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giovedì 9 giugno 2011

L’ appropriazione indebita

Non ho mai ucciso un comunista. L’ anticomunismo, sbollita la rabbia giovanile, l’ ho trovato una pratica assurda: uno stratagemma per tenerci occupati e confondere quelli che devono essere i veri obiettivi

Pierluigi Concutelli – Io, l’ uomo nero.

Secondo Orsini il brigatista è un tipo antropologico particolare: non ha interessi propri, affari privati, sentimenti, legami personali, affetti di un qualche tipo.

Non li ha e non deve averli. Se qualcosa resta deve liberarsene. E’ un uomo sradicato, alienato (e rinato solo grazie all’ ideologia).

Il terrorista deve essere solo. In questo senso vive un suo celibato. Il terrorista è coerente. In questo senso fa sempre cio’ che dice.

E’ o deve diventare privo di ogni egoismo, sempre pronto come un automa a gettare il cuore oltre l’ ostacolo sacrificandosi per gli altri.

Buzzfeed aiutiamo il giappone

Una condizione sacerdotale, la sua.

L’ ideologia della Chiesa (riveduta e corretta) sembra essere una fonte d’ ispirazione inesauribile: il capitalismo esalta la ricchezza, la Chiesa premia la povertà. La Chiesa predica poi la comunione dei beni e si offre spesso quale baluardo alla modernità.

Ma questo è proprio il ruolo che il brigatista rivendica a sé. Non a caso ama ritrarsi come un cristiano delle catacombe.

Il brigatista è pronto a fiancheggiare la Chiesa più retriva, come le rivolte afghane; sostiene la ribellione irachena come il terrorismo islamico. Anche la Tav in Val di Susa gli va bene. Tutto pur di colpire il suo nemico: la civiltà moderna.

Curcio leggeva Camus e parlava spesso del fatto di non aver avuto un padre. Più volte ebbe a dire seriamente “Dio è mio padre”.

Ecco, se c’ è un prototipo dell’ alienato questi è Curcio.

Nasce a Monterotondo da Jolanda Curcio (18 anni), il papà, Renato Zampa, lo conobbe a 12 anni. Jolanda lo affida alla famiglia Paschetto di Torre Pellice (alta montagna piemontese). A 10 anni finisce nel collegio dei preti Don Bosco di Centocelle. Si chiude in “una sfera di silenzio e rifiuto autistico”. Non parla, non studia. Incontra solo l’ ultimo parente che gli è rimato: Luigi Zampa, uno zio. Bocciato viene trasferito ad Imperia presso un’ altra famiglia. Bocciato di nuovo, solo la minaccia dell’ istituto di correzione lo spinge a studiare il minimo indispensabile per il diploma, che consegue dopo una fuga a Milano dove trova lavoro come ascensorista all’ Hotel Cavalieri. Con il diploma in tasca viene assunto alla Pirelli, una vita insostenibile per un ribelle del genere. Nel corso di una domenica qualunque chiede un passaggio non sa neanche lui per dove. Finisce a Genova, dove vive da barbone, scivola nell’ alcolismo e assume metadrina. Capisce che la sua esperienza è senza ritorno, scappa a Trento dove ha sentito dire che inaugurano una nuova facoltà di sociologia. Frequenta i corsi fondando una comune in una casa semi crollante sulle rive dell’ Adige. Di politica non sa ancora nulla, sa solo che odia profondamente questo mondo e vorrebbe distruggerlo. Il marxismo leninismo fornirà gli strumenti e le soddisfazioni surrogatorie del caso.

Il brigatista si ritiene un Messia chiamato ad “accelerare la Storia”, uno che “uccide per amore”.

Il riformista è per lui “un sadico che non si decide a staccare la spina”.

Biagi, D’ Antona avevano cercato di riformare il mercato del lavoro e devono pagare poiché le riforme con un qualche successo riducono l’ odio contro il capitalismo. Lenci fu condannato a morte da Prima Linea per i suoi progetti architettonici rivolti a migliorare la vita dei detenuti. Viscardi, direttore del carcere di Bergamo, fu eliminato per aver creato un clima ben accetto ai reclusi.

Tutto quel che Orsini sottolinea per molti ha un difetto terribile: vale anche per i terroristi neri. 

 

L’ autore lo sa e a loro dedica l’ appendice, sfilano le figure di Pierluigi Concutelli, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Franco Freda, Alessandro Aliprandi, Roberto Nistri.

Nulla sembra distinguerli dai “rossi”. Concutelli non fu meno rivoluzionario di Curcio o di Moretti. La vocazione lo spinse a combattere persino in Angola.

[… in questo senso il marxismo si rese colpevole di appropriazione indebita allorché tentò di avocare a sé la Rivoluzione. Nel libro è Moravia a difendere in modo che oggi suona patetico questa “esclusiva”…]

Non solo, anche il nemico era comune: il mercante e tutti coloro che coltivano il proprio “particulare”. Con loro intendevano colpire l’ individualismo, il profitto, la ricchezza, la concorrenza, la desacralizzazione del sacro, la libertà d’ espressione, l’ egoismo, la mancanza di solidarietà e il mondo borghese in genere.

Quanto alla costruzione da erigere domani, al di là di qualche accenno all’ Uomo Nuovo, non era certo al centro della loro attenzione.

Quanti documenti lasciarono i brigatisti sulla società che avrebbero voluto costruire? Orsini, uno dei pochi ad averli letti tutti risponde: nessuno.

I rivoluzionari per vocazione sono in realtà dei reazionari impenitenti, uomini offesi ed indignati da tutto cio’ che la modernità occidentale rappresenta.

martedì 7 giugno 2011

Il prezzo della coerenza

Se avessimo conquistato il potere

avremmo fatto impallidire anche Pol Pot

Alberto Franceschini

La storia del comunismo italiano è anche la storia delle Brigate Rosse e la storia delle Brigate Rosse è la storia di un movimento politico-religioso di stampo puritano.

Come nella profezia di Chesterton, dopo aver soppresso il Dio trascendente, l’ uomo si è trasformato da “credente” in ateo “credulone”.

Ripensando al terrorismo oggi ci vengono in mente strani personaggi un po’ comici e fuori dal tempo. Ma allora i “comici” sparavano.

PULP CHAPLIN

Il militante brigatista, come ogni discepolo, veniva sottoposto ad un processo politico-psicologico che spogliava le sue vittime di ogni umanità. Prima di essere ucciso il “nemico” era degradato ad una specie inferiore in grado di suscitare solo sdegno e ribrezzo. Si trasformava nel “porco” (rivendicazione Labate) o nel “lurido porco” (rivendicazione Taliercio).

Il mondo è un “pantano” (Gramsci) immerso nelle “tenebre della schiavitù” (Lenin) e alcuni uomini (i democristiani) ne sono responsabili, ucciderli è un atto di giustizia.

I brigatisti hanno bene o male una storia comune, sono tutti figli dello “gnosticismo rivoluzionario” e della “pedagogia dell’ intolleranza”. Una micidiale pozione messa a punto nei sofisticati laboratori del partito Comunista Italiano.

L’ interpretazione del marxismo come fenomeno religioso è oggi condivisa anche da autorevoli studiosi marxisti (Hobsbawn), in esso palingenetica speranza millenarista e preteso scientismo andavano di pari passo. Fu proprio Frederich Engels a richiamare di continuo le analogie tra prassi religiosa e prassi rivoluzionaria.

La mentalità gnostica presenta alcuni temi ricorrenti: l’ attesa della fine, il catastrofismo, l’ ossessione della purezza. L’ adepto adempie alla sua funzione azionato dal “motore dell’ odio”, un motore che deve essere continuamente lubrificato. Nei testi sacri sventolati nelle piazze sessantottine l’ odio di classe veniva teorizzato come “principio di ogni saggezza”.

Il messianesimo politico deve aleggiare di continuo affinché i doveri siano chiari: radere al suolo tutti gli aspetti della vita presente per edificare la “società degli onesti”. Il brigatista “si sente più pulito” (Minervino) e grida al mondo intero di essere animato da una “purezza assassina e dispotica finalizzata a reprimere gli impuri in nome di una fede incrollable” (Morucci).

La logica brigatista prevedeva la purificazione del mondo mediante lo sterminio del nemico. “Chiedevamo alla politica di essere pura così come Savonarola lo chiedeva alla sua Chiesa” (Morucci).

Il grande ispiratore del comunismo italiano e quindi anche dei brigatisti fu Antonio Gramsci, il suo discorso era intriso fin nelle fondamenta da una concezione gnostica della Storia. Considerandosi depositario di una “conoscenza superiore” si sentiva in dovere di “imporla con ogni mezzo”.

Il catastrofismo è una sua prerogativa, si sentiva vittima di “un mondo malato” dominato da “una terribile e asfissiante realtà borghese” che spinge tutti verso un “marasma omicida”. Solo la rivoluzione comunista farà tabula rasa.

Ma le masse non vedono, hanno bisogno di essere guidate. Una “minoranza illuminata” deve condurre il popolo verso la “redenzione”.

“Redimere” e “purificare”: siamo in presenza di un linguaggio religioso che Gramsci rivendicava con orgoglio. Nel suo periodare fiorisce il lessico misticheggiante e i militanti del partito diventano i “costruttori della Citta dell’ Uomo” che s’ ispira alla “Città di Dio”. La sete di santità e martirio è ovunque.

Gramsci indossa di continuo i panni del moralizzatore che denuncia lusso, ricchezza e profitto. Come ogni sacerdote che si rispetti si rivolge agli “uomini di buona volontà”. Li esorta ad uscire dalle “tenebre borghesi che incombono” facendosi carico delle sorti del mondo.

Gramsci, come i brigatisti, odiava i tiepidi prima ancora che i suoi nemici diretti (guardare alle vittime dei brigatisti è illuminante).

Per la sua concezione integralista della politica era intollerabile non “schierarsi in modo rigorosamente partigiano”.

La mentalità dal codice binario, nonché il sentimento prezzemolino dell’ “odio”, produsse uno slogan politico di grande successo: “odio gli indifferenti”.

“Odio gli indifferenti… e sento di poter essere inesorabile, sento di non dover sprecare la mia pietà… verso chi non parteggia…” (per capire quanto in Italia il passato sia stato elaborato a dovere basterebbe aggiungere che tra la commozione generale queste parole sono state appena riproposte come esempio di virtù civica nientemeno che in quel di San Remo).

Per Gramsci questo mondo è un “pantano lurido e nauseabondo”. Soluzione: distruggere e purificare.

Togliatti, Longo, Berlinguer raccolsero il testimone e, sebbene dovettero frenare il loro impeto causa un contesto internazionale poco favorevole, non esclusero mai una “trasformazione socialista anche violenta in Italia” (Togliatti).

A questo punto la domanda è scomoda ma ineludibile: quali furono le responsabilità del PCI nella genesi delle BR?

La risposta sembra altrettanto ineludibile: il gruppo che fondò le BR pagò il prezzo della coerenza con l’ educazione rivoluzionaria ricevuta nelle sezioni del partito. La responsabilità ci fu e fu una responsabilità pedagogica.

Rossana Rossanda riconobbe per prima il forte legame tra l’ indottrinamento ricevuto nel PCI e l’ ideologia brigatista. Leggendo i documenti prodotti dall’ organizzazione terrorista sembrava di “sfogliare l’ album di famiglia”. Quanti bei ricordi!

Il PCI del dopoguerra si caratterizzò per l’ esaltazione della violenza eversiva.

La violenza era ritenuto uno strumento del tutto legittimo per instaurare il socialismo, anche se ormai il fascismo era stato abbattuto. Nel 48, poco prima delle elezioni, Togliatti chiese lumi a Kostylev (ambasciatore URSS a Roma) circa l’ eventuale insurrezione in caso di sconfitta alle urne. Kostylev chiese a Molotov che chiese a Stalin: “per quanto riguarda l’ insurrezione armata del partito comunista italiano riteniamo che il contesto internazionale non la renda ancora attuabile”. Salvati dal baffone, ma si puo’? E poi ci chiediamo perché il  sentimento patriottico è tanto flebile.

Ci si limitò così a delegittimare i vincitori delle elezioni. La vulgata ufficiale era chiara: ricatti e brogli consentirono a De Gasperi il colpo di stato grazie al quale governava un governo “più illegittimo di quello fascista”. In queste condizioni esisteva chiarissimo un “diritto alla resistenza” (Longo).

Ma il PCI era un partito democratico, penserà l’ ingenuo. Ma ceeeeerto! Cio’ non toglie che “è del tutto superfluo domandarsi se sia lecito o meno ricorrere alla violenza per conquistare il potere perché democratica per definizione è la rivoluzione socialista, qualunque sia il modo in cui la si ottiene” (Togliatti).

C’ è da stupirsi se i migliori allievi di questa scuola (noti anche come “la meglio gioventù”) descrivessero Moro come il “gerarca più autorevole della DC” (primo comunicato dopo il rapimento) e la DC come “immondo partito”.

Nel “pacchetto educativo” del PCI, oltre alla delegittimazione dell’ avversario, ricorrevano le tecniche di “demonizzazione” e l’ esaltazione della violenza. Gli eroi erano Lumumba e Che Guevara (“la loro lotta è inseparabile dalla nostra”).

Nel corso del 68 – si preparavano nuove elezioni - il PCI, lungi dal prendere le distanze dalle frange più radicali ambisce ad organizzarle. Anche gli studenti più facinorosi sono descritti come “vittime dell’ irresponsabilità di governo”. “La loro è la violenza buona, creatrice di ordine e libertà”. Nessuna presa di distanza, dunque: bisogna convincere i terroristi in erba che il PCI è realmente rivoluzionario e non integrato al sistema: “… siamo il partito di Ho Ci Min e di Giap, siamo il partito della rivoluzione” (Occhetto).

Giocando con le parole, una volta evocate le forze dell’ eversione, il PCI non seppe più contenerle e la frittata si abbatté sull’ Italia. Nel 1972, quando ormai le BR erano pienamente operative, Amendola invitò il partito ad un “fermo atteggiamento critico”. Ma ormai si era civettato troppo a lungo e i figli avevano imparato fin troppo bene la lezione dei padri.

***

Il libro di questo storico “giovane promessa” è documentatissimo e mi interessa perché non si tratta solo di “storia”. Molti di quei protagonisti sono in campo ancora oggi, ma soprattutto è in campo una certa eredità culturale mai adeguatamente espulsa.

Non sono tanto ingenuo da credere al “Partito dell’ Odio” vs. il “Partito dell’ Amore” ma credo fermamente in un’ asimmetria dell’ odio  e cerco di spiegarmela.

Dopo questa lettura un paio di buone spiegazione le ho:

1. Chi non mette la politica al primo posto – quasi fosse una religione - difficilmente potrà mai provare un “odio politico” sincero. Fa molto meglio chi già in partenza teorizza la “centralità della politica”.

2. Un conto è chi “odia” improvvisando in seguito ad una stizza estemporanea o sospinto dalla spirale degli insulti reciproci, un altro conto è chi odia coltivando e mettendo a punto con cura il suo sentimento forte dall’ avere alle spalle la migliore tradizione politica in materia. 

Alessandro Orsini – Anatomia delle Brigate Rosse.