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mercoledì 18 dicembre 2019

CAPITALE E MERITO

CAPITALE E MERITO

Venticinque anni fa pensavo che Internet avrebbe eroso i vantaggi delle grandi corporation, creando un campo da gioco più paritario in cui le imprese meno dimensionate avrebbero potuto confrontarsi alla pari. Credevo che la rivoluzione telematica fosse un'innovazione a vantaggio dei "piccoli" e delle persone comuni. Credevo francamente che la diseguaglianza economica si sarebbe ridotta.
Come al solito mi sbagliavo. Ma perché?
Mi basavo su quanto avevo imparato a scuola, ovvero su un pensiero economico superato che metteva al centro della crescita il capitale. Internet stava rendendo il capitale relativamente marginale livellando grandi e piccoli. Ciò, pensavo, avrebbe rafforzato il potere dell'individuo senza capitale parificandolo al potere relativo delle grandi società piene di soldi da investire.
Ma l'economia del XXIesimo secolo non è come quella del XXesimo, è dominata da fattori immateriali, tra cui competenze tecniche e il talento manageriale. Questo cambia tutto: la risorsa scarsa ora è il merito, non il capitale. L'ascesa dei computer e di Internet ha aumentato notevolmente il potere economico delle élite in vari campi, non tutti tecnici. L'amara verità è che talento e merito concentrano la ricchezza ancora di più rispetto alla disponibilità di capitale.
La nuova economia del talento produce diversi effetti. Innanzitutto, piccoli team possono fare meglio di grandi masse di lavoratori. In un impianto automobilistico degli anni '70, introdurre un nuovo lavoratore nella catena di montaggio era facile. Far sì che il lavoratore fosse produttivo richiedeva una supervisione gestionale molto ridotta e solo un breve affiancamento con altri lavoratori. Ampliare la squadra era del tutto naturale per ampliare la produzione e i ricavi. Ma la programmazione del computer è diversa. Il problema della quantità non esiste: il prodotto finito è replicabile all'infinito a costo zero. D'altro canto, ogni nuova persona immessa nel progetto aumenta significativamente l'onere della gestione e della comunicazione inter-personale. Il team resta quindi piccolo per mantenere un'elevata qualità media. Pochi ma buoni vele molto di più che molti e di medio valore.
Un'altra caratteristica dell'economia postindustriale è che le persone più talentuose tendono a migliorarsi esponenzialmente. Piove sempre sul bagnato. Pensa al ciclo virtuoso di una stella del cinema. Per il suo talento e la sua reputazione, le vengono offerti ruoli sempre migliori. Chi ha già molto, avrà sempre di più. Le vittorie sono come un domino. Questo circolo virtuoso genera enormi barriere all'ingresso e crea un imperativo: "work with the best and forget the rest".
Le élite di oggi si riproducono per endogamia. Si dice che una tribù in cui i membri possono accoppiarsi solo con altri membri, si riproduca per endogamia. Oggi i dirigenti altamente qualificati tendono a sposarsi tra loro. Molto più di ieri. Non si cerca il complemento ma l'affine. Non si cerca qualcuno con cui dividere il lavoro da fare ma si cerca qualcuno con cui condividere i medesimi interessi. Un alto dirigente laureato del marketing di un importante ditta software non si unirà mai in matrimonio con un quadro diplomato di un'azienda di minuterie metalliche. Le élite si sposano per endogamia e questo è un fattore scatenante della diseguaglianza sociale.
Ci sono poi considerazioni organizzative da fare. Le start up o muoiono o esplodono. In questa fase di forte crescita devono evolversi molto rapidamente passando da una condizione di piccoli, semplici e informali a una condizione di grandi, complessi e sistematici. Il ritmo del cambiamento è sbalorditivo. Una società in forte crescita può diventare un'organizzazione completamente nuova ogni sei mesi fino a quando non raggiunge la maturità. Questo è un ambiente unico, insolito sia per chi è abituato alle piccole start-up sia per chi è abituato a lavorare in grandi aziende mature. Di conseguenza, le imprese ad alta crescita tendono ad avere bisogno di dirigenti che hanno avuto successo in altre imprese ad alta crescita. Solo loro possono vantare esperienza nel gestire questa fase "unica". Alla fine si cercano smpre gli stessi e la ricchezza si accumula sempre nelle stesse mani.
Morale: quando il merito soppianta il capitale le diseguaglianze esplodono.

mercoledì 16 ottobre 2019

MERITEVOLI CONTRO LA MERITOCRAZIA

MERITEVOLI CONTRO LA MERITOCRAZIA
La meritocrazia è sotto attacco. Da parte di chi? Innanzitutto dei meritevoli, nota l'articolo. Perché?
Calma, prima l'elenchino dei libri di riferimento per far capire che non parliamo del nulla. Ecco gli ultimi arrivati in libreria:
Chris Hayes: "Twilight of the Elites"
Lani Guinier: "The Tyranny of the Meritocracy".
Robert Frank: "Success and Luck"
Michael Sandel: "The Tyranny of Merit".
Daniel Markovits: "The Meritocracy Trap".
Bastano? Siete convinti che il fenomeno esista? Che non sia inventato?
Adesso, nel tentativo di capire, facciamo un passo indietro. La meritocrazia nasce col secondo fine mai molto nascosto di sgranchire l'anchilosato ascensore sociale, benché a distanza di sessant'anni dalla sua ideazione formale (Michael Young - 1958) l'abbia di fatto bloccato. Dopo un primo aggiustamento che ha fatto ben sperare, le cose si sono assestate, si è scoperto cioè che i più facoltosi erano anche i più meritevoli e ciò li rendeva ancora più ricchi e segregati dagli altri. Quasi come se la l'attitudine a primeggiare fosse ereditaria (ma va'?). Oggi queste superstar lavorano 60 ore la settimana, pagano gran parte del gettito fiscale che incamera lo stato, sono ribattezzate 1% e se ieri il rischio era che sfruttassero troppo i lavoratori oggi è che sfruttino troppo se stessi.
Che fare per chiudere lo scandaloso gap?
Non c'è soluzione visto che anche i più ardenti critici della meritocrazia quando hanno l'infarto si tradiscono andando in cerca di un cardiologo capace. A volta addirittura del migliore!
L'unico palliativo è chiedere scusa. Scusa per i propri meriti e il conseguente mega-patrimonio accumulato. Chiedere scusa enfatizzando magari che la competenza non significa saggezza o probità (ci mancherebbe). Sarà dovuta a questa strategia disperata la recente pioggia di libri contro la meritocrazia scritti dai pupilli di Harvard, Yale, Princeton, Stanford e Cambridge.
Fusaro la chiamerebbe "coscienza infelice", citando lo Hegel. O lo Gramsci? Boh, o uno o l'altro, non si scappa.
P.S. L'alternativa è prendere esempio dalla politica, dove il merito è secondario e ci si diverte come pazzi. Lì gli outsider abbondano e l'imprevedibilità è sempre dietro l'angolo. Può persino capitare che un comico qualsiasi stordito dalla sua stessa logorrea fondi un partito grazie a una srl e vada dritto al governo senza ancora avere capito bene cosa vuole fare (oltre a mandare aff... questo e quello). Siamo allora così sicuri che un po' di colorata follia farebbe così male al grigio mondo del business e dell'accademia? Mmmm... sì, direi di sì. Pensandoci meglio direi che farebbe molto male in qualsiasi contesto.
Informazioni su questo sito web
CITY-JOURNAL.ORG
A Yale law professor’s attempts to understand American success float away into grand theory and intellectual overreach.

martedì 19 marzo 2019

Il merito del (nel) mercato SAGGIO

Il merito del (nel) mercato

Alcuni ritengono che anche i mercati più liberi non siano e non siano mai stati meritocratici – e che i difensori del libero mercato dovrebbero abbandonare del tutto gli argomenti meritocratici: i mercati non premiano il merito, premiano il valore,  due cose molto diverse.
Giusto, ma la replica è ovvia: valore e merito sono altamente correlati, quindi i mercati non trascurano il merito, dopo tutto. Il duro lavoro e il lavoro di qualità hanno più chance di produrre valore, e lo stesso dicasi per le idee. Il merito, l’utilità e la prosperità non sono isolabili dalla fortuna, ma sono tre cose importanti e i mercati fanno un ottimo lavoro di promozione di tutte e tre. Perché mai i difensori del libero mercato non dovrebbero farlo notare?
L’argomento del merito, si dice, ignora il principio del vantaggio comparato per cui sia il meno dotato che il meglio dotato contribuiscono al benessere degli complessivo.
Questo è un valido argomento contro l’affermazione esagerata per cui ci sono dei parassiti che sfruttano il genio di chi ha le grandi idee. Ma è perfettamente compatibile con una difesa ragionevole della meritocrazia. Sì, i geni traggono profitto commerciando con non-geni ma il mercato compensa diversamente le due categorie.
E’ vero, Hayek ha sottolineato ripetutamente come il mercato consenta uno sfruttamento delle conoscenze disperse e come questa dispersione sia casuale. Il caso, in effetti, gioca un ruolo ma è altrettanto innegabile che le persone più abili e più laboriose incrementino le loro probabilità di successo.
Shika Dalmia, che non scinde meritocrazia e mercato, ci offre questo esempio: “paragonate un’innovazione incredibilmente banale come un nuovo coperchio di plastica per barattoli di vernice con quella sofisticata di un nuovo chip per i nostri computer. L’artigiano/inventore potrebbe diventare ricco tanto quanto il mago del computer fintanto che gli sversamenti rimediati dal coperchio di sua invenzione equivalgono alla produttività incrementale del nuovo chip. Non importa che il produttore di coperchi sia un ubriaco, un artigiano che picchia la moglie, senza lavoro, che ha inciampato nel coperchio per serendipità, eccetera. O che il mago del computer sia invece un dottorando moralmente irreprensibile che ha passato la sua giovinezza su quel chip”.
Vero. Ma mediamente i dottori di ricerca moralmente irreprensibili creano molto più valore aggiunto degli artigiani beoni e disoccupati che picchiano la moglie. E il mercato ne tiene conto!
Dalmia fa notare anche che una concezione meritocratica del mercato costringe chi non ha successo a internalizzare il suo fallimento, ad accettare il suo status di seconda classe e magari elaborarlo in forma di alienazione e risentimento.
Anche questo è vero ma non è forse vero anche il fatto che molti fallimenti derivano da colpe, negligenze od errori evitabili?
Sebbene sia vero che il mercato premia idee brillanti, non persone brillanti, è anche vero che, mentre idee brillanti possono piovere anche dal cielo, la stragrande maggioranza di esse proviene dal cervello di persone brillanti. Non solo, i mercati, attraverso la reputazione, si preoccupano molto della fonte di un’idea.
Hayek considerava una sfortuna che, specialmente negli Stati Uniti, scrittori popolari come Samuel Smiles e Horatio Alger, e in seguito il sociologo WG Sumner, abbiano difeso la libera impresa con l’argomento della meritocrazia. Questo, secondo Hayek, avrebbe accresciuto l’autostima dei businessman rendendoli impopolari. C’è forse un po’ di nostalgia per l’austero imprenditore puritano.
Ma anche qui Hayek non convince: se la sostanza c’è perché non rivendicarla? Ci sono mille analogie che evidenziano come l’argomento non regga. Esempio, se i neri sono vessati consigliamo forse loro di non difendersi rivendicando i propri diritti perché questo li renderebbe impopolari? E’ ridicolo solo pensarlo.
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https://www.econlib.org/archives/2010/02/more_on_merit_r.html?highlight=%5B%22dalmia%22%5D

https://www.econlib.org/archives/2010/02/the_reality_of_1.html?highlight=%5B%22dalmia%22%5D

DIVERSITA’ E MERITOCRAZIA NON VANNO INSIEME

DIVERSITA’ E MERITOCRAZIA NON VANNO INSIEME
“Sulla base delle prove che abbiamo, l'ideale meritocratico finisce per essere altrettanto antidemocratico della vecchia enfasi su eredità e tradizione, e forgia un'élite che ha i vizi dell'aristocrazia (privilegio, insularità, arroganza) senza il senso del dovere, l'autocontrollo e noblesse che obbliga ad aprirsi e a tollerare la diversità nella cabina di regia”
Informazioni su questo sito web
NYTIMES.COM
An aristocracy that can’t admit it.
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domenica 13 gennaio 2019

I FATTI, I FATTI, I FATTI…

I FATTI, I FATTI, I FATTI…

C’è chi vive nel mito dei fatti.

I fatti il più delle volte non ci dicono un bel niente. Prendete questo: le famiglie più ricche di Firenze oggi sono le stesse che primeggiavano nel 1427. Lo dice un’analisi sui cognomi.

Come interpretare “il fatto”?

1) L’avvento della meritocrazia è solo apparente: il sistema dei privilegi è forte oggi come ieri.

2) L’avvento della meritocrazia è solo apparente: il merito si eredita ed esisteva ieri non meno di oggi.

Due posizioni antitetiche perfettamente in linea con i fatti.

P.S. Io preferisco la seconda.

https://feedly.com/i/entry/kdOsXsDOArv7NIUZyL/8ar97/yj7YWTRj5isT+3ueM4=_1683e5ed800:1bef54d:56b782f7

lunedì 12 novembre 2018

MERITOCRAZIA

MERITOCRAZIA
Le leggi sull'immigrazione non autorizzano semplicemente la discriminazioni, la richiedono. Di conseguenza, tali leggi sono profondamente anti-meritocratiche. I datori di lavoro possono essere autorizzati ad assumere il cittadino più adatto al lavoro ma non la persona più adatta.

martedì 4 settembre 2018

Il talento nel tennis e nella società Iper meritocratica

Il tennis di oggi come lo sport in generale è diventato il merito pratico E questo ha favorito la presenza di tennis di sempre più atleti. Probabilmente la cosa è andata a scapito del talento puro evidentemente i margini di miglioramento nella fisicità erano superiori rispetto a quello del puro talento. I top ten di oggi sono altissimi e fisicati film.co però ha un effetto strano la presenza di questi colossi ha costruito un ambiente favorevole alla presenza di anticorpi ovvero giocatori più piccoli in grado di sfruttare i punti deboli del gigante. Per esempio, il gigante a un servizio potentissima mentre il giocatore piccolino ha una risposta molto efficace ed anticipata. Probabilmente è quello che avviene in tutti i campi Dov'è la meritocrazia si afferma morte dell'attore mostrano certe caratteristiche è una consistente minoranza Altre caratteristiche

Height, size, and tennis http://marginalrevolution.com/marginalrevolution/2018/09/height-size-tennis.html

martedì 24 luglio 2018

IL MERITO GENERA DISEGUAGLIANZA

IL MERITO GENERA DISEGUAGLIANZA
Ai bei tempi si pensava che il mondo della rete erodesse i vantaggi dei “giganti” aprendo così la strada alla riscossa dei “piccoli”. Ahimé, oggi sappiamo che il capitale umano - ovvero il capitale della new economy - crea ancora più diseguaglianze del capitale industriale. Piccole squadre dell’élite talentuosa possono sostituire larghe masse di lavoratori. I talenti tendono poi a concentrarsi poiché per non sprecare il lavoro di un grande talento conviene affiancargli un altro grande talento (alla NASA, tanto per dire, anche l’impresa di pulizie è la migliore d’America). I lavori da portare a termine in campi come la programmazione software sono delicati e conviene essere in pochi per concentrarsi meglio sull’obbiettivo (Amazon recapita massimo due pizze in ogni ufficio). In questo sistema, poi, solo i migliori migliorano: solo a chi si è distinto vengono offerte stimolanti proposte in grado di incrementare la sua esperienza e le sue connessioni, il che genera enormi barriere all’entrata. I problemi di un’azienda innovativa sul punto di esplodere, inoltre, sono talmente particolari che vengono affidati sempre alle poche persone che li hanno già gestiti in passato cosicché le varie élite manageriali spesso si limitano a cambiare di posto in un gioco combinatorio di carattere endogamico.
Nell'era digitale, purtroppo, talento, merito, abilità e competenza generano una diseguaglianza che l’era industriale – con il suo capitale fisico, le sue economie di scala e i suoi monopoli – non ha mai conosciuto.
HACKERNOON.COM
The Intangible Economy Produces Elites

martedì 27 febbraio 2018

Ipermeritocrazia

Una strana bestia: l'iper-meritocrazia.
E' buona o cattiva? Buona per chi guarda all' iper-ricchezza, cattiva per chi guarda alle iper-diseguaglianze.
#Amazon

The groundbreaking follow-up to the New York Times bestseller The Great Stagnation The United States continues to mint more millionaires and billionaires than any…
AMAZON.COM

venerdì 12 gennaio 2018

CONTRO LA MERITOCRAZIA

Malati non curati perché "troppo malati".

Moltiplicazione delle operazioni chirurgiche (facili).

Bancari che accreditano e addebitano la stessa somma su un conto.

Uffici vendite che comprano a Dicembre e restituiscono tutto a Gennaio.

Università che distribuiscono lauree come caramelle.

E' il fallimento della meritocrazia (e degli schemi di compenso quantitativi).

La meritocrazia fallisce quando l' output è una risorsa umana.

Compensare un insegnante per le prestazioni dei suoi allievi introduce un elemento casuale nel suo stipendio. La cosa potrebbe avere ripercussioni inattese.

Il grido nella sanità: vogliamo pagare per la salute, non per le cure.

Ma i medici hanno poco controllo sulla salute. Per riguadagnarlo creeranno guai.

Malati non curati perché "troppo malati".
Moltiplicazione delle operazioni chirurgiche (facili).
Bancari che accreditano e addebitano la stessa somma su un conto.
Uffici vendite che comprano a Dicembre e restituiscono tutto a Gennaio.
Università che distribuiscono lauree come caramelle.
E' il fallimento della meritocrazia (e degli stipendi parametrati). Ho lavorato in un ufficio dove avevi una sola matita, per averne un' altra dovevi mostrare la tua completamente consumata o pagare una multa. Si voleva risparmiare evitando che la gente si portasse a casa la roba. Qualcuno ha continuato nella pratica disonesta rubando poi la matita del collega. E' iniziata una serie di furti a catena e l'armonia sul lavoro è andata a farsi friggere. Quel che si è perso valeva molto di più di quel che si è guadagnato.
Compensare un insegnante per il profitto dei suoi allievi introduce un elemento casuale nello stipendio. La reazione potrebbe essere inattesa e spiacevole per il sistema.
Il grido nella "sanità meritocratica": vogliamo pagare per la salute, non per le cure.
Ma i medici hanno poco controllo sulla salute. Per riguadagnarlo creeranno guai.

How the obsession with quantifying human performance threatens our schools, medical care, businesses, and governmentToday, organizations of all kinds are ruled by the belief that the path to success is quantifying human performance,…
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