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sabato 23 ottobre 2010

Un Lexotan per Carducci

E' difficile che aprendo a casaccio il mio libro con le Poesie di Carducci si possano schivare le multiformi ire del focoso Aedo.

Riottoso e cieco come un ultras, è sempre impegnato a cospargere di sale le proprie ulcere.

Ora punge un Avversario, ora satireggia un Irrispettoso, poi schizza la caricatura di un Impertinente, a seguire oltraggia un Vanesio, dopo mette alla berlina un Pedante, o alla gogna un Garrulo.

Tutti Signori con nomi e cognomi, mica Allegorie.

Per farne fuori più che puo' non si risparmia neanche flirt satanici.

Il suo verso afflittivo è un ruggito che lo priva di forze preziose, non si è mai vista una semina di spine tanto infeconda. Il forumista tignoso conosce questo vortice esacerbante e sa di che parlo.

Io procedo indefesso nello spoglio, cerco affannosamente i pii bovi, ma mi ritrovo sommerso nella schiuma di artisticissimi 'vaffa.

Eppure si vede ad occhio nudo che il Vate avrebbe di meglio da fare.

Per esempio, in quel tempo aveva ancora in arretrato un un casino di versi immortali, evidentemente non avanzava mai un minuto per buttarli giù.

La sua natura gli imponeva delle priorità: ogni litigio andava meticolosamente portato a termine fino all' umiliazione pubblica della controparte.

Ogni screzio letterario andava lavato nel vindice inchiostro.

Basta stare un attimo a bearsi in compagnia di queste invettive per capire che l' Avversario, l' Irrispettoso, il Vanesio, il Garrulo, l' Impertinente e anche il Pedante, sono, probabilmente, miti e mediocri personaggi con cui usciresti piacevolmente a cena.

Il problema invece è lui, il Vate.

Il Vate ha tutta l' aria di contenere nel pancione un vorticoso movimento biliare. Di avere un petto "ove odio e amor mai non s' addorme".

Scosso da oscuri tumulti, flagellato dalla memoria dell' offesa ricevuta, spronato da ansie insinuanti, egli si aggira tra i suoi simili alla ricerca di imperfezioni che scatenino le sue furie maremmane. E ne trova a bizzeffe.

Questa spola fra rancori e tetraggini consumerebbe anche l' animo più temprato, lo consumerebbe fino all' inedia spirituale.

Com' è grama la vita di questi melanconici.

Com' è tapina quella di chi vive intorno a loro.

Non si puo' tirare avanti così. Urge una cura che raggeli al più presto la tempia tempestosa del pugnace infermo.

Come minimo, di fronte a casi similari, ci vorrebbe un bel Dio condiscendente che pianga insieme a noi, che creda alla nostra bua e ci dica premuroso che "poi passa".

Ma il nostro campione aveva avuto la bella pensata di buttarlo nel cesso fin da giovane, quel Dio, e di tirare lo sciacquone. Complimenti.

E non poteva essere che così vista la giovanile adozione del luterano dispitto verso l' "allegro Papa".

Con la sola compagnia del Gesù più duro ed austero della corrucciata Riforma, il morale non conosce grandi impennate. E' cosa nota.

***

Però Carducci si salvò. Si salvò con la medicina della "Classicità".

Due pasticche al giorno di questa pillola e la frenetica ruminazione del Maestro si bloccò.

La Classicità offre mille rimedi al collerico.

Innanzitutto la Morte.

La Morte ha la tendenza a rendere piuttosto imperturbabili, a raggelare la pupilla, a domare l' abito fiero.

In queste condizioni gli sdegni si fanno di molto meno ardenti.

E se proprio non vuoi morire subito, puoi sempre temporeggiare facendo una capatina al camposanto.

Non sai come è cool una bella promenade fra le lapidi adamantine del Cimitero romito tra le argentate nebbie sfumanti, magari a Bolgheri. E' proprio lì che il Poeta vide la sua Rosebud.

Se poi possiedi una certa capacità di "ascolto", puo' darsi che perfino i cipressi attacchino a sussurrare tranquillizzanti mentre ti augurano l' "a presto arrivederci".

Anche l' Avello ti strizza l' occhio come un vecchio amico.

Questo attrezzo imprescindibile della palestra carducciana ha virtù defatigante, specie per chi conosceva un' unica orazione ("Signor, chiamami a te: stanco son io: pregar non posso senza maledire").

Ogni forma di necrofilia si coniuga a meraviglia con la "Classicità", la quale ha la virtù di riproporcela nella sua variante più fresca ed impassibile, eludendo così il lato stancante della faccenda (che puo' essere lasciato ai Romantici): quello del meditabondo sotto le rovine con il teschio in mano.

In secondo luogo la "Classicità" ti consente di frequentare le donne. Da lontano.

Devi solo darci dentro con l' epistola.

Cantare le seducenti armonie del corpo, i divini accenti del labbro, l' aulentissima cute, e tutto questo senza avere sempre nelle orecchie il trillo citofonico delle note ingiunzioni. Una buona capacità immaginifica basta e avanza.

Alla loro persistente recriminazione penseranno i mariti (in genere ex romantici senza talento).

La carriera del Poesta Classicista è allietata da diverse gite fuori porta. Tra una georgica e una bucolica si sta sempre immersi nella rilassante countryside.

Se il lento giro dell' occhiata bovina si volge a noi, non sentiamo affatto quella frenetica interpellanza che ci collocava subito a debito di una risposta piccata, o di un chiarimento brillante.

Possiamo sincronizzarci con il rilassante ritmo della paziente pecora, possiamo concederci un calmo colloquio con la pensosa quercia, possiamo escutere un testimone sempliciotto come l' ignaro asinello.

Optare per il Classico consente anche di mettere spesso e volentieri le gambe sotto il tavolo. Buona tavola, ma sopratutto Vino, non devono mai difettare.

Quale miglior modo per sperimentare in corpore vivi il pagano oblio?

Da ultimo, ampie dosi di "Classicità" ti consentiranno in quattro e quattr' otto di divenire Poeta Nazionale.

La cosa ha i suoi vantaggi.

Eccellente rifugio per disfarsi di ogni vitalismo e simulare già da ora, in Cerimonie e Occasioni Ufficiali, il cadavere che saremo.

Da "Poeta Nazionale" puoi permetterti di abitare solo il pianeta della Retorica (patriottica) e quello della Metrica. Due meravigliosi pianeti senza ossigeno, dov' è bandita ogni forma di vita.

Cosa c' è di più salutare per un iracondo naturale?

***

C' è chi è spinto verso la Classicità dalla natura dei suoi talenti. C' è chi invece sbarca su quei lidi con le piaghe aperte e con il solo intento di applicarsi l' impacco del fiore di loto che prospera lussureggiante.

C' è chi pensa alla Classicità come ad un palcoscenico dove sfilano armonie da ammirare con l' occhio del geometra, e chi la assume invece come camera di decompressione dove regredire ad una sospirata meccanicità catatonica.

Carducci, fortunantamente, appartiene alla seconda genia.

E' anche per questo motivo che "mi riguarda" e che posso tranquillamente continuare a leggerlo senza rimorsi. Riguarda anche voi?