dei colleghi, ad esempio scrivendo lettere di raccomandazione, lodando un certo lavoro e/o citandolo. Ma anche loro sono soggetti al rango e dipendono da altri colleghi. Tutte le metriche per stabilire il rango sono intrecciate e si rafforzano a vicenda.
Il mercato puo’ essere una medicina? Difficile. Il mercato del lavoro accademico è diverso dal mercato dei camerieri o dei tassisti. Un dipartimento di storia “vende” il suo prodotto ma i consumatori, i produttori e il prodotto stesso sono tutti storici. Un cameriere offre invece i suoi servizi a un barista che li gira ad un consumatore. Gli storici sono responsabili per la maggior parte solo di altri storici e il finanziamento proviene da contribuenti, fondazioni e benefattori. Nessuna “sovranità del consumatore”, quindi. La tribù degli storici è autosufficiente, non necessità di nessuna convalida esterna.
Per molti si quelli elencato sono inconvenienti inevitabili, lo standard è basso ma non puo’ che essere quello. Il precetto per cui “la storia è ciò che fanno gli storici”, e “gli storici sono quelli nominati come tali” potrebbe non essere soddisfacente dal punto di vista razionale, ma almeno fa girare le ruote al carro della disciplina.
Supponiamo ora che i dipartimenti e le riviste all’apice della piramide aderiscano a una certa ideologia. Gli inferiori saranno inclini ad astenersi dalle critiche perché la loro stessa vita accademica dipende dall’accettazione e dall’approvazione dei loro superiori. Le microdecisioni in tutta la piramide tenderanno a compiacere l’apice.
La cima è quasi interamente autorigenerante e chi sta sotto dipende interamente dalla cima.
Esempio. Nel campo del diritto, Richard Redding afferma dopo un breve calcolo: “Un terzo di tutti i nuovi insegnanti [assunti nelle scuole di diritto tra il 1996 e il 2000] si è laureato a Harvard (18%) o a Yale (15%), un altro terzo in altre 12 scuole con il 20 per cento restante laureato in altre scuole di giurisprudenza top 25 (2003, 599).
Qualche dissenso si verificherà, ma la piramide dominante rimane il bene gravitazionale della pratica di gruppo e delle ambizioni individuali. Eventuali piramidi parallele vengono ignorate o cooptate da quella “ufficiale”.
Conseguenze del bias della parrocchietta: 1) illusione di invulnerabilità, 2) mentalità chiusa, 3) razionalizzazione, 4) stereotipi sugli outsider, 5) autocensura, 6) mobbing sui dissenzienti…
Tutto questo ha ripercussioni concrete? Probabilmente sì. Esempi di affermazioni plausibili mai verificate seriamente: 1) Roosvelt e il suo New Deal hanno prolungato la Grande Depressione. 2) Le leggi sul lavoro, come i privilegi sindacali, non sono giustificati e anzi hanno danneggiato i poveri. 3) Il sistema scolastico può essere analizzato come un’industria socialista mostrando come in esso emergano i medesimi difetti. 4) La maggior parte del riciclaggio imposto dei materiali è uno spreco. Eccetera.
Alcune tesi filosofiche interessanti, immagina uno studente che le voglia approfondire e immagina al contempo l’appoggio che riceverebbe in facoltà: 1) “La giustizia sociale” non ha senso 2) La giustizia sociale è un atavismo. 3) Lo stato socialdemocratico è uno strumento di coercizione. 4) Le caratteristiche principali dei processi democratici includono l’ignoranza, la superficialità e i pregiudizi sistematici. 5) La democrazia spesso calpesta la libertà, la decenza e la prosperità. 6) L’ascesa della socialdemocrazia dalla fine del diciannovesimo secolo può essere considerata fruttuosamente come una sovversione del liberalismo. 7) Dal 1880, gli intellettuali hanno alterato il significato di molti termini chiave del lessico liberale – libertà, liberalismo, giustizia, diritti, proprietà, stato di diritto, equità e uguaglianza – in modo da indebolire il loro potere in opposizione ad un visione del mondo democratica. 8) La distinzione tra azione volontaria e coercitiva (o laissez-faire contro interventismo) fornisce un quadro migliore per analizzare  opinioni politiche e opinione pubblica piuttosto che una distinzione tra liberale e conservatore. Eccetera.