PERCHE’ LA LEGA VINCE OVUNQUE TRANNE CHE A MILANO?
Questo post riguarda più la discussione civile che l’analisi
politica, sia chiaro fin da subito.
Partiamo. Se divido il mondo in padroni e lavoratori, cerco la
rissa prima ancora che la verità. Se divido il mondo in colti e ignoranti, cerco
la rissa prima ancora che la verità. Se divido il mondo in popolo ed élite,
cerco la rissa prima ancora della verità. E questo a prescindere dal grado di
verità delle affermazioni di cui sopra.
Ebbene, vi garantisco che ci sono modi per dividere il mondo in
grado di sopire il conflitto senza farci capire meno la realtà, anzi. Faccio un
esempio.
Prendiamo la Lombardia, la Lega – il partito più disprezzato dai
giornaloni - vince ovunque tranne che a Milano (dove hanno sede i
giornaloni). Anzi, tranne che in certi CAP di Milano. Tranne che a Milano
centro. Per stare sulle generali, diciamo così: se ci sono posti in cui fatica,
sono le grandi città.
Il great divide che propongo è questo: Elettore che vive in zone
ad Alta Densità urbana (EAD) ed Elettore che vive in zone a Bassa Densità urbana
(EBD). Nessuno dovrebbe offendersi se gli danno dell’EAD o dell’ EBD. A meno che
salti fuori il guastafeste a sottolineare quanto l’EAD sia più istruito. Ok, ma
tra l’EAD e l’EBD ci sono differenze ben più pregnanti di questa. Vediamo la
principale.
L’EAD è più sensibile alle esternalità, ovvero alla
ripercussione che certi comportamenti hanno sulle altre persone. E ti credo,
vivono tutti gomito a gomito in un formicaio dove anche uno starnuto influenza
il prossimo e non lo fa dormire! Detenere un fucile in campagna puo’ anche
essere accettabile, in condominio è inquietante. Fare un barbeque in villa è una
sana abitudine conviviale, farlo in appartamento finisce a botte. Quel che è
normale per EBD, allarma EAD. Nessuno dovrebbe offendersi per questa
constatazione.
La Lega è il partito del senso comune (legittima difesa,
sicurezza, tradizioni, padroni a casa nostra…), ma laddove abita EAD il senso
comune – emerso nel cervello umano al tempo della nostra ruralità – non è di
facile applicazione. Nell’alveare – che ha natura gassosa - si sviluppano
dinamiche imprevedibile davanti alle quali il senso comune è disarmato,
occorrono soluzioni ben più sofisticate.
Si capisce?
Ma c’è di pù. Qualora la Lega venisse accusata di essere “il
partito della rozza campagna”, potrebbe agevolmente rispondere che le città non
sono affatto governate bene. Ed avrebbe ragione!
Come? Milano mal governata? Certo. Noi non abbiamo ancora capito
come governare in modo accettabile luoghi ad alta densità urbana, la spia di
questo fallimento sono i prezzi, in particolare i prezzi delle case: ovunque
sono enormemente più elevati rispetto a quelli potenziali. L’amministrazione è
disastrosa con i suoi piani regolatori (l’80% della sua attività). Se questo
termometro del buon governo è attendibile, e io credo che lo sia, occorre
concludere che Milano in primis – ma tutte le grandi città – sono governate da
cani. A quanto pare, l’unica forma che conosciamo per fronteggiare
le esternalità ipertrofiche è ancora un primitivo cripto-socialismo. Ordinato
finché si vuole – al punto da dare l’illusione del buon governo, specie a chi
vive con la pattumiera in strada – ma altamente inefficiente, segregazionista e
sprecone.
P.S. Ero partito a scrivere questo post avendo in mente la
realtà nazionale. Ma lì ci sono i Cinque Stelle che non riesco a collocare né in
campagna né in città. Solo su Marte.
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mercoledì 31 luglio 2019
sabato 23 marzo 2019
NUOVE POLARIZZAZIONI
NUOVE POLARIZZAZIONI
Destra v Sinistra non funziona più.
Conservatori v Progressisti non gira.
Popolo v Elite è lacunosa.
Ricchi v Poveri è sorpassata.
Autonomi v Dipendenti non rende.
...
Proposta: Femmine laureate v maschi diplomati.
mercoledì 7 marzo 2018
La variabile chiave
La variabile chiave
L’istruzione è forse la variabile più importante nella ricerca sociale. Ogni volta che leggo uno studio – si parli di sesso, di fumo, di gioco, di famiglia, di soldi, di religione, di politica o di qualsiasi altra cosa – mi chiedo: è stato neutralizzato l’effetto dell’istruzione? In caso negativo diffido.
Ma attenzione, le cose non sono così lineari. Mi spiego meglio.
***
Se una persona è più istruita di un’altra, ha più probabilità di essere atea. E’ un fatto.
Cio’ non significa affatto che i paesi più istruiti siano anche i più atei.
Se una persona è più istruita di un’altra, ha più possibilità di votare a sinistra.
Cio’ non significa affatto che i paesi più istruiti tendano a sinistra.
Se una persona è più istruita, ha più probabilità di recarsi al seggio e votare.
Ma i paesi con istruzione media superiore alla media hanno una partecipazione al voto inferiore alla media.
In altri termini: non conta l’istruzione ma l’istruzione relativa.
***
A questo punto è lecito chiedersi: ma perché chi è relativamente più istruito dovrebbe essere “di sinistra, ateo e fedele al voto”? I motivi sono vari e hanno ben poco a che fare con il sapere.
L’istruzione è forse la variabile più importante nella ricerca sociale. Ogni volta che leggo uno studio – si parli di sesso, di fumo, di gioco, di famiglia, di soldi, di religione, di politica o di qualsiasi altra cosa – mi chiedo: è stato neutralizzato l’effetto dell’istruzione? In caso negativo diffido.
Ma attenzione, le cose non sono così lineari. Mi spiego meglio.
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Se una persona è più istruita di un’altra, ha più probabilità di essere atea. E’ un fatto.
Cio’ non significa affatto che i paesi più istruiti siano anche i più atei.
Se una persona è più istruita di un’altra, ha più possibilità di votare a sinistra.
Cio’ non significa affatto che i paesi più istruiti tendano a sinistra.
Se una persona è più istruita, ha più probabilità di recarsi al seggio e votare.
Ma i paesi con istruzione media superiore alla media hanno una partecipazione al voto inferiore alla media.
In altri termini: non conta l’istruzione ma l’istruzione relativa.
***
A questo punto è lecito chiedersi: ma perché chi è relativamente più istruito dovrebbe essere “di sinistra, ateo e fedele al voto”? I motivi sono vari e hanno ben poco a che fare con il sapere.
giovedì 25 gennaio 2018
Medici e guerrieri
Medici e guerrieri
A questo mondo non c’è nulla di più prezioso che una buona semplificazione. Scott Alexander ne propone una dividendo l’umanità in guerrieri e medici.
I primi affrontano i problemi del mondo “lottando”, i secondi “curando”.
Per i “medici” il problema è simile ad una malattia, per i “guerrieri” è un’opposizione.
Dove i primi scorgono errori, i secondi vedono conflitti.
Il guerriero è sempre in guerra: “guerra alla droga”, “guerra culturale”, “guerra all’obesità”…
Il medico è sempre alla ricerca di equilibri, e per trovarli migliora di continuo la sua bilancia.
La figura del guerriero è in un certo qual modo assimilabile a quella del militante.
L’intellettuale marxista è un classico esempio di “guerriero”, l’intellettuale “terzista” assomiglia più al medico. Le femministe sono indomite guerriere, in loro la tradizione marxista si fa sentire.
Il guerriero ama la dialettica, il medico l’armonia dellalogica.
Il medico vede “dilemmi” e “compensazioni” ovunque. In questo senso assomiglia all’economista, sempre alle prese con un “trade-off”. Il guerriero pensa più in termini di bene/male.
Il guerriero ama le narrazioni, gli danno la carica. Il medico in termini di modelli, spiegano di più.
I medici amano il dibattito, i guerrieri la sfida.
Per il medico c’è sempre qualcuno nella controparte degno di essere ascoltato. Per il guerriero invece esiste un’asimmetriadi fondo tra le parti.
Il medico ama i paradossi: lo sapevate che i programmi anti-droga delle scuole aumentano l’uso delle droghe tra gli studenti? E’ un modo per dire: attenti alle apparenze! Il guerriero è insospettito da questi avvisi formulati con gran virtuosismo.
Il medico diffida della democrazia in quanto dà troppo potere all’uomo mediocre. Il guerriero diffida poiché dà troppo potere occulto alle élites.
Il medico punta sulla funzione salvifica dell’intelligenza, il guerriero su quella della passione.
Per il guerriero l’ “intelligenza” porta al sofisma, per il medico la passione confonde.
Per il medico occorre discutere, per il guerriero darsi da fare.
Per il medico l’argomento è tutto. Per il guerriero conta di più chi lo esprime: un oste che loda il suo vino non è inaffidabile.
Il medico pensa che la massa vada guidata in qualche modo poiché incapace di seguire la retta via. Il guerriero si affida al buon senso della massa e diffida delle élites.
Per il medico la rivoluzione è stupida a prescindere. Il guerriero avversa invece la tecnocrazia con tutte le sue forze.
Il guerriero è spesso un complottista. Per meglio menar le mani deve considerare l’altro come un nemico, meglio se subdolo. Il medico parte sempre postulando la buona fede di tutti.
I medici vedono i guerrieri come gente che sbaglia mentre i guerrieri vedono i medici come nemici che vorrebbero confonderli.
Il medico ambisce a comprendere le ragioni dell’altro. Il guerriero, una volta appurato che l’altro è in errore, non intende comprendere le sue ragioni, farlo sottrarrebbe preziose energie alla sua lotta.
L’errore più frequente dei medici sta nel supporre che i guerrieri facciano errori banali. Spesso considera il guerriero uno stupido quando invece ci sono ottime ragioni per esserlo.
Nella storia occorrono sia i medici che i guerrieri. A volte è meglio essere medici, altre volte guerrieri. Dipende dal contesto storico. Esempio: i medici ci hanno spiegato bene – quasi sempre a posteriori – gli errori del comunismo, ma senza i guerrieri, probabilmente, i mregimi comunisti sarebbero ancora là. Altro esempio: i “guerrieri” maccartisti erano rozzi e facili da condannare, ma le spie nell’amministrazione americana c’erano e loro le hanno estirpate.
giovedì 20 luglio 2017
Lo spartiacque
Lo spartiacque della ragione
Lo so, a molti non piace dividere il mondo in due.
Costoro si affrettano a precisare che la regola del “tertium non datur” varrà per la logica ma non vale quando ci muoviamo nella vita reale.
Non penso che una reazione tanto drastica sia oculata, discutere in fondo significa anche semplificare e ragionare significa dividere: o sulla realtà non si puo’ ragionare o occorre mettere degli spartiacque.
Cartesio ci invita a “distinguere”, a “separare”.
Una distinzione non si giudica tanto dalle eccezioni che trascura ma da come fa avanzare il discorso.
Sarebbe meglio allora dedicarsi alla ricerca dei “great divide” più fecondi.
I migliori “great divide” sono porte che si aprono su altre porte e così via, fino a condurci in una terra incognita. I peggiori sono quelli che conducono ad un esito prevedibile in anticipo.
Alcuni classici spartiacque:
paternalisti vs libertari
ricchi vs poveri
credenti vs agnostici
città vs campagna
donne vs uomini
esperti vs profani
artisti vs prosaici
avidi vs mistici
civili vs incivili
oriente vs occidente
agricoltori vs allevatori
agricoltori vs cacciatori
montanari vs valligiani
aristotelici vs platonici
fighi vs secchioni
estroversi vs introversi
curiosi vs profondi
produttori vs consumatori
perseveranti vs creativi
razionali vs empirici
comunitari vs individualisti
empatici vs autistici
…
Le domande da porsi davanti ad un “great divide”:
1. Quali ulteriori divisioni comporta la divisione posta?
2. Come prende posizione la gente nella suddivisione posta?
3. Da quanto dura la divisione senza che una parte prevalga?
4. Come potrebbe prevalere una delle due parti?
5. Perché una delle due parti potrebbe essere migliore dell’altra?
6. Come convincere una delle due parti che la sua posizione è sbagliata?
7. Quale puo’ essere un compromesso tra le due posizioni?
2. Come prende posizione la gente nella suddivisione posta?
3. Da quanto dura la divisione senza che una parte prevalga?
4. Come potrebbe prevalere una delle due parti?
5. Perché una delle due parti potrebbe essere migliore dell’altra?
6. Come convincere una delle due parti che la sua posizione è sbagliata?
7. Quale puo’ essere un compromesso tra le due posizioni?
lunedì 14 gennaio 2013
In lode del fazioso
La professoressa Nancy Rosenblum ha recentemente dato alle stampe un libro in cui si rivaluta la partigianeria politica: o di qua o di là.
E’ decisamente un’ operazione azzardata visto che mai come oggi l’ osservatore indipendente dei fatti politici è ricercato e apprezzato:
… Il disgusto per il partigiano si diffonde rapidamente e ovunque… da più parti la sua è ritenuta una forma “degradata” di cittadinanza… non mancano giudizi aspri che lo vogliono ora ignorante, ora inerte, ora succube dei leader e via dicendo… una persona dedita a sfigurare cio’ che altrimenti sarebbe una comunità politica perfettamente unita… e anche chi non giunge a questi eccessi, ovvero chi accetta di buon grado una consistente dose di pluralismo, considera comunque la partigianeria come un fattore divisivo creatore di conflitti… chi lo demonizza esalta poi la figura dell’ Indipendente mettendone in luce la superiorità etica…
Non è un caso che tutti gli esperti di settore anelino all’ indipendenza e a un certo ecumenismo:
… la continua interrogazione socratica e l’ imparzialità huemaniana sono quanto di più raccomandabile per l’ analista… anche i semplici votanti vengono spinti a fronteggiare i problemi politici con mentalità non-partisan… laddove i giudizi del “fazioso” vengono considerati squilibrati e minati da continue distorsioni percettive, quelli dell’ “imparziale” vengono raffigurati come limpidi, empirici e ragionati…
Peccato che tesi del genere non reggano un serio scrutinio:
… ben lungi dall’ essere più attenti, interessati e informati, gli “indipendenti”, come gruppo, tendono ad avere una conoscenza più approssimativa dei problemi politici, un’ immagine infantile delle personalità politiche, il linguaggio della politica spesso è per loro un gergo incomprensibile, il loro interesse al dibattito è inferiore così come inconsistenti sono le loro preoccupazioni sull’ esito di molte vertenze… L’ “indipendente puro” è la figura meno interessata alla politica… il più ignorante in merito… nonché, tra i votanti, il più superficiale… Tutto cio’ è perfettamente plausibile, se ci pensate: il militante spende molto più tempo nell’ approfondimento e ha anche più agganci quando si tratta di reperire informazioni… Il pragmatismo dell’ Indipendente - nascosto dietro la maschera di un generico “interesse civico” - è spesso caotico e sfocia in soluzioni ad hoc quasi sempre dannose per la costruzione di un sistema coerente… come se non bastasse, molte volte la sua posizione “equilibrata” sfrutta opportunisticamente i precedenti e fertili conflitti originati dalle varie fazioni…
A cio’ si aggiunge l’ incapacità di incidere, così tipica del Terzista:
… Ignazio Silone aveva ragione nel dire che l’ essenza del giudizio democratico sta nella “scelta dei compagni”… L’ Indipendente non coglie questa essenza quando, geloso della propria originalità, recalcitra allorché è chiamato a “coordinarsi” con il prossimo… si consegna così a un atomismo che, da un lato lo esonera dalle responsabilità del compromesso, ma dall’ altro lo rende, sì puro, ma anche irrilevante…
D’ altro canto, il settario:
… con il suo rifiuto della visione altrui pone linee chiare di demarcazione, accettando il conflitto delle idee s’ impegna a regolarlo sempre meglio, mette a fuoco i punti di dissenso ma anche quelli di possibile convergenza… in mancanza di partigiani i benefici della dialettica faticherebbero a emergere soffocati da un magma di visioni indistinte e mai in chiara opposizione l’ una con l’ altra…
Ma che dire a chi ci fa notare quanto il Partigiano tenda ad adottare acriticamente il Vangelo della sua tribù rifiutando spesso l’ evidenza palmare che confuta certe credenze? Secondo chi sostiene l’ accusa, il Partigiano rischia sempre di essere passivo ed eterodiretto.
… molti di questi difetti si riscontrano anche nell’ Indipendente, si riscontrano in chiunque professi una propria ideologia, e vale la pena qui di ricordare che “essere indipendenti” non significa essere svincolati dall’ ideologia ma piuttosto costruirsene una su misura… del resto il supporto ideologico sembra essenziale alla comprensione del reale, per dirla con le parole di Shumpeter: “l’ ideologia ci nasconde gran parte della realtà ma senza ideologia saremmo del tutto ciechi”… quanto alla presunta “passività” dell’ affiliato, recenti ricerche hanno dimostrato come le organizzazioni politiche siano sensibili alle preferenze latenti dei membri e anche più elastiche di quanto si pensi nel cambiare la posizione ufficiale in conformità con l’ opinione ufficiosa nel frattempo diffusasi tra i militanti…
Altro dubbio: ma la partigianeria non rischia di fomentare l’ estremismo?
… No. L’ estremismo deleterio non ha nulla a che vedere con le specifiche posizioni politiche di un partito ma piuttosto con la condotta di una frangia di militanti… l’ estremismo è un epifenomeno che emerge allorché si fa strada la frustrazione di non poter mobilitare dei voti, e questo diventa tanto più probabile quanto più si indeboliscono i partiti… gli estremisti spesso hanno una piattaforma accettabile [molti condividono gran parte dei volantini delle BR]… l’ estremismo è una prassi, non un’ idea…
Secondo molti se la faziosità politica dovesse diffondersi il Paese resterebbe bloccato, sono gli “indipendenti” a renderlo dinamico e sempre pronto a invertire la rotta. Sbagliato:
… Hillygus e Shields, nel loro libro “Chi persuadere?” hanno dimostrato che a cambiare voto sono per lo più ex partigiani delusi prima ancora che gli indipendenti. Come se non bastasse, è qui il caso di affermare che su molte “issue” il partigiano la pensa in difformità con il suo partito [si parla degli USA]…
La faziosità fomenta l’ interesse, ok, ma c’ è da chiedersi se davvero un’ “interesse” tanto morboso sia preferibile la quieta apatia di molti indipendenti:
… su questo punto pesano le contingenze. Al momento attuale vedo l’ apatia come la maggior fonte distorsiva del sistema. Colpisce soprattutto i poveri, sono loro a non votare e, come ha dimostrato uno studioso del calibro di Larry Bartels, la struttura delle preferenze dei poveri è molto differente rispetto a quella degli altri gruppi sociali, cio’ significa che una gran parte della società non è rappresentata nel voto democratico…
Conclusione:
… non abbiamo bisogno di più indipendenza ma di una sempre più leale partigianeria con un agone efficiente dove far competere idee contrapposte…
D’ altronde, era chiaro fin dall’ inizio che per la Rosenblum il tratto partigiano è consustanziale alla democrazia:
… il luogo comune per cui un sistema democratico intelligente e funzionante richieda ai suoi membri indipendenza di giudizio e spirito non fazioso è palesemente falso… nel mio libro ho intenzione di proporre la “militanza” come primario valore democratico ed etico…
Convinti? Io non del tutto. Penso che almeno un paio di critiche restino inevase, e per me sono quelle decisive.
Prima.
Chiediamoci: cosa serve affinché emerga la preziosa “wisdom of the crowd”, che è poi il sale di ogni democrazia?
Indipendenza di giudizio.
Cosa mina innanzitutto l’ appartenenza zelante a una Chiesa?
L’ indipendenza di giudizio.
Conclusione: nell’ aggregare i giudizi abbiamo bisogno di tutti i generi di errore affinché si elidano meglio tra loro. La partigianeria ci spinge pericolosamente a fare lo stesso errore degli altri, e questo puo’ essere un guaio.
Spesso, diciamolo, un’ ignoranza capronesca, specie se umile, è molto meglio di un cervello all’ ammasso.
Secondo.
Il “partigiano” coltiverà anche una grande passione civile dedicando molto tempo all’ informazione e all’ approfondimento delle varie “issue”, non sembra però che questo gli giovi granché quando forma le sue credenze. I bias cognitivi lo perseguitano più di quanto non facciano con l’ indipendente.
Sul punto, a me piace portare questo esempio sull’ effetto serra, lo traggo da Andrew Gelman:
… su un campione di soggetti intervistati, il 19% dei Repubblicani con un’ istruzione superiore credeva che le attività umane fossero la causa del riscaldamento globale, mentre si saliva al 75% tra i democratici, sempre limitandosi a quelli in possesso di laurea o titolo superiore… se invece non consideriamo in alcun modo il grado di istruzione la percentuale dei Repubblicani sale al 31% e quella dei democratici scende al 52%! A prima vista un risultato del genere è parecchio strano: verrebbe naturale pensare che quanto più elevata è l’ istruzione, tanto più si converge sul consenso scientifico, magari i laureati sono più scettici e meno creduloni ma qui tra Rep. e Dem. c’ è un movimento opposto nelle percentuali. Eppure, se guardiamo a questi dati da un’ altra angolazione, tutto prende senso: tra i laureati la percentuale di militanti è molto più elevata che tra i non-laureati e questo è confermato dalle ricerche che riscontrano una maggiore “polarizzazione” politica tra gli “istruiti”. Nel caso di specie, quindi, la forte divergenza sarebbe da attribuire a bias ideologici…
Non da ultimo, diciamolo, il Partigiano è spesso persona sgradevole, la sua “sordità” infastidisce. Va bene, è giusto riconoscergli una “funzione sociale”, ma questa spetta anche alla prostituta e all’ usuraio, passare dal “riconoscimento” all’ elogio è un salto mortale doppio, c’ è il rischio di rompersi il collo.
Certo comunque che se giudico dalla mia esperienza i sorprendenti dati della Rosenblum escono abbastanza confermati.
Di fronte a qualsiasi diatriba ritrovo puntualmente tre gruppi di persone: 1) gli indipendenti superficiali che affrontano il problema giusto al bar come pretesto per socializzare 2) i militanti che hanno una passione morbosa e che cercano di realizzarsi come paladini della verità 3) gli indipendenti sofisticati tutti indaffarati nell’ attribuire priorità e pesi in modo da bilanciare torti e ragioni.
Chi appartiene alla categoria 1 offre solo un interesse simulato e fuggevole alle questioni, i problemi non vuole risolverli ma solo scacciarli dalla propria mente, oppure esibire in pubblico la propria personalità, oppure li usa come pretesto per socializzare. Il passaggio da 1 a 2 si compie, in genere, quando siamo toccati personalmente da cio’ di cui parliamo. Il passaggio da 2 a 3 comincia quando cessa la paura del “nemico” – il che va di pari passo con una crescente sicurezza delle proprie posizioni - e si desidera approfondire il suo punto di vista, magari per meglio rintuzzarlo.
Vogliamo quantificare questi tre gruppi? Fatto cento il campione, il gruppo 1) conta settanta membri, il 2) venticinque e il 3) cinque.
Bè, se i numeri sono davvero questi – e io li trovo plausibili – le generalizzazioni della Rosenblum, anche se controintuitive, non sono campate in aria. Resta da valutare il fatto se un “interesse morboso” sia meglio di un “interesse simulato” o di un “disinteresse”. Probabilmente lo è solo quando rappresenta una tappa verso ulteriori sviluppi.
Chiudo con due considerazioni, spero non troppo fuori tema, frutto ancora della mia piccola esperienza. In esse rivaluto la partigianeria, ma in ambito culturale più che politico.
A.
Quando leggo un libro trovo utile porsi con un atteggiamento di sfida: “io la penso così, prova a convincermi del contrario se ci riesci”. Sarebbe impossibile lanciare seriamente queste sfide se la faziosità fosse bandita.
B.
E’ buona pratica, dopo essere stati “catechizzati” da chi ne sa più di noi, chiedere: “mi puoi citare un paio di personalità che rispetti e che su questo stesso tema sostengono tesi antitetiche alle tue?”. Conoscere visioni differenti illumina la visione che ci viene propinata e aiuta a giudicarla.
Recentemente ho fatto questa domanda alla psicologa dell’ asilo dopo l’ incontro che abbiamo avuto sui temi educativi. Mi ha sorriso ma non mi ha risposto (forse non era la sede per impelagarsi in certi discorsi). Me lo sono fatto bastare.
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