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venerdì 30 novembre 2018

LINK Turbofallimento

Will speed bankruptcy finally become policy? http://www.arnoldkling.com/blog/will-speed-bankruptcy-finally-become-policy/

mercoledì 29 novembre 2017

SAGGIO E’ un mondo difficile


E’ un mondo difficile


Il bizzarro compito dell’economia e dimostrare agli uomini quanto poco sanno.
Come esemplificare al meglio questa ignoranza messa in luce da quelle discipline economiche che la danno per scontata?
Prendiamo come esempio un oggetto banale di uso comune, un oggetto presente in tutte le case, un tostapane. Cosa c’è di più triviale? Cosa c’è di più semplice?
Ebbene, provate a costruirne uno!
Oppure seguite le peripezie di chi c’ha provato, uno come Thomas Thwaites, dottorando in design del Royal College of Art di Londra.
Una volta imbarcatosi nel “progetto tostapane” si è subito reso conto della montagna di complicazioni che sta dietro un’opera tanto banale, i pezzi da procurarsi sono più di 400!
I materiali che occorrono non sono banali, il rame per i cavi degli spinotti elettrici e il fili di collegamento. L’acciaio, per il sistema di griglie e la molla. Il nichel, per il componente che scalda. L’amica, per raffreddare il componente che scalda. Infine la plastica per l’isolamento dei figli e della spina.
T. si rese conto che se uno parte completamente da zero ci mette una vita per fabbricare un tostapane. E questo senza nemmeno andare in Cile ad estrarre di persona il rame necessario o in Russia per la mica.
Viviamo circondati da oggetti che non sapremmo mai fabbricare.
A dir la verità tanti di noi non sanno neppure quale sarà la destinazione finale del loro lavoro. Il boscaiolo che taglia un albero non sa se il legno verrà usato per uno stuzzicadente, per la struttura di un letto o per una matita.
L’unico a sapere è “il sistema”. Un sistema in grado di coordinare migliaia di ignoranze sparse sul pianeta.
Questa santa ignoranza affidata al giusto sistema ci rende disponibili una varietà sbalorditiva di prodotti. Basta entrare in un grande magazzino per accorgersi che centinaia di migliaia di articoli diversi sono presenti sugli scaffali. Su piazze come Londra e New York vengono offerti più di 10 miliardi di prodotti diversi.
L’unico a sapere la destinazione dei lavori è il sistema. Strategie alternative con la medesima ambizione, dal feudalesimo alla pianificazione centralizzata, sono finite nei libri di storia.
Ma c’è di più: tostare il pane non è affatto complicato, il pane, diciamo così, non assume un ruolo attivo, non prova a fregarti come potrebbe fare una squadra di banchieri di investimento. Il vero miracolo del sistema non è tanto la fabbricazione di un tostapane ma il coordinamento di migliaia di persone impegnate in quest’opera con i bisogni dei clienti. I problemi con le persone sono enormemente più complicati del già complicatissimo tostapane: le persone non collaborano, non stanno mai ferme, voi cominciate a risolvere un problema e vi accorgete che il problema cambia continuamente sotto le vostre mani.
Un cervello non basta, per quanto sia geniale. Tutti noi ci aspettiamo troppo da un uomo solo. Ci aspettiamo troppo dal capo di governo. Ci aspettiamo troppo da un eroe. Ci aspettiamo troppo da un valoroso militare. Abbiamo il tremendo bisogno di credere nell’efficacia di un leader ma costui resterà sempre un nano se paragonato al “sistema”.
Forse tale istinto oggi perverso ha origine nel fatto che ci siamo evoluti operando in piccoli gruppi di cacciatori e risolvendo problemi che erano, per l’appunto, quelli di un piccolo gruppo. Problemi banali, in un certo senso, problemi che potevano essere risolti anche da un genio. Non riusciamo così a capire come i problemi più complessi possano e debbano essere risolti involontariamente grazie all’ignoranza coordinata di molti.
Philip Tetlock è il più grande esperto di esperti. La sua opera ci fa notare come la contraddizione tra esperti sia all’ordine del giorno, oppure che le previsioni sulla politica Russa pronunciate da esperti di cose sovietiche non fossero più precise di quelle pronunciate da specialisti della politica canadese. Oppure che più gli esperti erano famosi, più erano incompetenti.
Gli esperti, secondo le ricerche di Tetlock, fanno meglio dei non esperti ma “leggerissimamente”, e questo dopo aver studiato “moltissimamente” di più. La colpa non è loro, è che viviamo in un mondo difficile. Viviamo nel mondo in cui il complicatissimo problema del tostapane si archivia nello scaffale dei “problemi semplici”.
Il sistema di mercato sembra l’unico in grado di approcciare questa complessità, ma qual è il suo segreto?
La lezione sembra essere che il fallimento sia parte integrante del metodo risolutivo come del sistema di mercato.
Più un settore economico è giovane, dinamico e promettente più i tassi di fallimento delle sue aziende è elevato.
La macchina per stampare fu inventata da Johann Gutenberg, un uomo che cambiò con la sua invenzione il corso della storia facendo fallire molti progetti alternativi. Ma lui stesso, nel tentativo di realizzare la famosa Bibbia che porta il suo nome, fallì e fu accantonato (il centro dell’industria della stampa si spostò Venezia). Non si guarda in faccia a nessuno nel nome di sua maestà il Fallimento, ovvero il motore per la soluzione di problemi complicatissimi.
Quando esplose la bolla delle cosiddette Dot-com, spazzò via innumerevoli giovani realtà economiche. Grazie ha questa capacità di far piazza pulita il business di Internet fiorì e si affermò.
La moderna industria informatica costituisce un esempio eclatante, il settore più dinamico dell’economia è stato anche quello in cui si sono osservati fallimenti a catena: Hughes,  Transitron, Philco, Intel, Hitachi, Xerox… Tutti nel buco nero per risolvere problemi incasinatissimi e realizzare cio’ di cui oggi possiamo godere.
Non sono tanti i dirigenti d’azienda che amano ammetterlo, ma il mercato trova tentoni la via giusta.
La stessa selezione naturale in campo biologico, spesso sinteticamente definita come il processo di sopravvivenza del più adatto, è in realtà innescata dalla “sconfitta del meno adatto”.
Dicevamo che i problemi che coinvolgono gli esseri umani sono particolarmente difficili da trattare. I manager li hanno sul tavolo ogni giorno.
Molti ritengono che i dirigenti delle grandi aziende debbano avere delle qualità eccezionali, lo pensano sicuramente gli azionisti che pagano loro stipendi profumati, ma lo pensano molte persone della strada (che vengono a sapere di quegli stipendi). Ma e poi davvero così? In fondo non si capisce bene cosa facciano di tanto eccezionale.
Un tentativo interessante di risposta all’enigma lo fornisce l’economista Paul Ormerod che ha confrontato quel che i reperti fossili ci ci dicono circa le estinzioni (fallimenti biologici) avvenute negli ultimi 550 milioni di anni con le statistiche di Leslie Anna sulla morte dei giganti industriali. Ebbene, il rapporto opportunamente normalizzato delle estinzioni biologiche e delle estinzioni aziendali appare molto simile, e questo nonostante che il processo biologico sia cieco mentre invece quello economico guidato dai geni del management.
Vogliamo tradurre? Beh, secondo Ormerod Apple potrebbe tranquillamente sostituire Steve Jobs con uno scimpanzé.
Non sono i manager ad essere dei geni, è il mercato (ovvero il sistema in cui sono inseriti) ad essere geniale.
Ma il modo più efficace per vincere la complessità è anche il meno popolare, chi ha voglia di brancolare nel buio in cerca di una soluzione vincente commettendo ripetuti errori sotto gli occhi di tutti? Chi vuole votare per un politico che segue questo metodo, o sostenere un manager di livello la cui strategia sembra quella di sparare ideee casaccio?
Di solito i politici si presentano come gente che promette di tirare dritto per la sua strada, di non cambiare mai idea, di essere coerenti. Dovremmo invece tollerare, persino celebrare tutti i politici che mettono alla prova le loro idee in modo talmente coraggioso da dimostrare che alcune non funzionano. Ma in realtà non lo facciamo mai!
La varietà di opinioni e la diversità di approcci è una ricchezza, ma a quanto pare poco apprezzata anche nei luoghi deputati al culto dell’efficienza. Ci sono alcune dimostrazioni del fatto che più una persona è ambiziosa, più sceglierà di essere uno Yes Man, e per buone ragioni visto che questi tendono essere premiati. Persino quando i leader e i manager vogliono davvero un onesto riscontro delle loro azioni, spesso non riescono a riceverlo.
Tendiamo a presumere che l’economia pianificata dell’Unione Sovietica sia crollata perché mancava l’effetto galvanizzante della ricerca del profitto e la creatività del settore privato. Molto più probabilmente è crollata perché mancavano i fallimenti, ovvero quei segnali che ci indicano più o meno direttamente la direzione da prendere. L’Unione Sovietica ha tirato dritto con i suoi progetti faraonici messi al riparo da ogni fallimento… ed è finita nel burrone. Una patologica incapacità di sperimentare.
Ma anche in una moderna multinazionale la diversità degli approcci è difficilmente tollerata, gli ostacoli sono almeno due. Il primo è la mania di grandezza: sia i politici sia i capi d’azienda a mano i grandi progetti. Il secondo è che noi raramente amiamo la convivenza di un’accozzaglia di principi incoerenti fra loro, è come se turbassero la nostra naturale inclinazione all’eleganza e all’uniformità. Ci piace pensare che tutto sia uniforme.
Sarà anche per questo che gestiamo tremendamente male i nostri fallimenti, a volte ci deprimiamo ma l’insidia maggiore non è la depressione.
Prendiamo il mondo del poker, un mondo dove regna il sangue freddo. Diversi giocatori professionisti raccontano che esiste un momento specifico in cui il rischio di perdere il controllo è molto alto, non è quando vincono e l’euforia li coglie ma quando hanno appena perso un sacco di soldi per una cattiva giocata e siamo colti da un demone pericolosissimo: la voglia di riscatto. Riconoscere la sconfitta e ricalibrare il gioco è l’unica cosa da fare, per quanto dolorosa. Una persona che non si fa una ragione delle proprie perdite è probabilmente destinata a correre rischi che in altre situazioni non prenderebbe nemmeno in considerazione.
La perdita ci fa perdere la ragione, gli economisti parlano di “sunk cost”, se al ristorante abbiamo ordinato il piatto sbagliato ci sentiamo in dovere di mangiare ugualmente, il fatto di dover pagare (e quindi buttato i nostri soldi) è come se ci imponesse un dovere, ovvero sacrificare ulteriormente il nostro piacere sorbendoci una schifezza. Se ho prenotato una vacanza pagando un congruo anticipo mi sento in dovere di partire anche se non sto bene, lo trovo un modo per non sprecare i soldi versati. Non appena ci accade qualcosa di negativo noi evitiamo ogni analisi accurata abbandonandoci alla voglia di riscatto. La giusta reazione sarebbe quella di incassare la battuta d’arresto e cambiare direzione, sebbene l’istinto ci spinga nella direzione opposta.
Questo spiega perché il detto “sbagliando si impara”, che è un saggio consiglio, sia tremendamente difficile da seguire.
complicato

venerdì 1 marzo 2013

SAGGIO Apologia di Cimabue

Il bizzarro compito dell’ economia è di dimostrare quanto poco sappiamo di quel che pensiamo di sapere.
August Frederich Von Hayek – La presunzione fatale

Il nuovo libro di Tim Harford è ispirato da una semplice considerazione:
… ci vorrebbe una vita per costruire un tostapane… eppure, cosa incredibile, se ne trovano sotto casa di affidabili ad un costo che non supera l’ ora di lavoro…
Thomas Twaites qualche anno fa tentò di realizzarne uno partendo da zero, e mal gliene incolse. In fondo, pensava il tapino, basta solo mettere insieme 400 pezzi.
… decisi di semplificarmi la vita copiando il modello più rudimentale… per il ferro mi recai nelle miniere del Galles… devo ammettere che ne approfittai per una vacanza… per il rame, dopo un contatto abortito con i cileni, ripiegai sull’ elettrolisi applicata alle acque inquinate presso un vecchio impianto di Anglesey… Il nickel tentai di procacciarmelo fondendo delle monete d’ epoca e riciclando il materiale filamentoso presso i laboratori messi graziosamente a mia disposizione dal College. Alla mica rinunciai facendomela spedire direttamente da produttori inglesi… per la plastica chiesi il permesso alla BP di recarmi su una piattaforma e ottenere così petrolio greggio, permesso rifiutato… mi detti così da fare con l’ amido di patate… un’ esperienza allucinante… alcune lumache si divorarono tutto nottetempo… ma alla fini riuscii a ottenere una quantità minima…
Nonostante anni di lavoro frustrato, sforzi erculei e  molti compromessi, il prodotto finito era di forma piuttosto… “amorfa”:
… ma funzionava!… almeno in certe condizioni: quando lo attaccavo a una batteria il tostapane scaldava… purtroppo quando l’ ho attaccato alla corrente si è… auto-tostato…
Morale: viviamo in un mondo complicato dove anche la produzione di un articolo banale come il tostapane va al di là di ogni umana comprensione. Oltretutto questo genere di problemi è da classificare tra i “semplici”:
… è difficile che il pane assuma per sé un ruolo attivo… non risponde alle tue strategie… non mette in campo contro-mosse, non cerca di fregarti come farebbe una squadra di banchieri d’ investimento… non cerca di ucciderti come potrebbe fare una cellula terroristica… non interagisce… sta semplicemente lì ad attendere la tua soluzione… in un certo senso si potrebbe dire che lui, poverino, “collabora”…
Inoltre:
… su piazze importanti come Londra e New York vengono offerti dieci miliardi di prodotti diversi, spesso molto più complicati di un tostapane…
Che dire?
La conclusione è che ci sono dei veri e propri “miracoli laici” a cui ci siamo abituati e che ora diamo per scontati.
Costruire un tostapane è un’ impresa titanica, come del resto costruire una matita quale la conosciamo (chiedere a David Thoreau).
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=IYO3tOqDISE]

 Eppure, proprio quando ne abbiamo bisogno, sia il tostapane che la matita sono lì che ci aspettano a pochi metri da casa nostra e a costi irrisori. Chi ha realizzato l’ impresa? Chi ha coordinato la miriade di persone coinvolte nel progetto? Sarebbe bene scoprirlo visto che questo genio ci ha arricchito come non mai nella storia dell’ uomo.
Certo che, al di là del mistero, c’ è da essere orgogliosi:
le società del passato, dal feudalesimo all’ economia pianificata, avevano tentato di perseguire questo obiettivo fallendo miseramente…
Ma anche preoccupati:
… il tostapane e la matita sono simboli di quanto sia sofisticato il mondo che abbiamo costruito ma anche degli ostacoli che attendono chi intende cambiarlo…
Veniamo ora alle possibili risposte.
Forse il segreto sta nello studio. Con tutte le università, i professori e gli scienziati che circolano, i problemi, anche i più ostici, si sciolgono come neve al sole, dove il sole è rappresentato proprio da cotante intelligenze e dalla moltitudine di biblioteche a loro supporto.
Errato. Le soluzioni  di cui parliamo non possono stare in una testa, e nemmeno in poche e selezionate teste chiamate a interagire in una torre d’ avorio.
Perché, faccio per dire, Obama o Berlusconi hanno deluso?
… tutti si aspettavano troppo da un unico essere umano o dal pool di esperti che costui poteva mettere insieme… abbiamo un tremendo bisogno di credere nell’ efficacia di un leader… quando la sfida è complicata cerchiamo un genio che l’ affronti in nostra vece… l’ errore non sta nell’ avere eletto i candidati sbagliati ma nel sovrastimare le reali possibilità che una leadership nel mondo moderno ha di raggiungere certi obiettivi…
Philip Tetlock, in vent’ anni di ricerche, ha indagato a lungo i limiti dell’ expertise in politica:
… nel verificare le previsioni raccolte abbiamo notato errori sistematici… sintomo delle difficoltà incontrate dal “professionista” nel comprendere e dominare la complessità sociale… certo, la differenza con il profano è evidente… tuttavia, sulla base di un qualsiasi standard oggettivo, i benefici dell’ expertise restano davvero modesti…
Se uno legge Tetlock, sembra emergere chiaramente una lezione talmente radicale che l’ autore stesso è restio a trarre: “pensa con la tua testa!”.
Se con la politica andiamo male, con il management andiamo anche peggio. Vi ricordate il libro di Peters e Waterman “Alla scoperta dell’ eccellenza”?
… in uno studio accurato sull’ eccellenza nel mondo degli affari… i due guru misero assieme una serie di giudizi creando una lista di 43 imprese governate in modo eccellente…
Solo 2 anni dopo Business Week pubblicò un articolo intitolato: “Oops… e adesso chi è eccellente?”. Delle 43 aziende un terzo era fallito o versava i gravi guai finanziari.
C’ è da meravigliarsi?
… no… Leslie Hanna stilò una lista delle aziende più potenti del 1912… dieci delle prime cento sparirono nel giro di un decennio… e più della metà negli ottanta anni successivi…
Eppure è proprio il mondo delle imprese che con un suo bidibibodibibu tutto particolare realizza sia il miracolo del tostapane che quello della matita! La lezione da trarre:
… sembra che il fallimento sia parte integrante di un mondo in grado di risolvere problemi sofisticati… e il bello è che i tassi di fallimento sono ancora più elevati nei settori nuovi e dinamici…
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=2E3dNqhXndE]
Ma perché un sistema vincente è così ricco di fallimenti?
… in parte perché i problemi sono complicati, lo abbiamo visto… in parte perché per sopravvivere non è sufficiente essere bravi, bisogna essere i migliori… se sei solo “bravo” l’ estinzione è il tuo destino…
C’ è spazio per pochi, come sul podio delle Olimpiadi.
I settori economici “tranquilli” sono anche i più stagnanti:
… l’ industria di maggior successo degli ultimi 40 anni, quella informatica, è stata costruita un fallimento dopo l’ altro… proprio come il tostapane che ha mandato in tilt Thomas Thwaites, è a sua volta il risultato di tentativi ed errori… il mercato trova a tentoni la via giusta…
I biologi hanno una parola per descrivere quel processo che seleziona il meglio grazie agli insuccessi: evoluzione.
L’ evoluzione ha qualcosa di sconcertante…
… data la nostra istintiva convinzione che problemi complicatissimi richiedano soluzioni a tavolino progettate da cervelloni altrettanto raffinati… rimaniamo spiazzati nell’ apprendere che l’ evoluzione… ovvero lo sciogli-nodi più potente in natura… sia così semplice e in gran parte casuale:… applichi una variante a cio’ che hai, elimini gli errori e ti tieni i successi, e così all’ infinito…
Il “prova e sbaglia” non è altro che l’ algoritmo evolutivo:
… l’ unico in grado di raggiungere un buon compromesso fra la scoperta del nuovo e lo sfruttamento di cio’ che è già noto…
E’ un algoritmo che ci ha regalato molte “soluzioni”:
… in biologia la fotosintesi, l’ occhio, il latte della mamma… nel commercio la contabilità a partita doppia, la cambiale, il 3 X 2…
Molti, forse a causa degli stipendi profumati, pensano che i dirigenti delle grandi aziende debbano avere grandi qualità. Ma come si concilia la “meritocrazia” con la “cecità” evolutiva?
Si concilia male, molto male. E le ricerche del “fastidiosissimo” economista Paul Ormerod ce lo ricorda continuamente:
… Ormerod ha studiato le statistiche sulla morte dei giganti industriali e le ha comparate con  dati della storia dei fossili nell’ ultimo mezzo miliardo di anni… rilevando che la configurazione delle estinzioni è alquanto simile per picchi e frequenze… le estinzioni biologiche e quelle aziendali sono affini…
Piuttosto inquietante:
… se le aziende fossero davvero in grado di elaborare strategie di successo… allora l’ estinzione delle aziende dovrebbe assumere caratteristiche del tutto differenti dall’ estinzione biologica… che é in gran parte casuale…
L’ evoluzione casuale è migliore dei manager superpagati.
Sembrerebbe che la Apple possa sostituire Steve Jobs con una scimmia che gioca a freccette!
Le cose non stanno proprio così, anche se è buona cosa pensare al merito come a un algoritmo più che a qualcosa con nomi e cognomi o a prestigiose Università. Purtroppo o per fortuna il ruolo del caso nei successi personali tende a essere sottovalutato mentre la mossa decisiva sta proprio nell’ indirizzare correttamente questa forza a livello di sistema.
Per chiudere la sezione mi permetto solo di ricordare che l’ analogia evoluzione/mercato non bisognerebbe spingerla troppo oltre, altrimenti qualcuno pensa davvero che siano la stessa cosa e attacca la tiritera sul “capitalismo darwiniano”.
***
Procedere per “tentativi ed errori”, ecco il segreto per sciogliere i mega-nodi più tenaci. Ma perché siamo tanto restii ad applicare la ricetta che Madre Natura ci propone come la più efficace?
… la reputazione di “voltafaccia” sembra essere un insulto… ma se prendiamo sul serio il metodo empirico, cambiare opinione molto spesso dovrebbe essere la norma… una flessibilità da esibire con orgoglio… e invece c’ è chi si vanta perché “tira dritto” per la sua strada… o perché non fa mai “marcia indietro”… o “non tradisce” le sue idee…
Dovremmo allora valorizzare meglio la nostra “formula vincente”…
… in modo da sfruttarla per affrontare problemi all’ apparenza irrisolvibili: cambiamenti climatici, guerre civili, instabilità finanziaria… presto vedremo come…
***
La Storia ci mostra come l’ orrore per gli errori sia un errore madornale. Un esempio?
Si dice che l’ economista sia uno “scienziato senza laboratorio”, questo non è del tutto vero: l’ Unione Sovietica fu un immenso laboratorio:
… dire che l’ Unione Sovietica si è rivelata un disastro non è una novità, ma i motivi particolari per cui il progetto è fallito vengono spesso trascurati…
Persone crudeli hanno recentemente rispolverato i peana innalzati da Eugenio Scalfari ai successi che l’ Unione Sovietica ottenne in campo economico. Con un uomo anziano certe cose non si fanno, soprattutto se entusiasmi del genere erano condivisi da molti, negli anni cinquanta. Ok, Scalfari fu un mezzo fascista e un mezzo comunista, ma chi in Italia non lo fu? Pochi benemeriti che si contano sulle dita di una mano.
I fascio-comunisti a metà sono in genere dei moralisti tutto d’ un pezzo e la mostruosa macchia morale dell’ Unione Sovietica è ormai captata anche dalle loro sensibili antenne. Sul piano economico, invece, le cose restano ancora oggi molto più elusive:
… tendiamo a pensare che l’ economia pianificata sia crollata perché mancava l’ effetto galvanizzante della ricerca di un profitto… ma questo non è del tutto vero perché l’ URSS era pieno di personaggi creativi a prescindere dall’ esca… e non mancavano nemmeno le tecniche motivazionali e gli incentivi sia positivi che (orribilmente) negativi…
Le lacune endemiche del sistema vanno forse cercate (anche) altrove…
… in una patologica incapacità di sperimentare… per i pianificatori è impossibile tollerare un’ autentica varietà di metodi per risolvere un problema… l’ ingegnere sociale ha in mente solo problemi ingegneristici: un problema, una soluzione… il resto è “spreco” di risorse… nella città modello di Magnitogorsk esistevano solo due tipi di abitazione “A” e “B”, ed erano le uniche concessioni alla diversità che la città poteva offrire…
Basta? No:
… il pianificatore, per quanto entusiasta e in buona fede, fatica a decidere cosa funzioni e cosa no… per conoscere quali esperimenti hanno dato esito positivo bisogna contare su feedback affidabili… che nel caso dell’ URSS erano ferocemente repressi…
Qui si narrano le vicende dell’ Ing. Palchinsky, un pianificatore illuminato che a un certo punto “comprese” il nocciolo della questione stilando quei principi che lo condussero dritto dritto in Siberia:
… primo, testare nuove idee e provare strade alternative… secondo, sperimentare in modo da sopravvivere ai fallimenti… terzo, cercare riscontri e imparare dai propri errori… Il primo principio potremmo chiamarlo “variazione”, il secondo “sostenibilità” e il terzo “selezione”… Finì nel Gulag con un’ accusa terribile: sabotaggio della grandiosa industria sovietica con l’ intento di perseguire “obiettivi minimali”… Poiché era una testa dura alla Giordano Bruno, non ritrattò e fu condannato a morte…
***
Ma anche nelle grandi organizzazioni democratiche e commerciali dell’ Occidente liberale, il metodo del “prova e sbaglia” risulta a dir poco problematico nella sua applicazione:
… la “variazione” è sempre difficile per una tendenza intrinseca: la mania di grandezza… i grandi progetti attirano l’ attenzione e dimostrano che il leader porta a termine le cose…
Proviamo a prendere sul serio l’ idea di “variazione”:
… se la varietà è un valore… bisogna ammettere che standard qualitativi uniformemente alti (penso ora al sistema sanitario su base regionale), non solo sono difficili da ottenere, ma nemmeno sono auspicabili…
Terribile, nevvero?
Il fatto è che ci piace pensare al mondo come a un “problema risolto” anziché come a un problema che torna a riproporsi all’ infinito mettendoci alla prova in un’ apparente fatica di Sisifo.
L’ epitome del problema risolto è la Coca Cola (ramo bibite gasate), almeno per come compare nella famosa uscita di Andy Wharol:
… quando vedi in TV la pubblicità della Coca sai che anche il Presidente la beve e che anche tu puoi berla… una Coca è una Coca e nessuna somma di denaro puo’ darti una Coca migliore di quella che beve il barbone all’ angolo della strada… ogni Coca è uguale a tutte le altre e ogni Coca è buona. Liz Taylor lo sa, lo sa il barbone, lo sai te e lo sa anche il Presidente…
Nel mondo cocalesco dipinto da Wharol tutto è fermo, bidimensionale, congelato, stabilizzato, pacificato. Tutto è risolto e tutti beneficiano della soluzione. Ma noi non viviamo né nella monumentale Unione Sovietica, né nella narcosi wharoliana, per questo abbiamo bisogno di dinamismo, di errori, di cadute, di differenze, di varietà e di irritanti diseguaglianze.
Ma non è solo la “varietà” a creare problemi:
… altrettanto difficile, per le organizzazioni tradizionali, è provvedere alla “selezione” di quel che ha funzionato sul campo…
Almeno metà dei progetti pilota fallisce e a un politico, per esempio, non piace molto mostrare in pubblico i propri fallimenti, verrebbe irriso quanto e più di Cimabue:
… dovremmo invece tollerare, se non celebrare, tutti i politici che mettono alla prova le loro idee in modo talmente coraggioso da dimostrare che molte non funzionano… ma in realtà non lo facciamo mai…
Come se non bastasse, c’ è un limite ai feedback sinceri che un boss vuole ricevere, anche per questo indoriamo la pillola fino a tramutarci in tanti yes-man:
… si arriva all’ estremo che persino quando il boss vorrebbe un riscontro onesto sulle sue scelte non riesce a riceverlo per quanto si impegni…
***
Ma lasciamo perdere le grandi organizzazioni e guardiamo per un attimo dentro noi stessi. Perché é così difficile imparare dai propri errori? I pokeristi sembrano i più titolati a rispondere:
… diversi giocatori professionisti mi hanno raccontato che il rischio di perdere il controllo non è particolarmente alto quando si vince un piatto consistente e fa capolino l’ euforia… ma quando si è appena perso un sacco di soldi per una cattiva giocata o per una strategia sbagliata… Perdere puo’ mandare in tilt anche il giocatore più freddo… riconoscere la sconfitta e ricalibrare il gioco è l’ unica cosa da fare, per quanto doloroso sia… il giocatore si mette invece a fare puntate folli per riequilibrare quella che ritiene essere solo una situazione temporanea… non è la perdita iniziale a rovinarlo ma le mosse successive…
E’ difficile “procedere per errori” quando non sappiamo affatto convivere con i nostri errori.
Il fenomeno si chiama “loss aversion”, da non confondere con la semplice “risk aversion”.  La prima è un bias cognitivo, la seconda una semplice preferenza sui rischi. Solo la prima produce comportamenti all’ apparenza assurdi come, per esempio, rinunciare a qualcosa solo perché in futuro potremmo perderla.
Fortunatamente gli esempi concreti per capire non mancano. Giusto l’ altro giorno, avendo comprato il biglietto per uno spettacolo a lungo atteso, volevo andarci anche se leggermente influenzato, non riuscivo davvero ad accettare l’ idea di sprecare i soldi. Anche se “sprecare” quei soldi era di gran lunga la strategia migliore di procedere nelle mie condizioni.
Vado avanti? Guardatevi la trasmissione dei “pacchi” su Rai Uno, spero sappiate le regole del gioco:
… statistiche alla mano, il comportamento più stupefacente è quello dei concorrenti inizialmente penalizzati dall’ estrazione di un pacco particolarmente munifico… costoro, nel prosieguo del gioco… raramente accettano le proposte del banco, anche quando sono molto ma molto convenienti… anche se in altri contesti le avrebbero accettate… e questo perché facendolo sentono di rimanere come “imprigionati” nella sfortuna che li ha colpiti in partenza… continuando a giocare invece sentono di avere una possibilità di riscatto… ma a loro sono riservate cocenti disillusioni…
Morale: il metodo “prova e sbaglia” è il migliore quando dobbiamo far fronte a problemi dove la calcolatrice s’ arrende, peccato sia tanto contrario al nostro istinto e al nostro benessere psichico.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=iZU0IKFSB_0]

Solo una piccola aggiunta off topic sulla psicologia della “loss aversion”. Probabilmente sta proprio lì la chiave per capire l’ esistenza niente po’ po’ di meno che… dello Stato! Sì, perché questa è la mia teoria dello Stato preferita:
… molti filosofi della politica si chiedono perché tolleriamo dallo Stato coercizioni che non tollereremmo mai se a imporcele fosse chiunque altro… La mia ipotesi è che le persone siano mediamente molto più sconvolte da piccoli soprusi sporadici, anonimi e imprevedibili, piuttosto che da grandi soprusi costanti, identificabili e prevedibili… Gli anarchici sostengono che il Governo non si differenzia dal semplice bandito di strada, senonché il governo dopo averti rapinato senza indossare una maschera non scappa ma resta alle tue calcagna in attesa di rapinarti anche il giorno dopo… non si rendono conto che proprio questa caratteristica spiega il successo dello Stato moderno… infatti, una ragione per cui ci si sottomette alle coercizioni governative sta proprio nel fatto che esse sono relativamente costanti, che i leader di governo siano ben identificabili e le loro azioni abbastanza prevedibili…
***
Se il nemico si chiama “loss aversion”, cosa si puo’ fare?
Forse niente. Oppure si puo’ “lavorare su se stessi” facendo dei proponimenti per l’ anno nuovo:
… nel 2013 combatterò risoluto l’ avversione alle perdite… mi riprometto di moltiplicare i progetti andando incontro a tanti piccoli fallimenti… il mondo è pieno di micro esperimenti che possiamo fare e a cui di solito rinunciamo a causa della “loss aversion”: andare a quella festa dove potremmo incontrare qualcuno d’ interessante… coltivare un nuovo hobby… avvicinarsi a un movimento politico… imparare a mettere insieme una torta al cioccolato… prendermi un personal trainer… oppure, se proprio sono a corto di idee, leggere il libro di Peter Sims “Little bets”… Il punto è che non mi aspetto affatto che la gran parte di questi progetti prenda una buona piega… il personal trainer probabilmente sarà uno spreco di denaro e di tempo… la festa presumibilmente sarà noiosa, non ho una gran voglia di mettermi ai fornelli e a casa mia sto sempre meglio che in piazza a gridare slogan… ma non importa perché le “perdite” a cui andrò incontro saranno comunque piccole e  ampiamente compensate quando uno solo di questi progetti si rivelerà pienamente soddisfacente e mi farà “svoltare”… quante più perdite sopporterò, tanto più probabilmente il gioco complessivo si chiuderà in attivo…
***
A questo punto sarebbe bello trattare un problema concreto alla luce di queste scoperte. Si potrebbe iniziare con i cambiamenti climatici!
Direi che la “complessità” non manca, ma forse è meglio rinviare a un altro post.
Qui cerco invece di trarre un primo insegnamento da quanto detto.
L’ algoritmo evolutivo, l’ avrete notato, assomiglia molto alla canonica “soluzione liberale”.
Scopriamo quindi che quest’ ultima non dovrebbe essere confusa e messa in concorrenza con le altre soluzioni poiché essa consiste essenzialmente in un “passo indietro”, in una dichiarazione d’ ignoranza, in una rinuncia a “risolvere” e in una cessione di potere alle forze naturali che sbagliando, correggendosi e copiandosi ottusamente, faranno emergere una ricetta migliore e sempre migliorabile.
In questo senso, il liberalismo non puo’ essere considerato un’ ideologia, non consiste in soluzioni preconfezionate ma, al limite, in una meticolosa preparazione del terreno su cui si confronteranno i veri “cercatori di soluzioni”.
Il liberale deve usare la logica, ma non per edificare fragili costruzioni, bensì per far vacillare le più pretenziose e animare la concorrenza. Il liberale deve impratichirsi con la statistica, ma non per dimostrare l’ esistenza di arcane relazioni su cui fondare la Verità, bensì per revocare in dubbio quella più arrogante rigettandola nel maelstrom delle idee indimostrate. Insomma, è bene che il liberale sfoggi un certo genio, ma solo per indebolire il genio apodittico di chi vorrebbe parlare col megafono a nome di tutti.
Non manca un lato oscuro in tutto cio’: è naturale sentirsi e dichiararsi ignoranti? E’ naturale fare un “passo indietro”? E’ naturale ergere l’ errore a simbolo della conoscenza?
Direi di no, il “liberalismo” è contro-natura e difficilmente farà mai breccia nella massa.
Fiero allora di appartenere a un’ élite, il liberale dimentica subito le basi del suo credo e gonfia inopinatamente il petto: più arrogante di lui c’ è forse solo l’ “evoluzionista” militante! Non sorprende davvero apprendere da questo libro che i due siano cugini primi.           

martedì 9 marzo 2010

Ridatemi le mie vacanze!

E' un' ingiustizia! Rivoglio le vacanze che mi spettano. Rivoglio i miei 15 giorni in Grecia a 500 euro.

La Grecia è un paese fallito, dovrebbe uscire dall' euro, svalutare drammaticamente la sua moneta e, dietro qualche centinaio di euro, consentirmi una lunga e beata vacanza su una delle tante perle del mediterraneo che annovera.

Non nego che qualcuno pagherebbe il fio.

I greci, per esempio. Le loro vacanze le vedo male, d' altronde i loro governi spendaccioni se li sono eletti, quindi...

Anche chi ha prestato ai greci, trema. Pazienza, faranno meglio i loro conti la prossima volta.

Suvvia, non facciamola troppo lunga, fallire non è una tragedia.



Ricapitoliamo, visto come sono andate le cose un elementare principio di giustizia mi consentirebbe di passare all' incasso.

Invece no, mi tocca sì passare alla cassa ma per pagare poichè sembra ci si orienti verso una soluzione differente: salvataggio a spese del contribuente europeo.

Ah... le tortuose vie della solidarietà. E ci credo poi che il liberal è più "intelligente": la soluzione più semplice e lineare non gli va mai bene! Occorre un bel capoccione per uscire dai labirinti dove puntualmente va a ficcarsi.

Solidarietà? Qualche politico ci crede, qualcun altro è stato perfettamente partorito dall' evoluzione per vendere quel genere di merce, e l' ultimo, più consapevole e rispettabile, fiuta l' affare e il monumento.

Chi non capisce la logica che ci sta sotto, non capisce l' 1+1 della politica: in caso di fallimento il pagatore è consapevole (e recalcitra... e non ti vota più), in caso di "salvataggio" il pagatore è un allocco con nella testa tanti bias.

Non ci credete?

Come no? Ma pensate davvero che i defraudati della meritata vacanza a prezzi stracciati organizzino vociferanti cortei? Ma quella vacanza è solo una mera possibilità che ancora non si è concretizzata e non si concretizzerà mai, un puro spettro che i nostri bias ci impediscono di vedere chiaramente. Se la possibilità di un corteo vi sembra assurda, meditatene i motivi e vi sarete risposti da soli. Avrete anche capito perchè al politico conviene sempre il sabotaggio strisciante del mercato.

Ma anche chi conosce come si fanno le sommatorie politiche di cui sopra, dati gli sviluppi, sarà in altre faccende affaccendato: sarà d' uopo infatti consigliare al Ministro Tremonti di rilassarsi e lasciar ammonticchiare un bel deficit, in caso di difficoltà basterà un fischio al neonato Fondo Monetario Europeo. Così, se i greci ci hanno fregato, noi fregheremo i tedeschi quanto prima. Tiè!

E poi, quando tutto salterà in aria, considerando che il "sabotaggio" è stato solo "strisciante" anzichè sotto l' occhio vigile dell' allocco, c' è sempre l' arma di riserva: grideremo in coro contro le ingiustizie del mercato selvaggio! Scommettete che l' allocco griderà più forte di tutti?