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domenica 6 ottobre 2019

L’ORGOGLIO DELLA VITTIMA

L’ORGOGLIO DELLA VITTIMA
Va diffondendosi una cultura per cui la “vittima” non va solo compensata ma privilegiata e rispettata nel suo “diritto alla sensibilità”. È anche una cultura imperniata su sentimenti arcaici come quello della “colpa collettiva”.
Facciamo un po' di chiarezza attraverso la genealogia. All'inizio fu la Shoah a interrogare l’intellettuale: come non replicare una tragedia del genere? Si puntò tutto sul linguaggio, occorreva edulcorarlo sapientemente per evitare la formazione di una valanga di risentimenti destinata inevitabilmente a sfociare nelle camere a gas.
A seguire ci fu l'appello al “trauma” e alle sensibilità degne di tutela. I primi “malati di trauma” furono i soldati, in particolare i veterani del Vietnam - e qui la battaglia per il politicamente corretto si spostò dall'Europa agli Stati Uniti. L'opposizione militante al conflitto e l'indagine psicologica sui ragazzi spediti in guerra procedettero di pari passo, ben presto la sindrome post traumatica entrò nel manuale diagnostico dei disordini mentali diventando uno strumento a tutela di qualsiasi “vittima”. Il ricordo spiacevole divenne malattia facendo sorgere un “diritto alla salute”. Dire “codardo” a un imboscato non era più un’opinione ma un atto violento che intaccava il legittimo diritto alla salute mentale della persona.
Fin da subito ai soldati si aggiunsero i civili sopravvissuti alla guerra, poi i poliziotti esposti sulla strada ai conflitti violenti, poi le vittime di crimini, in special modo quelli di natura sessuale, infine praticamente tutti, anche quelli morsi dal cihuahua.
Nel corso di questi passaggi la vittima si trasformò da soggetto con diritto ad un risarcimento a soggetto con diritto alla cura. Essere vittima divenne una condizione permanente da sfoggiare con orgoglio e rivendicare. Il diritto alla lamentela prese poi la forma del diritto di difendersi per vie legali dalle parole e dal pensiero altrui. Su un soggetto "traumatizzato" parole e pensieri ostili divennero a tutti gli effetti una forma di violenza.
Ben presto tutto questo apparato concettuale si saldò con l'idea di colpa collettiva e di diritto alla "riparazione" maturata da alcuni gruppi umani nel corso della loro storia. Per esempio, i neri avevano subito l'oppressione schiavistica dei bianchi, le donne avevano subito l'oppressione patriarcale degli uomini, i paesi del terzo mondo avevano subito l'oppressione coloniale dei paesi occidentale. La riparazione dovuta prese ben la forma di privilegio generico (quote, censura…).
L'ultimo passo per instaurare la cultura del vittimismo fu la sua istituzionalizzazione. Gli studiosi militanti che popolarizzarono questi concetti erano generalmente affiliati alle scuole d'élite americane, allorché l'Ivy Legue cominciò a fissare politiche e precedenti, le altre università si adeguarono. Psichiatri e avvocati furono in prima fila nello spianare la strada al movimento, se una strategia si rivelava feconda per tutelare una minoranza veniva ben presto estesa a tutte grazie al concetto di “intersezionalità”. Ma un ruolo di primo piano lo ebbe l'amministrazione degli atenei, settore che ben presto divenne ovunque preponderante rispetto alle facoltà stesse. Fu questa parabola che trasformò, per esempio, il black power in black studies. Una volta impiantata, la cultura del vittimismo si diffuse al punto che gli studenti delle famiglie più privilegiate giungevano nelle università d'élite con aspettative già radicate e richiedendo conformità alla nuova ortodossia; in un mondo che li vede più che altro come consumatori sono loro i boss. Oggi, nell’era dell’università di massa, gli atenei vanno sempre più distinguendosi in due gruppi: quelli dove vai per imparare e quelli che “formano il cittadino modello”.
La cultura del vittimismo si plasma negli Stati Uniti per essere poi esportata in tutto il mondo. Con il suo portato di censure, privilegi ed ingegneria sociale è di fatto una cultura autoritaria. Gli antidoti più efficaci per fronteggiarla restano una strenua difesa della libertà di espressione centrata sul valore della diversità.
HETERODOXACADEMY.ORG
Erstwhile reformers of higher ed institutions should seek deeper knowledge about the origins of the concepts and methods that currently dominate.

giovedì 6 settembre 2018

LINK Il problema sono i figli o i genitori

Siamo sicuri che basta dire ai genitori cosa fare perché lo facciano? Forse il problema dei bamboccioni è il genitore bamboccione... 

Another problem I have with the psychological emphasis is that it might lead someone to think that if the parents, teachers, and professors could just realize that coddling has adverse psychological consequences, then they would take a different approach. Instead, I think that problem is more deep-seated.


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