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sabato 24 maggio 2008

Silvio... macchine usate e frigidità.

Silvio Pellico: Le mie prigioni.



Non capisco perchè insista ad imbarcarmi nella lettura di classici italiani dell' Ottocento, visto che ormai ho compreso quanto mi riesca insopportabile la gonfia retorica con cui vengono zavorrati.

Ora è la volta di Silvio Pellico. Uno dalla scrittura asciutta ed essenziale. Almeno stando alle varie "Introduzioni".

Invece l' effetto insiste. Evidentemente la retorica non è oggettiva ma solo "percepita". Strano, neanche questa scoperta mi sprona nella lettura.

Silvio è personaggio dall' insipida perfezione: si sente mancare come una dama senza ventaglio quando resta esposto ad un' ingiustizia perpetrata contro terzi.

Ma sa andare ben oltre: come un Cristo in croce cerca di considerare ogni giustificazione che sollevi i suoi aguzzini.

Quando pensa alla Libertà e alla Patria, non dico che pianga sempre. Ma come minimo...geme. Sì, geme. Geme di continuo. E' un pianto interiore e silenzioso, tossicchiato fuori, tradito appena da qualche nuova corrugazione nella geografia del volto, da sommovimenti sussultori delle spalle robuste.

Ricopre i suoi cari di tenerezze e li preserva da ogni dispiacere, a costo di sopportare sulla sua persona le aspre conseguenze di tanta magnanimità. Gli piace "pagare" di persona e correre a scriverlo nel diario.

Figuriamoci se c' è speranza che uno così tradisca. Hanno capito tutti la pasta d' uomo e rinunciano da subito alla tortura privandomi di pagine che, nel mio sadismo, lo confesso, pregustavo.

Io, da Silvio, una macchina usata la comprerei di corsa se l' avessero già inventata. Se fossimo circondato da Silvii, i notai farebbero la fame.

Dietro le sbarre s' immonachisce e, anzichè graffitare le pareti con disegnini e motti osceni, trascorre il suo tempo in una mestizia dolce, piena di pace e pensieri religiosi. Il secondino lo rispetta d' istinto, la sua persona emana un carisma inconfondibile.

Solo ogni tanto sopraggiunge qualche malattia. Niente di grave, dice. E intanto atteggia una smorfia con cui comunica al mondo intero l' esatto contrario. Con parole scelte dissimula ogni effetto per non impensierire chi lo circonda e attirare su di sè cure che sarebbero preziose altrove. Con la smorfia attira da ogni dove cure che sarebbero state più preziose altrove.

Silvio sembra avere un unico messaggio interessante da comunicarci: come alleviare il soggiorno carcerario.

E' l' unico momento in cui i toni altisonanti si smorzano. I grandi ideali ci danno tregua, ora si parlerà di "trucchetti", di bassi espedienti con cui ingannare il proprio spirito nelle lunghe domeniche carcerarie. Lo ascolto con l' attenzione che dedicherei a Silvan qualora il permanentato si decidesse una volta per tutte a tradire la deontologia.

Scopro che per stare bene bisogna affliggersi.

Spiegazione. Poichè il demone più insidioso che visita il detenuto è l' inquietudine, al fine di coprirne gli effetti ed annullarne il maligno lavorio, la cosa migliore consiste nel soffrire, ma, si badi bene, per la sorte altrui.

Nel consegnarsi ostaggio di una compassione universale sempre pronta a scattare, il proprio spirito sega le sbarre e si libera. Dopo aver preso una boccata d' aria, rientra in noi rigenerandoci.

Spirito... devo sempre concentrarmi in modo innaturale per farmi un' idea di cosa intendano con questa parolina questi uomini ottocenteschi che ce l' hanno sempre in bocca e nel calamaio. Dopo un tot di riflessioni a libro ed occhi chiusi mi sembra quasi di averlo capito. Ma mai del tutto. Fa niente, dopo quel tot prevale comunque l' esigenza di procedere ( ho voglia di sbolognare l' affare e sono solo al capitolo quadragesimoquarto).

Altro consiglione: evitare la rabbia e l' ira. Qui le dritte di Silvio convergono con quelle dell' SS di Buchenwald. Io e il quindicenne di "Essere senza destino" troviamo tutto ciò di grande buon senso.

Non un rigo dell' intera memoria puo' dirsi toccato da rinfrescante spirito umoristico. Questo è grave per un lettore del ventesimo secolo. Deprimente per uno del ventunesimo.

Ideale dedicatario di Piazze e Vie, i libri del Silvio sembrano privi di quell' asfalto che ci consenta di scivolarci attraverso altrettanto celermente.

M' impaludo, m' impastoio. Mi preoccupo di essere solo al "capitolo vigesimoottavo".

Sento che devo far uso della mia arma segreta: rinunciare a concludere e andare dove mi porta l' appetito. Prima tento ancora con brevi letture ad apertura randomizzata ma alla monotonia del random si associa la monotonia dei paragrafi.

Adesso calma e gesso. Mi si conceda qualche riflessione finale affinchè le diottrie lasciate in quel libro non debbano essere considerate completamente perdute.

Ho un po' preso in giro il Pellico eppure, sia chiaro, il suo messaggio è alto, nobile, condivisibile. Ma, per quanto vi aderisca, non mi emoziona sentirmelo riformulare in continue variazioni di cui mi sfugge la sottigliezza e mi investe la monotonia. Smetto presto di cogliere sia il contenuto che le variazioni.

A scuola era abbastanza noioso e, clamoroso!, è noioso anche a distanza di anni, anche dopo averlo "riscoperto".

Purtroppo è così: quello che mi sembrava noioso a scuola mi ammorba ancora oggi, con tutte le esperienze di vita e di lettura attraverso cui sono passato. Sembra un miracolo.

Sono grandi libri che non avevo capito ed ora posso apprezzare per il veritiero messaggio. Però, devo compiacermene, la loro pesantezza inerte l' avevo capita eccome.

Il linguaggio impiegato dista troppo dal mio cuore. Lo comprendo, riesco a "tradurlo" e a giudicarlo positivamente come ho appena fatto. Riesco a dominarlo. E' lui, purtroppo, che non riesce a dominare me, è lui che non riesce a sorprendermi scottandomi: ha ormai la distanza e la tipepidezza dei classici.

Ecco la mia definizione di classico: testo innovativo e che stabilisce un' ascendenza.

Se, nella limitata cerchia delle mie letture, penso ad una stirpe de "Le mie prigioni", penso alle catene della Hillesum, a quanto la naturale spiritualità cristiana di una non cristiana, sia riuscita a farle levitare. Ecco allora che al messaggio di Pellico si affianca la bellezza del buonumore nel Lager. Ma, poichè la bellezza non tollera connubi: sparisce il messaggio, resta la Bellezza. La furia di quella dea mi fa perdere il controllo, proprio quello che cerco aprendo un libro. Etty riscatta per me il debito con Pellico (abbandonato al capo settuagesimonono), mi prende per mano e mi estrae dalla frigida palude dei classici. Noi ce ne andiamo finalmente a leggere. Ciao.