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venerdì 25 marzo 2011

Lo sbadiglio del drago

Eliogabalo fu l' imperatore adolescente che, straniato dalla realtà e offeso dal banale, regnò a Roma tra il 218 e il 222, divorziò dalla moglie perchè le scoprì una macchia sul corpo; sovrano insignificante, sempre sovraccarico di ornamenti, sempre circondato da parassiti, sempre in preda a fole convulse, dette prova di lascivia e crudeltà cercando di non contaminarsi mai con sentimenti umani e dedicandosi con protervia al lusso sfarzoso e allo sperpero; con le sue rutilanti fantasmagorie seppe sedurre nel primo Novecento europeo i poeti più barbari come quelli più estenuati. Nel corso di una delle sue incursioni da travestito nella suburra finì finalmente ucciso e gettato dapprima in una cloaca, poi nel Tevere.

Splendore e angoscia di un uomo-bambino che scelse di vivere all' interno di una ghirlanda.

Antonin Artaud prese a modello l' imperatore pedofilo per mettere a fuoco il suo sogno amorale e per ispirare in modo consono la straripante voglia di infierire sul mondo facendolo a pezzi in modo da stornare il rancore che covava verso di sè e restituire così all' innocente i colpi ricevuti dalla vita. In gioventù leggevo esaltato le agitate pagine su cui il francese riversava il suo balbettio paranoico, anche per questo Eliogabalo è una vecchia conoscenza.

Oggi, più smaliziato e scevro da bollori, leggo invece quelle che alla esangue canaglia dedica ill raffinato Stefan George, tutto teso a sublimare l' arbitrio e la crudeltà in intransigente estetismo.

Per godere della lettura è necessario realizzare un transfert che ci proietti sulle vette di un narcisismo annoiato capace di tutto, intorno alla cima più elevata non scorgiamo che "oggettistica" varia messa lì per titillare i nostri sensi; guidati da un esasperato senso estetico assembliamo con ogni sorta di artifici un nostro mondo che la sovversione di ogni morale renderà incomparabilmente più bello di quello reale; in questo anfratto ci rifugiamo, è la tana del Drago, qui possiamo sagomare materie inanimate come il diaspro, il cristallo, il topazio, l' alabastro, o la trascolorata carne umana dei sudditi adoranti; possiamo poi far implodere il tutto in un' orgia fusionale da cui stillare per spremitura l' anelato "fascino dell' inorganico". Sono tanti e tali le materie che si giustappongono in sequela mentre lo sguardo ruota, che dobbiamo impreziosire il lessico ritoccandolo di continuo per enumerare con dovizia il catalogo merceologico.

Usciti fugacemente all' aria aperta subito si gonfia in noi una coscienza dolorosa che ci appesantisce, che ci dissuade presto dall' agire, che ci fa abortire ogni progetto di rinsavimento, che ci spinge a fuggire una terra sfibrata dal sole in ricerca di ombreggiati sopori lenitivi da far cadere sulle "palpebre ardenti": fuga alla ricerca di una pace assonnata in cui rinserrarsi. E' lo sbadiglio del Drago, e segnala più vanità più che viltà.

Solo l' astio per il prossimo istiga ancora un tumulto vitalistico, una chiamata alla vita che si manifesta in una beffarda dissipazione; le ultime energie se ne vanno mortificando e irridendo crudelmente l' impresentabile plebe. Nelle viscere della volgare marmaglia vorremmo leggere il futuro che ci attende dopo il suicidio. In questo modo sentiamo il bisogno di distrarci dall' oppressione dell' esistenza, così facciamo l' ultimo volo nell' aria calda che ammorba un mondo in cui non vogliamo più mischiare il nostro respiro con quello altrui.

Chiusi nel nostro laboratorio accumuliamo esperimenti stralunati in cerca di quei doni riservati ai pochi. Esempio: la mattanza dei mansueti fanciulli assopiti al termine del sereno e beato connubio omosessuale li sottrae al severo giudizio della società e procura all' eletto una quadruplice gioia: in primo luogo si assapora la solennità biblica di un rito mortifero perpetrato senza emozioni, in secondo luogo solo con l' oltraggio alla purezza infantile ci si avvicina veramente ad essa potendone intrattenere commercio, in terzo luogo si previene con l' omicidio il malcontento di una vita grama, schernita dall' incomprensione e ammorbata dalle rampogne; in quarto luogo conquistiamo il privilegio di assistere allo spettacolo unico del dolore che attanaglia i parenti gelando questi esseri vili ancorati senza scampo ad una morale ordinaria.

Riemersi da questo viaggio al termine della notte ci chiediamo cosa riscatti tanta nefandezza?

Penso alla visione dell' arte come rito religioso e anti-sociale. L' ostentato sprezzo dell' artista per ogni forma di vita pratica. L' illuminata denuncia indiretta dell' arte come antitesi al vivere civile; e uno spirare sotto l' auspicio di poesie finalmente sgravate da ogni opulenza e riconciliate con la semplicità del mondo così come lo intuiamo quando un certo "IO", ovvero il nostro vero nemico, non è lì a guardarlo e a ripensarlo ossessivamente.


Stefan George - Algabal - Casa Editrice Le Lettere


lunedì 28 febbraio 2011

Altro che persuasori occulti!

Mentre sognavate, avete mai avuto la sensazione che stavate sognando?

Avete mai sperimentato la metamorfosi che trasforma radicalmente eventi esterni al sogno in eventi interni? Per esempio: la sveglia che suona sul comodino, dentro al sogno diventa una sirena dei pompieri.

Se sì, ci sono le basi per apprezzare Inception.

Quello che sicuramente non avete sperimentato, comunque, è il "sogno condiviso".

Non fa nulla, potete immaginarvelo: se due sognatori sono in qualche modo fisicamente connessi, i loro impulsi cerebrali (i sogni non sono altro che impulsi cerebrali) interagiscono; ipotizzando una qualche forma di addestramento, si puo' immaginare una qualche forma di coordinamento dell' interazione. Si puo' anche immaginare che un terzo sognatore "forzato" (la vittima) possa essere influenzato dagli "addestrati" attraverso la sottrazione o l' innesto di idee che lo rendano poi quella persona diversa al suo risveglio.

Altro che "persuasori occulti"!

Tutto quadra, in teoria.

E tutto il resto è cinema, cinema scatenato, come è facile immaginare.

Altra domanda che senz' altro vi ha tormentato a lungo: cosa passa nella testa di Giucas Casella quando legge e domina la mente altrui?



Come escludere che viva avventure in parte simili a quelle di Di Caprio?

***

Se un impulso cerebrale che ha luogo nella realtà puo' essere trasformato nel sogno in un elefante o in un elicottero che precipita o in un treno in corsa, immaginatevi quali e quante spettacolari avventure possono essere messe in scena: un senso di colpa verso la moglie tradita puo' trasformarsi in una tigre antropogaga che irrompe nel sogno all' improvviso.

Consiglio due autori "colti" per prendere confidenza con la dimensione di Inception.

Antonin Artaud: per lui la nostra mente era un palcoscenico; era anche l' unico Teatro in cui lui volesse rappresentare le sue pièce. La smisurata crudeltà che metteva in scena, non era altro che la metaforizzazione di pensieri intimi. Così, in Inception, le rocambolesche avventure sono un coacervo di metafore che noi dobbiamo interpretare e che rinviano alla quasi-immobile intimità del reale.

Tyler Cowen: per lui il grado di interiorizzazione (autismo, sogno, preghiera...) osservabile in una società, misura il grado di avanzamento di quella civiltà. Probabilmente esisono molte forme di vita intelligente nell' universo, civiltà molto più avanzate della nostra, ma di esse non abbiamo notizia ed è normale che sia così: a causa dell' inevitabile introflaessione a cui tende ogni intelligenza superiore, non sono interessate al contatto con noi.

Nel video Cobb addestra Arianna alla condivisione dei sogni.



problemi video?: http://www.youtube.com/watch?v=DzTI_xqaVbY

lunedì 3 maggio 2010

Genealogie libresche

Dei fenomeni incongrui opprimono con il loro mistero la mia vita parallela di lettore.
Un certo istinto edipico informa alcuni miei comportamenti inconsulti. Non riesco sinceramente a spiegarmeli pur non potendo rinnegarli.
Con calma cerco di fare mente locale. I libri stanno di fronte a me tutti allineati e parificati sullo scaffale.
Ma quando poi ci guardiamo in faccia, sappiamo benissimo, sia io che loro, che non è certo una relazione egalitaria a collegarli/ci.
Intricate parentele finiscono per disegnare un imponente albero genealogico tra le cui fronde è bello giocare e perdersi. E' il gioco delle ascendenze.
***
Alcuni libri sono ricavati dalla costola di un parente/libro ben identificato, altri fuoriescono dal combinato disposto di una pluralità ristretta, altri ancora hanno progenitori vaghi che comunque potrebbero essere vagamente designati. Poi ci sono quelli usciti dal nulla che hanno partorito una ristretta ma solida discendenza. Poi ci sono quelli che dal nulla sono usciti e nel nulla sono sterilmente rientrati. Non dimentichiamoci degli orfanelli.
Potrei andare avanti.
Alcuni Patriarchi sono stati particolarmente prolifici creando delle vere e proprie colonie che s' impolverano al loro fianco ben allineate sulle monocrome mensole dell' Ikea.
Veramente adorabili questi nipotini. Quindi, si direbbe, venerabile il capostipite? Calma.
Per essere più esplicito faccio un caso che deve intendersi come uno tra i tanti.
***
Devo ammetterlo, oggi non posso più rinunciare ad espormi regolarmente alla sfiammata sulfurea di un certo Antonin Artaud, come potrei esimermi dall' auscultare il suo formidabile rantolo gutturale?
Chi puo' sottrarmi al raccoglimento indotto dalla sua farneticante profezia?
Che gioia soccombere ad un simile plagiatore. Che spasso vederlo sfidare i dieci Comandamenti tutti in una volta!
Che emozione seguirlo mentre si aggira come un animale colpito al ventre e ascoltarlo che spiega a tutti, con gli occhi fuori dalle orbite, quanto bruci la ferita!
Questa felice dipendenza mi è stata regalata a monte dalla lettura di un classico di Jacques Derrida: "La Scrittura e la Differenza", Einaudi editore. E' lì che scoprii la vena di Artaud.
***
Devo ammetterlo, oggi non posso più rinunciare a perdermi con regolarità nel labirinto interrogante di Edmond Jabès.
Non riesco a trattenermi, ogni tot. devo raccogliere i miei quattro stracci e farmi nomade con lui.
E' un imperativo ineludibile: devo unirmi a lui nel suo sforzo continuo di spostare il confine, di svellere il cippo.
Ammetto con ritrosia che anche questa felice dipendenza mi è stata regalata in principio dalla lettura di un classico di Jacques Derrida: "La Scrittura e la Differenza", Einaudi Editore. Già sentito?

 


Se poi la buttiamo in filosofia devo rivelare la fascinazione che ho sempre subito per lo specchio abissale degli sguardi reciproci così come lo descrive un "filosofo poetante" come Levinas.
La sua tesa e convincente narrazione del Volto Altrui mi torna in mente come chiave di volta nelle situazioni più disparate.
Con un simile strumento nelle mani riesco a sbrogliare nella mia testa le matasse più intricate.
Ammetto a denti stretti che anche questa persona valorosa mi sia stata presentata da Jacques Derrida per tramite di un suo classico: "La Scrittura e la Differenza", Einaudi Editore. E' lo stesso tomo a cui accennavo più sopra.
***
Finisco anche se non è finita.
Molti amori letterari sinceri e duraturi gli ho ereditati dalla provvidenziale giovanile lettura di un classico di Jacques Derrida. Il titolo è noto, trattasi de "La Scrittura e la Differenza", Einaudi Editore.
Oggi, gran parte del mio tempo, quando sono impegnato a scambiare idee sui libri letti, lo passo ad esaltare la potenza di fuoco di Antonin Artaud, lodo lo sbrego del suo artiglio, incito il mio interlocutore a lasciarsene uncinare le carni.
A seguire non manco mai di portare alle stelle la Metafisica itinerante di Edmond Jabes, raccomando a chiunque di confrontarsi con l' irrequita insaziabilità di questo ispirato questionatore.
Chiudo sempre con l' elevazione di un peana per Levinas, disvelatore sommo della nostra condizione terrena che si specchia al meglio solo nell' occhio vigile del prossimo.
Se poi avanza tempo non ho dubbi su come impiegarlo.
Già mi vedo concitato e convinto redigere l' Indice dei libri dannosi che inquinano, intossicano e sviano un sano approccio alla lettura.
E' con gioia che estirpo e scaravento nella polvere calpestandola con frenetica eccitazione una simile gramigna.
La graduatoria di questi testi corruttori delle tenere intelligenze è inaugurata da una iattura senza pari.
Non so nemmeno se vale la pena dirlo a questo punto. Ma che lo dico a fà?
Ovviamente trattasi di un classico di Jacques Derrida: "La Scrittura e la Differenza", Einaudi Editore. Una vera mina vagante. Uno schifo. Bleah.

giovedì 21 gennaio 2010