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mercoledì 20 luglio 2011

Un artista emotivo nella stanza dei bottoni

Eric-Emmanuel Schmitt – Il posto dell’ altro

“Adolf Hitler: respinto”

Il verdetto piombò su di lui come un righello d’ acciaio sulla mano di un bambino.

“Adolf Hitler: respinto”.

Hitler si guardò intorno, decine di adolescenti con le orecchie congestionate, la mandibola contratta, il corpo allungato sulla punta dei piedi, le ascelle sudate per la tensione, ascoltavano il bidello che salmodiava i loro destini. Nessuno faceva attenzione a lui. Era in corso una tragedia immane e nessuno se ne sarebbe accorto… un annuncio esplosivo che squarciava l’ universo: Adolf Hitler, respinto.

La loro indifferenza era tale che quasi quasi Hitler dubitava di aver sentito bene. Sto male, una lama gelida mi lacera il torace fino alle budella, sto perdendo sangue e nessuno se ne rende conto. Nessuno vede il dramma che mi è rovinato addosso. Sono dunque solo sulla terra a vivere con questa intensità? E’ davvero lo stesso il mondo in cui viviamo noi tutti? Nel frattempo, il bidello - giusto quel tipo di idiota che si terrorizza per un topolino - convinto di aver annunciato la verità si ritirò.

Hitler avrebbe potuto essere diverso da come fu, e, in ogni caso, non fu nemmeno il mostro che molti ritengono.

Per ficcarlo bene in testa ai suoi lettori Eric-Emmanuel Schmitt intercala due storie: quella reale e quella che esordisce con una lieta notizia (l’ ammissione all’ Accademia delle Belle Arti di Berlino) per chiudersi poi con un happy end nientemeno che in California.

Non sfugge a nessuno che il protagonista è il medesimo in entrambe le vicende: stessi pregi e stessi difetti.

Un tale che, sebbene non passi inosservato, non puo’ nemmeno essere definito come un individuo eccezionale, fuori dalla norma, o ancor peggio un bruto senza pari.

E’ invece persona tutto sommato normale. Normale come il male.

Dopo la lettura sapremo che un male normale contenuto in un cuore umano normale puo’ riempire un intero continente.

Di questo cuore possiamo farne la caricatura per sgravarci la coscienza, ma è una tattica perdente in partenza. Ce ne rendiamo conto saggiando la naturalezza con cui si snodano le vicende, entrambe plausibili.

Si tratta dunque di un uomo. E se è un uomo, è il nostro prossimo; il romanzo mira a spingercelo addosso, a farci sentire questa imbarazzante prossimità.

Figlio di un impiegatuccio violento e polemico, il ragazzo magro dal colorito cereo guardava adorante alla mamma  e si riteneva un puro, un idealista. il suo orrore per i contatti fisici è noto. Così come è nota la sua delicata psicologia: una mente ipersensibile in grado di dare tanto se sotto l’ influsso dell’ esaltazione ma sempre così pronta a ripiegarsi se spinta a dubitare.

Ad alimentare l’ imbarazzo il suo amore per le arti, per la cultura, per gli animali.

Non fu nemmeno antisemita finché non gli convenne esserlo: la sua gioventù pullula di frequentazioni pacifiche con amici ebrei.

Le turbe abbondano, questo è vero: l’ uomo è sempre intento a sopravvalutarsi e a scavare tra sé e gli altri un fossato che renda difficile ogni confronto e, al tempo stesso, credibile l’ enorme auto considerazione.

Odiava l’ imprevedibilità della competizione ma soprattutto i suoi esiti e le sue graduatorie, per difendersene divenne un esperto razionalizzatore: lui non aveva fallito negli studi, li aveva sabotati perché chiamato ad incarichi più elevati; non aveva passato anni a vagabondare nei ricoveri dei poveri, aveva condotto una vita sua bohème. Questo metodo gli consentiva di ricostruire la sua storia insignificante come se fosse un’ opera wagneriana.

Non saremo certo noi a scandalizzarci per il ricorso a trucchetti del genere, noi che sul blog passiamo tanto tempo a stimare la pervasività della dissonanza cognitiva.

Suvvia, chi non ha creduto di essere un campioncino per il solo fatto che spadroneggiava nel proprio cortile? e chi non ha opposto resistenza a chi ci spingeva fuori da quel cortile?

Sessualmente era un po’ pervertito, d’ accordo. Nulla di grave, viviamo in epoche che hanno ampiamente riabilitato ogni forma di perversione. L’ uso della parola stessa è un azzardo.

Siete pronti ad abbinare mostruosità e delicatezza d’ animo? Siete portati a scovare il serial killer in colui che trepida fino allo svenimento di fronte al corpo nudo dell’ amata? E’ un collegamento che non approntiamo tutti i giorni, ma nel libro è un leitmotiv.

Nella corte del fuhrer in erba per gli spiritosi la vita era dura, le rappresaglie sempre in agguato. Ma in ogni setta, si sa, le cose funzionano così.

Né il narcisismo, né la seriosità, né la perversione saranno mai capaci di rendercelo un marziano.

Anzi, un’ ondata empatica ci sorprende allorché ci imbattiamo, per esempio, nei suoi stentati esordi da oratore. Parlare in pubblico era per lui un dramma, balbettava, ciancicava e s’ incaponiva in patetici tentativi nonostante persistesse in lui una sorta di afonia emotiva: non gli usciva mai niente se non sudore e una sorta di imbarazzo mischiato con la sensazione di essere un intruso.

Finché un giorno non capì che per la sua indole era essenziale rivolgersi ai sentimenti negativi delle persone. Gli fu chiaro nel corso dell’ apprendistato in qualità di “agitatore da birreria”, il suo carisma funzionava se c’ era un rancore da grattare, una crosta da togliere, una cicatrice da riaprire. Nulla di buono poteva produrre in occasione di un brindisi matrimoniale o di una commemorazione funebre.

Ma poi, l’ affascinante contrasto tra l’ oratore vigoroso e l’ uomo timido, goffo, con l’ educazione impostata piena di salamelecchi viennesi, cominciò a sedurre ammiratori di differente estrazione.

E anche qui, che c’ è di strano?

Ogni mago della retorica ha le sue tonalità predilette. Chiedete a Cioran di modulare un auspicio. Il suo sapiente francese cadrebbe miseramente in frantumi.

Dopo la “rivelazione” non furono in pochi a considerarlo solo una chiassosa grancassa. Ebbene, anziché perdere tempo nei risentimenti ebbe la scaltrezza di cogliere tutti i vantaggi che comporta l’ essere sottovalutati.

Gridò talmente forte che lo sentirono e lo votarono da tutta la Germania. Lo avevano trovato convincente. In democrazia un gioco aggressivo e limpido è quasi sempre vincente.

Al pericolo si dimostrarono tutti sordi: le responsabilità di governo lo avrebbe calmato, si pensava. Purtroppo mancava un tassello fondamentale alla consapevolezza degli elettori: avevano eletto un artista emotivo, mica un politico.

Credeva in buona fede ai suoi  ragionamenti grossolani. Grossolani ma efficaci. Era il primo ad entrare in estasi sentendosi parlare, a meravigliarsi della facilità con cui passava dal lirismo alla virulenza, a lasciarsi sorprendere dall’ energia che sprigionava.

Nella sua mente, poi, i discorsi non finivano mai costringendolo ad una vita interiore dall’ intensità inusitata. Assomigliava sempre più ad un posseduto costantemente attraversato da idee ingegnose e strane. Una fabbrica della realtà a getto continuo. L’ audacia delle sue pensate lo spossava.

La passione per i libri ed i concerti musicali assumeva livelli parossistici, processo tipico nell’ autodidatta. Se avesse potuto uscire dal bunker sarebbe andato a teatro.

A questo punto è giunto il momento di chiedersi se le sommarie informazioni appena esposte ci impressionano e ci fanno presentire la catastrofe.

Spero di no! Di fronte alle turbe che affliggono altri memorabili personaggi della letteratura quelle riferite sono acqua fresca. Giusto buone per rendere interessante una figura di cui si dovrà parlare per quattrocento pagine.

hitler-rug

Ma Eric-Emmanuel Schmitt ci chiede di più, ci chiede di entrare in intimità con Hitler. Io, nonostante l’ indubbia abilità dello scrittore, non ci sono riuscito. Mi sono sempre mantenuto al di qua di un’ invalicabile intercapedine.

E’ un problema che mi porto dietro quando leggo libri di storia romanzata, persino le auto-fiction mi lasciano freddo. In fondo è la medesima difficoltà che m’ impedisce di ascoltare la quinta di Beethoven: l’ eccessivo imballaggio reifica la musica.

Eppure, lo stesso romanzo con al centro una persona di pura invenzione avrebbe funzionato. Perché non è stato scritto?

Forse perché Eric, come ammette nel diario in appendice al romanzo, si è sentito dire troppe volte da amici e parenti di rinunciare al pericoloso progetto; a quel punto, si sa, l’ artista non puo’ più esimersi.