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martedì 14 marzo 2023
mercoledì 27 novembre 2019
La Fede dal barbiere
La Fede dal barbiere
La ragione ci avvicina o ci allontana da Dio?
Difficile dirlo, un modo comune di pensare il confronto razionale tra fede e ateismo consiste nel suppporre che l’ateismo sia il default razionale, dato che non postula Dio e che sulla fede ricada l’onere della prova poiché l’esistenza di Dio è un postulato straordinario.
Di solito, in questi casi, si parla di “rasoio di Occam”: a parità di altre condizioni, le teorie più semplici dovrebbero essere preferite. Ma perché dovremmo prendere per buona un’assunzione del genere?
Vediamo un altro esempio: la probabilità che la mente coincide con il cervello è maggiore della probabilità che la mente sia distinta dal cervello. E’ un’ipotesi sostenuta dai fisicalisti sulla base della “semplicità”. Ma è anche un’ipotesi alquanto strana poiché i più fanno esperienza diretta della mente (la loro) e non sono disposti a considerarla un’illusione da sfatare facendola coincidere con il cervello. Che ne direste, a questa stregua, di considerare i gatti come pianeti? In fondo questa stravagante ipotesi è più semplice che considerare le due cose distinte.
Ma cosa convalida l’idea di “semplicità”? Difficile cercare la risposta tra i fisicalisti. Forse i dubbi possono essere illuminati da due esempi.
1) Caso 1: sei seduto nel tuo appartamento e utilizzi due dispositivi elettrici: un computer desktop e una lampada. Entrambi si spengono improvvisamente nello stesso momento. Cosa è successo? Consideri due teorie, una semplice (S: è andata via la corrente) e una complessa (C: la lampadina si è bruciata e il pc si è collassato). Poiché S prevede una causa unica per entrambi gli eventi ha anche maggiori probabilità di essere corretta. La correlazione trasemplicità e probabilità qui è evidente.
2) Caso 2: parti per un lungo viaggio. Quando esci, per qualche motivo, lasci accesi il computer e la lampada. Ritorni un anno dopo e constati che entrambi sono spenti. Consideri due ipotesi, S: c’è stato un black out. C: la lampadina si è bruciata e il pc è collassato. Quale ipotesi privilegiare? S è più semplice di C visto che contempla una sola causa mentre C ne contempla due. Tuttavia, questa volta, C è più probabile di S. (se hai dubbi considera un’assenza di 10 anni).
Ricapitolando: S e C spiegano entrambi bene il fenomeno ma S è più semplice. Nonostante questo nel caso 1 scegliamo S e nel caso 2 C. Davvero singolare!
Il punto importante è che il rasoio di Occam non è un principio utile. Puoi fare alcune contorsioni interpretative che ti consentono di dire che resta vero, ma il principio in realtà non ci aiuta a valutare le teorie. Dobbiamo prima capire quanto riteniamo probabile ciascuna teoria e dopo – solo dopo – possiamo vederla come la più semplice. Ma la semplicità in sè – occorre rendersene conto – non gioca un ruolo chiaro nel generare le stime di probabilità, è un concetto mal definito.
Così istruiti, torniamo alla nostra domanda iniziale: la ragione ci avvicina o ci allontana da Dio?
Una volta tolto di mezzo il “rasoio di Occam” non resta che saggiare la plausibilità (o probabilità) delle due diverse teorie su vari problemi. Fortunatamente, esistono anche problemi sulla cui soluzione, almeno a livello intuitivo, più o meno tutti concordano. Propongo queste quattro categorie:
1) Problemi su cui tutti concordano che favoriscono l’ipotesi di Dio: realismo, ordine nell’universo, coscienza, libero arbitrio.
2) Problemi su cui tutti concordano che favoriscono l’ipotesi atea: esistenza del male.
3) Problemi su cui tutti concordano che non favoriscono nessuno: esperienza religiosa (psicologia o realtà?).
4) Problemi su cui non c’è accordo che favoriscono l’ipotesi di Dio: fatti morali oggettivi, conoscenza a priori, universali, senso della vita.
5) Problemi su cui c’è disaccordo che favoriscono l’ipotesi atea: non me ne vengono in mente.
Conclusioni: per me il l’ipotesi di Dio spiega più problemi su cui c’è un complessivo accordo, e anche cose importanti su cui però non c’è accordo. Ammetto che la presenza del male – nonostante teodicee ingegnose – favorisca l’ateismo, ma non al punto da prevalere. Quindi dal mio punto di vista la fede è la scelta più razionale.
Bibliografia:
Kevin Vallier: Atheism and Theism as Model Choices –
Michael Huemer: Who Cares About Simplicity? –
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Scusa se mi dilungo troppo, vorrei solo fare un chiarimento. L'argomento del rasoio di Occam è debole perché non è ben definito il concetto di "semplicità", il che crea molte rogne. Non devi guardare ai singoli problemi.
Di solito la "semplicità" è calcolata sulla base del numero di "cose" e di " relazione tra le cose" assunto da una teoria. Già così tutto suona ambiguo: conta di più la "cosa" o la "relazione"? Si considera il numero di "relazioni" specifiche o il numero di "tipi di relazione"? La si fa semplice dicendo che l'ateismo assume una "cosa" in meno - e questo è vero - quindi è più semplice. Ah, ti faccio notare poi che con un certo numero di (tipi di) relazioni e di cose puoi anche ricostruire scenari complessissimi, da questo punto di vista, per esempio, la teoria della relatività è bella perché semplicissima, anche se difficile da capire.
Con questa definizione però si creano i paradossi che ho illustrato nell'esempio del black out. Ma anche altri, ho accennato alla posizione "eliminativista" nello studio della mente, è assurda ma è la più semplice. Ma potrei andare oltre: per esempio, per il teista Dio è il fondamento di tutte le cose (causa unica), e per l'ateo qual è il fondamento delle cose? In genere per l'ateo le cose sono "fatti bruti", ovvero si fondano in sé, ma allora i fondamenti si moltiplicano e l'ipotesi atea diventa automaticamente più complicata di quella teista. Cerco di tradurre la cosa in concreto con una parafrasi: come mai lo stagno ha certe proprietà chimico fisiche che valgono sia per questa barretta di stagno che per quella? Un caso? Risposta figurata dell'ateo sofisticato: perché esiste un "dio dello stagno" che mantiene il suo dominio su tutte le barrette di stagno ed impone la sua legge, ovvero la "legge dello stagno". Ergo: il teista crede in un dio, l'ateo in migliaia di idoletti. Ergo l'ateismo è più complicato del teismo.
Insomma, con tutti questi problemi problemi potremmo anche tentare di trasformare il teismo nella teoria più semplice. Tuttavia, forse è meglio abbandonare il rasoio di Occam e restare su considerazioni di buon senso dicendo che l'ipotesi migliore è quella più probabile (c'è anche chi dice: l'ipotesi più probabile è anche la più semplice). Non che "più probabile" porti a conclusioni rigorose visto che la probabilità contiene sempre un elemento soggettivo (lo sanno gli scommettitori), ma per lo meno sgombriamo il campo da equivoci e la smettiamo di contare "enti" e "relazioni". Allora si prendono tutti i problemoni in cui fede e ateismo si confrontano e si valuta la probabilità di ciascuna alternativa. Per esempio, se uno mi dice che la mia libertà è illusoria e non esiste, io considero quella teoria poco probabile. Oppure, se uno mi dice che noi non possiamo dire nulla sull'esistenza reale delle cose, io considero quella teoria poco probabile. Se uno mi dice che l'universo è frutto del caso (magari perché ne esistono molti altri), io considero quella teoria poco attendibile. Eccetera.
Scusa se mi dilungo troppo, vorrei solo fare un chiarimento. L'argomento del rasoio di Occam è debole perché non è ben definito il concetto di "semplicità", il che crea molte rogne. Non devi guardare ai singoli problemi.
Di solito la "semplicità" è calcolata sulla base del numero di "cose" e di " relazione tra le cose" assunto da una teoria. Già così tutto suona ambiguo: conta di più la "cosa" o la "relazione"? Si considera il numero di "relazioni" specifiche o il numero di "tipi di relazione"? La si fa semplice dicendo che l'ateismo assume una "cosa" in meno - e questo è vero - quindi è più semplice. Ah, ti faccio notare poi che con un certo numero di (tipi di) relazioni e di cose puoi anche ricostruire scenari complessissimi, da questo punto di vista, per esempio, la teoria della relatività è bella perché semplicissima, anche se difficile da capire.
Con questa definizione però si creano i paradossi che ho illustrato nell'esempio del black out. Ma anche altri, ho accennato alla posizione "eliminativista" nello studio della mente, è assurda ma è la più semplice. Ma potrei andare oltre: per esempio, per il teista Dio è il fondamento di tutte le cose (causa unica), e per l'ateo qual è il fondamento delle cose? In genere per l'ateo le cose sono "fatti bruti", ovvero si fondano in sé, ma allora i fondamenti si moltiplicano e l'ipotesi atea diventa automaticamente più complicata di quella teista. Cerco di tradurre la cosa in concreto con una parafrasi: come mai lo stagno ha certe proprietà chimico fisiche che valgono sia per questa barretta di stagno che per quella? Un caso? Risposta figurata dell'ateo sofisticato: perché esiste un "dio dello stagno" che mantiene il suo dominio su tutte le barrette di stagno ed impone la sua legge, ovvero la "legge dello stagno". Ergo: il teista crede in un dio, l'ateo in migliaia di idoletti. Ergo l'ateismo è più complicato del teismo.
Insomma, con tutti questi problemi problemi potremmo anche tentare di trasformare il teismo nella teoria più semplice. Tuttavia, forse è meglio abbandonare il rasoio di Occam e restare su considerazioni di buon senso dicendo che l'ipotesi migliore è quella più probabile (c'è anche chi dice: l'ipotesi più probabile è anche la più semplice). Non che "più probabile" porti a conclusioni rigorose visto che la probabilità contiene sempre un elemento soggettivo (lo sanno gli scommettitori), ma per lo meno sgombriamo il campo da equivoci e la smettiamo di contare "enti" e "relazioni". Allora si prendono tutti i problemoni in cui fede e ateismo si confrontano e si valuta la probabilità di ciascuna alternativa. Per esempio, se uno mi dice che la mia libertà è illusoria e non esiste, io considero quella teoria poco probabile. Oppure, se uno mi dice che noi non possiamo dire nulla sull'esistenza reale delle cose, io considero quella teoria poco probabile. Se uno mi dice che l'universo è frutto del caso (magari perché ne esistono molti altri), io considero quella teoria poco attendibile. Eccetera.
mercoledì 18 settembre 2019
Semplicità - il rasoio del buon senso
Una teoria è più semplice di un' altra quando è più probabile.
Fisica e metafisica (saggio) + metafisica e immanentismo - pro e contro la metafisica RIFLESSIONE
Il metafisico riflette sull'essere e lo considera eterno.
Il metafisico pensa all'essere come al fondamento. Prima viene l'essere, poi le cose.
In quest'ultimo passaggio il metafisico si contrappone all'immanentista per cui sono le cose a generare l'essere.
Per l'immanentista le cose ci spiegano l'essere, o per lo meno ci forniscono dell'essere una conoscenza induttiva.
Per il metafisico è la conoscenza dell'essere che ci fa conoscere in modo deduttivo le cose.
Per l'immanentista le cose ci inducono la conoscenza divina.
Per il metafisico è la conoscenza divina a illuminarci sulle cose.
Si noti che l'immanentista non nega la conoscenza di enti metafisici. Perché? Visto che nn ci illuminano sulla realtà non sarebbe meglio negarli e morta lì?
L'immanentista non trascura la realtà metafisica per il semplice fatto che gli sembra probabile. Se ci è naturale dire che la banana è gialla, ci è anche naturale dire che probabilmente il giallo esiste. Per l'immanentista la semplicità s'incarna nella maggiore probabilità e non in altro. In qusto senso assomiglia all'empirista.
A volte le prove che un certo ente metafisico non esista in sè ci sono: il giallo, potrebbe dire lo scienziato, è solo una frequenza d'onda. In questo caso si accetta l'appunto. ma altre volte la prova del contrario non viene fornita. Esempio: quell'uomo è buono, quindi la bontà esiste.
Possibile conclusione: gli enti metafisici esistono, negarli è un errore ma non illudiamoci di cominciare da loro per capire la nostra realtà. E' dalla nostra realtà che bisogna partire. Sempre. Per capire la bontà dobbiamo vedere gli uomini buoni in azione, non possiamo farlo a tavolino.
Esempio: il divenire esiste? Sì, lo vediamo dalle cose. Partiamo da questa constatazione per capire meglio il mondo metafisico. Chi in passato è invece partito dalla metafisica è arrivato fino a negare il divenire, il che costringe a contorsioni intellettuali non da poco per far quadrare i conti con la realtà.
Il metafisico pensa all'essere come al fondamento. Prima viene l'essere, poi le cose.
In quest'ultimo passaggio il metafisico si contrappone all'immanentista per cui sono le cose a generare l'essere.
Per l'immanentista le cose ci spiegano l'essere, o per lo meno ci forniscono dell'essere una conoscenza induttiva.
Per il metafisico è la conoscenza dell'essere che ci fa conoscere in modo deduttivo le cose.
Per l'immanentista le cose ci inducono la conoscenza divina.
Per il metafisico è la conoscenza divina a illuminarci sulle cose.
Si noti che l'immanentista non nega la conoscenza di enti metafisici. Perché? Visto che nn ci illuminano sulla realtà non sarebbe meglio negarli e morta lì?
L'immanentista non trascura la realtà metafisica per il semplice fatto che gli sembra probabile. Se ci è naturale dire che la banana è gialla, ci è anche naturale dire che probabilmente il giallo esiste. Per l'immanentista la semplicità s'incarna nella maggiore probabilità e non in altro. In qusto senso assomiglia all'empirista.
A volte le prove che un certo ente metafisico non esista in sè ci sono: il giallo, potrebbe dire lo scienziato, è solo una frequenza d'onda. In questo caso si accetta l'appunto. ma altre volte la prova del contrario non viene fornita. Esempio: quell'uomo è buono, quindi la bontà esiste.
Possibile conclusione: gli enti metafisici esistono, negarli è un errore ma non illudiamoci di cominciare da loro per capire la nostra realtà. E' dalla nostra realtà che bisogna partire. Sempre. Per capire la bontà dobbiamo vedere gli uomini buoni in azione, non possiamo farlo a tavolino.
Esempio: il divenire esiste? Sì, lo vediamo dalle cose. Partiamo da questa constatazione per capire meglio il mondo metafisico. Chi in passato è invece partito dalla metafisica è arrivato fino a negare il divenire, il che costringe a contorsioni intellettuali non da poco per far quadrare i conti con la realtà.
Fisica e Metafisica
Non ho mai studiato seriamente né fisica né filosofia, quindi l’argomento per me è ostico, eppure lo sento come importante e quindi vorrei chiarire innanzitutto a me stesso qualcosa che ritengo importante.
Il metafisico studia l’essere, ovvero il fondamento, ovvero cio’ che hanno in comune tutte le cose, cio’ che viene prima delle cose concrete. Lo scienziato studia invece le cose concrete.
Con un’analogia penso alla metafisica come alla cornice e alla fisica come a un quadro. Se avete dubbi su questa analogia vi invito a sospenderli e a leggere quanto segue.
Della cornice si occupano i filosofi, del quadro gli scienziati. Un tempo i filosofi erano tenuti in gran conto, anzi, erano una figura esclusiva, anzi, lo scienziato era detto “filosofo naturalista”. Ma con la modernità il loro ruolo della filosofia perde di peso, si afferma lo scienziato puro, finché i ruoli sono ribaltati e i filosofi vengono praticamente esclusi dal regno della conoscenza, di cui la scienza rivendica il monopolio. Per loro è una botta non da poco.
Domanda: occorre recuperare la metafisica? E perché è stata abbandonata?
Prima di rispondere occorre sbrogliare alcune ambiguità, e in questo senso puo’ soccorrerci la metafora del quadro e della cornice. Chiedetevi allora se le cornici esistono. Molti anti-metafisici risponderebbero di no, ritengono che la loro presenza sia illusoria. Ecco, se l’anti-metafisica è incarnata da questo atteggiamento il recupero della metafisica è urgente: sembra abbastanza ovvio che le realtà non fisiche esistano e siano fondamentali. Pensate solo al libero arbitrio, poiché la scienza non è mai riuscito a dimostrarne l’illusorietà la cosa più ragionevole da fare è assumerne la presenza.
Ma spesso l’anti-metafisico è più sottile, dice che piiché la conoscenza delle cornici è alquanto dubbia e comunque non interferisce sulla conoscenza dei quadri, quindi possiamo accantonarla come irrilevante e far finta che non esista.
Qui c’è qualcosa di vero, soprattutto se si hanno in mente i bei tempi in cui la metafisica aveva la pretesa di porsi come guida della scienza, oltre che come sua cornice. Ci sono filosofi metafisici che studiando l’essere affermano l’illusorietà del divenire (Severino) e pretendono che la scienza venga esposta adeguandosi a questa loro bizzarra esigenza. Assurdo.
Ma anche dalla posizione dell’anti-metafisico meno ingenuo c’è comunque qualcosa da cui mi dissocio, il fatto è che se le cornici esistono, esistono. Perché far finta di no? Non solo, magari la conoscenza delle cornici non influisce sulla conoscenza del quadro ma quest’ultima influisce sulla prima, che è quindi possibile.
Ecco, la metafisica è ancora sensata se non pretende di essere una conoscenza guida per la fisica. E’ la fisica, ovvero la realtà di tutti giorni, a dirci qualcosa sulla metafisica, ovvero sulla realtà ultima. In termini epistemologici è la fisica che viene prima della metafisica e non viceversa. La fisica ci fa intuire la metafisica sottostante. Ci dice qualcosa di parziale, di induttivo, ma non di irragionevole.
Adesso l’analogia è meglio illuminata poiché anche tra cornice e quadro c’è una precedenza ben precisa: è la cornice che segue il quadro.
Ecco infine un caso specifico: non è la conoscenza di Dio a vincolare la nostra conoscenza scientifica ma è la conoscenza scientifica che ci parla di Dio, ce ne parla in modo imperfetto, in modo provvisorio ma anche in modo sensato. Anche per questo la teologia naturale – ovvero la teologia che inferisce Dio dai fatti della natura – è quella più sensata e in linea con la modernità.
sabato 24 agosto 2019
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