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mercoledì 29 maggio 2019
PER FARE UN BEL FILM
Per fare un bel film bisogna innanzitutto fare un film, Il che significa ideare: situazioni e drammi che possono capitare a tutti, personaggi credibili, dialoghi non banali, spiegazioni al minimo, e benvenute le svolte o le sorprese prima della fine.
domenica 26 maggio 2019
CULTURA CONSUMISTICA
CULTURA CONSUMISTICA
Breve e crudele, MM poggia le dita sulla tastiera come Glenn Gould: dal basso. Dal film esige la resa narrativa e commerciale.
Breve e crudele, MM poggia le dita sulla tastiera come Glenn Gould: dal basso. Dal film esige la resa narrativa e commerciale.
giovedì 27 novembre 2014
mercoledì 16 giugno 2010
The Horribly Slow Murderer with the Extremely Inefficient Weapon
Niente asce, niente motoseghe, niente mani di forbice... solo un cucchiaio.
Parte 1
Parte 2
Parte 1
Parte 2
lunedì 14 giugno 2010
Fuori dal mio terreno!
Fuori dal mio terreno musi gialli!
Buoni confini fanno buoni vicini.
Continuando ad essere cio' che si è ci si presenta meglio agli altri.
La via reazionaria all' integrazione tra i popoli. La illustra bene Gran Torino, il film che abbiamo visto l' altra sera.
Sono sempre stato convinto che vivere e accettare l' immigrato non richieda grandi ideali, visto che conviene.
Mi è più simpatico chi si relaziona sfruttando questa convenienza che chi, animato da melensi ideali, al "diverso" si consegna mani e piedi avvinghiandosi a lui per una forma di esibizionismo.**
Clint racconta la "storia" che è nato per raccontare, è una storia western: fatti giustizia da solo e vedrai la Giustizia in faccia, capirai quanto è preziosa e complessa.
Clint racconta la solita magnifica storia del cavaliere solitario: per quanto abbia le mani sporche di sangue il suo animo fiuta il "bene". Per avvantaggiarlo vale la pena di compromettersi (imolarsi) sporcandosele un po' di più.
Con una storia tanto bella passa in secondo piano il fatto che Clint in fondo non è un regista e lo si vede: esempio, che Walt sia un burbero ce lo raccontano per filo e per segno i figli in un dialogo dettagliato all' inizio del film affinchè sia chiaro a tutti. Un vero regista - non è necessario essere Truffaut - si limiterebbe a farcelo vedere in una scena ficcante e breve per passare poi ad altro.
Difetto 1: Clint (Walt) chiacchera e spiega troppo, arriva addirittura a parlare da solo davanti allo specchio per favorire la comprensione di noi poveri spettatori. Proprio lui (Clint), lui che nasce inventato da Leone come contro-cowboy da opporre alla deriva psicologista del western hollywoodiano, come antitesi al pistolero chiaccherone che parlava, parlava e cominciava a far fuori qualcuno (pentendosi) solo nel secondo tempo. Già, ma lì sul set comandava Leone, un vero regista.
Difetto 2: doppiaggio di merda.
** A questo punto mi viene in mente mio papà. Mentre noi con i neo-immigrati facevamo sperimentazioni intrise di idealismo (per esempio ingoiare con il sorriso sulle labbra le porcherie provenienti da tutto il mondo e dire good, good), lui non era certo il tipo che "aprisse le braccia". Comincio' ad avere qualche contatto, ma solo per ragioni di lavoro. Dopo poco, mentre noi rimanevamo fondamentalmente dei corpi estranei, lui aveva trovato una lingua chiara per comunicare e relazionarsi con quell' esotico che a noi restava inaccessibile. Su un terreno per noi "volgare" aveva stabilito un contatto solido. Capirsi è importante e unisce, al di là dell' oggetto su cui si realizza l' intesa.
Buoni confini fanno buoni vicini.
Continuando ad essere cio' che si è ci si presenta meglio agli altri.
La via reazionaria all' integrazione tra i popoli. La illustra bene Gran Torino, il film che abbiamo visto l' altra sera.
Sono sempre stato convinto che vivere e accettare l' immigrato non richieda grandi ideali, visto che conviene.
Mi è più simpatico chi si relaziona sfruttando questa convenienza che chi, animato da melensi ideali, al "diverso" si consegna mani e piedi avvinghiandosi a lui per una forma di esibizionismo.**
Clint racconta la "storia" che è nato per raccontare, è una storia western: fatti giustizia da solo e vedrai la Giustizia in faccia, capirai quanto è preziosa e complessa.
Clint racconta la solita magnifica storia del cavaliere solitario: per quanto abbia le mani sporche di sangue il suo animo fiuta il "bene". Per avvantaggiarlo vale la pena di compromettersi (imolarsi) sporcandosele un po' di più.
Con una storia tanto bella passa in secondo piano il fatto che Clint in fondo non è un regista e lo si vede: esempio, che Walt sia un burbero ce lo raccontano per filo e per segno i figli in un dialogo dettagliato all' inizio del film affinchè sia chiaro a tutti. Un vero regista - non è necessario essere Truffaut - si limiterebbe a farcelo vedere in una scena ficcante e breve per passare poi ad altro.
Difetto 1: Clint (Walt) chiacchera e spiega troppo, arriva addirittura a parlare da solo davanti allo specchio per favorire la comprensione di noi poveri spettatori. Proprio lui (Clint), lui che nasce inventato da Leone come contro-cowboy da opporre alla deriva psicologista del western hollywoodiano, come antitesi al pistolero chiaccherone che parlava, parlava e cominciava a far fuori qualcuno (pentendosi) solo nel secondo tempo. Già, ma lì sul set comandava Leone, un vero regista.
Difetto 2: doppiaggio di merda.
** A questo punto mi viene in mente mio papà. Mentre noi con i neo-immigrati facevamo sperimentazioni intrise di idealismo (per esempio ingoiare con il sorriso sulle labbra le porcherie provenienti da tutto il mondo e dire good, good), lui non era certo il tipo che "aprisse le braccia". Comincio' ad avere qualche contatto, ma solo per ragioni di lavoro. Dopo poco, mentre noi rimanevamo fondamentalmente dei corpi estranei, lui aveva trovato una lingua chiara per comunicare e relazionarsi con quell' esotico che a noi restava inaccessibile. Su un terreno per noi "volgare" aveva stabilito un contatto solido. Capirsi è importante e unisce, al di là dell' oggetto su cui si realizza l' intesa.
lunedì 7 giugno 2010
Buh!
Come ve lo immaginereste un film horror girato da Olmi?
Nel suo "La casa dalle finestre che ridono" (1976) il cattolico Avati provò a scrostare le fastidiose patine di Argento in modo che emergesse quella familiarità e quell' empatia con l' ambiente che servono per poi far esplodere lo shock. Con la nebbiolina padana cercò di rendere le tinte pastello in modo che risaltasse meglio il rosso del sangue.
L' orrore si annida impensabile tra i ruspanti paesaggi dell' amata Bassa e la calda giovialità emiliana, parente forse di quell' orrore innocuo evocato nei giochi dell' infanzia e che faceva correre nelle vene lo stesso infantile e perverso piacere con cui Lidio spaventa la maestrina.
Il film è vecchio e si sente, il genere non mi piace e in più la storia ammassa tutti gli stereotipi del genere, eppure 1) certi scorci sembrano delle foto di Ghirri, 2) fa davvero paura. Quindi, da vedere.
Per un bel po' potete scaricarvelo qui per poi vederlo sul pc o alla tele.
Nel suo "La casa dalle finestre che ridono" (1976) il cattolico Avati provò a scrostare le fastidiose patine di Argento in modo che emergesse quella familiarità e quell' empatia con l' ambiente che servono per poi far esplodere lo shock. Con la nebbiolina padana cercò di rendere le tinte pastello in modo che risaltasse meglio il rosso del sangue.
L' orrore si annida impensabile tra i ruspanti paesaggi dell' amata Bassa e la calda giovialità emiliana, parente forse di quell' orrore innocuo evocato nei giochi dell' infanzia e che faceva correre nelle vene lo stesso infantile e perverso piacere con cui Lidio spaventa la maestrina.
Il film è vecchio e si sente, il genere non mi piace e in più la storia ammassa tutti gli stereotipi del genere, eppure 1) certi scorci sembrano delle foto di Ghirri, 2) fa davvero paura. Quindi, da vedere.
Per un bel po' potete scaricarvelo qui per poi vederlo sul pc o alla tele.
giovedì 3 giugno 2010
Il volo di un ammasso di carne sanguinolenta
In questo film all' inizio tutto sembra chiaro: da un lato c' è l' artificio dei lustrini e delle luci della ribalta, dall' altro la vita con le sue ruvidezze insopprimibili; la prima è una droga irresistibile, la seconda è inaccessibile senza il buon viatico di un' amara medicina che disintossichi a dovere.
I confini tra i due regni sono netti e riproposti più volte con virtuosismo, come quando Randy arriva con il suo Van strapieno di energetiche schitarrate anni '80; gira la chiavetta per il parcheggio: sale subito il silenzio squallido dei campeggi d' inverno (è costretto a vivere lì questo mitico wrestler fuori stagione); rigira la chiavetta per la marcia indietro correttiva: riparte la giostra del rock estrogenato; ririgira per lo spegnimento definitivo: fine del sogno, c' è l' affitto da pagare.
Magari fosse così semplice l' etichetta da apporre. Questo è un gran bel film e le soluzioni portatili non funzionano.
Innanzitutto scopriamo che il "fallito" è un uomo coscienzioso, scrupoloso, conscio della propria situazione, professionista onesto, dai sentimenti veraci, benvoluto e persino ammirato dai colleghi che lo aiutano e si fanno aiutare da lui: il wrestling in fondo è un vero lavoro e lui lo fa al meglio, anche quando il suo meglio è ormai di infimo livello.
Ma è un lavoro maledetto, come quello del boia, della prostituta e del soldato; e lui è ormai un "reduce" dentro una ballata di Tom Waits. E' commovente assistere ad una prestazione mediocre sapendo che è realizzata "al meglio". E' la commozione che vi assale quando un bambino vi regala il suo scarabocchio. Tra l' impotenza dei bambini e quella dei vecchi c' è del resto un legame sotterraneo.
C' è una passione che ci arricchisce e ci ispira, grazie ad essa diventiamo amorevolmente meticolosi e diamo tutto quello che abbiamo dentro; c' è poi una passione selvaggia che ci fa sperperare il meglio di noi stessi. Nel film compare solo la prima ma si capisce che in passato ha soffiato il turbine della seconda scompigliando le anime più fragili, quelle che non sanno fare i conti con il tempo.
Questo cuore e questa passione costruttiva si infiltrano tra i lustrini inquinando i due piani che credevamo nitidamente separati. Il regno delle tenebre contiene qualcosa di inaspettato e noi dobbiamo sospendere la nostra maledizione. Non sappiamo più bene se qui il wrestling sia la droga o la medicina.
D' altronde ho avuto la sensazione che la regia simpatizzi con Randy, con la sua scelta, con il suo volo finale.
Mickey Rourke giganteggia con la sua faccia da preservativo usato trovato in una pozzanghera in una notte di pioggia. A proposito, a chi non bastasse la folla di suggestioni già presenti ce n' è una in più: il film doppia la vita del suo protagonista, anche lui ha conosciuto i bei giorni nei profondi '80. Il doppiaggio è penoso ma ce ne vuole per rovinare un film così.
P.S. in realtà il film mostra una caduta di Randy: il mancato appuntamento con la figlia. Ma è una piccola scena, marginale. Mi sarebbe piaciuto che non ci fosse stata.
P.S. C' è poi la rubrica "diatribe con la Sara": ma alla fine Lui vede che Lei non è tra il pubblico? Come valuta la cosa e perchè?
P.S. Desperado: lasciati amare prima che sia troppo tardi.
I confini tra i due regni sono netti e riproposti più volte con virtuosismo, come quando Randy arriva con il suo Van strapieno di energetiche schitarrate anni '80; gira la chiavetta per il parcheggio: sale subito il silenzio squallido dei campeggi d' inverno (è costretto a vivere lì questo mitico wrestler fuori stagione); rigira la chiavetta per la marcia indietro correttiva: riparte la giostra del rock estrogenato; ririgira per lo spegnimento definitivo: fine del sogno, c' è l' affitto da pagare.
Magari fosse così semplice l' etichetta da apporre. Questo è un gran bel film e le soluzioni portatili non funzionano.
Innanzitutto scopriamo che il "fallito" è un uomo coscienzioso, scrupoloso, conscio della propria situazione, professionista onesto, dai sentimenti veraci, benvoluto e persino ammirato dai colleghi che lo aiutano e si fanno aiutare da lui: il wrestling in fondo è un vero lavoro e lui lo fa al meglio, anche quando il suo meglio è ormai di infimo livello.
Ma è un lavoro maledetto, come quello del boia, della prostituta e del soldato; e lui è ormai un "reduce" dentro una ballata di Tom Waits. E' commovente assistere ad una prestazione mediocre sapendo che è realizzata "al meglio". E' la commozione che vi assale quando un bambino vi regala il suo scarabocchio. Tra l' impotenza dei bambini e quella dei vecchi c' è del resto un legame sotterraneo.
C' è una passione che ci arricchisce e ci ispira, grazie ad essa diventiamo amorevolmente meticolosi e diamo tutto quello che abbiamo dentro; c' è poi una passione selvaggia che ci fa sperperare il meglio di noi stessi. Nel film compare solo la prima ma si capisce che in passato ha soffiato il turbine della seconda scompigliando le anime più fragili, quelle che non sanno fare i conti con il tempo.
Questo cuore e questa passione costruttiva si infiltrano tra i lustrini inquinando i due piani che credevamo nitidamente separati. Il regno delle tenebre contiene qualcosa di inaspettato e noi dobbiamo sospendere la nostra maledizione. Non sappiamo più bene se qui il wrestling sia la droga o la medicina.
D' altronde ho avuto la sensazione che la regia simpatizzi con Randy, con la sua scelta, con il suo volo finale.
Mickey Rourke giganteggia con la sua faccia da preservativo usato trovato in una pozzanghera in una notte di pioggia. A proposito, a chi non bastasse la folla di suggestioni già presenti ce n' è una in più: il film doppia la vita del suo protagonista, anche lui ha conosciuto i bei giorni nei profondi '80. Il doppiaggio è penoso ma ce ne vuole per rovinare un film così.
P.S. in realtà il film mostra una caduta di Randy: il mancato appuntamento con la figlia. Ma è una piccola scena, marginale. Mi sarebbe piaciuto che non ci fosse stata.
P.S. C' è poi la rubrica "diatribe con la Sara": ma alla fine Lui vede che Lei non è tra il pubblico? Come valuta la cosa e perchè?
P.S. Desperado: lasciati amare prima che sia troppo tardi.
sabato 29 maggio 2010
Juno, ovvero il soccorso della Parola
Per confrontarli, abbiamo visto in sequenza due film sull' aborto: Juno e 4 mesi 3 settimane e 1 giorno.
Formalmente sono molto differenti, Juno è una scorrevole (e piacevole) fiaba americana piena di uccellini e canozonette deliziose, l' altro è girato nel solito stile realista che i Maestri Italiani hanno insegnato al mondo, l' unica colonna sonora sono quindi i motorini taroccati che passano fastidiosi in lontananza sulla camionabile.
Juno padroneggia da maestra il proprio discorso, con l' ironia e l' eresia eccentrica domina l' interlocutore mettendolo quasi in soggezione, trova anche parecchie controparti solidali, il mondo che la circonda in fondo è il piccolo acquario dove un vispo pesciolino come lei ha sempre nuotato. Tutto è un' immensa zona pedonale costruita per il tempo libero dei sedicenni.
Otilia - vittima di malintesi, reticenze, insicurezze - non riesce nemmeno a prenotare una camera d' albergo per telefono, soffre molto perchè, come si sa, metà del dolore se ne andrebbe "dicendolo" ad orecchie attente, ma le uniche orecchie attente sono quelle di noi spettatori e lei non puo' sognarsi che esistono. E l' "acquario" di Otilia?Anche lei avrà un suo acquario! No, Otilia è una studentessa "fuori sede", completamente "fuori sede". Da vera "fuori sede" continua a sbagliar strada quando con l' asciugamano nella borsetta scorazza sugli asfalti privi di marciapiede tra i latrati dei randagi rumeni alla ricerca di un cassonetto.
la voce di Juno è ferma ed ironica, spesso chiosa sarcastica le sue disavventure alleggerendole. La voce di Otilia è schermata al modo dei servi, una voce che parla solo per chiedere e tremare nell' attesa che l' ingiunzione venga accolta, in ogni conflitto le tocca impugnare il coltello dalla parte della lama cosicchè gli altri si divertono a taglizzarla prima di trafiggerla, sono gli sfizi meschini che dà un Piccolo Potere.
Juno arriva puntuale e precisa ai suoi drammi, Otilia è sempre in affanno, non è mai al suo posto, non è mai dove dovrebbe essere, nemmeno nella sceneggiatura del film è dove dovrebbe essere: pensate che non le tocca nemmeno la parte della ragazza incinta in procinto di abortire; già, quest' ultima è troppo terrorizzata per farne il vero personaggio tragico del racconto, e così Christian Mongiu ha deciso saggiamente di caricare proprio su Otilia - l' "amica" - le croci più pesanti.
Formalmente sono molto differenti, Juno è una scorrevole (e piacevole) fiaba americana piena di uccellini e canozonette deliziose, l' altro è girato nel solito stile realista che i Maestri Italiani hanno insegnato al mondo, l' unica colonna sonora sono quindi i motorini taroccati che passano fastidiosi in lontananza sulla camionabile.
Juno padroneggia da maestra il proprio discorso, con l' ironia e l' eresia eccentrica domina l' interlocutore mettendolo quasi in soggezione, trova anche parecchie controparti solidali, il mondo che la circonda in fondo è il piccolo acquario dove un vispo pesciolino come lei ha sempre nuotato. Tutto è un' immensa zona pedonale costruita per il tempo libero dei sedicenni.
Otilia - vittima di malintesi, reticenze, insicurezze - non riesce nemmeno a prenotare una camera d' albergo per telefono, soffre molto perchè, come si sa, metà del dolore se ne andrebbe "dicendolo" ad orecchie attente, ma le uniche orecchie attente sono quelle di noi spettatori e lei non puo' sognarsi che esistono. E l' "acquario" di Otilia?Anche lei avrà un suo acquario! No, Otilia è una studentessa "fuori sede", completamente "fuori sede". Da vera "fuori sede" continua a sbagliar strada quando con l' asciugamano nella borsetta scorazza sugli asfalti privi di marciapiede tra i latrati dei randagi rumeni alla ricerca di un cassonetto.
la voce di Juno è ferma ed ironica, spesso chiosa sarcastica le sue disavventure alleggerendole. La voce di Otilia è schermata al modo dei servi, una voce che parla solo per chiedere e tremare nell' attesa che l' ingiunzione venga accolta, in ogni conflitto le tocca impugnare il coltello dalla parte della lama cosicchè gli altri si divertono a taglizzarla prima di trafiggerla, sono gli sfizi meschini che dà un Piccolo Potere.
Juno arriva puntuale e precisa ai suoi drammi, Otilia è sempre in affanno, non è mai al suo posto, non è mai dove dovrebbe essere, nemmeno nella sceneggiatura del film è dove dovrebbe essere: pensate che non le tocca nemmeno la parte della ragazza incinta in procinto di abortire; già, quest' ultima è troppo terrorizzata per farne il vero personaggio tragico del racconto, e così Christian Mongiu ha deciso saggiamente di caricare proprio su Otilia - l' "amica" - le croci più pesanti.
domenica 2 maggio 2010
Mezzanotte nel giardino del bene e del male
Il cineclub puo' dirsi aperto con questo film.
Per la scheda ci vorrebbe la perizia chirurgica di diana, in mancanza di meglio ci facciamo bastare questo annuncio, da ora chi ha visto il film puo' commentare. A proposito, chi non l' ha visto si astenga dal leggere i commenti, almeno il mio, visto che mi ritengo autorizzato a fare esplicito riferimento alla storia, finale compreso.
Siamo a Savannah, la negritudine, il voodoo, il razzismo sempre latente... speriamo che il film si tenga alla larga dalla marea di cliché che lo minacciano in questi casi.
allora parto con le mie personali impressioni.
Devo dirlo? Mi è sembrato un film dilettantesco, e anche un po' al di sotto dell' onesto dilettantismo.
Alcune rettifiche alla sconclusionata sceneggiatura s' impongono, pena l' incongruenza grave di un racconto già compromesso dallo stile scialbo.
Siamo alla scena clou, nel dare la sua seconda versione dei fatti Jim si frega le mani poichè eludendo le obiezioni del PM vedrà declassata l' accusa da omicidio a falsa testimonianza.
In realtà la scena a cui assistiamo nel flash back è un omicidio vero e proprio, altro che "declassamento" salvifico.
Chi è lo stupido allora, il regista che rende male il racconto di Jim o Jim che crede di farla franca mirando al "declassamento" con un racconto del genere?
Oltretutto, dopo la nuova versione dei fatti che Jim illustra a Kelso, quest' ultimo mette su un muso che terrà fino alla fine del film: colui che credeva innocente e per cui si era battuto, in realtà era un villano rifatto.
Che senso avrebbe questa delusione se il racconto di Jim fosse veramente quello che Jim pretende che sia: il racconto di un innocente che si protesta tale in virtù della legittima difesa.
Solo una variante è in grado di rimettere insieme i pezzi. Jim avrebbe dovuto dire a Kelso che le cose sono andate come le fa vedere il regista ma che lui davanti alla Corte affermerà di aver sparato tutti i colpi da dietro la scrivania e consecutivamente. Solo in questo modo eviterà (forse) l' accusa di omicidio sobbarcandosi (volentieri) quella di semplice calunnia. Solo in questo modo si spiega la cocente "delusione umana" che si abbatte su Kelso.
Assurdo credere invece di ottenere l' effetto scagionante raccontando in tribunale il flash back come ci viene propinato: con Jim ormai fuori pericolo che infligge il colpo mortale ad un Billy solo ferito e inerme al suolo. Ripeto: siamo scemi noi che abbiamo visto il flash back come lo documenta il regista o è ompletamente suonato Jim?
La versione più credibile avrebbe inoltre il merito di riportare il fuoco sull' unico messaggio di spessore: nella società del pregiudizio, l' omosessualità è una vera vergogna solo se accompagnata dal sentimento e non invece quando è solo affare di mero sesso. Sì perchè a quel punto Jim avrebbe ucciso come amante deluso visto che aveva appena ricevuto la conferma che Billy, disposto ad ucciderlo, era per lui un amore perduto.
Per concludere, a me sembra che solo la versione che ho dato riconcili i disparati elementi. Ma nel film una versione del genere è ben lungi dall' essere anche solo minimamente adombrata.
Lasciamo perdere poi i personaggi sbiaditi di Luther e della maga barbona; si capisce che vengono inseriti a forza solo perchè erano nel libro,spero che almeno lì avssero un qualche significato, perchè nel film appesantiscono il tutto e basta.
La storia d' amore, poi, mi fa cagare: non sopporto l' amante brillante che corteggia a suon di motti.
Forse salvo solo l' avvocato difensore. Un po' poco, direi.
Concludendo, stile scialbo, personaggi inesistenti, storia pasticciona: non escludo che come film-tv (quelli che guarda mia mamma) possa funzionare.
Per la scheda ci vorrebbe la perizia chirurgica di diana, in mancanza di meglio ci facciamo bastare questo annuncio, da ora chi ha visto il film puo' commentare. A proposito, chi non l' ha visto si astenga dal leggere i commenti, almeno il mio, visto che mi ritengo autorizzato a fare esplicito riferimento alla storia, finale compreso.
Siamo a Savannah, la negritudine, il voodoo, il razzismo sempre latente... speriamo che il film si tenga alla larga dalla marea di cliché che lo minacciano in questi casi.
allora parto con le mie personali impressioni.
Devo dirlo? Mi è sembrato un film dilettantesco, e anche un po' al di sotto dell' onesto dilettantismo.
Alcune rettifiche alla sconclusionata sceneggiatura s' impongono, pena l' incongruenza grave di un racconto già compromesso dallo stile scialbo.
Siamo alla scena clou, nel dare la sua seconda versione dei fatti Jim si frega le mani poichè eludendo le obiezioni del PM vedrà declassata l' accusa da omicidio a falsa testimonianza.
In realtà la scena a cui assistiamo nel flash back è un omicidio vero e proprio, altro che "declassamento" salvifico.
Chi è lo stupido allora, il regista che rende male il racconto di Jim o Jim che crede di farla franca mirando al "declassamento" con un racconto del genere?
Oltretutto, dopo la nuova versione dei fatti che Jim illustra a Kelso, quest' ultimo mette su un muso che terrà fino alla fine del film: colui che credeva innocente e per cui si era battuto, in realtà era un villano rifatto.
Che senso avrebbe questa delusione se il racconto di Jim fosse veramente quello che Jim pretende che sia: il racconto di un innocente che si protesta tale in virtù della legittima difesa.
Solo una variante è in grado di rimettere insieme i pezzi. Jim avrebbe dovuto dire a Kelso che le cose sono andate come le fa vedere il regista ma che lui davanti alla Corte affermerà di aver sparato tutti i colpi da dietro la scrivania e consecutivamente. Solo in questo modo eviterà (forse) l' accusa di omicidio sobbarcandosi (volentieri) quella di semplice calunnia. Solo in questo modo si spiega la cocente "delusione umana" che si abbatte su Kelso.
Assurdo credere invece di ottenere l' effetto scagionante raccontando in tribunale il flash back come ci viene propinato: con Jim ormai fuori pericolo che infligge il colpo mortale ad un Billy solo ferito e inerme al suolo. Ripeto: siamo scemi noi che abbiamo visto il flash back come lo documenta il regista o è ompletamente suonato Jim?
La versione più credibile avrebbe inoltre il merito di riportare il fuoco sull' unico messaggio di spessore: nella società del pregiudizio, l' omosessualità è una vera vergogna solo se accompagnata dal sentimento e non invece quando è solo affare di mero sesso. Sì perchè a quel punto Jim avrebbe ucciso come amante deluso visto che aveva appena ricevuto la conferma che Billy, disposto ad ucciderlo, era per lui un amore perduto.
Per concludere, a me sembra che solo la versione che ho dato riconcili i disparati elementi. Ma nel film una versione del genere è ben lungi dall' essere anche solo minimamente adombrata.
Lasciamo perdere poi i personaggi sbiaditi di Luther e della maga barbona; si capisce che vengono inseriti a forza solo perchè erano nel libro,spero che almeno lì avssero un qualche significato, perchè nel film appesantiscono il tutto e basta.
La storia d' amore, poi, mi fa cagare: non sopporto l' amante brillante che corteggia a suon di motti.
Forse salvo solo l' avvocato difensore. Un po' poco, direi.
Concludendo, stile scialbo, personaggi inesistenti, storia pasticciona: non escludo che come film-tv (quelli che guarda mia mamma) possa funzionare.
lunedì 19 aprile 2010
L' arte di non porgere l' altra guancia
Jean Moreau piange tutte le sue lacrime per la morte del marito, ma noi in quel momento di legittima debolezza non la vediamo.
La vediamo solo dopo, quando ormai di lacrime non ne ha più, e nella parte della donna disidratata è davvero speciale.
Sì, abbiamo visionato questo film per fare un parallelo con Kill Bill.
La vendicatrice americana c' incanta per il senso della missione e per la tecnica sopraffina con cui la porta a termine, una tecnica esaltata dal valore delle vittime che semina dietro di sè.
La vendicatrice francese c' incanta per il senso della missione e per la fredda crudeltà con cui la porta a termine, una crudeltà esaltata dal disvalore delle vittime: gente che sarebbe stato giusto graziare.
La sposa di Tarantino lotta per vivere (con sua figlia), la sposa di Truffaut lotta per morire (pacificata). La prima è un' atleta, la seconda una kamikaze; alla prima sposa si addicono le tutine gialle, solo la seconda puo' invece ben dirsi una... "Sposa in nero".
La vediamo solo dopo, quando ormai di lacrime non ne ha più, e nella parte della donna disidratata è davvero speciale.
Sì, abbiamo visionato questo film per fare un parallelo con Kill Bill.
La vendicatrice americana c' incanta per il senso della missione e per la tecnica sopraffina con cui la porta a termine, una tecnica esaltata dal valore delle vittime che semina dietro di sè.
La vendicatrice francese c' incanta per il senso della missione e per la fredda crudeltà con cui la porta a termine, una crudeltà esaltata dal disvalore delle vittime: gente che sarebbe stato giusto graziare.
La sposa di Tarantino lotta per vivere (con sua figlia), la sposa di Truffaut lotta per morire (pacificata). La prima è un' atleta, la seconda una kamikaze; alla prima sposa si addicono le tutine gialle, solo la seconda puo' invece ben dirsi una... "Sposa in nero".
giovedì 1 aprile 2010
Concerto
E' il titolo del film che ho visto ieri sera al cineforum di Rho. Tra le altre cose, il film è un commosso omaggio all' anima slava.
E l' anima slava si salva solo facendo l' apologia del disordine.
Qualcuno entra in un campo Rom e ci vede caos, trascuratezza, approssimazione, degrado, precarietà, insidie, disorganizzazione... per altri traspare in controluce un disordine creativo, una rilassata levità mozartiana quintessenza della vitalità.
Radu Mihaileanu in fondo è un cantore del caos, i suoi eroi improvvisano inverosimili soluzioni all' ultimo momento disponibile. L' "ultimo momento", una landa dove solo il genio delle soluzioni precarie ha cittadinanza.
Alla fanfara roboante di Kusturicza, un regista dalla tempra affine, il rumeno sostituisce sonorità più morbide ma altrettanto mosse.
Per cantare il disordine bisogna sentirlo intimamente come una polifonia, e allora ecco che viene buona la lezione del sommo Fellini: nella pista del suo circo s' intrecciavano quattro dialoghi nella medesima sequenza; alla fine non si capiva granchè, ma cosa conta? Anche in una musica strumentale non capiremo mai le "parole" esatte, eppure cio' non scalfisce in alcun modo una bellezza fatta anche da questa ambiguità.
La polifonia cinematografica di Radu non necessita di trame molteplici che si incrociano, quella è roba per occidentali come Altman o Inarritu. La musica di Radu è di corto respiro, conta saper valorizzare la ricchezza contenuta nei brusii. Gould chiudeva gli occhi e riusciva a riascoltare l' amato Bach concentrandosi sul chiacchericcio del bar in cui sorbiva il caffè mattutino.
Ma il ghirigoro di Radu non è neanche "ricamo sul nulla", siamo pur sempre slavi, mica francesi. Il "morboso" allora deve essere il sale da cospargere un po' ovunque nel minestrone che bolle in pentola.
Se esiste un ordine solo, esistono mille disordini: il Maestro ci insegna a scegliere quello giusto. Come riconoscerlo?
Forse il caos benefico è fatto da persone sparse in cui ognuno persegue il suo obiettivo nel disinteresse di quello altrui, salvo il rispetto dovuto alla persona che s' incrocia continuamente andando su e giù per le scale di questo pazzo mondo. Chissà mai che proprio il nostro vicino, cos' alacre nel curare i propri affari, saprà più o meno volontariamente spianarci la strada per realizzare meglio i nostri.
Nel film il gran formicaio occidentale scoperchia cio' che nell' imbalsamata Russia già formicolava in modo latente nelle abusive catacombe.
Ma perchè la trama inverosimile vada in porto, perchè il genio risolva all' ultimo istante, perchè gli egoismi dei dispersi diano luogo ad una coesa cooperazione, perchè la farsa si sposi bene al patetismo, perchè dal caos emerga un ordine occorre un evento sublime che chiami a raccolta i cuori, e questo evento qui è la musica, una musica sentita, capita e vissuta tutta la vita in tutte le vite.
Lo spettatore lo sa ed è disposto a perdonare tutto mentre segue la bislacca storia ma non potrebbe mai perdonare, nel corso del ciajkowskiano finale, un' eventuale incuria nella ditteggiatura del violino solista. Anche Radu lo sa e spedisce la bionda attrice protagonista a frequentare corsi di violino per interi mesi. Anche il ferro battuto dai vecchi zingari brennesi doveva avere curvature a prova di goniometro e il salto mortale del clown di provincia deve valere quello della finale olimpica.
E l' anima slava si salva solo facendo l' apologia del disordine.
Qualcuno entra in un campo Rom e ci vede caos, trascuratezza, approssimazione, degrado, precarietà, insidie, disorganizzazione... per altri traspare in controluce un disordine creativo, una rilassata levità mozartiana quintessenza della vitalità.
Radu Mihaileanu in fondo è un cantore del caos, i suoi eroi improvvisano inverosimili soluzioni all' ultimo momento disponibile. L' "ultimo momento", una landa dove solo il genio delle soluzioni precarie ha cittadinanza.
Alla fanfara roboante di Kusturicza, un regista dalla tempra affine, il rumeno sostituisce sonorità più morbide ma altrettanto mosse.
Per cantare il disordine bisogna sentirlo intimamente come una polifonia, e allora ecco che viene buona la lezione del sommo Fellini: nella pista del suo circo s' intrecciavano quattro dialoghi nella medesima sequenza; alla fine non si capiva granchè, ma cosa conta? Anche in una musica strumentale non capiremo mai le "parole" esatte, eppure cio' non scalfisce in alcun modo una bellezza fatta anche da questa ambiguità.
La polifonia cinematografica di Radu non necessita di trame molteplici che si incrociano, quella è roba per occidentali come Altman o Inarritu. La musica di Radu è di corto respiro, conta saper valorizzare la ricchezza contenuta nei brusii. Gould chiudeva gli occhi e riusciva a riascoltare l' amato Bach concentrandosi sul chiacchericcio del bar in cui sorbiva il caffè mattutino.
Ma il ghirigoro di Radu non è neanche "ricamo sul nulla", siamo pur sempre slavi, mica francesi. Il "morboso" allora deve essere il sale da cospargere un po' ovunque nel minestrone che bolle in pentola.
Se esiste un ordine solo, esistono mille disordini: il Maestro ci insegna a scegliere quello giusto. Come riconoscerlo?
Forse il caos benefico è fatto da persone sparse in cui ognuno persegue il suo obiettivo nel disinteresse di quello altrui, salvo il rispetto dovuto alla persona che s' incrocia continuamente andando su e giù per le scale di questo pazzo mondo. Chissà mai che proprio il nostro vicino, cos' alacre nel curare i propri affari, saprà più o meno volontariamente spianarci la strada per realizzare meglio i nostri.
Nel film il gran formicaio occidentale scoperchia cio' che nell' imbalsamata Russia già formicolava in modo latente nelle abusive catacombe.
Ma perchè la trama inverosimile vada in porto, perchè il genio risolva all' ultimo istante, perchè gli egoismi dei dispersi diano luogo ad una coesa cooperazione, perchè la farsa si sposi bene al patetismo, perchè dal caos emerga un ordine occorre un evento sublime che chiami a raccolta i cuori, e questo evento qui è la musica, una musica sentita, capita e vissuta tutta la vita in tutte le vite.
Lo spettatore lo sa ed è disposto a perdonare tutto mentre segue la bislacca storia ma non potrebbe mai perdonare, nel corso del ciajkowskiano finale, un' eventuale incuria nella ditteggiatura del violino solista. Anche Radu lo sa e spedisce la bionda attrice protagonista a frequentare corsi di violino per interi mesi. Anche il ferro battuto dai vecchi zingari brennesi doveva avere curvature a prova di goniometro e il salto mortale del clown di provincia deve valere quello della finale olimpica.
lunedì 15 febbraio 2010
Il buio nella mente
Mi hanno sempre fatto paura i film dove il protagonista rivela una doppia personalità.
Nei film del maestro tutto cio' è presente al massimo grado.
La cosa stupefacente è che noi assistiamo alla terribile metamorfosi. Dura all' incirca l' intero film.
La cosa destabilizzante è che tutto resta incredibilmente realistico e credibile.
Quasi come se Rossellini narrasse una novella di Stevenson.
Bello il personaggio di Sophie. Bella quella vita fotografata nel momento decisivo su un crinale: così vicina al paradiso, così prossima all' inferno. Come al solito nei film del Maestro il soffio arriva dalla direzione sbagliata.
Nei film del maestro tutto cio' è presente al massimo grado.
La cosa stupefacente è che noi assistiamo alla terribile metamorfosi. Dura all' incirca l' intero film.
La cosa destabilizzante è che tutto resta incredibilmente realistico e credibile.
Quasi come se Rossellini narrasse una novella di Stevenson.
Bello il personaggio di Sophie. Bella quella vita fotografata nel momento decisivo su un crinale: così vicina al paradiso, così prossima all' inferno. Come al solito nei film del Maestro il soffio arriva dalla direzione sbagliata.
Pirandello a Hollywood
Il secondo Batman di Tim Burton non è piaciuto per niente a Sara. Il Cattivo del film era troppo cattivo.
Quello che a lei è dispiaciuto coincide con quello che a me ha interessato: Tim Burton costruisce una cornice di "genere" per poi piazzare continue stoccate che la trascendono.
Finchè il Pinguino resta "disgustoso" noi lo accettiamo divertendoci poichè resta pu sempre all' interno della sua cornice, è solo una curiosità dello zoo. Quando invece si trasforma in un essere disgustoso (senza virgolette), cessiamo di accettarlo. E' come se le gabbie dello zoo si fossero dissolte e noi ci sentiamo in pericolo.
Per abbattere le gabbie dello zoo, Burton mette in bocca ai suoi "cattivi" battute con disturbanti riferimenti sessuali.
Quello che a lei è dispiaciuto coincide con quello che a me ha interessato: Tim Burton costruisce una cornice di "genere" per poi piazzare continue stoccate che la trascendono.
Finchè il Pinguino resta "disgustoso" noi lo accettiamo divertendoci poichè resta pu sempre all' interno della sua cornice, è solo una curiosità dello zoo. Quando invece si trasforma in un essere disgustoso (senza virgolette), cessiamo di accettarlo. E' come se le gabbie dello zoo si fossero dissolte e noi ci sentiamo in pericolo.
Per abbattere le gabbie dello zoo, Burton mette in bocca ai suoi "cattivi" battute con disturbanti riferimenti sessuali.
venerdì 8 gennaio 2010
Tradizionalisti al cinema
25 film per rinsaldare il conservatore nelle sue convinzioni: link
giovedì 7 gennaio 2010
Il cattivo tenente
Dal letame nascono i fior...
Il letame di Abel Ferrara è particolarmente fumante, fecondo... e maleodorante.
Parabola cristica raccontata furiosamente. Un' urgenza espressa in molti modi, primo fra tutti l' uso creativo della sgrammaticatura.
Harvey Keitel piange da dio - riesce a trasformare Manhattan nell' orto degli ulivi.
Se lui è davvero il miglior cine-attore dell' ultimo ventennio, vale la pena vedere un film che è come un abito di sartoria cucitogli addosso.
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Il letame di Abel Ferrara è particolarmente fumante, fecondo... e maleodorante.
Parabola cristica raccontata furiosamente. Un' urgenza espressa in molti modi, primo fra tutti l' uso creativo della sgrammaticatura.
Harvey Keitel piange da dio - riesce a trasformare Manhattan nell' orto degli ulivi.
Se lui è davvero il miglior cine-attore dell' ultimo ventennio, vale la pena vedere un film che è come un abito di sartoria cucitogli addosso.
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martedì 5 gennaio 2010
Oltre il giardino
Ci tengo alla mia collezione mentale di film che contengono almeno un miracolo, e un posto particolare l' ho sempre riservato a Peter Sellers.
Chance Giardiniere ci insegna cosa sia la "conoscenza" del mondo ancor meglio di quanto abbiano fatto Forrest Gump o Edmund Gettier
Ma quando la lezione sembra concludersi, revoca tutto in dubbio camminando sulle acque.
Beati i poveri si Spirito.
Chance Giardiniere ci insegna cosa sia la "conoscenza" del mondo ancor meglio di quanto abbiano fatto Forrest Gump o Edmund Gettier
Ma quando la lezione sembra concludersi, revoca tutto in dubbio camminando sulle acque.
Beati i poveri si Spirito.
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Mystic River
Ve lo ricordate l' ispettore Callaghan, il braccio violento della legge?
La giustizia allora ci sembrava incompatibile con l' osservanza puntigliosa della legge, solo chi aveva la forza di eludere la seconda poteva garantire la prima. Il cavaliere misterioso ieri, l' ispettore indignato oggi.
Le turbe del giustiziere fuori legge garantivano sia azione che dramma esistenziale.
Ora Clint cambia rotta: l' azione di chi opera al margine della legalità è frettolosa e trascurata.
Fretta e approssimazione, ma si tratta davvero di difetti? Si puo' e si deve fare meglio?
No! No, non è necessario adoperarsi per il meglio quando il valore da salvaguardare è l' onore e non la giustizia. L' "errore con le palle" vale l' anodina giustizia (nel monologo finale la moglie di Jimmy tesse l' elogio del "lavoro malfatto" e dà lo spin a tutto il film).
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La giustizia allora ci sembrava incompatibile con l' osservanza puntigliosa della legge, solo chi aveva la forza di eludere la seconda poteva garantire la prima. Il cavaliere misterioso ieri, l' ispettore indignato oggi.
Le turbe del giustiziere fuori legge garantivano sia azione che dramma esistenziale.
Ora Clint cambia rotta: l' azione di chi opera al margine della legalità è frettolosa e trascurata.
Fretta e approssimazione, ma si tratta davvero di difetti? Si puo' e si deve fare meglio?
No! No, non è necessario adoperarsi per il meglio quando il valore da salvaguardare è l' onore e non la giustizia. L' "errore con le palle" vale l' anodina giustizia (nel monologo finale la moglie di Jimmy tesse l' elogio del "lavoro malfatto" e dà lo spin a tutto il film).
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martedì 29 dicembre 2009
Il giorno che disimparammo ad aver paura
Il più bel film di John Landis?
[... il che significa uno dei più bei film degli anni ottanta...]
Blues Brothers? Animal House?
No, "Un lupo mannarro americano a Londra". L' ho rivisto ieri.
Viaggio iniziatico ed incontro con il Male, quello con la M maiuscola, quello che esiste senza malvagi ma che sa inquinare tutto.
Anche l' amore, che è chiamato ad uccidere; anche il Terrore, reso grottesco dallo sguardo plastificato di un topolino sulla libreria; anche la Morte, desublimata da zombi petulanti.
I vecchi riti apotropaici andavano bene con Dario Argento: qualche notte insonne e la vaccinazione era sicura.
Con Landis non funziona: si dorme sodo sin da subito, ma l' angoscia strisciante sarà compagna per sempre.
Film che si fa racchiudere in poche scene. Anche solo nella Blue Moon dei Marcel's, un vero controululato che chiude il film aprendo la stagione dell' anti-climax, unica vera e ficcante obiezione ai danni dell' edonismo postmodernista.
[... il che significa uno dei più bei film degli anni ottanta...]
Blues Brothers? Animal House?
No, "Un lupo mannarro americano a Londra". L' ho rivisto ieri.
Viaggio iniziatico ed incontro con il Male, quello con la M maiuscola, quello che esiste senza malvagi ma che sa inquinare tutto.
Anche l' amore, che è chiamato ad uccidere; anche il Terrore, reso grottesco dallo sguardo plastificato di un topolino sulla libreria; anche la Morte, desublimata da zombi petulanti.
I vecchi riti apotropaici andavano bene con Dario Argento: qualche notte insonne e la vaccinazione era sicura.
Con Landis non funziona: si dorme sodo sin da subito, ma l' angoscia strisciante sarà compagna per sempre.
Film che si fa racchiudere in poche scene. Anche solo nella Blue Moon dei Marcel's, un vero controululato che chiude il film aprendo la stagione dell' anti-climax, unica vera e ficcante obiezione ai danni dell' edonismo postmodernista.
Lo sguardo dell' uovo
O il "Canto di Natale" dickensiano o il "Natale in casa Cupiello" defilippiano. O uno o l' altro, non si scappa; durante le feste, almeno una delle due opere andava affrontata. Così prescriveva la tradizione famigliare.
Ma ora la famiglia è nuova e le tradizioni possono essere rinnovate, cosicchè quest' anno è stata la volta di "Regalo di Natale", il magistrale film di Pupi Avati con Abatantuono. I nomi tirati in ballo sono altisonanti, eppure, prima sorpresa, nel cambio azzardato la qualità non soffre.
Lo spiazzante finale ti costringe a riproiettare mentalmente tutto quello che hai visto per rivederlo da una diversa (spesso opposta) angolazione. Un vero colpo da maestro.
Scorrono titoli di coda e ricostruisci il puzzle sorprendendoti della cura con cui sono state intagliate le tessere. Sei in bagno a lavarti i denti e ancora le "illuminazioni" ti bombardano. L' indomani sul lavoro scopri che le scoperte non sono finite. Il giorno dopo revisioni scene sospette alla ricerca di bluper che non troverai mai
L' autentico prodigio sta nel fatto che entrambe le "storie" funzionano alla grande, anche quella falsa. Un vero mondo parallelo dalle facoltà ingannatrici di prim' ordine.
Che figura di merda, mi sono commosso quasi fino alle lacrime per cio' che scopro essere un simulacro di cartapesta. Sembravano volti ed erano sguardi d' uova. Grande Pupi, maestro delle ombre, mi hai fregato, 1 a 0 per te. Ma al cinema è così che si fa. Traggo piacere dalla mia allucinazione squilibrante, godo della mia fessaggine. Qualcuno ci vedrebbe l' essenza del cinema: ingannati e contenti.
Forse a fregarmi è stato l' ascendente cattolico del regista, non pensavo che la passione per la fabula la sopravanzasse così largamente. Nella notte di Natale qualcosa sembrava nascere, delle contrazioni erano in atto, chi se non lui poteva raccontare il travagliato parto. Ma la stella che viene fatta balenare imponente è solo uno specchietto. Nulla nasce, si versa invece l' ultima badilata di terra per seppellire un cadavere in decomposizione.
Film che si fa ricordare ma che non si fa rivedere. Peccato, avrebbe fornito il materiale idoneo per inaugurare una degnissima tradizione.
Ma ora la famiglia è nuova e le tradizioni possono essere rinnovate, cosicchè quest' anno è stata la volta di "Regalo di Natale", il magistrale film di Pupi Avati con Abatantuono. I nomi tirati in ballo sono altisonanti, eppure, prima sorpresa, nel cambio azzardato la qualità non soffre.
Lo spiazzante finale ti costringe a riproiettare mentalmente tutto quello che hai visto per rivederlo da una diversa (spesso opposta) angolazione. Un vero colpo da maestro.
Scorrono titoli di coda e ricostruisci il puzzle sorprendendoti della cura con cui sono state intagliate le tessere. Sei in bagno a lavarti i denti e ancora le "illuminazioni" ti bombardano. L' indomani sul lavoro scopri che le scoperte non sono finite. Il giorno dopo revisioni scene sospette alla ricerca di bluper che non troverai mai
L' autentico prodigio sta nel fatto che entrambe le "storie" funzionano alla grande, anche quella falsa. Un vero mondo parallelo dalle facoltà ingannatrici di prim' ordine.
Che figura di merda, mi sono commosso quasi fino alle lacrime per cio' che scopro essere un simulacro di cartapesta. Sembravano volti ed erano sguardi d' uova. Grande Pupi, maestro delle ombre, mi hai fregato, 1 a 0 per te. Ma al cinema è così che si fa. Traggo piacere dalla mia allucinazione squilibrante, godo della mia fessaggine. Qualcuno ci vedrebbe l' essenza del cinema: ingannati e contenti.
Forse a fregarmi è stato l' ascendente cattolico del regista, non pensavo che la passione per la fabula la sopravanzasse così largamente. Nella notte di Natale qualcosa sembrava nascere, delle contrazioni erano in atto, chi se non lui poteva raccontare il travagliato parto. Ma la stella che viene fatta balenare imponente è solo uno specchietto. Nulla nasce, si versa invece l' ultima badilata di terra per seppellire un cadavere in decomposizione.
Film che si fa ricordare ma che non si fa rivedere. Peccato, avrebbe fornito il materiale idoneo per inaugurare una degnissima tradizione.
giovedì 17 dicembre 2009
Colombiani dimmmeeerda... ta-ta-ta-ta...
Ieri abbiamo visto Scarface.
Nessuno va al sodo come Tony Montana, riesce sempre a trovare la via più breve.
Nessuno vede il "sodo" come lo sguardo di Al Pacino, nessuno lo filma meglio di De Palma.
Alla fine di sodo c' è solo il muro contro cui tutti vanno a sbattere. Tutti sanno che c' è, anche noi spettatori, i corvi funebri gracchiano dall' inizio del film, eppure non disturbano. L' importante è sbattere a 100 all' ora facendo un bel botto. Il botto di Tony ancora echeggia in tutte le sale cinematografiche.
La strategia di chi "vede, prende e scappa" confonde il nemico che si aspetta una strategia. E' così che vengono spiazzati gli avversari di Tony.
L' ascesa di Tony non è contrassegnata da schermaglie e "mosse" a sorpresa. E' una sorprendente corsa a perdifiato.
Tony piace ai ragazzini della terza media che bigiano e vanno nel bosco a sfogliare i giornaletti porno; si prosegue sparando con la carabina ai tronchi, la retina ancora intasata da cazzi assurdi.
Tony rincuora chi non riesce a concentrarsi sulle espressioni e l' area del trapezio. Indica un futuro radioso, pieno di ricchezze impreziosite da morte e cicatrici.
I Guappi di Gomorra giocano con l' arma ripetendo le battute di Tony. L' infantilismo di successo li ha sedotti.
Tony. Chi odia il mondo pur essendone avido è condannato a riprodurne la smorfia mentre spara ai colombiani, e poi anche quella disgustosa con cui guarda e stringe il malloppo. Ma in fondo tutti noi sappiamo che non si tratta di avidità.
Non è avidità, è cattiveria.
Tony da piccolo a Cuba era pestato regolarmente dai compagni di scuola e di carcere, la sua statura fisica era per loro un lasciapassare. De Palma non ne parla e fa bene: perchè perdere tempo quando qui a Miami c' è tanto "sodo" da raccontare e il film dura solo 95 minuti. Perchè perdere tempo quando noi sappiamo già tutto; noi che abbiamo osservato come guarda il prossimo, noi che l' abbiamo visto sacrificare tutto per qualche dollaro in più... ben sapendo che quei dollari erano solo una maschera dell' onore.
Nessuno va al sodo come Tony Montana, riesce sempre a trovare la via più breve.
Nessuno vede il "sodo" come lo sguardo di Al Pacino, nessuno lo filma meglio di De Palma.
Alla fine di sodo c' è solo il muro contro cui tutti vanno a sbattere. Tutti sanno che c' è, anche noi spettatori, i corvi funebri gracchiano dall' inizio del film, eppure non disturbano. L' importante è sbattere a 100 all' ora facendo un bel botto. Il botto di Tony ancora echeggia in tutte le sale cinematografiche.
La strategia di chi "vede, prende e scappa" confonde il nemico che si aspetta una strategia. E' così che vengono spiazzati gli avversari di Tony.
L' ascesa di Tony non è contrassegnata da schermaglie e "mosse" a sorpresa. E' una sorprendente corsa a perdifiato.
Tony piace ai ragazzini della terza media che bigiano e vanno nel bosco a sfogliare i giornaletti porno; si prosegue sparando con la carabina ai tronchi, la retina ancora intasata da cazzi assurdi.
Tony rincuora chi non riesce a concentrarsi sulle espressioni e l' area del trapezio. Indica un futuro radioso, pieno di ricchezze impreziosite da morte e cicatrici.
I Guappi di Gomorra giocano con l' arma ripetendo le battute di Tony. L' infantilismo di successo li ha sedotti.
Tony. Chi odia il mondo pur essendone avido è condannato a riprodurne la smorfia mentre spara ai colombiani, e poi anche quella disgustosa con cui guarda e stringe il malloppo. Ma in fondo tutti noi sappiamo che non si tratta di avidità.
Non è avidità, è cattiveria.
Tony da piccolo a Cuba era pestato regolarmente dai compagni di scuola e di carcere, la sua statura fisica era per loro un lasciapassare. De Palma non ne parla e fa bene: perchè perdere tempo quando qui a Miami c' è tanto "sodo" da raccontare e il film dura solo 95 minuti. Perchè perdere tempo quando noi sappiamo già tutto; noi che abbiamo osservato come guarda il prossimo, noi che l' abbiamo visto sacrificare tutto per qualche dollaro in più... ben sapendo che quei dollari erano solo una maschera dell' onore.
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