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giovedì 6 giugno 2024

La vaghezza di Quine -

 La vaghezza di Quine -


La vaghezza sembra un deficit epistemico: non possiamo sapere tutto e, spesso, nemmeno è utile approfondire troppo. Che senso avrebbe sapere con esattezza cosa intende Tex Willer quando ordina al Saloon "una bistecca con una montagna di patatine"? Quante patatine intende avere nel piatto? Si puo' andare oltre pensando la vaghezza come utile per la ricerca della verità in comune, come una forma di richiesta d'aiuto che indirizza appropriatamente i nostri soccorritori. Esempio, io parlo qui vagamente della vaghezza ed ecco che interviene Montagner Alessio con un commento dettagliato che mi chiarisce ogni cosa chiudendo la questione. Oppure puo' servire a coordinarci meglio: se l'Onda Verde fosse troppo dettagliata nel riportare un ingorgo orribile rischierebbe di deviare tutto il traffico nelle strade minori creando un ingorgo ancora peggiore. Pensate a quali virtuosismi linguistici deve ricorrere se l'obbiettivo ottimale è quello di stornare solo il 70% delle vetture? Persino Dio sembra trovare utile la vaghezza quando intende farsi conoscere da noi senza farsi conoscere troppo, forse anche lui persegue un duplice obbiettivo: manifestarsi senza conculcare la nostra libertà di sceglierlo. lo stesso dicasi per gli UFO. Perché non dicono chiaramente che ci sono e ci guardano? Forse non vogliono interferire per scrupolo morale ma al contempo vogliono alimentare i nostri dubbi qualora ci venisse in mente, una volta ottenuti i mezzi, di "partire alla conquista dell'universo". Ascoltate un banchiere centrale (Draghi) che parla agli operatori finanziari durante una crisi: deve creare aspettative mentendo ma anche conservare la sua autorevolezza per la crisi successiva. E che dire dei mafiosi? La loro ambiguità funzionale è talmente spettacolare che sono il soggetto ideale per molti film e molti libri. Questo perché spesso devono dire cose che ogni ascoltatore interpreti in modo differente. Del resto, un'attività umana tra le più nobili - quella artistica - sembra concentrarsi unicamente sul linguaggio suggestivo. Un motivo ci sarà. Ma l'uomo non deve solo chiedere aiuto, coordinarsi o godere della bellezza, deve anche comunicare, cosicché non puo' rinunciare alla chiarezza. Per questo molti filosofi si sono dedicati alla chiarificazione dei termini. Frustrati dai successi della scienza, hanno per un attimo accarezzato l'idea di avere un campo legittimo tutto loro. Il progetto di isolare un linguaggio analitico sembra ormai sfumato, specialmente da quando hanno scoperto di non poter distinguere l' "analitico" dal "sintetico". Una proposizione analitica è vera in virtù del suo significato, senonché un famoso filosofo dimostrò che anche le proposizione con un significato ben definito in realtà non ce l'hanno. Qualche talebano ha concluso che la distinzione analitico/sintetico non esista, il che pare piuttosto assurdo visto che ogni filosofo, ma anche ogni persona ordinaria, è in grado di classificare in modo affidabile nelle due categorie e produrre indefinitamente molti esempi di proposizioni 'analitiche' e 'sintetiche' che non sono mai nessun altro filosofo mette in discussione (tipo "ogni dodecaedro ha 12 facce"). Non è questa una forte prova che la distinzione esiste? Da questo puzzle, del resto, si puo' uscire in modo semplice sostenendo che il significato di "analitico" non è ben definito. Quindi, la distinzione esiste ma ha un residuo di vaghezza. Non è poi così grave visto che tutte o quasi tutte le parole più importanti della filosofia non sono ben definite ma sappiamo cosa significano, almeno per i nostri scopi.

venerdì 24 agosto 2018

L’ECCESSIVO RISPETTO PER LA SCIENZA

L’ECCESSIVO RISPETTO PER LA SCIENZA
La scienza ha un problema con la filosofia che meglio la sostiene: il positivismo.
Da un lato il positivismo sopravvaluta la scienza: la logica induttiva, ovvero la logica della scienza, non è affatto una logica affidabile, inoltre le ipotesi scientifiche non sono mai verificabili (disgiuntamente).
Dall’altro sottovaluta gli altri saperi: i sensi fisici non sono certo le uniche fonti di conoscenza non arbitraria. Negare ostinatamente che molta della nostra conoscenza si fondi su giudizi sintetici a priori sembra pretenzioso.

domenica 12 agosto 2018

Prime difficoltà del neopositivismo

Nella discussione dei protocolli i neopositivisti erano convinti che non esistesse il rischio di errore quando descrivo i miei dati sensoriali ad esempio quando dico di vedere un cerchio di colore rosso. Ma chi può garantire che dicendo rosso io intendo riferirmi davvero alle stesse sensazioni cromatiche a cui gli altri si riferiscono? È il problema del solipsismo.

Alla critica del solipsismo si reagisce recuperando l' olismo duhem il quale spiegava che nessuna esperienza Può confutare un enunciato da sola ma solo in congiunzione con tutta una serie di altri enunciati così per alcuni neopositivisti ora è unicamente nel contesto di altri enunciati che è un'esperienza può costituire la conferma di un certo enunciato. Inoltre non si può parlare di confronto tra un enunciato è la realtà poi che si cadrebbe nella metafisica ma solo di confronto tra enunciati. Per alcuni positivisti come Neurath la verità non consiste più Nella corrispondenza dell'enunciato con la realtà ma nella coerenza tra enunciati. Altri neopositivisti come Schlick si ribellarono tenendo che una favola ben costruita potesse risultare altrettanto vero di una teoria fondata sulla esperienza.

Un'altra critica del neopositivismo era imperniata sui limiti della logica induttiva le leggi scientifiche sono enunciati universali e non possono quindi essere verificate da alcun numero finito di osservazioni come aveva già sostenuto Hume. Il neopositivismo deve quindi rinunciare al concetto di verificabilità sostituendolo con quello di conferma o di probabilità.

Un'altra critica riguardava i termini ambigui come per esempio fragile. Cosa significa non è possibile precisarlo per quanto sia senza dubbio un termine che descrive un'esperienza. Ci si deve Allora rassegnare all'idea che le teorie ci dicono più di quanto non sia direttamente osservabile hot empiricamente controllabile.

Reazione. La crisi del neopositivismo fa nascere la corrente antirealista. Gli Anti realisti si dividono in strumentalisti e costruttivisti. Per i primi gli enunciati teorici non vanno interpretati alla lettera bensì come regole utili alla predizione. Per i costruzioni sti vanno interpretati alla lettera ma non necessariamente creduti. In questo senso Bellarmino aveva ragione rispetto a galileo. A questo punto però la scienza deve rinunciare a spiegare le cose. Si ritorna così a Duhem: la scienza descrive ma non spiega.

Ma andiamo avanti con le critiche. La critica di popper. Per Popper l'esperienza non può costituire l'origine e nemmeno la giustificazione della nostra conoscenza, si considera infatti un razionalista critico. Crede che la teoria preceda e fondi l'esperienza anche se a quest'ultima spetta poi il ruolo di falsificare. Popper Infatti considera la critica alla logica induttiva come fatale ma mette a frutto la simmetria che riscontra tra verificazione e falsificazione di un enunciato per falsificare basta un'unica osservazione. Popper non utilizzare la falsificazione come criterio di significanza pur essendo in falsificabili le asserzioni della metafisica non sono suo parere privè di significato Ed anzi possono avere una parte importante nella crescita della conoscenza il realismo stesso è d'altronde una tesi metafisica. La teoria da preferire è quella più facilmente falsificabile.

Quine e la sua critica radicale al neo e a Popper. Partendo da Duhem e dalla sua tesi per cui un'ipotesi non è mai verificabile isolatamente nell'esperienza giunge a concludere che non esiste una distinzione tra enunciati analitici e denunciati sintetici. I primi Infatti sono caratterizzati dal fatto di non poter essere confutati dall'esperienza,  ma come abbiamo appena visto tutti gli enunciati sono di questa natura. Per lui il controllo empirico consiste sempre in un confronto tra L'esperienza e l'insieme globale dei nostri enunciati, poi paragona quest'ultima ad una rete che tocca l'esperienza solo i bordi.

La critica del secondo wittgenstein. Il linguaggio ha un ruolo molto più complesso ed ampio di quello ha segnato gli dai neopositivisti. Vedi il concetto di gioco linguistico. Il significato di un termine deriva dall'uso più che dalle tavole di verità.

Non si può distinguere come avrebbero voluto fare i neopositivisti tra termini puramente osservativi e termini teorici. Esistono Infatti i termini che si riferiscono a oggetti non osservabili come elettrone neutrino eccetera che quindi dovremmo chiamare teorici. In particolare come osserva putnam i neopositivisti sbagliavano a credere che i termini teorici fossero introdotti per mezzo di quelli conservativi

Un'altra posizione neopositivista revocata in dubbio è quella che assimila spiegazione e previsione. Michael Scriven ha obiettato che la teoria di Darwin e spiega molte cose ma finora non ha permesso di fare alcuna previsione. Secondo Silvia Bromberg le leggi dell'ottica geometrica, data l'altezza di un palo e l'altezza del sole, ci consentono di prevedere la lunghezza dell'ombra gettata da quel palo, e  questo, secondo hampel, costituirà anche la spiegazione di tale lunghezza, il che è senz'altro ragionevole. Ugualmente però, data la lunghezza dell'ombra e l'altezza del Sole sarebbe possibile prevedere l'altezza del palo ma in nessun modo questo potrebbe venir considerata come una spiegazione dell'altezza.

mercoledì 20 settembre 2017

Il primo dogma sfatato da Quine

Quine nega la distinzione tra analitico e sintetico.

L'affermazione analitica è quella vera per definizione, ovvero quella in cui tra il termine definito e l'espressione che definisce esiste una relazione di sinonimia.

La sinonimia esiste quando i due termini sono intercambiabili.

Quine ha buon gioco nel dimostrare che la sinonimia non esiste mai.

Esempio: ammettiamo che l'uomo sia definito come "essere razionale". Ma nella frase "uomo si scrive con quattro lettere" l'intercambiabilità tra definito e definizione viene palesemente meno.

Eppure Quine non dimostra l'inesistenza degli enunciati analitici ma solo il fatto che non sappiamo esattamente dire in cosa consista questa loro caratteristica.

Chiunque tra noi sa distinguere perfettamente gli enunciati analitici da quelli sintetici. Cio' è un chiaro indizio che la differenza esiste.

E' dunque molto più prudente concludere che la distinzione analitico/sintetico esista anche se non sappiamo definirla in modo completo.