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martedì 10 dicembre 2019

LA COMPLESSITA'

LA COMPLESSITA'
Taleb, come al solito, è incazzatissimo. E' incazzato con chi parla di "complessità". Ma perché, visto che la complessità e l'incertezza sono al centro della sua speculazione? Perché chi ne parla non lo fa per affrontarla ma per giustificare i suoi fallimenti. Di fronte alla complessità occorrerebbe cambiare metodo decisionale, e invece che si fa? Si utilizzano le vecchie strategie, si sbaglia e poi ci si giustifica con la complessità. La complessità è qualcosa che ci rende irresponsabili.
Per Taleb non c'è conoscenza affidabile senza avere interessi in gioco, senza essere responsabili. Solo chi "scommette" su cio' che dice è degno di essere ascoltato. Ma ecco che ad azzerare tutte le scommesse arriva la complessità, un magma che anziché renderci più umili ci rende più liberi da ogni responsabilità.
Nella mitologia greca il suo personaggio preferito è Anteo, un gigante libico con una strana occupazione che consisteva nello schiantare al suolo i malcapitati passanti. Mirava a costruire un tempio per suo padre, Poseidone, usando come materia prima i teschi delle sue vittime. Traeva tutta la sua immane forza dal contatto con sua madre, la Terra.
Ecco, anche la conoscenza umana, come Anteo, trae la sua immane forza dal contatto con la terra. E questo contatto si esplicita ragionando su cose in cui si hanno interessi in gioco. Il filosofare astratto ci fa perdere in contatto inaridendo la conoscenza. I Greci dicevano: " guida il tuo apprendimento attraverso il dolore". Una neo-mamma sa bene di cosa parlo.
La maggior parte delle cose che crediamo siano state "inventate" dalle università sono state effettivamente scoperte armeggiando con le cose del mondo, e solo dopo legittimate e formalizzate nei Templi del Sapere.
Poche migliaia di anni dopo, la Libia, la terra putativa di Anteo, è messa malino, ridotta praticamente ad un mercato di schiavi. E' solo il seguito di un fallito "cambio di regime" progettato da chi pensava di conoscere avendo perso ogni contatto con la terra, persone prive di interessi in gioco che Taleb chiama "interventisti".
Gli esiti dell' "interventismo" sarebbero buffi se non fossero atroci, hanno per esempio contribuito a creare, addestrare e sostenere i ribelli islamisti. Si sono praticamente creati il lavoro da soli visto che proprio i ribelli islamisti sarebbero stati il loro prossimo problema da risolvere. Purtroppo. un problema ben più grosso. Con l'Iraq è successa più o meno la stessa cosa.
L' "interventista" ragiona come il medico che inietta in un paziente con cellule tumorali sostanze per migliorare il suo colesterolo rivendicando con orgoglio gli ottimi esiti dell'intervento anche dopo la morte del paziente: gli esami sul cadavere mostrano infatti valori ottimali del colesterolo. Fortunatamente i medici non infliggono simili "cure" fatali ai pazienti, o non lo fanno in modo così rozzo, e c'è una chiara ragione per questo: i medici di solito hanno interessi in gioco nella faccenda, e quindi una vaga comprensione di sistemi complessi, oltre a un paio di millenni di etica che ne determina la condotta.
L' "interventista" pensa in termini statici e non dinamici. Progetta il primo passo incapace di pensare che ne esisterà un secondo e un terzo. E' la vita reale da insegnarci che esiste un secondo e un terzo passo, ma lui ha perso il contatto con la vita reale.
L'interventista ha un pensiero unidimensionale. Ogni atto ha molteplici conseguenze che si ripercuotono su molteplici piani. La cosa non sembra interessare l'"interventista", il quale sembra ossessionato solo dal fatto di dover intervenire.
L'interventista pensa solo alle azioni, più raramente alle reazioni. I suoi modelli non funzionano bene se postuliamo delle interazioni complesse.
Per poter pensare in termini dinamici che tengano conto di molte dimensioni e delle molte razioni, non serve un Intervenista più intelligente o con computer più grossi, serve un metodo di conoscenza differente.
Quando l'"interventista" fallisce invoca l'incertezza. La colpa non è sua, il mondo è così complesso. Ma prima di pretendere di conoscerlo non se n'era accorto?
Il mondo però sembra credergli: è vero, il mondo è complesso e se l'"interventista" sbaglia non è colpa sua. A volte poi il mondo è talmente complesso che i fallimenti dell'"interventista" nemmeno si notano. Giustificato o inosservato, l'interventista non ha comunque interessi in gioco. Non rischia in proprio. Per questo finiamo per popolare la nostra intelligentsia con persone deliranti, letteralmente squilibrate mentalmente. Se diventano così è solo perché non devono mai pagare per le conseguenze di cio' che dicono.
Di fronte al mondo complesso i principi guida dovrebbero essere due: 1) primum non nocere; 2) chi non corre rischi non dovrebbero mai essere coinvolto nelle decisioni.
Anche in passato l'uomo ha avuto deliri di onnipotenza, ma non aveva armi per distruggere il mondo. Adesso sì. Meglio non far entrare nella stanza dei bottoni chi è irresponsabile di fatto.
Storicamente, tutti i "signori della guerra" erano essi stessi guerrieri e, con alcune curiose eccezioni, le società erano gestite da persone che si assumevano il rischio senza trasferirlo in capo a terzi. Faccio solo un'esempio: l'imperatore romano Giuliano l'Apostata morì sul campo di battaglia combattendo nella guerra senza fine sulla frontiera persiana. ma come lui fecero Giulio Cesare, Alessandro e Napoleone. L'ultimo imperatore bizantino, Costantino XI Paleologo, è stato visto l'ultima volta quando si è spogliato della sua toga di corte per unirsi a Ioannis Dalmatus e a suo cugino Teofilo Paleologo con lo scopo di caricare le truppe turche. Meno di un terzo degli imperatori romani morì nel proprio letto. Ancora oggi, i monarchi derivano la loro legittimità da un contratto sociale che richiede l'assunzione di rischi fisici. Il principe Andrea ha preso più rischi dei "comuni" soldati durante la guerra delle Falkland del 1982, con il suo elicottero era costantemente in prima linea. Noblesse oblige, si diceva un tempo.
L'invenzione della burocrazia consentì per la prima volta di separare l'individuo dalle sue azioni. Il decentramento del potere è l'unico rimedio alla de-responsabilizzazione, l'unico modo di riportare l'amministratore con i piedi per terra. E' più facile fare i bulli quando si vive sulla luna.
Nel decennio precedente il crollo bancario del 2008, Robert Rubin incassò oltre 120 milioni di dollari da Citibank. Quando la sua banca, letteralmente insolvente, fu salvata dal contribuente, non risarcì nessuno invocando l'incertezza e la complessità come scusa. Alle banche capita spesso: "Testa" incassano loro, "Croce" paga il contribuente. D'altronde, il mondo è complesso e queste sono cose che capitano.
La più grande vittima della crisi finanziaria è stato il libero mercato, poiché il pubblico, già incline a odiare i banchieri, ha iniziato a confondere il libero mercato con forme corrotte di clientelismo, quando in realtà è l'esatto contrario: è il governo, non i mercati, che rende vicende come quelle di Robert Rubin possibili.
A quel punto l'attività di assunzione dei rischi ha iniziato a spostarsi verso piccole strutture indipendenti note come hedge funds. Mentre la grande banca non "skin in the game" poiché sa di poter contare sui parafulmini della politica, i piccoli e odiati hege sanno benissimo che nessuno li salverà se dovessero saltare in aria. Inoltre, nello spazio decentralizzato degli hedge fund, gli operatori proprietari detengono almeno la metà del loro patrimonio netto nel fondo.
Ricapitolando, gli "interventisti" non imparano perché non sono vittime dei loro errori. Questa è una legge generale. Il fatto di poter trasferire il rischio su terzi mostacola l'apprendimento. Non convincerai mai completamente nessuno che ha torto; solo la realtà può convincerlo. E gli interventisti non dialogano con la realtà. E' la sopravvivenza che ci rende saggi, ma agli interventisti la sopravvivenza è garantita a priori. La maledizione della modernità è che siamo invasi da una classe di persone bravissima a spiegare ma inetta a imparare, e ancora di più a fare. L'apprendimento non è esattamente quello processo che si tiene nel carcere di sicurezza che chiamamo scuole. In biologia, l'apprendimento è qualcosa che, attraverso il filtro della selezione intergenerazionale, viene impresso a livello cellulare. Ma l'evoluzione può avvenire solo se è presente un rischio di estinzione. Taleb è indignato perché vede schiere di accademici senza "interessi in gioco" difendere l'evoluzione e nello stesso tempo rifiutare il rischio e la lotta per la sopravvivenza. E' gente che prende le distanze dalla nozione di Grande Disegno o dall'idea di un Creatore che sa tutto, mentre, allo stesso tempo, vogliono operare come tali considerando la società umana un pongo nelle loro sapienti mani.
Una cosa è certa: senza "skin in the game" l'arroganza umana non ha limiti.
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From the bestselling author of The Black Swan, a bold book that challenges many of our long-held beliefs about risk and reward, politics and religion, finance and personal responsibility'Skin in the game means that you do not pay attention to what people say, only to what they do, and how much of...