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venerdì 6 ottobre 2017

11-12 Genesi del radical chic


Genesi del radical chic


Il radical chic vive nel nostro mondo, si comporta come noi, viaggia quanto noi e consuma anche più di noi.
Ma cosa lo distingue da noi – erre moscia a parte?
Il senso di colpa. Lui, diversamente da noi, fa tutto struggendosi nel senso di colpa.
Il suo mondo è informato alla “tirannia della penitenza”.
Fa suo con entusiasmo il motto di Jules Michelet: “ho bevuto troppo sangue nero dei morti”.
La vergogna permea la sua visione del mondo, vergogna di se stessi, vergogna di essere felice, di amare e di creare. È necessario sentirsi colpevoli. Presidia giorno e notte il “confessionale laico”, il peggiore di tutti.
Se il disprezzo verso di sé è pari a 10, il disprezzo verso chi non si disprezza è pari a 100.
Le nazioni occidentali sono le prime ad abolire la schiavitù? Siano anche le sole da mettere sotto accusa, siano anche le uniche a “riparare”! La passione del radical chic è quella di imputare i crimini solo a chi se ne è già pentito.
La sua è una denuncia meccanica dell’occidente. Plaude a una rivoluzione fondamentalista o a un regime illiberale, si esalta davanti alla bellezza del terrorismo o sostiene un gruppo di guerriglieri solo perché contestano la logica imperialistadell’occidente.
Indulgenza per le dittature straniere, intransigenza verso le nostre democrazie.
È portatore instancabile di un nuovo conformismo fondato sul dovere della penitenza  e sulla macerazione nella vergogna.
Ricorda certi atei che bestemmiano Dio per meglio resuscitarlo.
La colpevolezza gli piace. Si barrica dietro la facciata maledetta del criminale perpetuo per mantenere più facilmente le distanze dai problemi reali. C’è qualcosa di frivolo nel suo desiderio di fustigazione.
I crimini commessi in passato ci intimano di tenere la bocca chiusa. Nel riserbo e nella neutralità troveremo la nostra redenzione. L’occidente buono è quello della vecchia Europa che si rintana e tace, quello cattivo è quello degli Stati Uniti che intervengano e si immischiano in ogni cosa.
Il mondo intero ci odia, e noi ce lo meritiamo. La storia, del resto, è costellata dai cadaveri che abbiamo disseminato ovunque.
Pensa senza sosta a quel “mostruoso e incomprensibile cataclisma” che fu, per una tanto larga è innocente frazione dell’umanità, lo sviluppo della civiltà occidentale.
È probabile che l’occidente abbia potuto produrre deicomputer soltanto perché da qualche parte nel mondo la gente moriva di fame e di desideri.
I suoi ideali passati sono falliti, ed è proprio il fallimento di queste utopie concrete a spiegare il risorgere di un pensiero all’improvviso liberato dalla necessità di confrontarsi con il reale.
Ogni passo falso dell’Occidente… se l’è voluto. Il terrorismo ci colpisce? È perché siamo colpevoli.
Così come esistono predicatori di odio nel l’islamismo radicale, esistono predicatori di vergogna nelle nostre democrazie. I terroristi ci colpiscono ma tutti noi siamo terroristi potenziali. Tutto questo sangue in fondo è solo un regolamento di conti tra stati canaglia.
Sulle sue insegne campeggia il Salmo XVIII: “O Dio, assolvimi dalle colpe che ignoro e perdonami quelle altrui”. Ha perso ogni speranza nel paradiso ma si aggrappa alla speranza della dannazione sulla terra.
Il suo ipercriticismo si tramuta in odio di sé e lascia alle proprie spalle solo rovine. Dal rifiuto dei dogmi nasce il dogma del tutto nuovo della demolizione.
Un orgoglio tutto particolare lo invade, l’orgoglio di chi si riconosce peggiore degli altri. Si sente rappresentante unico dell’occidente predatore che si cosparge il capo di cenere. Detesta l’occidente non tanto per le sue colpe reali ma piuttosto per il suo tentativo di emendarle
Un tipo del genere, naturalmente, anche se “inventato” oltre oceano, prolifera  in Europa: non ci si dimentichi mai che l’Europa contemporanea non è nata, come gli Stati Uniti, da un giuramento collettivo che asserisce che tutto è possibile, è nata dalla stanchezza delle ecatombi, da una coscienza infelice e insicura.
Per lui la storia, o meglio la storia che ci riguarda, è un cesso intasato. Continuiamo a tirare l’acqua, ma la merda torna sempre a galla.
***
Ecco, capire il radical chic significa capire l’origine di questo senso di colpa.
Liquidare il radical chic significa liquidare il suo senso di colpa.
***
Mentre voi da ragazzini voi giocavate a pallone al parchetto, lui, il futuro radical chic,  leggeva accanitamente  Marx, intendo il Marx storico.
Si è fatto raccontare la storia del mondo moderno da Marx. Non lo ha solo letto, lo ha assimilato, capito e condiviso.
Ha capito magari anche – nei casi più illuminati – che Marx è superato come filosofo, che è irrecuperabile come economista, che è problematico come sociologo. Ma come storico no, come storico regge ancora benissimo. Come storico guai a chi lo tocca.
Queste letture sono alla base di alcuni pregiudizi duri a morire. Esempio, per lui dominio e sfruttamento sono la stessa cosa, non si discute neanche per un attimo.
Ma soprattutto ha imparato a figurarsi la ricchezza quale una casa costruita con i mattoni. Si mette un mattone sopra l’altro finché si ottiene un mucchio di mattoni, et voilà, ecco che si è creata della ricchezza. Si mette un euro sopra l’altro finché si ottiene un mucchio di euro e si è ricchi.
Noi occidentali saremmo ricchi perché il nostro mucchio di euro è più alto di quello africano. Tiè.
Per lui il capitalismo = accumulazione.
Quindi: 1) noi siamo ricchi perché capitalisti, 2) il capitalismo è basato sull’ accumulazione 3) l’accumulazione è indebita, 4) il nostro benessere è indebito.
L’errore fondamentale sta in 2), tutto il resto come come una fila di birilli.
Oggi tutti noi accettiamo e utilizziamo la parola “capitalismo” senza comprendere che questo termine ha natura denigratoria, che è stato coniato apposta per insinuare un senso di colpa.
Dovremmo sostituirlo con il termine più rigoroso di “innovismo” che descrive meglio il nostro sistema, ovvero un sistema in cui la ricchezza emerge da un “cambiamento testato sul mercato”.
Il sistema fuoriuscito dalla rivoluzione industriale – che ci elargisce la ricchezza di cui il radical chic si vergogna – non puo’ essere visto come caratterizzato dai commerci. I commerci sono sempre stati fra noi, c’erano nell’  America Lattina del 1800 e non erano certo sconosciuti nella Cina e nella Mesopotamia del 1800 avanti Cristo, ma se vogliamo ve n’è traccia anche 80000 anni prima della nascita di Cristo, nell’ Africa culla dell’umanità. I commerci affiancano l’uomo da sempre.
Weber e Braudel sono colpevoli di aver ingenerato l’equivoco per cui capitalismo=commercio.
La nostra ricchezza non deriva dai commerci e quindi neanche dallo sfruttamento commerciale di talune nazioni, il radical chic puo’ tranquillizzarsi.
Il capitalismo moderno diventa una novità unica nella storia dell’uomo solo se considerato come “innovismo”, ovvero come sistema che mette al suo centro l’innovazione e la distruzione creativa che l’innovazione comporta.
Altra presunta esclusiva del capitalismo moderno: la produzione su vasta scala, la grande impresa “a catena”. Tutto era già presente nell’antica Cina (lavorazione della seta) e nell’antica Roma (produzione dei concimi di pesce). E mi fermo qui, l’ipotesi non merita nemmeno di essere approfondita.
Quando capiamo che l’accumulazione di capitale era già tra noi dall’età della pietra mandiamo a ramengo tutta la narrazione di Marx a cui si è abbevera da sempre il radical chic
L’equivoco alligna anche tra gli economisti dello sviluppo contemporanei, come dice bene William Easterly, i quali sostengono che il terzo mondo ha bisogno di accumulare risorse prima di creare ricchezza.
Il capitalismo è innovazione+mercato. Non capirlo manda fuori strada.
L’innovazione da sola non basta poiché anche l’innovazione più geniale può risolversi in un puro spreco. Anzi, il cambiamento è un costo di per sé e se questo costo non è compensato va subito mollato. Il test di mercato è il filtro di selezione naturale del sistema: la gente è disposta a pagare per cambiare?
Nelle società capitalistiche non è il capitale a dominare ma le idee.
Mark Zuckerberg, Henry Ford, Andrew Carnegie dominano e hanno dominato senza che all’origine del loro dominio vi sia stato alcun accumulo di capitale. C’era solo un’idea.
Al centro del capitalismo sta l’imprenditore, con le sue idee e la sua disponibilità ad assumere dei rischi.
E’ lui l’eroe. E’ all’eroismo del borghese che dobbiamo il nostro benessere. Ma il radical chic il borghese lo odia.
Chiamare questo sistema “capitalismo” significa mettere al centro il capitale, il che è sommamente inaccurato. Al centro va messa l’intelligenza del borghese.
La parola capitalismo emerge nel tardo XIX secolo nella narrazione della sinistra europea, rinvia ad un mitologico indebito accumulo di capitale su cui si fondano tutti i nostri privilegi.
Secondo Marx la storia della rivoluzione industriale inizia lentissimamente con un accumulo che parte nel XVI secolo e che si è via via ingigantito fino a fruttificare di colpo con la rivoluzione industriale.
Le radici della nostra prosperità starebbero fisse in questo retroterra fatto di soprusi, sfruttamenti e appropriazioni indebite.
Gli storici che hanno rinvigorito e tramandato questa “fiaba” sono molti e a volte insigni, esempio: R.H. Tawney, Maurice Dobb e Chrisopher Hill.
Secondo costoro i primi capitalisti usavano il loro potere per opprimere i lavoratori, per schiacciare i salari riducendo alla fame la classe operaia. E anche per realizzare una “competizione sfrenata”.
Ma la competizione è un tratto tipico di tutte le società commerciali, per cosa erano nate le gilde medievali? Per fronteggiare una “competizione sfrenata” che non consentiva di sfruttare il consumatore. Pensare alla competizione come ad una peculiarità della rivoluzione industriale è un abbaglio.
Altro mito marxista: i salari da fame. La domanda è l’offerta determinavano i salari, non l’ avidità del capitalista. I lavoratori della Rivoluzione Industriale non hanno mai visto i loro salari abbassarsi e non si trattava di salari da fame, tanto è vero che accorrevano a frotte dalle campagne, sebbene le condizioni urbane fossero al limite del disumano, basterebbe pensare all’acqua potabile.
Al contrario, i salari sono sempre più aumentati nel tempo, così come il lavoro minorile è diminuito. E questo ben prima che si affermassero i sindacati o qualsiasi tipo di legislazione sociale in tal senso.
Gli errori del marxismo e dei suoi epigoni derivano dall’ aver dato troppo peso alla narrazione di brillanti dilettanti come per esempio Arnold Toynbee, una narrazione ripresa poi dai socialisti Fabiani e infine ricevuta dai marxisti sulla base di un telegrafo senza fili nel quale la mitologia è nel frattempo proliferata. Una storiografia amatoriale e senza basi solide che ha giocato un brutto tiro a molti storici, e di cui oggi paga le spese il radical chic. E’ un po’ come studiare la Gran Bretagna del XIX secolo leggendo solo Dickens: la storia ridotta a romanzo d’appendice.
Veronica Wedgwood racconta bene come la versione fiabesca di una rivoluzione industriale fatta da accumulatori che poi sfruttavano il loro potere si diffuse artatamente presso l’intellighenzia europea.
Da allora l’ anticapitalismo di certi accademici è prassi consolidata. Ancora recentemente ricordiamo bene la figura di Milton Friedman associata a quella di Pinochet, oppure quella di James Buchanan associata ai segregazionisti dell’Alabama. E a porre un freno non giova certa sciagurata retorica neo-liberista di stampo machiavellico-benthamita per la quale “greed is good”.
***
L’ accumulo di capitale (senza innovazione) non spiega proprio nulla, d’altronde esiste da sempre nella storia, ed esiste non accompagnato da cio’ che vogliamo spiegare.
Persino Keynes – altro padre nobile dei radical chic -ammette che il rendimento dei capitali tende a zero in mancanza di rischi legati all’innovazione.
È stata una forza esterna a generare i grandi rendimenti del risparmio nei periodi successivi alla rivoluzione industriale, non quell’automatismo misterioso a cui pensano i “teorici del capitale”.
Ma c’è di più, il capitale cumulato a prescindere tende adeprezzarsi. È soggetto a una specie di entropia. Possiamo chiamarla obsolescenza.
Vele persino per un capitale prezioso come quello umano: lo sa bene il cinquantenne che si ritrova nell’epoca dei nuovi media con un capitale di conoscenze azzerato e da riconvertire.
Solo Dio è la capacità di innovare sono esenti da obsolescenza.
La capacità di concentrare e accumulare è sempre stata una specialità cinese. Non dobbiamo mai dimenticarci che in era premoderna quasi metà della popolazione urbana viveva in Cina. Come mai allora la Cina non ha mai fatto registrare ungrande balzo che abbia consentito la rivoluzione industriale?
Di fronte a tutti questi inciampi la narrazione radical chic rispolvera vecchie nozioni come quella di avidità: dal 1848 una singolare avidità si è impossessata dell’imprenditore europeo. Qualcosa di mai visto prima. La testa dell’uomo è cambiata.
Il primo a negare l’ipotesi e Max Weber: “… la nozione per cui la nostra era razionalistica e capitalistica sia caratterizzata da interessi economici superiori a quelli di altre epoche storiche passate è infantile”. L’istinto egoistico non si può negare ma è sempre esistito è sempre esisterà.
La chiave con cui spiegare il tesoro su cui sediamo è un’altra: un cluster di idee per il miglioramento da far testare al mercato. Grazie a questa formula siamo volati ovunque.
Nella società europea a un certo punto le idee hanno cominciato a fare sesso tra loro, come dice in modo eloquente Matt Ridley.
Il produttore di idee – non solo veniva magnificato dalla retorica dell’epoca – ma aveva accesso a una rete di comunicazione che lo connetteva con i suoi “colleghi”.
Questo “momento” singolare si realizzò intorno al 1800. Sta qui la soglia che cerchiamo.
Cosa è scattato? Facciamo un esempio illuminante: l’ ascia è un attrezzo rimasto fisso per un milione di anni. Confrontatela con il mouse del vostro computer, una roba che cambia di anno in anno. E’ l’immagine migliore per capire cosa differenzia l’eldorado in cui siamo entrati dalle epoche precedenti.
Chi usa ancora una macchina da scrivere? Chi guarda la TV in bianco e nero? Che fine hanno fatto le competenze del centralinista? E che fine hanno fatto le lauree in latino?
Tutto fagocitato dalla grande distruzione creativa, la nostra unica e vera benefattrice.
Non le colonie, non lo sfruttamento dell’operaio, non il cumulo avido di capitale, ma la tremenda distruzione creativa operata da idee valorizzate in una società borghese. A questo dobbiamo la nostra ricchezza, e di questo non dobbiamo nutrire alcun senso di colpa, semmai un senso di legittimo orgoglio.
Gli economisti sono i primi colpevoli se il radical chic è tra noi e ci disturba con la sua lagna. Gli economisti hanno sempre avuto pochissimo da dire sulle cause dell’innovazione. C’è tra loro una clamorosa mancanza di curiosità sul fenomeno cardine nella ricchezza delle nazioni. C’è nel loro lavoro una cocciutaggine inspiegabile nel forzare la storia in quel letto di procuste che è la teoria del capitale. Forse perché l’innovazione disturba, scompagina, mette disordine. Nella realtà come nei loro modelli asettici.
Cosa opporre ai radical chic? innanzitutto una nuova retorica. Parliamo di “Era dell’Innovazione” e non più di “Era del Capitalismo”.
John Rockefeller o Bill Gates sono i protagonisti della nostra era e non hanno mai accumulato un dollaro, hanno sempre accumulato idee.
O perlomeno, non hanno accumulato più di quanto non facessero già in Mesopotamia 2000 anni prima di Cristo, stando ai cuneiformi incisi nell’argilla e decifrati dagli archeologi. Oppure i greci ad Atene 500 anni prima di cristo.
Non hanno commerciato più di quanto non facessero già nel Medio Oriente con le conchiglie e le collane 6000 anni prima di Cristo, oppure gli aborigeni australiani per tutta la loro storia.
Il capitalismo è antico, il capitalismo ci accompagna sin dall’alba della civiltà. Quel che invece conosciamo solo noi è l’idea di innovazione sistematica e di distruzione creativa.
Gli altissimi tassi di risparmio dell’Italia nel 19esimo secolo non hanno mai portato un vero sviluppo. Quelli inglesi della stessa epoca, incomparabilmente più bassi, hanno creato un miracolo imitato da tutti. Di fronte a evidenze come queste chi puo’ dire ancora che il tasso dei risparmi – e quindi l’accumulo di capitale – sia la variabile chiave di tutta questa storia?
Non l’accumulo ma lo sviluppo tecnologico dobbiamo ringraziare. L’opera di Joel Mokyr è tra le più complete nel tracciare questa chiara distinzione.
Se non vi basta guardate all’America Latina e agli Stati Uniti, una terra depressa e l’altra sviluppata. Dove tracciare una distinzione significativa? Da una parte solo gerarchia e immobilità sociale, dall’altra parte parità di diritti ed esaltazione dell’uomo comune. A contare sono le idee, non il proprietario del cervello che le produce.
Laddove si sviluppa un senso di rispetto per l’uomo comune, che poi è il borghese, non c’è nemmeno sfruttamento neanche dell’operaio: la classe operaia statunitense è ferocemente antisocialista. Per capire fino a che punto vale la pena di consultare il lavoro di David Ramsey Steel.
Ma il radical chic è in buona compagnia nel suo disgusto,  il borghese trafficone è da sempre disprezzato anche da Chiesa e Nobiltà. E c’è chi va oltre dopo aver notato questa comunanza, ovvero ipotizza che il disprezzo del radical chic verso il Borghese sia solo una modalità latente per accreditarsi verso Nobiltà e alto Clero. Insomma, una delle tante forme assunte dall’eterno complesso d’inferiorità verso la classe dominante.
radical

sabato 28 novembre 2009

Sete di martirio

Innanzitutto Pascal Bruckner scrive da dio, il che lo rende imprescindibile anche quando si cimenta in variazioni su argomenti triti. Ho sempre invidiato chi puo' concedersi questo lusso, la sfibrante ricerca di originalità, alla lunga, elargisce come unico regalo la paralisi.

Il libro che ho in mano è suo ed è un saggio, uno dei pochi che non riesco a trascurare pur sapendo che apprenderò ben poco dalla sua lettura e ben sapendo che lo inizierò, senza inconvenienti, aprendo a caso.

E' un libro in cui si replica un glorioso precedente aggiornandolo. Parla di vecchi che amano dare buoni consigli non potendo più dare cattivi esempi. I vecchi in questione siamo noi, quelli che da qualche secolo godono, unici al mondo, di uno stranissimo quanto raro diritto: la libertà di parola.

Basta leggere il titolo per capire che se la prenderà con i soliti tic. Per esempio l' automatismo con cui l' Occidente guarda al mondo e conclude denunciando se stesso come una lebbra che imbratta nivee epidermidi. Il reo confesso, consultando l' Atlante dalla sua confortevole poltrona imbottita, troverà sempre in qualche periferia planetaria una rivoluzione religiosa da giustificare o un regime illiberale per cui trepidare; una terroristica bellezza con cui esaltare il suo estetismo o una banda di guerriglieri cocainomani da sostenere in quanto resistenti alle logiche imperialiste.

Come al solito si abbandonerà alla piacevole frivolezza con cui puntualmente fustiga la propria cultura, incamerando così i vantaggi di chi si barrica dietro la facciata del criminale perpetuo della Storia che si auto-carcera. Prima fra tutte, il potere, da carcerato, prendere le distanze da ogni realtà spinosa, quelle che come le tocchi ti pungono.

Probabilmente PB ha imparato da Nietzsche che, in nome dell' Umanità, le ideologie laiche non hanno fatto altro che sovracristianizzare il Cristianesimo potenziandone un messaggio; ora però quel messaggio ci entra in testa solo se trinciato in pezzettini minuti. In questo ampio cavallo di millennio, PB ne è certo, il "pezzetino" che va per la maggiore è quello relativo al dovere penitenziale con allegata auto-flagellazione lirica. Solo affondando preventivamente l' affilato bisturi nelle carni, si riceve regolamentare diritto di parola dai nuovi sacerdoti del culto. Ma il via libera si limita alla parola necessaria per macerarsi nella vergogna prima di rintanarsi in un riserbo taciturno sulla condotta altrui: l' Occidente, con la sua Storia costellata di cadaveri, non giudica. Rinuncia. D' altronde il mondo intero non lo ascolta, è chiaro: lo odia perchè se l' è meritato.

Quanto più il cocktail di disastri costituito dalle alternative all' ortodossia liberal-democratica si allontana dalla navicella della Storia che ci trasporta, tanto più puo' risorgere la loro dottrina liberata finalmente dal noioso confronto con il reale. E così Minà riparte per la foresta alla ricerca di qualche dittatore che lo possa redimere dall' alienazione di civiltà ormai tenute in ostaggio da pubblicità pervasive e dal web 2.0 Per fortuna ha incontrato Hugo Chavez e le baracche cubane, una tenue speranza puo' essere ancora alimentata.

Lo schema di riferimento come al solito lo fornirà San Bernardo per cui: c' la coscienza buona e tranquilla (Paradiso), la buona turbata (Purgatorio), la cattiva turbata (Inferno) e la cattiva pacifica (Disperazione). Abitando la parte più ammuffita dell' Europa, PB ritiene di conoscere bene solo l' ultima, e di quella parla sempre.

Da polemista di razza, PB non si risparmierà i nomi. E non parlo di certa impresentabile feccia antidemocratica del secolo passato, nemmeno della sponda più nobile ma morta e sepolta (Dostoevski, Mann, Heidegger...), parlo di personalità, magari non sempre vive, ma sempre molto trendy, e con schiere di seguaci incazzosi verso chi allunga una mano con l' intento di trarre il bambino travolto dallo sciacquone del pensiero critico; verso chi tenta un passo in avanti (giudicando, parlando, rispondendo, agendo...).


I Maestri più recenti verranno riesumati, ci scommetto. Magari comincerà da Claude Levi-Strauss, noto per considerare lo sviluppo della civiltà occidentale come un mostruoso e terribile cataclisma che minaccia il mondo più innocente. Una civiltà, la nostra (e la sua), colpita irrimediabilmente da un maleficio che ne corrompe il senso minacciandone la grandezza. Da come la descrive viene naturale l' idea di neutralizzarla con la formalina.

Figuriamoci se si dimenticherà di Edgard Morin, proprio colui che incita la massa a concentrarsi sulle barbarie europee perchè siamo in condizioni storico-politiche che le favoriscono. E' lui uno dei bachi più produttivi nel formare il bozzolo di pentimento in cui amiamo rinchiuderci assumendo rassicuranti posizioni fetali.

Serge Latouche sarà di certo un bersaglio che PB inquadrerà, segnale da sempre il modo in cui chiude ogni sua riflessione con la domanda: chi è il colpevole? Di più monotono c' è solo la risposta: Noi. Ma anche come gialli i libri di Latouche funzionano poco visto che pongono il cruciale quesito dopo avreci appena dipinti per pagine e pagine come una congrega di visi pallidi privi d' anima e appena reduce dall' aver sottomesso l' Umanità al proprio servizio. Ogni atrocità commessa in Africa, Asia e Medio Oriente vede la decisiva complicità di mia mamma che fa la spesa al supermercato.

Visto che un concetto per cui "lo sterminio è il nocciolo del pensiero europeo", sta al cuore della poetica di Sven Lindqvist, vuoi vedere che pure lui finirà nel mirino?

Magari, tanto per divertirsi, partirà da lontano. Si divertirà rievocando la vibrante quanto insensata conferenza che il sommo Poeta Louis Aragon tenne di fronte agli studenti assiepati, quella nella quale senza tante licenze poetiche si augurava la distruzione della maledetta civiltà europea, una civiltà che ci modella uno per uno come fossili nello scisto. Per chiudere poi in crescendo con la visione del grande Brahma leggendario venuto a schiacciarci tutti sotto il tallone. Ma che nessuno si preoccupi: la nostra morte sarà concime per la fioritura di nuove bellezze e nuovi mondi. Ottant' anni dopo la stessa idea è ripetuta con la noia di chi la dà per scontata dal sociologo Latouche.

Pregusto già nel vederlo punzecchiare la buonanima di Braudillard, il primo dopo "le due torri" a dichiarare, con grande sfoggio di sottigliezze e i cadaveri non disintegrati ancora sull' asfalto, che "gli americani se l' erano voluta". Un riequilibrio si era ristabilito, le "condizioni oggettive" avevano fatto scattare l' anonima azione. A distanza di anni parole del genere dette a caldo sono un titolo di merito, e contano un casino per la carriera e l' endorsement di le Monde Diplomatique.

Vi ricordate quando il sindaco di londra Ken Livingston, impegnato anche lui a poche ore dalle stragi nella sua città in una ricostruzione degli eventi, sembrava aver finalmente scoperto le cause delle bombe: il fatto era che i paesi Arabi avevano subito troppe pressioni dopo la prima guerra mondiale, e la cosa non poteva non aver pesato sulla catastrofe della metropolitana. Sono certo che PB saprà pennellare al meglio questi episodi innalzandoli da gaffe ad archetipi platonici del penitente compulsivo.

John Le Carrè vede nell' "umiliazione" subita dai popoli arabi le fonti del terrorismo. Uno entra in casa tua e crea lo Stato di Israele, ma dove siamo? il bombarolo esercita così un regolare diritto di rivalsa, manca solo il timbro in calce dell' ONU. Il pendolare di treni spagnoli e metropolitane inglesi sta dunque pagando un risarcimento dovuto, di cosa si lamenta? Ho già constatato che nell' indice dei nomi John è presente. E come poteva mancare?

Per lo stoico Mario Soares non si tratta mai di "combattere" - errore fatale - ma di "cercar di capire". Anche quando ti cade una bomba in testa? Da tempo siamo in molti a voler porre la questione a Mario. Così, tanto per sapere. Sono sicuro che l' imbarazzante quesito è stato formulato nel modo più gustoso e inevadibile proprio da PB. Quindi io mi ritiro e anzichè porla, mi limiterò a leggerla puntellata di tanti piccoli corollari che la rinforzano.

I predicatori d' odio non avrebbero vita tanto facile senza i predicatori di vergogna. Tra questi si distingue Jacques Derrida, il quale conclude il suo saggio sugli Stati Canaglia come Ghezzi - recentemente riuscito nell' impresa di spettinarsi il cervello più della lubrica e rada chioma - concluderebbe una sua assonnata e sfocata recensione al film delle due di notte: siamo tutti Stati Canaglia. Poi, per distinguersi dal trasandato cinefilo e darsi un contegno, aggiungerebbe: noi in particolare. Ma il mitico Ghezzi, offeso per il sorpasso, metterebbe di nuovo la freccia facendo osservare come American Beuty dimostri genialmente che siamo tutti serial killer senza che nessuno lo sia. La gara dei paradossi è solo all' inizio ma io mi sono già annoiato. D' altronde gli allibratori non consentono più di scommettere sulla presenza del decostruzionista nel tomo di PB, lui è un fuori quota in questo campo.

Come tutti noi da tempo sappiamo, le zone di fermo degli stranieri irregolari, specie in Italia, sono praticamente indistinguibili dai lager nazisti. E pensare che se non me lo diceva Giorgio Agamben, mica c' avevo fatto caso. Dopo un' osservazione del genere tengo la lingua a freno nel giudicare Foday Sankoh, l' inventore della mutilazione "short sleeve", al gomito, e "long sleeve", alla spalla. Da che pulpito potrei mai rivolgere un monito io in quanto europeo a questo dilettante africano dell' orrore. Sto qui e me ne sto zitto. Certo, almeno al Prof. Agamben avrei una voglia matta di chiedergli se mi fa vedere dove sono le camere a gas, ma è un tipo irritabile e non oso. Speriamo che PB, da accademico ad accademico, osi; perchè sono certo che anche lui ha questa voglia matta.

"O dio, assolvimi dalle colpe che ignoro e perdonami da quelle altrui". Quando non prega con le parole del salmo, il vanitoso Josè Saramago è impegnato a fare paralleli tra Isrele e il regime nazista. Intanto il tempo passa e Josè, a corto di paralleli, è passato all' identificazione. La cosa è inevitabile visto quanto somiglia al nostro lo stato di Israele e quanto stimoli dunque quello specifico vanto che è l' odio di sè. Probabilmente la presenza di JS su questa terra porterà via un paragrafetto del libro che ho già letto senza bisogno di aprirlo.

Se PB scrive da dio, Cioran scrive da Dio. Ma è avvantaggiato dal nutrire pensieri che con la bellezza si sposano al meglio. Per lui, rifiutarsi di ammettere la completa interscambiabilità delle idee significa condannarsi a far scorrere del sangue. Mi spiace che il grande rumeno finisca in lista con Gianni Vattimo ma il suo posto è quello, e PB non guarda in faccia a nessuno.

Sì, Gianni Vattimo, anche lui. Lui che chiede al Cristianesimo di "tacere" per mettersi in ascolto dell' altro in modo da non favorire forme di colonizzazione. Per me questi dialoghi con uno che tace, più che altro favoriscono il monologo. Siamo alla caricatura dello spirito critico. Del resto ci si guarda bene dal rivolgere il medesimo invito all' Islam o al Buddismo o all' Induismo. La Rochefoucauld aveva un' espressione per definire il motore di simili richieste unilaterali: "l' artificio dell' orgoglio". Cosa sia lo spiegherà di sicuro meglio PB fuori dal vincolo aforistico.

Lo spirito critico si muta in odio di sè e diventa voglioso di espiare ininterrottamente, coltivando così un orgoglio tutto particolare. L' importante è non pentirsi ma limitarsi al rimorso. Solo il rimorso "coltiva e conserva la colpa per il bisogno di continue trafitture". E infatti chi si limita a pentirsi è malvisto. La Chiesa Cattolica, per esempio, recentemente ha ammesso alcune mancanze storiche porgendo scuse solenni, ora alla comunità ebraica, ora agli indios sudamericani. E poi sono venuti i popoli africani e poi protestanti e ortodossi. La cosa ha fatto irritare enormemente il noto giornalista inglese Robert Fisk che su quante più colonne poteva è saltato su a urlare "... cosa aspetta la Chiesa a chiedere scusa ai musulmani per la sanguinosa invasione dell' Iraq?". Siccome sono sicuro che PB sappia che la Chiesa Cattolica non ha invaso l' Iraq, siccome penso anche che sappia quanto la CC fosse contraria a quella guerra (arrivò a ricevere l' ambiguo Terek Aziz), ritengo che per il suo libro l' esistenza di un tale come Robert Fisk sia molto preziosa e vada valorizzata.

Per Oliver Roy e Franco Cardini si è parlato di "sindrome dello specialista". Ci si innamora dell' oggetto dei propri studi difendendolo con le unghie anche nei casi disperati. Presto si perde il senso della misura. I due hanno dedicato un due terzi della loro vita allo studio dell' Islam. PB non ama la Chiesa Cattolica e non manca mai di tirare una frecciatina appena puo', ma so anche che sposa la tesi di Eric Conan: "le religioni cristiane sono state sanguinose e assassine allontanandosi dai propri testi, l' Islam avvicinandosi ai suoi". Dello stesso parere sono molti islamici moderati che caldeggiano una revisione del canone. Per questo motivo e non per altro sono fiducioso di ritrovare Roy e Cardini nella foto di famiglia scattata da PB.

Jean Genet ha cantato la bellezza delle SS, dei criminali, degli assassini, delle Black Panthers, dei fedayn. Tutti scappano sciamando quando lui sta per scoccare il suo bacio della morte. Ma i palestinesi non hanno fatto in tempo a ritrarsi e Genet, con mossa fulminea, ha sposato la loro causa fornendo la sua egida di intellettuale controverso ma ben inserito. Su le Monde Diplomatique è stato chiaro nell' esporre a Tahar Ben Jelloun i motivi dell' imbarazzante abbraccio. In giro non vedeva niente di più anti-occidentale. E poi sono poveri e musulmani! Mi sembra che la cosa fornisca spunto di riflessione per un libro che non cerca altro che casi del genere.

Tutti tratteniamo il fiato ingoiando pillole di Prozac, il momdo trema, la pace è in pericolo, siamo sull' orlo del baratro. L' unica nota positiva è che tutti in Europa conosciamo bene il nostro nemico, ovvero colui che sta minando la sicurezza dell' intero mondo: Israele. Bè, "tutti" proprio tutti no, diciamo il 59% degli intervistati in merito. Di sicuro lo sa bene Gilles Deleuze, il quale è fine analista del genocidio che Israele compie sotto i nostri occhi tutti i giorni, nonchè fine analista del mimetismo tra Israele e il regime hitleriano. PB invece è un fine analista dello strano fenomeno-Deleuze, spero che in questo libro voglia andare ancora a fondo nel decifrare l' oscuro mistero di tanta fama.

A proposito di Israele, da quando ha smesso di essere il migliore per diventare non-peggiore degli altri, nessuno lo perdona più. E gli arabi (a cui nessuno frega niente) sono diventati il bastone da dargli in testa. Il bello che spesso dello stesso Israele facciamo un bastone per auto-bastonarci. Il filosofo norvegese Jostein Garder è un bastonatore folle e ormai va dicendo a destra e a manca che Israele premedita una "soluzione finale" attraverso la quale farla finita con i palestinesi. Il tutto con l' aiuto di Dio. Prendo atto e trasmetto la pratica al dott. PB. Il quale probabilmente l' archivierà nel cassetto che già ospita da tempo Alain Badiou e Saramago, altri due per cui Israele sta pianificando genocidi in gran segreto. E alla solita domanda: e le camere a gas? Rispondono come un sol uomo: non tarderanno!

Altro caso di cui occuoparsi: Harold Pinter ritira il Nobel appena dopo aver firmato il suo sostegno a Milosevic, evidentemente l' ultimo autocrate nazi/comunista d' Europa lo faceva ancora sperare. Chissà con quale interesse si accosterebbe al pensiero neo fascista di de Benoist che teorizza un' alleanza tra terzo Mondo e Europa contro l' Occidente (aiuto, mi gira la testa!). Cosa abbiamo mai noi da insegnare al mondo visto che riposiamo sul trionfo della vacuità sostanziale e su un passato maledetto? Senza abiure non potremo mai muovere un passo. L' Europa è e deve restare preda di un "un paralizzante dolore". Per precisazioni intorno a questa poetica citofonare Ulrich Beck.

Il predicatore Tariq Ramadan sostiene che i musulmani di oggi sono paragonabili agli ebrei degli anni trenta. Siccome con un piccolo passaggio è abbastanza facile capire chi sia il regime hitleriano, queste parole mandano regolarmente in visibilio i fantici della modestia che finalmente possono predersela con se stessi e con la loro cultura intrinsecamente totalitaria.

Le Cour Grandmaison possiede una particolare bacchetta magica. Pensate per un attimo alla banalizzazione del male: il carnefice trasformato in contabile e viceversa. Basta un tocco della masochistica bacchetta magica ed ecco che chiunque lavori in azienda viene mutato ipso facto in un kapo'. Marx aveva edulcorato la realtà, chiamava "sfruttamento" dell' uomo sull' uomo cio' che è "sterminio" dell' uomo sull' uomo. Quadra tutto? C' è ancora qualcuno che riesce a distinguere il capitalismo da Aushwitz? E non rompete con le camere a gas! Leggetevi piuttosto due paginette di storia della Rivoluzione Industriale e ci troverete pure quelle: come chiamereste infatti le fabbrica dove i deportati dalle campagne venivano stipati? Leggetevi poi due romanzetti contemporanei sull' angoscia da precariato e noterete come da quei lager ottocenteschi siamo evoluti con il passo del gambero. La bacchetta magica di Le Cour sembra proprio essere l' arma del delitto e nel giallo di PB avrà di sicuro un posto centrale.

Il binocolo di PB è da sempre puntato su una certa Europa che si va trasformando in un misto di "rimorsi & comodità". Poichè i secondi sono imprescindibili, per dare sfogo ai primi si proietta la propria immagine sull' America, che viene bestemmiata come l' ateo bestemmia un dio per meglio resuscitarlo. Ci si crede votati allo Spirito sebbene il proprio ethos rimanga esclusivamente mercantile: dai no global al pacifismo, ogni richiesta concreta al fine formulata si riduce in un differente circuitazione delle risorse materiali; l' anticapitalismo segnala la forte dipendenza dal mercato. Amano Jeremy Rifkin che spiega loro quanto in Europa lo Spirito sopravanzi la ricchezza, proprio nel mentre persino l' amor di patria, il primo embrione della mistica, viene ormai liquidato come un arcaismo.

Spero si sia capito quanto il brodo possa essere allungato. Senonchè, solo un virtuoso puo' suonare la stessa solfa per un ventennio. E PB, su questo non ho dubbi, ha tutte le carte in regola per esibirsi. Chi non ama il senso delle sue parole, ne apprezzerà perlomeno il concerto