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lunedì 18 ottobre 2010

I Cortili Veneti di Parise

Dopo aver chiuso il libro, chiudo anche gli occhi per vedere meglio quel panorama.
Dalle narici salgono i rustici tanfi dei cortili vicentini appisolati nell' orbace notte fascista.
Non sono poi molto diversi da quelli della corte lombarda.
Odore di pagliericci, di sonni promiscui, di catarri sifonati, e poi anche di fumi con spessi caffelatte da masticare, benzina propulsiva per tutto il rione.
***
Scrivo con ciglio umidiccio dopo aver girato l' ultima pagina de "Il Prete Bello".
Per la verità l' ho girata da almeno due settimane, ma quell' afrore pungente di polente collose lo sento ancora addosso.
E' il sudore della fauna vociferante che brulica tra quei fanghi.
E' un cortile di poveri. Di poveri con dentro il solito cancro alla prostata. Di poveri che fanno il Natale per conto loro.
Anime che di tanto in tanto puntano l' occhio bovino verso il Signor Lettore.
Umiliati dal non avere nella loro stamberga neanche un tinello dove offrire decorosamente il Marsala.
Unico loro passatempo, sfogliare un giornale scialbo e disadorno, spoglio di notizie e con tanti morti. Il vero giornale degli analfabeti.
E quando li pedini scopri subito come la conoscano a menadito l' arte del sopruso, e scopri anche quanto sia connaturato l' istinto del negriero.
Con un po' di vinella del circolino domenicale viene fuori quella malinconica violenza domestica che si consuma dietro le porte che danno sul cortile.
E' fatta di sorde furie gutturali con l' appendice dei musi lunghi da cane bastonato.
***
Il cortile raccontato dai bambini, cuori contenti mentre portano a spasso i pidocchi di casa loro.
"Se fossi il Duce...se fossi il Papa..."
Mentre con un' unghiata si infrangono ancora una volta la crosta dell' ultimo capitombolo.
Pieni di pellagra, ostia, e di parole oscene, ostia, imparate e non capite, per mettere meglio in fuga quel po' di coscienza.
Su questi narratori minorati ogni loro deficit splende come un' aureola. E sono proprio le tare più profonde a deformare in modo visionario il loro racconto.
Intanto muoiono sognando le baluginanti canne rosse della "Legnano", vertigine dell' unico bene nel pozzo dell' indigenza.
Tanto, se poi una gamba resta presa sotto il camion, fa niente. Si chiede meglio l' elemosina.
Quell' elemosina ingiunta con l' ornamento di mille retorici salamelecchi, ma elargita macchinalmente e con grande generosità proprio da chi non ha mai avuto voglia di ascoltare niente.
Prima che pezzi di corpo andassero perduti, quei marmocchi li abbiamo visti per anni aggirarsi in incognito nel cortile come gatti, con la stessa tranquilla e morbida innocenza di movimento.
Se è per questo io li ho visti perfino orinare dalla paura nel corso di avventure stevensoniane.
[...invasi da una rilassata dolcezza simile al dormiveglia che precede un sonno profondo, si lasciano scorrere con piacere il caldo fuori dei calzoni e lungo le gambe...]
Avventure proprio come quelle sentite raccontare dai vecchi dopo cena, tra rutti occultati nei sospiri e sorrisi fissi da salvadanaio.
In un angolo del libro ce n' è persino uno che sogna il bacio del Duce. Potente argano in grado di estrarlo dalla guazza.
***
In quell' habitat l' animale più diffuso è dunque il "toso" zoccolante.
Si presenta in colonie cenciose (naia) dirette all' assalto del Pacco Poveri con i buoni della San Vincenzo. Sa come saltar la fila e lascia ad altri l' occhio da panico di chi resta in fondo.
E' un pesciolino guizzante vestito con la metà del mantello di San Paolo.
E' uno che non si è nemmeno accorto di avere addosso anche la fame dei nonni, la fame spensierata del rachitico inconsapevole, la fame che c' è sempre, anche il giorno della Prima Comunione, anche il giorno della Befana Fascista.
Un "toso" che ha già capito l' andazzo sviluppando un darwiniano istinto della frode. Cattiveria, paura, difesa, lucidità, si alternano a ruota libera dietro le cispe dell' occhio.
Da dentro il suo cencio scruta curioso e senza invidia il coscritto benestante reso ebete dall' educazione spropositata.
***
Ma non c' è solo lui a battere il Cortile.
Il cortile è dominato dalla Vanitas della Feccia che la fa da padrone in ogni microstoria.
Le Zitellone sballottate tra una predica ascoltata pensando ai romanzi e un romanzo d' appendice "fatto passare" sul ballatoio pensando alla predica.
Con questi intrugli è fatale che nell' etere di quei cortili rimbombi senza posa il catto-pettegolezzo.
Un bisbiglio postillato da una quantità di aggiunte non pronunciate ma ugualmente espresse con il sapiente giro dell' occhio, finchè la palpebra non si affloscia tremolante sotto il peso di un peccato che non si vuol dire.
[...il polline del cicaleccio si diffonde con dinamiche non euclidee, terribile, serpentino.
E' una lama invisibile, sottile e affilata, taglia i panni di dosso nel punto in cui questi panni si sostengono, recide il filo di quel bottone segreto e lascia di colpo nudi i peccatori, al ludibrio, con la sola mano in luogo della foglia...]
Uno strano Spirito Santo anatomizzato nel "Prete Bello" come mai su altre carte.
Nasce forse negli atrii delle Chiese, ma spira poi in ben altri sacrari.
Nel Cortile Veneto per esempio, tra porta e porta, soffiato con maestria da Signorine ancora ambiziose in età avanzatissima, addestrate nel trattenere sospetti ed ansie.
Zitelloni trasognati, pavonesse di gran razza.
Conoscono la propria mostruosità di locuste ma non rinunciano a credersi delle "tipe" e a fare la ruota guardando distratte dall' altra parte.
Dopo decenni passati tra sarcasmi viene il loro mopmento. Devono pronunciare la frase della vita e non ci riescono più, il mento trema troppo, i ponti dentari sbatacchiano.
Mentre dalla Pieve tornano tutte insieme al Tugurio, le indifferenti parole cadute dal pulpito ad opera del conteso, dell' aitante e modernissimo Don Gastone, si tramutano lentamente in quel cervello fatto per sopravvivere.
Dapprima divengono sottintesi insinuanti, e poi, una volta arrivate alla meta, sono ormai promesse formali indirizzate in via esclusiva solo a loro.
***
Il cortile visto dall' alto è un formicaio festoso che l' urbanista di oggi ancora studia nel tentativo di riprodurne la vitalità palpitante.
Ma visto da dentro puo' dare anche qualche dispiacere, come sempre lo spettacolo di una vita che palpita per esaurirsi.
Fa niente, a tutto c' è un rimedio manzoniano.
Un bel bicchiere di Vermut preso sulla sedia di vimini collassata... e Sempre sia Lodato.
Per quel che mi riguarda lascio il libro soddisfatto.
Finalmente trovo la mappa puntigliosa di un Utero fecondissimo. E io che credevo di aver esaurito l' argomento con una passeggiata a Malo in compagnia di Meneghello!

lunedì 31 maggio 2010

Il sorriso del centenario

Con studiata perizia Parise lascia che le sue "sillabe" sgocciolino sulla pagina, dietro la scabra semplicità delle vicende narrate si sente l' alacre lavorio di una lima che non cessa un attimo di rifinire il cristallo.

Sono storie sospese nel vuoto, alla Sara non sono piaciute molto: troppo vuoto e poca storia. Si rasenta l' astrazione.



Le storie raccontate come fossero fotografie sono sempre piene di buchi, e se uno ci sa fare in quei buchi il lettore atterra e ridecolla sentendo le farfalle nello stomaco.



Raccontini di un paio di pagine l' uno.

Spesso più che finiti sembrano abortiti, non consentono ulteriori sviluppi e il loro pregio maggiore si risolve nell' accordarci il privilegio di una presa diretta sulla scrittura, quasi lo scrittore ci consentisse di accompagnarlo nel corso della creazione: una volta va bene, una volta va male.

Il "c' era una volta" dell' attacco si contamina subito con lo sguardo tattile che cala sui particolari realistici dell' ambiente. Bell' effetto e grande letteratura, non c' è che dire.

E' l' Italia post-bellica, l' italiano odora del fieno delle campagne, chiamato a parlare ha la bocca impastata. L' errore fatale: scambiare la timidezza per supponenza.

Ma puo' un' esistenza racchiudersi in un banale gesto? Puo' il "poco" simboleggiare adeguatamente il "tutto"? Si tratta di poesia falsificante o di espressione dell' autentico? In queste minuscole biografie l' insignificanza dei particolari è talmente messa al centro che si propaga presto a tutto fino a minacciare l' esistenza stessa di noi lettori: se tutto s' incardina sulla contingenza come sembra, se anche la nostra vita potrà domani essere raccontata in quel modo, allora anche i tesori più preziosi che ci sembra ora di custodire saranno minati da quell' insignificanza di fondo.

INNAMORAMENTO: "... l' uomo che guardava dal tavolo vicino sentì aumentare comicamente le pulsazioni...".

SENSO DI COLPA:"... si sentì investire da una vampata ammaccata da un dolore imprevedibile e ingiusto che non capiva...".

UN RACCONTO NELL' INCIPIT: "... Un giorno un uomo ricco che conosceva la vita anche grazie alle cose futili entrò nella sua immensa casa nell' improbabile tentativo di far capire alla moglie che non l' amava più pur amandola moltissimo...".

AMORE NELL' ODIO: "... una volta provò perino un tuffo al cuore quando lei inciampò e stava per cadere come una bambina miope...".

LUSSO AL DANIELI: "... sia il Maitre che i camerieri sapevano benissimo che non c' era bisogno di alcun cenno ma i cenni si facevano lo stesso...".

ESTRANEITA': "... e lei tentò di accarezzarlo con la fredda estremità di un lunghissimo arto...".

LEZIONI DI VITA: "... perchè le cose felici non si ripetono (e invece si ripetono e non si ripetono, non c' è una regola)...".

ANIMA: "... una domenica di giugno un cane di nome Bobi che aveva e non aveva un padrone cominciò una corsa errabonda ma piena di pause per le strade di una città italiana...".

IL PADRONE DI BOBI: "... gli aveva fatto un casotto con le scatole della pasta Barilla senza compromettersi più di tanto con lui... Bobi aveva aspettato fino a quell' ora nel suo casotto colui che credeva fosse il suo padrone ma questi, che non veniva quasi mai, non arrivò neanche quel giorno cosicchè Bobi si sentì libero a malincuore...".

BOBI: "... camminava su zampe corte ma con la testa alta... solo di rado galoppava come se temesse le infinite conseguenze di una nascita incerta... non era snob come i cani di razza ma nemmeno rabbioso o ansiosamente felice come i bastardi... era un indipendente... devio' a destra del camion-rimorchio barcollando e in quel momento fu investito da una motocicletta che frenò, sbandò e riprese la corsa. Il colpo gli fece molto male ma arrivò piano piano fino al casotto e lì, senza più aspettare il padrone che non arrivava mai, morì...".

IMBARAZZO PER UNA SCENATA LEGITTIMA DI CHI NON HA DIRITTO DI PAROLA: "... il parroco la guardò esprimendo approvazione ma anche disapprovazione...".

ANTIPATIA: "... un giorno un uomo che non si era mai interessato di politica sentì il proprio telefono squillare in un modo che gli parve antipatico... chi chiamava non si stancava di aspettare mostrando una sorda tenacia... finalmente rispose e nel discorso che ne seguì venne usata l' espressione "piattaforma di lotta" che gli risultò odiosa, quasi che fosse stata preannunciata da quel genere di squilli...".

A QUATTR' OCCHI: "... ti fissava distogliendo nervosamente lo sguardo, in lui non c' era l' inquietudine umana e conoscitiva bensì l' ansia animalesca delle scimmiette..."

SPECULAZIONI POLITOLOGICHE: "... ci fu una pausa durante la quale l' uomo indovinò esattamente l' obiezione dell' altro che infatti arrivò pochi secondi dopo ed era la seguente: guarda, pensaci perchè il tuo è un tipico lapsus, significa che sei un qualunquista per non dire fascista..."

ANTIPATIA REDENTA: "... girò gli occhi furbi e voraci qua e là, bevve una sorsata di Brunello come fosse un vino qualsiasi... nello stesso tempo si ficco in bocca con la forchetta una pomme soufflee e con le dita un pezzo di pane (due cose che non vanno d' accordo) in un certo modo curvo tra l' umile e l' ingordo, di un' umiltà e di un' ingordigia così antiche, irredimibili e lontane da ogni speranza futura, al punto che ogni antipatia verso di lui dovette cessare in quel momento...".

MORTE: "... quell' inverno il bambino sembrava destinato a morire. Invece non morì, si trattava solo di un comico verme...".

PRIMA VOLTA: "... accadde in un pomeriggio pieno di cicale nei granai... qualcosa con molta lotta, sudore e graffi... lei da quel giorno diventò triste e diversa...".

QUELL' ARROGANZA CHE ERA TIMIDEZZA: "... l' alterità si trasformarono in un comico pianto che sorprese molti... si aciugò gli occhi e quando il fazzoletto s' inzuppò, usò le nocche delle dita di persona vecchia..."

CASA: "... dal buco della serratura entrava il freddo delle cose ignote...".

DIFETTI BELLISSIMI: "... cercò di spalancare i suoi occhi a mandorla... quello sinistro si fece un poco strabico... pochissimo...".

SOLO COME UN CANE: "... dopo le gite a cavallo con la famiglia dei vicini l' uomo si sentiva sempre stanco nel modo giusto: le cosce e le braccia stanche e il cuore stanco perchè era stato in compagnia. Dormiva fino all' alba e il cuore ritornato solo durante la notte gli diceva: "resterai per conto tuo come un cane fino alla fine", e si girava dall' altra parte con il muso... lui se ne rimaneva lì con tutta la sua intelligenza intatta ad ascoltare nell' immensa casa il silenzio dei parquets (i parquets non sono fatti per essere silenziosi)...".

COMPAGNIE STIMOLANTI: "... poi ce n' era un altro nato con sei dita in un piede ma non aveva altro d' interessante...".

FINALE CON MACACO: "... "guarda, le oche selvatiche... ma non hai portato la carabina, macaco!". E a quella parola, "macaco", cominciò a nevicare.".

AFRICA: "... tra un temporale e l' altro correvano intorno negri vestiti con pezzi di nylon...".

WEEK END IN LIGURIA: "... la stanzetta della pensione conteneva tutto l' odore grigio, chiuso e ostico della Liguria che gli era completamente estraneo e lo spingeva fuori per l' inospitalità...".

PRIMA USCITA INSIEME: "... "Hai freddo?" chiese l' uomo alla donna sperando che dicesse di no, non avrebbe saputo cosa fare...".

AL GRAND HOTEL: "... al Grand Hotel non sapeva dove infilare la borsa, nulla le sembrava abbastanza educato... la mise sul tavolo, sulla sedia... e poi in terra... il suo gesto non era timido, nè vergognoso o imbarazzato ma furtivo, furbo, sembrava l' avesse appena fatta ai nullafacenti camerieri che la fissavano...".

MOSTRO: "... aveva qualcosa d' impercettibilmente deforme, un po' donna un po' nano, ma non si vedeva se non osservando attentamente in seguito ad un' impressione di disagio... ma la gente ha fretta... nessuno vedeva, eppure lui sospettava che tutti vedessero...".

FUCILAZIONE: "... lo portarono contro il muro della chiesa già rovente, le lucertole vaganti dileguarono...".

DOMANDE IMBARAZZANTI: "... "E' straniero?" l' uomo ebbe un momento, pochi secondi, di pausa durante i quali il suo sorriso sparì e subito ricomparve come capita con certe piccole nubi sulla luna... "Sono baltico"...".

WORKING POOR: "... le sue necessità erano molte perchè nonostante il lavoro era povera...".

TIMIDEZZA: "... chiese la lista nel modo seccato e selvatico che hanno i timidi di chiedere...".

Non si creda che il fuggevole impressionismo di questa penna sia sinonimo di vanità. Sentire come viene reso il battito sordo del martello della FAME africana, non lascia dubbi in merito.