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sabato 18 febbraio 2012

Musiche appese a un filo

Augusto Esquivel 

un filo di Augusto Esquivel

 

1. … mangiatori di loto fanno lavorare le mascelle…   

2. … rimasugli di concerto grosso…

3. … lo sperone insanguinato…

4. … infiorescenze vocali nella notte newyorkese…

5. … ambienti concavi (con moquette)… Michel

6. … Chapter one… oggi la Sara spiega in classe… le musiche primitive

7. … indicatori della qualità della vita a San Paolo…

sabato 24 settembre 2011

Baci a occhi aperti

La carezza degli arpeggi fender è sempre dalla parte del pelo e alla fine non la senti nemmeno più. Il timbro secco del violino elettrificato imita quei pacchiani sintetizzatori che tanti anni fa imitavano i violini banalizzandoli.

Forse succede qualcosa d’ imprevisto, un piccolo incendio, ma in lontananza, al di là dei muri del giardino, e a noi poveri ascoltatori che in punta dei piedi allunghiamo il collo ci fanno subito “circolare” per condurci alla bacheca dove dove giace un freddo pensiero, quasi fosse il cadaverino di una farfalla sotto vetro.

Julia Feld come riempiremo le librerie al tempo dell' e-book

 

L’ acquarello in coopertina è una promessa non mantenuta, il bacio al passato, caro Caleb, stavolta l’ hai dato a occhi aperti.

Genealogia: Brian Eno.

Itsnotyouitsme (Caleb Burhans, Grey McMurray) – Walled Gardens

sabato 11 giugno 2011

Dipingere la parola

Caleb Burnheim ha scritto parecchia avventurosa musica per archi nel tentativo di riproporre creativamente le tristi inflessioni vocali del suo idolo, il cantautore inglese Nick Drake. Microtoni, glissandi, archetti modificati… le ha provate tutte per inseguire quel modo tutto particolare di pitturare le parole.

Per noi è una benedizione che ascoltando le scheletriche ballate del depresso menestrello dall’ alto dei suoi diplomi non le abbia liquidate con un: “niente male per essere solo spazzatura!”, e nemmeno: “ottimo per la pausa caffé, in attesa di cominciare il lavoro serio sulla carta pentagrammata”. E nemmeno le abbia pensate come hobby da sfruttare per dar la stura ai suoi numeri da virtuoso.

No, per lui quella musica indolente e triste era un “mistero artistico” autentico che lo riguardava da vicino in quanto musicista, e con la sua opera e il suo linguaggio personale ha tentato di dare un resoconto credibile di cio’ che lo aveva colpito.

word painting

Il piccolo Nick Muhly, da corista di collegio, si è arrotondato la bocca su molta della tradizione anglicana e oggi, nella sua musica corale, le reminiscenze di questo passato (molto prossimo) traboccano: un fraseggio stretto dal Te Deum di Howells, un salto vocale da una canzone di Tye, un colpo di glottide nel mottetto pentecostale o un responsorio a velocità variabile, ricordo del Taverner della settimana santa.

Il climax a lungo sospeso della sua musica attende che affiorino in modo rapsodico queste trovatine eclettiche che finiscono qua e là per agglutinarsi in agitati caleidoscopi.

Il giovanotto predilige la musica sacra perché la Scrittura è zeppa di “you”, che con il “me” risulta essere parolina particolarmente musicabile e pitturabile; e anche perché lì la tradizione del “word painting” è consolidata. Non a caso, pur di infilare qualcosa di profano che si prestasse ad una fantasiosa sonorizzazione lessicale, si è affidato a Whitman, poeta le cui gioie assomigliano a quelle del bambino che trova la figurina mancante intonando salmi laudatori, e le cui rabbie lo portano ad inveire come un Geremia ad Arcore. Ma soprattutto è un tale che non esita a dire chi è (i “me” si sprecano, per la gioia del pittore di parole) e a parlare guardandoti negli occhi mentre ti mette spalle al muro infarcendo il suo sermone laico con un mitragliante “you”.

link

Nico Muhly – A good understanding - Decca