https://www.facebook.com/riccardo.mariani.585/posts/pfbid02B2rJoUDFEt6M3s5eppsWCDEtbGhNQnuxUJezvUwow2q2FGEqNY1Gugkc52qkJNcyl?__cft__[0]=AZUwpZ0lXTLklOokebhOKS2lAKOYcTFUOtlt4D2iulE6ojRF9XQhVS6uxct9qFSYOHe0Y5CpblpYWUhHasEZVEk_h7CMKXQxzy0D2UI1Pbz_nRXk-O75n0TNR4FAiqOZ7LOt_kQIwW5HxFQovIfHhT-_XafVvbsyqZAxN6I2Vjm3RQ&__tn__=%2CO%2CP-R
giovedì 29 agosto 2024
venerdì 28 giugno 2024
onere della conoscenza
lunedì 27 maggio 2024
paper e blog
sabato 16 marzo 2019
LE SPLENDIDE UNIVERSITÀ AMERICANE
venerdì 15 marzo 2019
L'OGGETTIVITA' DELLE SCIENZE SOCIALI
martedì 28 agosto 2018
Occhio ai titoli
We document strong and robust negative correlations between the length of the title of an economics article and different measures of scientific quality. Analyzing all articles published between 1970 and 2011 and referenced in EconLit, we find that articles with shorter titles tend to be published in better journals, to be more cited and to be more innovative...
Title length http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2018/02/title-length.html
venerdì 2 febbraio 2018
Il difficilese in accademia - in facebook standard
2. Difficult writing creates an appearance of rigor.
mercoledì 24 luglio 2013
Michela Marzano. O dell' ombelico accademico.
martedì 25 ottobre 2011
Le Università sono fatte per imparare? No. Prova n. 13
Tempo fa ci chiedevamo: ma perché l’ on line e l’ information technology non rivoluzionano il mondo delle università?
Sembra incredibile ma mia nipote frequenta l’ ateneo esattamente come facevo io: avanti e indietro sui treni, magari con un’ ora di lezione fissata al mattino e una al pomeriggio (le quattro in mezzo girovagando in cerca di un angolino per studiare che sia il meno scomodo e freddo possibile).
Eppure, standosene a casa, potrebbe assistere comoda (molto di più che in presenza) alle lezioni dei professori più prestigiosi del mondo. Riascoltarsele e studiare al calduccio nella sua cameretta cominciando da subito senza perdere tempo. Magari interagendo con una compagnia scelta. Magari ordinando, ripetendo e personalizzando gli ascolti come si crede.
A costi bassissimi, la crema intellettuale potrebbe far lezione a moltissimi studenti sparsi in tutto il mondo. Eppure una rivoluzione del genere non sembra essere affatto all’ orizzonte.
Nelle nostre Università, tutto scorre placido, esattamente come se niente fosse successo.
Si potrebbe fare a meno di gran parte della classe docente e di gran parte dell’ “hardware” universitario (immensi e prestigiosi palazzoni stipati di libri e dalla manutenzione costosissima).
Questa affermazione potrebbe far drizzare le orecchie, ma io non penso che il blocco innovativo sia da imputare esclusivamente a resistenze di “casta”.
La risposta all’ enigma, per quanto sgradevole, mi sembra invece piuttosto facile: evidentemente le Università hanno poco a che fare con l’ istruzione di chi le frequenta. Il loro obiettivo è un altro.
Ma d’ altronde, basta fare un minimo di introspezione per accorgersene.
Gran parte delle abilità richieste vengono acquisite sul posto di lavoro. Dài, guardiamoci negli occhi, per chi non è così? Il sapere acquisito all’ università, se mai c’ è stato, è da subito remoto e perduto per sempre.
Non voglio con questo insinuare che le Università siano inutili: operano pur sempre una costosissima cernita molto apprezzata dalle aziende.
Per esempio, il sistema universitario indica quali sono i ragazzi più docili, coscienziosi e conformisti. Almeno le università più dure.
Chi non lo sottoscriverebbe?: bisogna avere un’ indole del genere per sopportare anni e anni di duro studio.
Questa informazione, lungi dall’ essere secondaria, è molto valorizzata da chi assume (provate a portarvi in casa un semi-teppista lunatico, magari anche intelligentissimo).
Certo, il costo per ottenere la cernita di cui sopra è decisamente sproporzionato, ma è anche “nazionalizzato” e quindi questo genere di sprechi non interessa il datori di lavoro.
Le aziende, dunque, sono molto sensibili alle informazioni che ricevono dalle università, conviene sempre assumere (e pagare di più) un laureato piuttosto che un diplomato. Cio’ fa sì che la laurea divenga “obbligatoria”, specie quando non si pagano i servizi ricevuti. E per lo più questo genere di servizi non si paga o si paga in misura ridotta!
Chi non vede in tutto cio’ un colossale spreco? L’ unica soluzione sarebbe quella di impedire a gran parte degli utenti di fruire del servizio (test severi all’ ingresso o innalzamento dei contributi), in modo che avere certi titoli o assumere gente con certi titoli non sia più sentito come “obbligatorio” visto che certi titoli sono riservati a un’ élite.
Quando il pc sostituirà la scuola e la domanda da cui siamo partiti non avrà più senso, forse, sarà un bel giorno.
p.s. che all’ Università non si vada né per imparare, né per insegnare è una delle tesi su cui lavora indefesso il “department of isn’t”.
lunedì 10 ottobre 2011
Armen Alchian: una teoria dell’ accademia
llI heard Armen Alchian say in class that it was very hard to ascertain how the enormous tuitions at Ivy League-type schools were justifed by education, alone. He stated that he thought most of the value was from helping talented and motivated students find other talented and motivated people to marry.
venerdì 22 aprile 2011
Bromuro
Nessuno guarda male chi si lancia in intemerate contro l’ università italica. Sparare a palle incatenate contro un nemico astratto e vago è uno sfogatoio che raccoglie sempre consensi.
Girando per la rete, poi, noto che si tratta di un leitmotiv suonato un po’ in tutti i maggiori paesi.
Che bello, dopo la lettura degli ultimi dati OCSE, potersene uscire trionfanti con l’ annuncio che “stiamo peggiorando” La gioia di suonare questo allarme ci pervade come un brivido. E se “stiamo migliorando” possiamo sempre omettere di dar conto del rassicurante segnale per concentrarci sulla poco dignitosa posizione in classifica. Qualcosa di “vergognoso” si troverà, anche se magari saremo costretti a rovistare tra le appendici.
Più difficile osare l’ inosabile. Per esempio dire che c’ è “troppa istruzione superiore”. Al punto che chi lo fa deve in qualche modo dissimulare l’ argomento per trasfigurarlo, che ne so, nell’ elogio del lavoro manuale.
Possiamo dire tra gli applausi che siamo “male educati” ma non possiamo dire che siamo “iper-educati”.
Alla fine, anche per chi ammette le due verità, il paradigma più rassicurante è offerto da quelle storielle in grado di rendere interdipendenti i due capi d’ accusa: la democratizzazione del sapere universitario ha abbassato il livello rendendo la frequenza delle nostre università scarsamente produttiva, sia per chi ambisce ad una qualità più elevata, sia per chi si ritrova a passeggiare nei lunghi corridoi degli atenei solo perché soggetto a “pressioni sociali” che arrivano da tutte le parti.
Una simile visione è gradita ai fans della “meritocrazia”: basterebbe in qualche modo alzare la qualità dell’ istruzione selezionando i frequentanti. Non è facile, ma per lo meno avremmo un lavoro da fare e dei fondi da allocare.
Cosicché tutti ripiegano su questa storiella pur di non considerare un paradigma ben più inquietante, eccolo: quand’ anche si ponesse rimedio alla “mala-educazione”, non è detto scompaia la “iper-educazione”. Facciamo un esempio: il paese delle “università da sogno” – USA - ha scoperto quanto poco i suoi atenei formino chi intende sbarcare preparato nel mondo del lavoro. In altre parole, il capitale umano che si accumula in quei santuari del sapere è minimo: un semestre potrebbe comodamente sostituire i quattro anni canonici. Conclusione: lì – dove qualità docet - più che altrove la bestia grama della “overeducation” fa sentire il suo morso.
Come darsene ragione? Secondo Arnold Kling andare all’ università è un modo per far capire al datore di lavoro da cui saremo esaminati quanto si è in grado di rispettare la “gerarchia”, per questo bisogna restarci tanto: solo un tempo prolungato offre un test attendibile delle proprie capacità di ossequio:
in hierarchy, signaling respect for the hierarchy is very important…That is, part of the process of getting ahead in academia is showing respect for the academic hierarchy.
I think this offers a potential insight into the signaling role of education. It does not just signal intelligence or conscientiousness, which could be signaled more cheaply in other ways. It signals respect for hierarchy. Thus, large organizations will tend to value educational credentials, while small organizations may not need to do so.
There is no cheap alternative to educational credentials if you want to signal respect for hierarchy. … Any attempt to evade the educational credential system inherently signals a lack of respect for hierarchy!
Gli studi accademici sarebbero dunque una specie di bromuro.
Strano, perché noi di solito siamo portati a vederli come un fattore “liberante”, una spinta al criticismo più irrequieto; pensiamo, ad esempio, che sia fatale per un paese autoritario ed arretrato garantire un livello educativo elevato alla gioventù locale.
Davvero? Eppure:
Counter to modernization theory, increased human capital [from education] did not produce more pro-democratic or secular attitudes and, if anything, it strengthened ethnic identification.
A quanto pare, anche su questo fronte, la versione accademia/bromuro esce indenne. E’ il caso di approfondire.
mercoledì 26 gennaio 2011
Scegli il tuo Persuasore Occulto preferito
Prima osservazione: se le idee non le prendono da lì, le prenderanno altrove.
Nell' ammollare Modelli a questa massa di cervelli amorfi, ci sono diversi agguerriti "operatori" in febbrile concorrenza (preti di ogni religione, sette, guru, gang, burocrati, mio cuggino...) ma oggi il più temibile competitore della Pubblicità è il Pedagogo (o Insegnante). Lo trovi sempre in prima fila ansioso di "forgiare" il Futuro della Società.
Nel valutare questa figura dobbiamo andare con i piedi di piompo perchè siamo pieni di pregiudizi (favorevoli) nei suoi confronti. Per quanto lui si lamenti la Pubblicità più o meno occulta della società dei consumi lo esalta, soprattutto agli occhi di noi genitori (vedi P.S. 3).
Come impostare una sinossi fruttuosa della tematica? Volendo fare un' introduzione lunga un rigo all' analisi possibile, direi che ogni Modello inoculato nelle tenere menti puo' creare Indifferenza, Frustrazione e Felicità.
La pubblicità commerciale rifugge dall' Indifferenza, teme la Frustrazione (anticamera possibile dell' indifferenza) e, per fidelizzare i suoi clienti, auspica sopra ogni cosa Felicità per tutti.
L' Insegnante, invece, non ha di queste remore e puo' con animo pacificato proporre come Modello anche quello inarrivabile dello "Studioso caparbio che giunge fino al premio Nobel" pur conscio che così facendo, qualora avesse successo, spargerà ovunque intorno a sè una marea di Frustrazione e Indifferenza.
Detto in altri termini: alcuni modelli sembrano piuttosto squallidi, ma la grande maggioranza della nostra gioventù non ha speranza di mietere altrove le proprie piccole soddisfazioni. Alzare il livello creerebbe frustrazione e i primi a non volersi convincere di cio' sono certi genitori troppo ambiziosi.
Già solo dall' impostazione del problema si capisce come le cose siano più complicate del previsto.
Ad ogni modo il dibattito è aperto: Ads bias contro Teaching bias.
Ognuno è libero di partecipare, purchè lo faccia rimuovendo sin da subito almeno due pregiudizi:
1. I soldi non danno la felicità. - Sappiamo che le cose non stanno esattamente così.
2. Gli stereotipi - che la pubblicità ammanisce a go go - sono dannosi. - Se basta il buon senso a dirci che gli stereotipi possono essere utili, la ricerca sul campo aggiunge un po' a sorpresa che gli stereotipi prodotti dalla società consumista sono molto "accurati".
P.S. 1 Nel giudizio dobbiamo prescindere dall' ampiezza del gruppo dei fruitori: è ovvio che un messaggio su misura sia più accurato di un messaggio per la massa.
P.S. 2 Nel giudizio si tenga presente che la scolarità è molto debolmente collegata con "progresso intellettuale" e "abilità" dei soggetti che fruiscono di quei servizi.
P.S. 3 L' alta scolarità produce per contro "bromuro sociale", ovvero una massa di giovani più rispettosa, gentile e controllabile. Cio' piace ai governi che pubblicizzano molto la scuola: anche per questo molti si sorprendono ricordando i fatti di cui al p.s. 2.
P.S. 4 Integro ed esprimo il p.s. 2 in modo più vivido. Ve lo ricordate il paradosso dell' acqua e del diamante?: l' acqua è preziosa ma non costa nulla, il diamante è inutile ma costa un occhio della testa. La scuola incarna queste due merci: l' istruzione di base è essenziale ma basta poco (anche una TV) per ottenerla, non ha senso preoccuparsene vista l' abbondanza delle fonti a cui possiamo attingere; l' istruzione superiore è come i brand più prestigiosi: esclusiva e costosa ma poco più di un orpello se si valuta il progresso intellettuale che conferisce ai suoi fruitori.
P.S. 5 Una valutazione generale sul tema trattato puo' essere facilitata avendo in testa una teoria della pubblicità. Qui le 5 più comuni.
martedì 28 settembre 2010
Più fondi per la dis-educazione
Siamo all' incentivo del dropping out!
Recentemente sia il Corriere (Dario Di Vico) che il sole (Marraffa) si sono occupati dei lavori vittima di un' ideologia tra le più perniciose: quella dell' istruzione superiore per tutti a tutti i costi.
Chi oggi non si sente "incompleto" senza una laurea?
Ebbene, costoro sappiano che con quella laurea forse avrebbero avuto una vita diversa. Difficilmente avrebbero però delle competenze in più.
Learning how to learn
Se la scuola insegna cose perlopiù inservibili, se non puo' insegnare ad imparare, a cosa serve? Forse a lanciare segnali.
Cosa significa "lanciare segnali".
Quando regalo un anello di fidanzamento alla mia morosa non lo faccio perchè ci piacciono i brillanti. Infatti, se per qualsiasi ragione il prezzo dei brillanti dovesse crollare, non sarei più interessato ad un anello del genere.
Detto in altri termini:
"Which would do more for your career: A Princeton education, but a Phoenix diploma, or a Princeton diploma, but a Phoenix education?"
martedì 22 giugno 2010
cacciatori di teste alle prese con le statistiche
Ma la cosa puo' essere spiegata con una teoria dell' accademia di stampo hansoniano.
Più difficile spiegare come mai le aziende siano dispote a pagare lautamente questi cadetti. In fondo il mondo delle aziende non dovrebbe cascare nell' illusione ottica prodotta dal mondo accademico.
Si è risposto che vantare un certo personale "faccia figo". Risposta, bisogna ammetterlo, non molto soddisfacente.
Ma forse le cose stanno cambiando e non è più necessario giustificare alcunchè:
"... quando controllo un curriculum non controllo necessariamente il voto di laurea e il tempo per conseguirla..."
Parla un "reclutatore" intervistato sul Corriere.
lunedì 15 marzo 2010
Ateismo puritano
Jonathan Haidt ne è certo.
Possono variare i "pesi" da persona a persona o da popolo a polpolo, ma nessuna delle fondamenta potrà mai latitare. Siamo fatti così! Giocando con i pesi posso poi tracciare, per esempio, le varie ideologie correnti.
La domanda sorge spontanea: ma un ateo-materialista-desinistra, e tra noi ce ne sono parecchi, come puo' coltivare il valore della "santità" e della "sacralità"? Punto di domanda?
A quanto pare esiste pure un puritanesimo materialista!
Infatti, le misurazioni di Haidt si occupano della vicenda e concludono che lo "scristianizzato sinistrorso" tende innanzitutto a sacralizzare il cibo:
... it can be seen in the liberal tendency to moralize food and eating, beyond its nutritive/material aspects...
... e poi l' ambiente...
... it can be seen in the way the left treats environmental issues and the natural world as something sacred, to be cared for above and beyond its consequences for human welfare...
Da non perdere poi la conclusione: "Can anyone understand Avatar who lacks all intuitions of purity/sanctity?". E' chiaro il concetto?
Ne approfitto per segnalare un saggio brillante: "Is Food the New Sex?". Si comparano i sacerdoti del "sesso" con quelli del "cibo".
Nei suoi esperimenti Haidt fa largo uso dei verdoni valutando le risposte delle "cavie" di fronte ad offerte concrete in denaro. Mi sembra un buon metodo per approntare interviste credibili.
Non solo, lui stesso scommette sulle proprie conclusioni: 1000 dollari a chi le confuta seguendo un protocollo sperimentale ben preciso. Mi sembra un buon modo per fare il Professore in modo credibile.
Per chi fosse interessato ad altre scommesse accademiche a lungo termine: qui.
mercoledì 9 dicembre 2009
La comunità scientifica litiga per stabilire se è pacifica
In un recente editoriale sul WSJ il climatologo Richard Lindzen dice che in ambito scientifico i conti sul global warming non quadrano...
... ed è subito bagarre.
Cosa inferire?
Un modello di rigore e di sintesi viene dalla lettera spedita da un lettore:
If a respected MIT scientist like Mr. Lindzen argues that “the science isn’t settled,” and other scientists disagree, then doesn’t the very dispute itself prove that the science isn’t settled?
La cosa ricorda il filosofo relativista Richard Rorty, il quale affermava:
“La Verità è cio' che i vostri contemporanei vi lasciano dire senza opinare"
Naturalmente molti opinavano su questa stessa affermazione, il che ci consente di buttarla nel cesso.
Allo stesso modo butterei nel cesso quella (pseudo) scienza che risponde: "la comunità scientifica su questo punto è pacifica...". Vale per l' evoluzionismo come per il global warming.
Finanziare la scuola?
Governments use public education and public ownership of schools and the media to control the information that their citizens receive... More totalitarian governments as well as those with larger wealth transfers make greater investments in publicly controlled information...
Sorprendente?
Direi di no, specie per chi pensa che il ruolo primario della scuola non sia affatto quello di istruire.
Molti di questi ruoli alternativi gli abbiamo già visti. Possiamo ora tranquillamente aggiungerci la necessità di propagandare.
Certo che ripensando alla questione, nella testa rimboba l' eco delle parole:
... Governments use public education and public ownership of schools and the media to control the information that their citizens receive...
Forse nell' Italia Berlusconiana, per setacciare chi veramente si preoccupa delle sorti della libera informazione da chi brandisce questa materia a soli fini politici, dovremmo verificare chi sfila in piazza all' anti-B day e contemporaneamente si batte contro il monopolio della scuola pubblica. Forse scopriremmo che l' ipocrisia in politica è (quasi) tutto.
P.S. E non venite a dirmi che è una teoria stramba o "ostile", visto che spesso la cosa è rivendicata da coloro che sostengono a viva voce la scuola pubblica.
Esempio? Decisione di un tribunale della California contro l' homeschooling:
“A primary purpose of the educational system is to train school children in good citizenship, patriotism and loyalty to the state and the nation as a means of protecting the public welfare.”
Di primo acchito, chi non penserebbe di vivere in uno stato fascista (o socialista)?
P. P. S. Volete ancora una ragione per non far piovere risorse sulla scuola? I suoi rendimenti sono fortemente decrescenti, chi ha aperto i rubinetti della spesa non ha poi incassato granchè.
mercoledì 2 dicembre 2009
Un giorno qualunque in accademia
martedì 24 novembre 2009
Climagate
La climatologia è una scienza seria? Senza dubbio. Eppure... un taroccamento di qua, un veto politico di là, e la prossima riunione dell' IPCC è pronta per partire con l' esito finale già in tasca.
Fortunatamente ora abbiamo una teoria per spiegare cio' che succede dietro la cortina fumogena del "prestigio accademico" e della "comunità scientifica", altrimenti ci avrebbero preso veramente alla sprovvista!
Facciamoli scommettere questi professori! Forniranno indicazioni più utili e avranno meno tempo per concordare e taroccare via e-mail le conclusioni da apporre ai loro noiosissimi paper sul clima da leggere poi all' assemblea dormiente dell' ONU che deciderà per tutti.
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