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venerdì 3 gennaio 2020

3 National Consciousness vs Denationalized Identity - COSCIENZA NAZIONALE vs IDENTITA' APOLIDE

COSCIENZA NAZIONALE vs IDENTITA' APOLIDE

Nella politica il grande scontro è quello tra "coscienza nazionale" e "identità denazionalizzata", si tratta di concezioni concorrenti sulla natura dell'autorità e dell'identità.
In passato abbiamo vissuto qualcosa di simile quando si contrapponevano valori religiosi e valori laici.

L'anti-populista del XXI secolo inquadra il sentimento nazionale come un pregiudizio obsoleto, pericoloso e irrazionale. Esattamente come il laico bollava ieri il sentimento religioso. Questa posizione ha guadagnato un monopolio esteso nella cultura d'élite, dove il sentimento nazionalista tende a essere deriso e comunque indicato come sinonimo di mentalità ristretta; insomma, una qualità negativa che giustifica perfino la condanna morale.
                
E' questa una tendenza che arriva da lontano. L'autorevole saggio "Il nazionalismo come religione" di Carlton J. H. Hayes (1926) considerava il nazionalismo come l'equivalente irrazionale della religione e lo associava a pratiche ataviche, mistiche ed emotive. Una specie di "religione civile" che esercita una grande e perniciosa influenza emotiva sulle masse. Un simile atteggiamento segnava la reazione dell'intellighenzia liberale alle devastanti conseguenze della prima guerra mondiale. I nazionalisti diventavano in automatico ignoranti e prevenuti. Insomma, disumani. Più tardi anche John Hobson avvertiva dei pericoli e dei disturbi associati al nazionalismo aggressivo.
                
L'ascesa dell'aggressione nazista, la catastrofe della seconda guerra mondiale e l'Olocausto sono spesso percepite come l'inevitabile conseguenza del nazionalismo, un'ideologia artificiale e pericolosa perché puo' condurre alla mobilitazione di masse rabbiose e promuovere cause di esclusione a sfondo razziale. Secondo questa concezione "teleologica" del nazionalismo, ciò che inizialmente appare come una manifestazione innocente dell'identità e della lealtà nazionali sfocia poi inevitabilmente in aggressioni e discriminazioni. Il nazionalismo non è solo "potenzialmente pericoloso" se non eccede ma costituisce una minaccia intrinseca alla convivenza. Nazionalismo è ora sinonimo del razzismo più volgare. Ci sono eccezioni? Sì, l'uso del termine in GB identifica ancora un sentimento positivo. ma sul continente la battaglia è aperta.

Purtroppo, non è più possibile affermare dove sia la linea di demarcazione tra nazionalismo benefico e dannoso. Gli sforzi in questo senso assomigliano a sofismi della peggior specie, tanto è vero che a partire dagli anni sessanta la condanna non ha più fatto sconti e il sentimento nazionale ha cominciato lentamente ad essere trattato come una sgradita patologia irrazionale. Autori come Karl Deutsch riuscivano a malapena a nascondere il loro disprezzo per i cultori del sentimento nazionale. Oggi tali sentimenti vengono giudicati dai sostenitori dell'UE alla stregua di un retaggio primordiale, e andrebbero rimpiazzati da un nuovo collante: il legalismo. Il fatto è che dove il nazionalismo domina, prima o poi le tendenze all'esclusione fioriranno.
                
Un problema simbolico è la Legge fondamentale dell'Ungheria, per il tecnocrate legalista rappresenta un indesiderato ritorno all'irrazionalità di un passato pre-moderno. Qui ho chiamato "tecnocrate" chi in realtà impersona una forma denazionalizzata di identità civica, è lui il nemico dell'Ungheria. Ma la genealogia politica non è limpida, l'ostilità dei liberali nei confronti della lealtà nazionale è uno sviluppo relativamente recente. Gli ideali liberali dell'Illuminismo coincisero con l'ascesa degli stati nazionali, i leader della rivoluzione francese, per esempio, adottarono il linguaggio del nazionalismo, e per loro la lealtà alla Nazione fu sempre un valore di primo piano. Per i rivoluzionari francesi, come per quelli americani, nazione e popolo erano indissolubilmente legati: la sovranità è una, indivisibile, inalienabile e imprescrivibile... e appartiene alla Nazione! Per l'articolo 3 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo del 1789 tutta la sovranità risiede essenzialmente nella nazione.

Tuttavia, le cose sono molto cambiate da allora. Oggi gli accademici cosmopoliti considerano la loro attuale crociata contro il nazionalismo come l'equivalente storico della lotta contro la superstizione religiosa. Un classico rappresentante di questo mondo - Ulrich Beck - parla di "teologia nazionale". C'è in questo atteggiamento una reazione all'esperienza negativa della seconda guerra mondiale, in particolare in Germania, dove l'onere della colpa deve essere calato nella mentalità pubblica in modo da rimpiazzare la patria con la legalità e la razionalità. L'astratto legalismo razionale è la cura individuata conto le passioni nazionali, sempre pronte ad intensificarsi divenendo aggressive verso i vicini. La UE ti impone questo e quello? Ma all'origine c'è un voto del tuo parlamento, quindi è tutto legale, non ci sono problemi!

All'indomani della seconda guerra mondiale, uno degli obiettivi immediati fu quello di contenere la rivalità nazionale di lunga data tra Francia e Germania. Per questo l'UE fu percepita fin da subito come un antidoto ai macelli del XX secolo causati dal "nazionalismo". Per Churchill stesso, il presupposto per l'unità europea era la creazione di un "partenariato tra Francia e Germania". Anche per Schuman l'unione delle nazioni d'Europa richiede l'eliminazione della secolare opposizione di Francia e Germania. I primi tentativi di promozione dell'unità europea non erano però esplicitamente diretti contro l'integrità dello stato nazionale, l'unità europea, al più, rappresentava una reazione a ciò che veniva percepito come un eccesso di nazionalismo. Protagonisti dell'operazione furono i cattolici: i valori cristiani e la dedizione all'unità europea erano un mezzo di redenzione per i peccati tedeschi passati. Ancora oggi la CDU è il cardine dell'operazione Europa. I cattolici, si pensava, sono internazionalisti per natura. Ma questo è vero? Mah, nell'800, durante l'ascesa dello stato nazionale, questo poteva anche essere vero: la Chiesa cattolica romana considerava il nazionalismo come una grande minaccia ideologica; ma più tardi i nemici divennero altri: comunismo, secolarismo e consumismo individualista.

Sia come sia, dopo questa fase iniziale dell'unione europea, l'odio culturale verso l'idea nazionale crebbe, nel ventunesimo secolo non è solo il nazionalismo politico, ma il semplice senso dell'orgoglio nazionale, ad essere considerato come problematico. La Merkel stessa, nelle politiche migratorie, ha cercato di stabilire un netto contrasto tra le sue misure e quelle motivate da preoccupazioni nazionaliste. Era importante smarcarsi, anche quando di fatto si facevano le stesse cose; era necessario auto-etichettarsi come "conservatori compassionevoli" per non rientrare tra i "cristiani sovranisti". Non era solo una questione di sicurezza, erano in gioco la differenza fondamentale tra i "cosmopoliti" e i "nazionalisti". Oggi, nemmeno il termine "buon patriota" ha un'accezione positiva nel vocabolario politico delle élite dell'UE. Eppure, per una parte significativa della popolazione dell'Europa orientale, il senso di nazionalità è ancora fondamentale per l'identità che garantisce, e questo sarà un problemone.

venerdì 8 marzo 2019

Alle radici del populismo europeo SAGGIO



Alle radici del populismo europeo


Per entrare nel dettaglio della “battaglia contro i valori” che si combatte in Europa da qualche decina di anni merita di essere letto il saggio: “Why Hide our Shared Values? The problem of tradition” scritto da Frank Furedi. Si concentra sul “caso” della costituzione ungherese ma la sua portata va oltre e da esso si evincono le colpe del flagello populista. Con tanto di nomi e cognomi. Uno su tutti: Habermas.
Di seguito qualche appunto frammentario per meditarlo al meglio.
***

Il tecnocrate non dà valore alla tradizione, a lui sembra irrilevante.

Anche i valori non sono molto amati dalla burocrazia alla guida della “macchina”. La stessa parola, “valori”, quando viene pronunciata, crea scompiglio.  Deve esistere solo il “libretto delle istruzioni“.

Il passato di una nazione è percepito dal tecnocrate come un territorio pericoloso.

Perché gli anti-populisti sono sempre anti-tradizionalisti? Perché i due ruoli si confondono?

Il critico illuminato: il populismo ha sempre un atteggiamento nostalgico. Percepisce ingenuamente il passato come l’età dell’oro.

L’accusa ricorrente degli illuminati: i populisti hanno una percezione distorta del presente.

Ma vale anche l’inverso: la svalutazione del passato conduce all’idolatria del presente. Al “presentismo“.

Progressismo panglossiano: viviamo nel migliore dei mondi possibili. Tipica tentazione del tecnocrate illuminato.

D’altronde, una nostalgia s’insinua realmente in mola gente. Non solo per gli anni trenta ma anche per i sessanta.

Il disprezzo del passato mette tutto sotto accusa. Esempio, il modello familiare del dopo guerra. Chi lo ripropone è praticamente un fascista.

La crociata contro il passato investe i modi scelti 30 anni fa per la socializzazione dei nostri giovani. Per l’illuminato non solo sono inadeguati ma minacciano i diritti umani.

I vecchi sono visti come irrilevanti, in fondo la cultura di cui sono portatori è valutata come dannosa.

La diversità ungherese: desiderio di riscoprire le proprie radici. Obbiettivo: recuperare e preservare l’eredità degli avi.

Non solo nostalgia. I valori danno un senso, e noi abbiamo bisogno di senso.

IL PROBLEMA DELLA TRADIZIONE

Il ripudio del passato non è sempre evidente, la UE, per esempio,  sponsorizza una quantità di festival dove si celebrano le nostre conquiste nell’arte, nella scienza e nella architettura. C’è una tradizione “sana”.

L’attacco si concentra piuttosto su costumi e valori.

Obbiettivi da colpire: nazione e religione.

Gli alfieri dell’attacco: la sinistra filo-europea, in particolare gli intellettuali.
Esempio di un acerrimo nemico dell’Ungheria: Jürgen Habermas.

Il disprezzo per la tradizione è particolarmente diretto verso i valori nazionali.

Il progetto di Habermas: distanziare la gente e i valori comunitari.

Habermas: occorre insistere sui diritti delle minoranze a scapito dei diritti di autodeterminazione nazionale.

Habermas ama le identità post-tradizionali e post-nazionali.

Habermas: occorre una politica del riconoscimento e di affermazione delle identità minoritarie.

Il vero nemico delle minoranze per Habermas: la coscienza nazionale.

La battaglia di Habermas: per una coscienza atemporale dei diritti. Evitare i riferimenti al passato. Non focalizzarsi sulle tradizioni culturali, nemmeno su quelle virtuose.

L’ambizione di Habermas: liberarsi da ogni tradizione.

Il progetto europeo deve diventare una reazione al nostro passato. Fin qui Habermas.

Il passato per Habermas: un ciclo di crescente violenza distruttiva culminato nella Germania nazista.

Habermas: il supporto della tradizione implica una mentalità acritica.

Habermas: il culto della tradizione implica la  passività della persona.

Habermas: il nazionalismo è un rigetto della ragione umana.

Un altro esponente del movimento anti-ungherese: Jan-Werner Müller.

Uno studio di Furedi: il pensiero tradizionale non è sposato acriticamente.

Una critica ai critici del populismo: falliscono nel comprendere come la tradizione cambi e si adatti alle mutate circostanze. Loro hanno in mente invece una serie di dogmi statici. Non è così, esiste anche una dinamica delle tradizioni.

Un fine sociologo delle tradizioni fu Edward Shils, per lui il passato poteva essere una valida guida. Il passato ha una sua saggezza.

Alternativa: cambiare ma con rispetto. La gente deve essere coinvolta nel superamento della tradizione.

Il ruolo della ragione: mediare la tensione tra il sapere ricevuto e le nuove esperienze. La vulgata habermasiana semplifica troppo e finisce per essere controproducente.

Per Habermas la tradizione, oltre che irrazionale, è violenta e alla base del supporto a Hitler.

Per Habermas l’olocausto invalida tutta la saggezza ricevuta. Occorre ripartire dalla ragione.

La bestia nera di Habermas: Hannah Arendt.

Tesi della Arendt: il nazismo è una rottura con il passato, non il suo inveramento.
 L’olocausto ci chiede di riaffermare la tradizione, non di abbandonarla.

Arendt: è il rigetto della tradizione a gettarci in un Brave New World totalitario.

Ma per Habermas l’olocausto non è cominciato con le camere a gas, bensì con le parole del gergo nazionalista.

Nella logica habermasiana: tutto il male è dietro mentre davanti sta un possibile bene. Non riecheggia Voltaire?

Le preferenze di Habermas vanno verso un costruzionismo astratto. Costruiamo da zero il nostro bene.

Il linguaggio di Habermas ci comunica un senso di paternalismo misto ad ambizioni di ingegneria sociale.

Così come il passato ci ha condotto ad Auschwitz, il tradizionalismo populista è destinato a tragiche mete.

L’antidoto di Habermas al totalitarismo di massa: un patriottismo costituzionale.

Famiglia, nazione e religione non possono essere abolite di punto in bianco ma la loro sfera di influenza puo’ essere ridotta.

Habermas: occorre incoraggiare un clima di scetticismo verso le autorità tradizionali e i valori classici.

Il costituzionalismo patriottico ha un’identità plurale. La pretesa egemonica va combattuta.

L’Ungheria – e il suo tentativo di promuovere la tradizione e l’identità nazionale – come ostacolo concreto al progetto di costituzionalismo patriottico.

Chi recupera la tradizione viene bollato come “forza oscura del conservatorismo fascista”. Ed ecco che rispunta il link con il fascismo.

Per molti l’Ungheria non è impegnata in un recupero ma in un revival folkloristico. 

Molte nazioni UE hanno problemi con la loro bandiera. Inghilterra e Union Jack.

Dopo Trump dare fuoco alla bandiera è un dovere sentito in molte università.
Il simbolo della nazione e il sentimento di continuità della storia è per molti di noi un corpo estraneo.

Già tra le due guerre Ferdinand Tönnies faceva notare l’opposizione tra il tecnocrate e i costumi.

C. J. Friedrich ci fa invece notare che nel XX secolo il termine “tradizione” ha assunto connotati negativi.

Ma l’ostilità verso la tradizione spesso si esaurisce in un culto del presente senza un progetto solido per il futuro.

Il sentimento nazionale è percepito da Habermas come una malattia. I dottori sono gli illuminati ingegneri sociali.

Il tecnocrate illuminato soggiace talvolta a evidenti tentazioni colonialiste: imporre i valori UE ai paesi dell’est. C’è anche una parolina che si riferisce a questo progetto: “europeizzazione”.

Già nel progetto originario di Monnet veniva incoraggiata un’ Europa de-teritorializzata.
LEGITTIMITA’

Eppure il nazionalismo combattuto in questa maniera non fa che prospera. Perché? Perché si sviluppa in modo tanto spontaneo? Perché il nazionalismo ungherese ha prevalso sulla modernità?

In Europa ci sono due tipi di paesi: quelli che possono dare per scontata la loro unità e quelli che l’hanno raggiunta di recente lottando e se la vogliono godere. Tra i secondi c’è l’Ungheria insieme ad altri paesi dell’est.

Durante la dominazione sovietica gli ungheresi erano scoraggiati dall’esibire la loro nazionalità. Hanno vissuto decenni prigionieri di questo incubo.

Curiosità. Il nazionalismo ungherese è promosso dapprima dalle forze di sinistra che vogliono in questo modo far dimenticare l’esperienza sovietica prendendone platealmente le distanze in questo modo.

Questa tendenza cessò e si capovolse nel corso della “diatriba sulla Corona”. Una roba noiosa su cui qui non perdo tempo.

L’autorità puo’ fondarsi sulla religione, sulla tradizione, sulla sovranità popolare, sulla scienza, sul carisma di un leader, sulla legalità. Ci sono molti fondamenti ma alcuni sembrano migliori di altri.

Tesi Arendt: rimpiazzare la tradizione con la scienza e la legalità è una mossa perdente. Scienza e legalità non hanno un solido fondamento morale.

La legittimità del governo ungherese. Sembrerebbe riposare nella relazione con l’Europa e nella storica vittoria del capitalismo sul sistema sovietico.

Habermas riconosce il problema del fondamento: ovunque la legge trae la sua autorità da qualcosa che è esterno ad essa.

Si coglie l’inconsinstenza della retorica dell’anno zero. Non sembra tener conto di questa esigenza poiché facendo tabula rasa del passato liquida anche i fondamenti più collaudati.

La dichiarazione d’indipendenza americana faceva esplicito riferimento a Dio, qualcosa che trascende ogni discussione.

Oggi Ungheria e UE sono divise da un solco che mi sembra chiaro da quanto dettoIl problema del fondamento ha a che fare con questa divisione.

La critica alla tradizione non fa che rinverdire un vecchio approccio, quello dell’illuminismo francese. Siamo alla fine del 700, in piena età della ragione, un periodo in cui scienza e razionalità erano descritte come i poli opposti della tradizione.

Un esempio: Diderot. Per lui tradizione e pregiudizio si identificavano.

L’illuminismo francese non sembra disposto a fare distinzioni tra valori virtuosi e viziosi, tutta la moralità che ci viene dal passato va riformata alla radice.

Il pensiero di Habermas si è rivelato vincente, ma solo presso le élite e gli intellettuali. Un limite preoccupante.

Su questi temi è bene consultare Carl Joachim Friedrich, “Tradition and Authority” (1972). La sua tesi: la tradizione non è mai scollegata dalla ragione. la tradizione è un problema solo quando è fine a se stessa. In questo caso puo’ diventare ideologia (tradizionalismo).

Anche la Arendt ammetteva che la perdita delle tradizioni ha un aspetto positivo: è possibile guardarsi indietro con rinnovata freschezza. Un po’ come leggere i grandi libri senza che ci vengano inflitti a scuola. Un po’ come sposarsi in chiesa quando questa scelta non è più avvertita come un dovere.

Tuttavia, nella perdita della tradizione prevalgono le perplessità. Per la Arendt tradizione e “profondità” si implicano a vicenda.

Il regno della tradizione è il regno del significato e dei valori. Impossibile rinunciarvi.

Le tre possibili basi del potere per Max Weber: 1) Razionalità, 2) Tradizione, 3) Carisma.

La critica di Friedrich: non puoi opporre così la ragione alla tradizione.

Ma c’è di più: ragione e legalità hanno una base fragile, non sono autosufficienti. Altro motivo per non considerarle a sé.

Ma lo stesso Weber non capiva come il declino della tradizione potesse essere rimpiazzato da un nuovo fondamento dell’autorità.

La ragione non possiede le risorse morali e culturali necessarie per motivare e influenzare la gente. Non potrà mai confrontarsi con la religione.

David Beetham: senza una base morale l’autorità politica non regge.

Robert Grafstein: proporre la legalità come fondamento significa fornire una vuota risoluzione verbale come soluzione di un problema sostanziale, quello dell’obbedienza.

Lawrence Friedman: la legge ha un’autorità limitata. Occorre di più affinché “giri”.

Habermas e il suo tentativo di elusione: dobbiamo trasformare i problemi politici in problemi giuridici. In questo modo anche la questione della legittimità si attenua.

Cosa occorre? Un’alleanza tra tecnocrati e tribunali.

L’obbiettivo: deflazionare la sete di legittimità.

François Foret e Annabelle Littoz-Monnet studiano il tentativo in atto di sostituire al legislatore l’esperto regolatore.

Ma è proprio da questo tentativo “provocatorio” che dà vita al populismo più arrabbiato.

Questioni come gli stili di vita, la famiglia, la riproduzione, la sessualità non possono essere confinati nel privato delle persone o ai convegni degli esperti che poi somministrano le loro formule attraverso la scuola di stato.

Da questa inadeguatezza esplodono le guerre culturali. La cultura si politicizza.

L’alleanza dei populismi con Putin. Vladimir Putin cerca di porsi come leader che lotta per la tradizione cristiana. Coltiva l’immagine di una Russia crociata. I suoi bersagli: l’Europa senza generi e senza più fertilità.
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