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lunedì 4 febbraio 2008

Ribelli con troppe cause




Non sopporto più che mi si descrivano i sentimenti di indignazione, nausea, repulsa & ribellione, senza che siano prontamente abbinati con il resoconto della tipica ed immancabile immaturità di chi li prova.

Detto questo si buon ben capire come, pur sentendomi empatico alle vicende di tale Holden, mi siano risultate estranee ed intangibili quelle analoghe del clown Hans Schnier; con tutto che abbia un' opinione di riguardo per il Boll romanziere. E che sia disposto a mettere Boll sopra Salinger lo ribadsco a chi non lo ha sentito bene. Perchè sì, perchè se uno riesce a "volare basso" senza dover far ricorso a gerghi, argot, deformazioni sintattiche e sgrammatticature, tanto di cappello. Parlo sul serio. Ma ribadisco anche che "Il giovane Holden" l' ho trovato più riuscito, più leggibile, e meno intaccato dal tempo se paragonato alle "Opinioni di un Clown".

Da Holden non possiamo aspettarci niente se non che ci offra il purissimo spettacolo interiore della sua asociale e sgangherata inquietudine. L' inquietudine così com' è. Ovvero la cattiva consigliera che ti fa uscire dal solco per portarti su piste contorte, le quali, dopo averti prosciugatato ogni energia, ti depositano dove la via maestra ti avrebbe condotto facendo un passo. Una passeggiata che forse ossigena anche il resto della vita...ma beato chi puo' evitarla. Questo girovagare, visto da fuori, è persino divertente. E infatti leggendo Holden ci si diverte.

Tutto sommato Holden rimane un buon personaggio una volta liberato dall' assoluzione (vero galleggiante di piombo) che ne dette il popolo del 6 politico e dei ribelli assistiti, i quali, con l' alibi della purezza, arrivarono ad esaltarne le fughe e l' irresponsabilità(!?). Lui, anima in pena e in cerca solo di condanne.

Dall' amarezza teutonica e dai livori sociali del cattolico Hans invece ti aspetti che spunti fuori all' improvviso una nuova quadrata ortodossia, una nuova religione piena di spigoli. E forse c' è un' intera generazione che ha fatto proprio quel tragitto, lasciando alla sconcertata generazione successiva solo la possibilità di rifluire passivamente.

Il pericolo è quello di abbandonare l' ingiustificabile e magistrale imprecazione per degradare verso un "disagio da privilegiati". Mi sa tanto che Boll fallisca nell' aggirare questo rischio quando mette in scena il suo odio. L' odio per la convenzionale, inconsapevole e ipocrita letizia che permea l' ambiente sociale del protagonista, per l' ottusa dolcezza di una madre, per le rumorose e vitali risate cattoliche. Intorno al suo satirico spillone che vorrebbe tanto pungere finiscono per inanellarsi troppi cliché ormai sbiaditi e poco convincenti.

Il sentimento dell' odio deve instupidire chi lo prova. Quando l' onda morta del rancore si alza nel suo mare nero ed investe il nostro petto, ci lascia dimezzate le già misere facoltà. Se questo non accade allora la realtà non è ben resa. E nel libro di Boll non è resa bene. Se proprio non vogliamo metterci la stupidità mettiamoci almeno una paura instupidente. Ma non c' è nemmeno quella. Ah, se Hans si limitasse a bere e a precipitare invece di rivolgere la sua troppo vigile attenzione verso l' insopportabile vicino! Molta letteratura di lingua tedesca successiva sarà grande nell' esprimere l' astio per il prossimo (Bernhard è un sublime livoroso) ma l' anatomia dell' interiezione che fa Boll mi lascia freddo.

Se il companatico è di dubbio gusto il condimento però è eccelso. Per esempio, l' arte di dipingere l' epidemico degrado delle relazioni sociali che investe l' odiatore incontinente. Il tutto accompagnato da fugaci speranze di recupero e dall' iconcludente tentativo di minimizzare. Quel retrogusto della coscienza falsata, quella ingannevole e costruita sensazione dello "scolaro negligente che si trascina facendosi delle illusioni fino alla consegna delle pagelle". Per tutto cio', non c' è che dire, ho trovato in Boll un cantore ispirato.