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giovedì 25 novembre 2010

Uno che durò poco-

C' è da divertirsi a seguire i dribbling, le finte e gli slalom che deve inscenare a Milano chi non ha voglia di lavorare.
Specialmente se il lavativo è un soggetto talentuoso, se i potenziali incarichi fioccano molesti e la domanda di suoi servigi preme su di lui come una cappa asfissiante.
Luciano Bianciadi era certamente persona corredata da ingegno non comune.
Era un maremmano emigrato sotto la Madonnina, durante il boom, nel vertice più palpitante del triangolo industiale.
Ma sopratutto, per la gioia di noi lettori, aveva pochissima voglia di lavorare (e molta di destabilizzare). Una pigrizia incistata sottopelle.
Bisogna spiegare meglio: aveva la fissa del lavoro inutile, lo fuggiva.
Purtroppo, nei suoi momenti più ispirati, arrivava a teorizzare che quasi tutto il lavoro fosse inutile.
Poi, per non costringersi ad una noiosa opera di cernita, finì per trovare razionale la strategia di fuggire qualsiasi lavoro.
Poichè con queste premesse gli rimaneva un casino di tempo libero, pensò bene di impiegarlo coltivando il suo hobby di sempre: far saltare in aria la Montecatini. Non è mica come ridere, è un impegno a tempo pieno.
Ma questa esplosione, più che a un delirio ideologico, assomiglia ad una visione felliniana.
La trincea ideale per combattere questa "Resistenza unilaterle a guerra finita" fu felicemente individuata nell' accrocchio di Bar e Osterie della Brera ambrosiana (esci dal Duomo, prendi a destra, poi sempre dritto, quando incontri i bassi tavolinetti delle false zingare che leggono la mano senza emettere fattura, ci sei).
Il suo "libro della vita" me lo sono letto in spiaggia questa estate sull' asciugamano, e ancora oggi lo devo sbattere per liberarlo dai granelli più raffinati dell' Adriatico.
Poichè gli ingredienti ci son tutti, non meraviglia che seguire la narrazione di questa Vita Agra sia stato uno spasso.
Però c'è un "però".
Lo spasso ha raggiunto il suo picco scorrendo la "Nota Biografica Redazionale" che immediatamente succede alla Prefazione. Un po' precoce come acme.
Attaccando invece il testo vero e proprio, dopo i primi capitoli, l' umore entusiastico si smorza leggermente fino a toccare, a volte, depressioni imbarazzanti in cui si procede con il corto remo nella bonaccia.
Come l' anonimo Redattore possa superare il blasonato Autore è mistero che merita indagare.
***
Sono partito da una flebile traccia che mi aveva insospettito fin da subito: le modalità della difesa preventiva e reiterata che il prefatore Carlo Bo faceva del suo pupillo.
Parlandone Bo aveva una fissa che, dalla smisurata pedana della sua Cattedra, ci teneva a ripetere: un pericolo doveva allertarci su tutti gli altri, quello di scambiare l' agro toscano per un guitto satirico sempre pronto a metterla in burletta. Mai e poi mai prenderlo per uno che cerchi di fare del colore con effetti caricaturali.
Questo qui era invece uno che dietro la cortina grottesca alza il suo urlo stridulo facendo vibrare una corda autenticamente esistenziale e gettando luce su un' intera epoca della storia italica.
La foga con cui Bo spingeva avanti questa avvertanza per pagine e pagine, mi aveva impensierito non poco.
***
Gli allarmi erano fondati.
Procedendo nella lettura riscontravo come il libro perdesse sempre più quota allorchè l' Autore emergeva come un satirico sempre pronto a metterla in burletta, oppure come qualcuno che cerca di fare del colore con effetti caricaturali.
Le urla esistenziali, nel frattempo, si erano rarefatte fino a sparire e l' Italia degli anni 60 giaceva avvolta in un cono d' ombra.
Cio' non toglie, si badi bene, che quel toscanaccio anarcoide e un po' scioperato, sbarcato da queste parti a pascolare pigramente tra gli impiegati delle case editrici, non sia riuscito a consegnarci un paio di acquarelli d' alta scuola nei quali illustra, una volta per tutte, il lato oscuro di noi ossobuchivori che battiamo indaffaratissimi gli uffici delle multinazionali.
Basterebbe il profilo dei "Fannulloni Frenetici" a convalidare questa tesi: "...gente che non combina una madonna dalla mattina alla sera, e riesce non so come, a dare l' impressione, fallace, di stare lavorando. Si prendono persino l' esaurimento nervoso...".
Purtroppo o per fortuna, Bianciardi è un battutista fulminante. Cio' si accompagna puntualmente con una sorta di "fiato corto". In più, come tutti i pigri, guarda in tralice la lunga e faticosa distanza del romanzo.
Dà il meglio di sè quando puo' inserirsi un po' parassitariamente facendo il controcanto responsoriale al discorso altrui.
Da geniale clandestino s' imbarca nell' analisi di terzi per farsi trasportare, magari sabotandola lungo il tragitto.
Le sue interpolazioni amarognole si abbinano meravigliosamente al tono ufficiale del dirimpettaio; è invece farraginoso se deve affabulare con un monologo che lo costringe a coprire ampi spazi. Cio', infatti, non è compatibile con la respirazione dei suoi piccolissimi polmoni.
Il Redattore della "Breve Biografia" ha avuto l' intuizione di offrirsi come sparring partner. Proprio cio' che cerca, rigenera e ispira uno scrittore del genere.
La necessità di una Spalla veniva soddisfatta al meglio in quella parte del libro.
Ogni intervallo della biografia ufficiale Bompiani è costellato da felici battutine del nostro che sintetizzano eloquentemente il sentimento con cui sono stati vissuti gli anni di cui si parla.
Esempio supremo il periodo di decadimento alcolista chiusosi con la consunzione definitiva. Veniamo informati che agli amici bisbigliava mesto: "...Sopportatemi. Duro ancora poco...". C' è un epitaffio migliore?
***
P.S. devo precisare che ho svolto le mie considerazioni di lettore avendo sottomano l' edizione Bompiani de "La Vita Agra".