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giovedì 9 marzo 2023

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giovedì 20 febbraio 2020

hl Anatomy of Racism - FACE

RAZZISMO. TEST N.1

Lo spettro luminoso è visibile in un continuo, lo sapevi? Tuttavia lo dividiamo in segmenti a a cui diamo nomi diversi.
Prima domanda: esistono i colori?
Seconda domanda: esistono le razze?

add. Logicamente parlando dovresti essere in grado di dividere gli uomini in razze, anche se dovresti disegnare confini un po 'arbitrari, proprio come con i colori.




IL RAZZISTA SI TRADISCE
Da cosa riconosci un razzista?
Non è facile, ma ci sono alcuni passi falsi che prima o poi compirà. Mi riferisco a comportamenti ed atteggiamenti a cui, in questo ultimo anno, ho visto accostare l'infame epiteto. Cerco di elencarli qui di seguito.
Provare antipatia per certe persone a causa la loro razza.
Voler offendere una persona facendo leva sulla sua razza.
Usare insulti a sfondo razziale.
Menzionare un insulto razziale.
Essere intenzionalmente maleducato con persone di determinate razze.
Essere non intenzionalmente maleducato con persone di determinate razze.
Menzionare o imitare stereotipi tipici di certe razze.
Usare il test IQ nel colloquio di lavoro (o giustificare questa pratica).
Citare la razza dell'aggressore nel racconto di un evento criminale.
Esprimere disapprovazione per certe pratiche tipiche di alcune razze.
Sentire disgusto per certe pratiche tipiche di alcune razze.
Credere che le caratteristiche di una certa persona siano correlate con la razza.
Pensare che sotto gli stereotipi razziali ci sia qualcosa di vero.
Pensare che certe espressioni somatiche siano tipiche di certe razze.
Celebrare una persona famosa all'interno di una comunità del passato quando più o meno tutti erano razzisti.
Desiderare meno immigrazione.
Non desiderare più immigrazione.
Dire "prima gli italiani".
Pensare che qualcuno ti giudichi erroneamente a causa della sua razza.
Avere difficoltà a distinguere due persone solo perché appartengono ad una razza che non è la tua.
Sottolineare l'origine etnica di un certo piatto.
Scherzare con certi nomi facendo riferimento alla loro origine etnica.
Scherzare su certi alimenti facendo riferimento alla loro origine etnica.
Raccontare storie umoristiche in cui ci sono neri che si ritrovano al buio.
Ridere delle battute razziste di Homer dei Simpson.
Descrivere un certo tono del colore della pelle facendo riferimento ad alimenti.
Esprimere il desiderio di ascoltare "musica nera".
Mostrare poca pazienza verso chi parla male la tua lingua.
Pretendere che gli altri capiscano la tua lingua.
Voler adottare la cultura del paese in cui ti trovi anziché mantenere la tua.
Pensare che l'intelligenza sia ereditabile (anche senza menzionare le razze).
Pensare che gli altri pensino male di te solo perché appartieni ad una razza considerata dominante (specie in passato).
Pensare che sulle questioni razziali il giudizio dipenda in qualche modo dalla razza di appartenenza.
Non pensare che l'essere bianco implichi una sorta di noblesse oblige.
Vestirsi come le persone appartenenti ad una razza diversa dalla tua (anche non intenzionalmente).
Criticare l'islam.
Credere che la civiltà occidentale sia migliore delle altre.
Dire che un certo paese è "in culo al mondo".
Dire che preferisci gli uomini agli alieni.
Rimanere perplessi se la regia di uno spettacolo cambia la razza del personaggio principale di una storia famosa.
Prendersi gioco degli abiti religiosi.
Approfittare direttamente o indirettamente delle conseguenze del razzismo passato.
Partecipare ad un sistema giudicato razzista.
Non sostenere una politica di quote razziali.
Essere bianchi.
Utilizzare la parola "razza".
Poi ce ne sono altri ma al momento non me li ricordo.

Anatomy of Racism
~ John Nerst
Citation (APA): Nerst, ~. J. (2020). Anatomy of Racism [Kindle Android version]. Retrieved from Amazon.com

Parte introduttiva
Evidenzia (giallo) - Posizione 2
Anatomy of Racism By ~ John Nerst•
Evidenzia (giallo) - Posizione 6
“the atomic bomb of verbal armaments”.
Nota - Posizione 6
L acusa di razzismo
Evidenzia (giallo) - Posizione 7
Everybody knows this, so there’s an obvious incentive to extend its meaning
Evidenzia (giallo) - Posizione 10
Concepts that refer to the negative aspects of human experience and behavior have expanded their meanings so that they now encompass a much broader range of phenomena than before. This expansion takes “horizontal” and “vertical” forms: concepts extend outward to capture qualitatively new phenomena and downward to capture quantitatively less extreme phenomena.
Nota - Posizione 13
Concept Creep: Nick Haslam
Evidenzia (giallo) - Posizione 17
disliking people because of their race
Nota - Posizione 17
Eccetera... Definizini di razzismo
Evidenzia (giallo) - Posizione 47
I’ll argue that there’s a core meaning of “racism” that’s reasonably well-delineated and that virtually everyone accepts, but that has been used in various extended senses
Evidenzia (giallo) - Posizione 53
liking some people less because of their race.
Nota - Posizione 53
Il core meaning. Quello su cui tutti concordano.
Evidenzia (giallo) - Posizione 53
perhaps even wanting to hurt them.
Evidenzia (giallo) - Posizione 54
based on nothing but the races
Evidenzia (giallo) - Posizione 55
There are levels to it.
Nota - Posizione 56
Dal sentimento all ostilitá
Evidenzia (giallo) - Posizione 58
there are nine other meanings in my model, and their statuses as “racism” aren’t uncontroversial.
Evidenzia (giallo) - Posizione 65
the nine Secondary Racisms
Nota - Posizione 65
Li chiamiamo così
Evidenzia (giallo) - Posizione 65
Type 1: Believing in biologically separate races (“ racial essentialism”)
Evidenzia (giallo) - Posizione 67
This certainly used to be the standard view.
Evidenzia (giallo) - Posizione 69
“caucasoids, negroids, mongoloids and australoids”:
Nota - Posizione 69
Una vecchia enciclopedia
Evidenzia (giallo) - Posizione 75
It used to be more straightforward in the past when it was believed that things like plant and animal species had essences
Nota - Posizione 75
Ieri
Evidenzia (giallo) - Posizione 76
unequivocally,
Evidenzia (giallo) - Posizione 78
But essences don’t exist and humans aren’t made from templates at all.
Evidenzia (giallo) - Posizione 82
features that vary are correlated, forming clusters.
Nota - Posizione 82
Dopo le essenze...la statistica
Evidenzia (giallo) - Posizione 83
the spectrum of visible light is continuous, but we still divide it into colors we give different names.
Nota - Posizione 83
Analogia.....######
Evidenzia (giallo) - Posizione 83
you ought to be able to divide humans into races the same way
Evidenzia (giallo) - Posizione 87
it all comes down to attitude and identity. Are you the sort of person who thinks of people in terms of biologically based racial categories
Nota - Posizione 88
Come comportarsi
Evidenzia (giallo) - Posizione 90
It matters because the idea of separate races used to be the foundation for a particular ideology
Nota - Posizione 90
Secondo passo
Evidenzia (giallo) - Posizione 95
The idea of separate races can be and frequently seen as a remnant of (and irrevocably tainted by) this whole package,
Nota - Posizione 96
Se compri la razza compri il pacchetto
Evidenzia (giallo) - Posizione 97
Type 2: Believing in innate biological differences (“ scientific racism”)
Evidenzia (giallo) - Posizione 98
biodiversity” or “scientific racism”
Evidenzia (giallo) - Posizione 99
the idea that the biological underpinnings of mental traits differ significantly
Nota - Posizione 99
L idea centrale.
Evidenzia (giallo) - Posizione 100
should be taken into account when crafting policy.
Nota - Posizione 100
Magari vcon l aggiunta
Evidenzia (giallo) - Posizione 105
the idea that the difference in IQ scores between races in America likely has a significant genetic component,
Nota - Posizione 106
L idea di murray ##### É un razzista
Evidenzia (giallo) - Posizione 106
Harris asserted Murray’s right to do so without having the “racist” (or similar) label put on him.
Evidenzia (giallo) - Posizione 107
Klein disagreed
Nota - Posizione 107
La diatriba
Evidenzia (giallo) - Posizione 108
Type 3: Using statistical inference with race as a factor (“ racial stereotyping”)
Evidenzia (giallo) - Posizione 111
black person is good at basketball and likes rap,
Evidenzia (giallo) - Posizione 113
Using statistical inference on people is frowned upon but ubiquitous.
Evidenzia (giallo) - Posizione 117
Type 4: Drawing attention to racial attributes (“ racial othering”)
Evidenzia (giallo) - Posizione 118
imitating a Japanese accent was racist.
Evidenzia (giallo) - Posizione 126
It increases the psychological distance between us and someone else
Evidenzia (giallo) - Posizione 138
portraying them as “alien”
Evidenzia (giallo) - Posizione 146
what is new and “exotic” to us about other people
Evidenzia (giallo) - Posizione 149
Type 5: Believing in better and worse cultures (“ cultural racism”)
Evidenzia (giallo) - Posizione 151
Common targets are Islamic culture,
Evidenzia (giallo) - Posizione 151
gypsy”) culture.
Evidenzia (giallo) - Posizione 156
Type 6: Wanting to remain the norm (“ cultural supremacy”)
Evidenzia (giallo) - Posizione 157
immigrants are welcome to join our community but only as long as we and our group remain the cultural norm.
Evidenzia (giallo) - Posizione 158
accepting immigration in general but objecting when too many arrive in a short time
Evidenzia (giallo) - Posizione 162
“pure”
Evidenzia (giallo) - Posizione 162
hegemonic
Evidenzia (giallo) - Posizione 164
this stems from a psychological need for social cohesion
Evidenzia (giallo) - Posizione 166
primus inter pares.

mercoledì 19 febbraio 2020

PERCHE' SONO DIVENTATO RAZZISTA, SESSISTA E FASCISTA.

PERCHE' SONO DIVENTATO RAZZISTA, SESSISTA E FASCISTA.

L'accusa di razzismo/sessismo/fascismo è "la bomba atomica degli armamenti verbali".

Non esiste peggiore infamia che essere considerati tali, lo sanno tutti, quindi c'è un evidente incentivo ad estenderne il significato per abbinare quell'etichetta ad una serie crescente di pensieri e comportamenti.

Osservando come vengono usate queste parole mi sembra chiaro che abbiano perso un significato unico e coerente.

Gli psicologi parlano di "concetti viscidi", si tratta di concetti che si legano a forti negatività dell'esperienza umana e che dilatano il loro senso in modo da ricomprendere fenomeni più ampi. C'è un estensione orizzontale che serve ad includere fenomeni diversi ma contigui e un'estensione verticale per catturare fenomeni quantitativamente meno estremi.

Ecco, è per denunciare i "viscidi" che mi dichiaro apertamente razzista, sessista e fascista.

domenica 15 dicembre 2019

BLANK STATE

RASSEGNAMOCI AL RAZZISMO
Le differenze razziali sono in gran parte adattamenti al clima. Il pigmento della pelle era una crema solare per i tropici, le pieghe nelle palpebre erano occhiali per la tundra. Ma gli individui non sono geneticamente identici ed è improbabile che le differenze influenzino ogni parte del corpo tranne il cervello. Sebbene le differenze genetiche tra razze siano più piccole di quelle tra gli individui, è ragionevole credere che non siano né inesistenti né irrilevanti. La migliore "cura" per la discriminazione, quindi, è un test più accurato e più ampio delle capacità cognitive, perché fornirebbe così tante informazioni predittive sui singoli individui che nessuno sarebbe tentato di tenere più conto della razza o del genere. Ma probabilmente un'idea del genere comporta pratiche tanto invasive da non avere alcun futuro politico, cosicché le discriminazioni razziali e di genere saranno sempre tra noi.
COSE CHE NON CI ENTRANO NEL CERVELLO
I bambini non devono andare a scuola per imparare a camminare, parlare, riconoscere oggetti o ricordare le personalità dei loro amici, anche se questi compiti sono molto più difficili che leggere, sommare o ricordare date nella storia. Devono andare a scuola per imparare a scrivere e far di conto perché queste conoscenze sono state acquisite troppo di recente perché si siano evolute delle capacità naturali corrispondenti. I bambini sono dotati di una "cassetta degli attrezzi" per ragionare e apprendere in modi particolari, e quegli attrezzi devono talvolta modificati per padroneggiare problemi per i quali non sono adeguatamente progettati. Non possono imparare la biologia finché non disimparo la biologia intuitiva, che pensa in termini di essenze vitali anziché di selezione passiva. E non possono imparare l'evoluzionismo fino a quando non disimparano a pensare l'ordine in termini di progetto. Non possono imparare l'economia finché non disimparo a pensare il gruppo umano in termini unitari. Ancora oggi la cooperazione fondata sui prezzi di mercato confonde le menti che fanno troppo fondamento sull'intuito.
MISERIA DEL MORALISMO
Ci sono problemi come il razzismo, l'aborto, il colonialismo, l'ambiente, il CRISPR... che vengono affrontati in termini moralistici e di guerra culturale. Molte di queste cose possono avere conseguenze dannose, ovviamente, e nessuno le vorrebbe banalizzate. La domanda è se siano meglio gestite dalla psicologia della moralizzazione (con la sua ricerca di cattivi e relativa mobilitazione dell'autorità per controllare e punire) o in termini di costi e benefici, prudenza e rischio.
MISERIA DELL'UTOPIA
In politica c' è la Visione Tragica e quella Utopica. Nella Visione Tragica, gli esseri umani sono intrinsecamente limitati nella conoscenza, nella saggezza e nella virtù, e tutti gli accordi sociali devono riconoscere quei limiti. Nella visione utopica, i limiti sono superabili grazie ad un assetto sociale migliore, e noi non dovremmo porci limiti ma favorire questo avanzamento. Per i Tragici cercare di fare "qualcosa di impossibile" è sempre un'impresa corruttiva. Per gli Utopici è sempre un'impresa costruttiva. Ebbene, le idee della psicologia evoluzionistica e della genetica comportamentale si sono diffuse negli anni '70 e non avrebbero potuto costituire un insulto peggiore alla Visione Utopica. Si tratta di idee che vendicano la Visione Tragica e minano quella Utopica che fino a poco tempo prima dominava ampi segmenti della vita intellettuale. Ecco alcuni capisaldi rinforzati dalle nuove ricerche: 1) Il primato dei legami familiari in tutte le società umane e il conseguente peso del nepotismo e dell'ereditarietà. 2) La portata limitata della condivisione comunitaria nei gruppi umani. 3) L'universalità del dominio e della violenza nelle società umane (compresi i presunti pacifici raccoglitori-cacciatori) e l'esistenza di meccanismi genetici e neurobiologici che ne sono alla base. 4) L'universalità dell'etnocentrismo e altre forme di ostilità tra gruppi differenti e la facilità con cui tale ostilità può essere suscitata nelle persone all'interno della nostra società. 5) La cospicua ereditarietà di intelligenza, autocontrollo, coscienziosità e attitudini antisociali, il che implica che buona parte della disuguaglianza sorgerà anche in sistemi economici perfettamente equi. 6) La prevalenza di meccanismi di difesa mentale, pregiudizi egoistici e bias cognitive, con cui le persone si ingannano sulle proprie ragioni, sulla propria saggezza e la propria integrità. 7) I pregiudizi del nostro senso morale che ci fanno preferire i nostri vicini e ci fanno confondere il bene con il conformismo, il rango, la pulizia e la bellezza.
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lunedì 2 dicembre 2019

COSA C'E' ALLE RADICI DEL RAZZISMO?

A quanto pare non c'è il pregiudizio.
Il collegamento tra razzismo e pregiudizio è alquanto dubbio, anche se il nesso figura nella maggior parte delle spiegazioni ingenue del fenomeno. La presenza di stereotipi a fondamento dei sentimenti razzisti è puntualmente ripresa da tutti i manuali di psicologia elementare e psicologia sociale. Tuttavia, anche una lettura veloce della letteratura disponibile sull'argomento ci spinge verso l'idea che gli stereotipi non spieghino alcunché.
L'equivoco si genera perché abbiamo una versione distorta del concetto di pregiudizio. Lo si considera come una sorta di mito rigido e altamente resistente al cambiamento. In particolare, siamo condizionati da vecchie teorie etnocentriche che stabilivano un collegamento robusto tra concezione ortodossa del pregiudizio e razzismo. Questa impostazione prevedeva, per esempio, che chi valorizza molto il proprio gruppo d'appartenenza tendeva a disprezzare gli altri gruppi. Ma esiste davvero una correlazione, per esempio, tra odio per lo straniero e sopravvalutazione del proprio gruppo di appartenenza? Diversi studi sono giunti alla conclusione che è alquanto debole se non inesistente. Pensare bene del proprio gruppo, in altre parole, non ha praticamente nulla a che fare con il pensare male degli altri gruppi. Non solo il favoritismo della propria "squadra" non è legato alla bassa considerazione delle altre "squadre" ma non esiste nemmeno la relazione inversa. E' più probabile la teoria contraria: l’autostima - ovvero un atteggiamento positivo per il proprio gruppo - ci spinge ad instaurare relazioni più sane con lo straniero. Vi è un corpus sostanziale di lavori che vede il sentimento "patriottico" come qualcosa di simile all'autostima, cioè una base sana per allacciare relazioni con il diverso. Secondo questa visione è difficile pensare bene degli estranei se non si pensa bene innanzitutto dei propri "vicini".
C'è poi la faccenda dell'accuratezza degli stereotipi. Già il fatto che siano differenziati per gruppo etnico è un indice di attenzione. Non esiste "lo straniero": ciò che si crede di un gruppo etnico non lo si crede di altri. Gli ebrei, ad esempio, sono visti come diversi dai neri. Gli asiatici potrebbero essere visti come "industriosi" e i neri come "sporchi" e così via. Altro indice che depone a favore dell'accuratezza: c’è accordo tra gruppi nel sostenere uno stereotipo, spesso l'accordo s estende al gruppo interessato dallo stereotipo. Ad esempio, in una situazione di laboratorio Callan e Gallois hanno scoperto che anglo-australiani, greco-australiani e italo-australiani mostravano tutti un alto livello di accordo sul fatto che gli anglo-australiani fossero "sportivi, felici, fortunati e di aspetto piacevole". Chi discrimina lo fa in modo molto differenziato, la persona che discrimina dal punto di vista razziale ha un pensiero complesso piuttosto che semplice.
Altra questione: gli stereotipi positivi fanno bene? Non sempre. Esempio, Viljoen scoprì che alcuni gruppi di neri sudafricani avevano una considerazione particolarmente elevata dei bianchi di lingua inglese, tuttavia erano i meno propensi ad integrarsi con loro. Più la considerazione dell'altro è elevata, più si mantengono le distanze. Lo stereotipo positivo allarga la distanza sociale e ostacola l’integrazione tra gruppi. Gli studenti bianchi con un' alta considerazione dei neri sono anche quelli che hanno più probabilità di opporsi ad una politica delle quote. La politica delle quote è invece spesso sostenuta da chi nutre, magari nascondendoli, pregiudizi negativi sulla minoranza. La semplice idea che gli stereotipi positivi siano buoni e gli stereotipi negativi cattivi si rivela una semplificazione fuorviante.
Gli stereotipi hanno anche una funzione positiva: se riesci a classificare le persone, devi fare meno sforzi per interagire in modo costruttivo con loro. Lo stereotipo è uno strumento conoscitivo, come la generalizzazione e l’astrazione. La guerra agli stereotipi in fondo è una piccola guerra portata al metodo scientifico. Gli stereotipi possono davvero avere un ruolo utile, sono un aiuto nel conoscere accuratamente i tratti chiave del "diverso" e consentono di gestire molte ambiguità. Lo stereotipo non fa che mettere a frutto l’informazione minima e ridurre l’incertezza. È una grande leva a nostra disposizione per esaltare le più minute informazioni in nostro possesso. La sua utilità lo rende talmente radicato nella natura umana che tendiamo a generalizzare anche quando ci viene detto che una certa info è specifica.
Tuttavia, ciò non significa che chi o impiega possieda una struttura mentale rigida. Al contrario, gli stereotipi sono approssimazioni continuamente aggiornate man mano che l'informazione affluisce. Lo stereotipo è un’approssimazione in itinere. Gli stereotipi si affievoliscono quando le informazioni sulla persona specifica ci raggiungono e vengono messi da parte laddove l'informazione è completa. Quando si rendono disponibili informazioni migliori di quelle contenute nello stereotipo, lo stereotipo viene abbandonato come guida all'azione. Gli stereotipi sono resistenti in quelle situazioni in cui le informazioni specifiche sono rare o poco adeguate, e comunque non saranno disponibili con sollecitudine. Ad esempio, di fronte a un nero sconosciuto incrociato in un vicolo buio, un bianco usa gli stereotipi, non sospende i suoi giudizi. Lo stereotipo persiste nelle situazioni anonime per aggiornarsi poi con la presa di contatto. Se lo sconosciuto di colore dice semplicemente "buongiorno" quando passa, lo stereotipo non avrà più alcun ruolo nell'interazione e svanirà nel nulla. In laboratorio il "nero" anonimo viene descritto dalle "cavie" secondo lo stereotipo: "sporco, pigro...". Quando i gestori dell'esperimento precisano la descrizione del soggetto presentandolo come un "nero istruito", le cavie immediatamente mutano i loro sentimenti e le loro reazioni. Il nero istruito è infatti descritto in termini molto simili a un bianco istruito.
Cos'è allora uno stereotipo? Lo definirei un processo di approssimazione successive verso giudizi accurati. Direi che fa parte a pieno titolo della razionalità bayesiana. Puo' iniziare contenendo pochissime informazioni accurate ma, man mano che si accumulano conoscenze ed esperienze, le informazioni diventeranno progressivamente più definite e vicine alla realtà che si vuole conoscere.
Eppure ci sono autori che hanno sostenuto la rigidità degli stereotipi. Costoro trascurano che non è affatto razionale abbandonare uno stereotipo in seguito ad un’eccezione: “una rondine non fa primavera“. Noi non abbandoniamo o rivediamo immediatamente una regola, aspettiamo piuttosto che si accumulino diverse eccezioni. Se i neri sono generalmente visti dai bianchi come pigri, un nero diligente non perturberà lo stereotipo. Se, tuttavia, si incontreranno molti neri diligenti, si verificherà un cambiamento radicale. Gli autori che sostengono la rigidità non colgono quanto sia razionale tollerare delle eccezioni, sono vittime di un’ idealizzazione popperiana della conoscenza.
Conclusione: lo stereotipo non è il primo passo verso il razzismo ma verso la conoscenza in generale, tanto è vero che anche il "tollerante" ha i suoi bravi stereotipi, solo che li nasconde.
Ma se i pregiudizi non spiegano il razzismo, quali sono le teorie alternative più promettenti? Forse la linea di ricerca da seguire è quella che punta sull'esaltazione del sentimento comunitario. In casi del genere lo "straniero", al di là del suo valore specifico, è visto come una fonte di perturbazione della coesione sociale. Un forte sentimento comunitario può facilmente evolvere in razzismo. In questo senso sono i pilastri della comunità i soggetti più a rischio. Un caso di studio interessante è quello svedese, lì una società omogenea e coesa ha nel tempo messo a punto istituzioni comunitarie solidali robuste che con l'arrivo dello "straniero" sono andate sotto pressione sollevando un'ondata di rigetto negli "indigeni". Si è dovuto ripiegare su livelli di politicamente corretto che a noi suonano parossistici. Ecco, il brodo di cultura dei paesi nordici è particolarmente favorevole alla nascita del razzismo, e la cosa non ha nulla a che vedere con ignoranza e pregiudizi.

sabato 9 novembre 2019

JASON RICHWINE E GLI ALTRI

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JASON RICHWINE E GLI ALTRI

Ogni volta che una ricerca scientifica scopre differenzia su base genetica gruppi di persone la reazione è tremendamente negativa ed evidentemente viziata dal coinvolgimento ideologico di chi la mette in scena. Entra subito nel dibattito cio' che l'articolo chiama "fallacia egalitarista".

La fallacia egalitarista è una distorsione cognitiva molto presente sui giornali, una specie di errore grammaticale che sfruttiamo per reagire con ostilità a chi viola certi tabù. Le scoperte di cui sopra vengono rigettate perché percepite con implicazioni morali, quasi che una differenza su base biologica riscontrata tra gruppi umani possa essere definita "ingiusta". La "fallacia egalitaria" è onnipresente ma affligge soprattutto la sinistra dello schieramento.

Il caso del ricercatore Jason Richwine è illuminante, nel 2009 mise assieme una serie di dati a supporto della tesi che la politica migratoria americana avrebbe dovuto essere progettata per favorire persone con un IQ sopra una certa soglia, questo perché sia l'IQ personale che l'IQ medio della nazione sono correlati in modo robusto con certe cruciali perfomance della persona e ancor più sella nazione. E' una posizione magari sbagliata ma difendibile con buoni argomenti di fatto, senonché si preferì reagire insultando l'uomo piuttosto che criticare i dati presentati dal ricercatore. Richwine era diventata una cattiva persona, andava licenziato. E così fu.

Leggiamo l' Economist sul caso: "se la tesi di Richwine fosse corretta, dovremmo riconoscere che i razzisti hanno ragione...". Ecco comparire la tipica "fallacia egalitaria", ovvero il passaggio da un giudizio di fatto sulle differenze caratteriali tra gruppi a un giudizio morale relativo al razzismo di chi lo fa rilevare.

Un altro modo per inquinare il dibattito consiste nel buttarla sull' "inferiore" e il "superiore". Affermare cioè che chi constata differenze biologiche tra i popoli sta proclamando la superiorità dell'uno sull'altro. Il corto circuito è evidente, dimostrare una differenze non significa affatto affermare la superiorità di chicchessia, tuttavia questa sgrammaticatura viene utilizzata per tacitare la ricerca sulle razze. Non ha nessun senso dire, per esempio, che gli africani sono geneticamente superiori agli asiatici perché mediamente più alti! E' una frase senza senso, eppure la fallacia egalitarista la fa pronunciare a molte persone, penso a persone come Charles Murray, Jason Richwine, Nicholas Wade che in realtà sono molto prudenti nel separare giudizi scientifici e giudizi etici.

L'esito dell'esercizio compulsivo della fallacia è la prevedibile proposta di bandire le ricerche che studiano le razze. Motivo: sono studi che fomentano il razzismo causando danni che oltrepassano gli eventuali benefici. Si fa presente da più parti che gli stereotipi si rinforzano, chi ne è oggetto viene spesso anche demotivato, bisogna così rompere il circolo vizioso e queste ricerche non aiutano. A parte il fatto che quando lo stereotipo non è accurato ci vuole poco a romperlo, il caso degli ebrei in generale e delle donne in molte professioni parla chiaro. Ma è un'evidente tentativo di moralizzare la scienza.

Volete altri esempi? Considerate le reazioni al famoso libro di Murray e Herrnstein - The Bell Curve -, per molti un vero manifesto del neo-razzismo, un modo "gentile" per poter parlare ancora di "negri", uno strumento per esentarci dal dovuto tributo agli svantaggiati. Eppure gli autori asserivano solo che sia geni che ambiente hanno un ruolo nelle diverse performance dei gruppi razziali americani, qualcosa che bene o male accettano tutti gli studiosi più seri. Ma soprattutto, niente nel libro suggerisce che i neri dovessero essere trattati differentemente.

Jared Diamond, un cocco dei progressisti, divenne famoso per avere sostenuto che la geografia spiega più dei geni, una tesi che piaceva a molti. Protetto da uno scudo invisibile l'autore arrivò a dire su basi precarie che il popolo della Nuova Guinea era più intelligente degli europei. Chi indulge nella fallacia egalitarista dovrebbe vederci un'affermazione razzista ma così non fu. Cosa dedurne? Che per una certa parte politica il razzismo è solo un pretesto per difendere i presunti "oppressi" dai presunti "oppressori" (l'unica distinzione intorno alla quale gira tutto). Se è così capiamo bene perché certe forme di "razzismo" non preoccupano, anzi sono le benvenute.

Il caso James Damore ricalca i precedenti, l'uomo criticò l'assunto implicito nella politica delle assunzioni di Google per cui uomo e donna sono psicologicamente identici. Damore dubitava che Google potesse mai avere un numero di ingegneri donna pari a quello degli uomini senza abbassare gli standard. Fu licenziato con i tipici argomenti dalla fallacia egalitaria. Le affermazioni di Damore furono giudicate discriminatorie e costituivano una forma di molestia.

Larry Summers, presidente di Harvard, disse che il sesso biologico potrebbe incidere sul successo in certe carriere. Licenziato. James Watson disse che gli africani avevano un IQ inferiore a quello di altri popoli. Licenziato.

A queste persone si replica che concetti come sesso e razza sono in parte costruzioni sociali, non realtà oggettive. Ebbene? Anche se lo fossero potrebbero comunque esserci buone ragioni per impiegarli come base fruttuosa per una classificazione dell'uomo? Giudichiamo questo, piuttosto.

Conclusione: l'ostilità a senso unico verso i ricercatori in materie quali sesso e razza produce più danni che benefici, se la nostra integrità morale dovesse davvero dipendere dai dati scientifici è già compromessa in partenza.

https://link.springer.com/article/10.1007/s11406-019-00129-w