Visualizzazione post con etichetta felicità speranza. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta felicità speranza. Mostra tutti i post

giovedì 8 marzo 2018

La sorte della speranza nel XXI secolo

Ovunque nel mondo l’uomo è ottimista, pensa di migliorare la sua condizione, anche se il gap immaginato tra presente e futuro tende a restringersi con l'età, specie nei paesi ricchi, fino ad azzerarsi a 65 anni, quando si comincia a temere il peggio.
I respond to Atkinson's plea to revive welfare economics, and to considering alternative ethical frameworks when making policy recommendations. I examine a…
NBER.ORG

domenica 21 gennaio 2018

10. Identità, speranza e innovazione

L'investitore è overconfident. Commercia troppo e diversifica troppo poco.

Teoria alternativa del rischio. Le persone che scommettono contro il rendimento altrui. Il benchmark è relativo e non assoluto. Molto rischio è preso sulla base di una speranza e non di un calcolo.

La gente una volta che possiede qualcosa di sicuro si lascia andare. Basta Una specie di scialuppa di salvataggio. Una volta allocato parte dal suo portafoglio si sente libera di operare secondo elementi come gusto e speranza.

Nei mercati finanziari non si arricchisce chi investe Ma i broker.

Perché non sfruttiamo la diversificazione. Nemmeno in ambiti come la salute, la casa, l'auto? Perché abbiamo la casa di proprietà invece che in affitto? Quest'ultima soluzione diversifica rebbe maggiormente i rischi.

Perché la speranza è qualcosa di fondamentale è insito in noi. La speranza è relativa al sogno. Al desiderio. All'identità. La speranza è un bisogno. Può essere l'elemento che scollega il rischio dal compenso.

Speranza e overconfidence. L'idea di essere particolarmente dotati in un ambito della vita. Sogniamo di iniziare la nostra impresa. Il nostro progetto. Di saper compiere un passo nell'ignoto e di innovare. La speranza stimola un coraggio intellettuale. Il contrario della prudenza, Ovvero della razionalità. Provocati  insistiamo ancor di più. Testardaggine. L'umiliazione ci incoraggia invece di farci desistere. Prendere rischi ci causa ansia ma non possiamo evitarlo.

Il coraggio intellettuale è ammirato solo a posteriori, a priori è visto come una scelleratezza. Il caso di Galileo Galilei lo rende chiaro: se avesse fallito sarebbe stato giudicato uno stupido poiché si è accollato i classici rischi che  solo lo stupido si prende, con veramente poche prove a supporto delle sue tesi.

Che differenza c'è tra giocare e investire? La differenza è sfumata e il concetto di speranza la rende tale. Già in Keynes era chiaro. Ogni cattiva idea ha comunque delle buone possibilità di riuscire vincente.

Tanti giocatori di successo sono presentati come saggi investitori. Tutto questo incoraggia il gioco.

Il fattore speranza ci fa concludere che prendere rischi è comunque soggetto ad una ottimizzazione. Utilitarismo degli atti contro utilitarismo delle regole.

Ultimatum game. Ti vengono dati €100 e puoi tenertele se prendo quello che vuoi ad un terzo soggetto costui oggetto. Agire razionalmente vuol dire offrire a terzo soggetto €1 o comunque la somma più basso possibile. Ma noi sappiamo che Costui non accetterà. La regola quindi è quella di offrire una cifra congrua per esempio un venti per cento </percent>. È una regola  irrazionale da un punto di vista strettamente utilitaristico Ma è una regola che massimizza il benessere complessivo.

Utilitarismo degli atti. Massimizza l'utilità individuale. Utilitarismo delle regole. Si seguono regole che massimizzano il benessere complessivo. E quindi anche quello individuale poiché l'individuo fa parte di una comunità prospera. Robert aumann

Anche prendere dei rischi è un comportamento irrazionale che ubbidisce ad una regola corretta. Avere dei sogni avere un proprio progetto nutrire una propria speranza è la cosa giusta da fare. Speranza, ottimismo, felicità, salute.

Inoltre, per la comunità gli innovatori, ovvero chi prende rischi irrazionali da un punto di vista prudenziale, sono una manna. L'innovatore produce beni con esternalità positive molto elevate.

sabato 8 giugno 2013

La mamma peggiore del mondo

In margine alla lettura di Lenore Skenazy – Free-Range Kids, how to rise safe, self-reilant children (without going nuts with worry).
Il processo subito da Lenore Skenazy ha avuto una certa risonanza internazionale, la giovane mamma doveva difendersi dall’ accusa di aver concesso al figlio (9 anni) di prendere in solitudine la metro newyorkese, una superficialità che ha attirato il biasimo di molti genitori, nonché le attenzioni della Giustizia americana. In questo libro la Skenazy si giustifica e spiega perché ha scelto senza tanti rimorsi di diventare a tutti gli effetti la “peggior mamma del mondo” .
lenore
Si parte in quarta sostenendo che in famiglia un bimbo se la passa più o meno bene, in estrema sintesi puo’ essere:
- curato,
- trascurato o
- sovraccurato.
“Sovraccurato” è un termine che mi sono inventato per l’ occasione in mancanza di meglio. Sara suggerisce “viziato”, ma non è quella la parola giusta, fidatevi.
La lacuna del vocabolario che mi tocca colmare in modo tanto goffo è dovuta forse al fatto che molti nemmeno riescono a realizzare il concetto che  designa un termine del genere.
Questa impotenza è illustrata in modo vivido nelle cause di divorzio: qui i figli vengono affidati regolarmente al genitore che si dedica  di più a loro, compito del giudice è individuare il coniuge che spende maggiori energie nell’ educazione della prole. L’ idea che esista un genitore che spenda troppe energie è inimmaginabile: chi “cura di più”, “cura meglio” per definizione.
leno
Siccome LS si propone di mettere in dubbio questo assunto, è ben presto assurta a notorietà come “la peggior mamma del mondo”.
Forse nel tentativo di alleggerire la sua posizione e la denigrazione di cui è oggetto, LS sostiene in modo vibrante che un figlio liberato dalle molte forme di sovraccudimento così tipiche dell’ ansioso stile educativo contemporaneo, diventi poi un adulto più responsabile e maturo. Non soffocare il piccolo con l’ ossessione della sicurezza è un modo per allevarlo meglio.
La mia idea: non penso proprio.
Che esista un “sovraccudimento” è verosimile, ma non penso proprio che la cosa rechi gran danno all’ adulto futuro, ovvero il bambino “sovraccudito”. Semmai reca danno agli adulti presenti, ovvero i genitori “sovraccudenti”. Sono sempre così stressati…
Il che, purtroppo, aggrava la posizione di LS. Infatti, per quanto il suo consiglio di “prendersela comoda” con i bambini sia sensato, diverrebbe a questo punto un consiglio sospetto di mero egoismo, un sospetto che mantiene esacerbandola la stimmate di “mamma peggiore del mondo”.
In questi casi, per chi tiene alla propria reputazione, non resta che mettersi sulle piste del saggio Bryan Caplan, il quale propone: “prendetevela comoda con i figli che avete e investite le energie così risparmiate facendo altri figli”.
E bravo Bryan: la cosa è sia vera (c’ è forse un investimento migliore delle energie in eccesso?) che furba (l’ amore per i bimbi riabilita anche il calcolatore più gretto).
lenoree
La “bolla” sulla sicurezza dei bambini ha conseguenze spiacevoli:
… se un politico vuole segnare dei punti, basta che proponga qualcosa collegato alla sicurezza dei bambini: balordi, rapitori, germi, voti, adulti, insetti, frustrazioni, bulli, giocattoli dalla Cina, molestatori, notti passate fuori casa, gite scolastiche… i nostri bambini sono assediati da mille minacce e necessitano di un aiuto continuo… l’ ossessione per la sicurezza non è solo un portato culturale dei nostri tempi ma si ripercuote pesantemente nell’ iper-regolamentazione ministeriale che cala come una cappa asfissiante sulla vita di tante famiglie con prole…
Se per un martello tutto cio’ che incontra appare come un chiodo, per un' agenzia governativa dedita alla sicurezza dei minori tutto assume i contorni di minaccia incombente.
LS sembra ventilare l’ ipotesi che la burocrazia sia all’ origine di comportamenti assurdi in tema di sicurezza.
… il messaggio che si fa passare ai genitori è questo: i funzionari statali crescono i vostri figli meglio di voi… il messaggio ai bambini non è meno deleterio: sei un piccolo e debole bimbetto… ma non preoccuparti, il governo si prende cura di te e ti difende (soprattutto da mamma e papà)…
La mia opinione: non penso proprio.
La fissa è radicata innanzitutto nella psiche di noi genitori, non nascondiamocelo scaricando su terzi le responsabilità.
Certo poi che al burocrate non sembra vero e coglie la palla al balzo mettendosi all’ opera per soddisfare questa domanda preesistente di “sicurezza inutile”.
Sono gli attivisti, ovvero la società civile, e non i funzionari del ministero ad agire per primi. L’ ansia dei genitori va compresa ed esiste a prescindere dalla speculazione politica di cui è successivamente oggetto.
lenoreee
LS non si lamenta certo per le vaccinazioni contro la difterite e la polio, oppure per i seggiolini imposti sulle autovetture. E’ felice anche che oggi si parli apertamente degli abusi infantili e si crei un clima favorevole alla loro denuncia. Il suo libro è attento a ben altre questioni.
Alle leggi che vietano il sapone liquido negli asili, per esempio.
Alle condanne subite da genitori  con l’ ardire di ammollare alla baby sitter ben tre fratellini!
Alle vicissitudini giudiziarie della temeraria che ha consentito ai propri figli (8 e 6 anni) di raggiungere in perfetta solitudine il parco prospicente casa.
Al professore portato in giudizio per aver smontato un termometro in classe durante l’ ora di chimica affinché gli studenti dodicenni potessero prendere visione della  consistenza del mercurio.
E che dire di quei singolari cartelli che cominciano ad apparire in biblioteca?: “E’ proibito l’ accesso ai minori nei locali della biblioteca a  causa presenza di scaffali, sedie, tavoli e altra mobilia potenzialmente pericolosa”. Tavoli pericolosi? "(si potrebbe farne un film: “… il ritorno dei tavoli assassini…”). Facile in realtà prevedere cosa ci sia dietro queste presenze grottesche: un incidente, Mentana che sbraita in prima serata dando la notizia e un politico che deve mostrare a tutti i costi di “occuparsi della faccenda”.
Degne di nota anche le disposizioni che impediscono la presenza nei cortili di alberi con rami bassi e rocce seminterrate (ai miei tempi, lo ammetto, gli alberi con rami bassi erano molto ricercati).
Non dimentichiamoci delle grane che si è sobbarcata quella mamma spericolata che ha avuto l’ impudenza di chiedere ai figli (7 e 11 anni) di ritirare le pizze nella pizzeria dell’ isolato accanto casa.
E la mamma denunciata per aver vestito in modo troppo leggero il figlio appena accompagnato a scuola? Richiamata ha dovuto discutere di tog con i Carabinieri prima e con un PM dopo. Ne vogliamo parlare o no?
Se vi sfugge uno scapaccione, fate in modo che vi sfugga quando siete soli con vostro erede, in molti paesi sono pronti per voi le manette in caso di denuncia (inoltrata di solito da zelanti delatori civici - senza figli).
E’ capitato che un bimbo dimenticato in auto sia morto.  Ok. Capita però molto più spesso che un genitore lasci “un secondo”  il figlio in auto per comprare il giornale nell’ edicola al di là della strada e trovi al suo ritorno un poliziotto ad attenderlo, magari allertato dopo “un nano secondo” dal solito passante/cittadino/rompicoglioni esemplare. Siccome quel che segue tra l’ uomo in borghese e l’ uomo in divisa non è una semplice ramanzina, la cosa interessa e preoccupa molto LS.
Ormai si sarà capito che LS non è un’ accademica, è una giornalista. Il suo libro non costruisce teorie ma colleziona una sequela di esempi che illustrano in modo eloquente l’ ipotesi della “bolla di sicurezza” che è andata via via montando.
lenoreeee
Il principio di precauzione (worst-first-thinking), e la relativa paranoia per la sicurezza, generano aberranti illusioni ottiche: ogni bimbo solo in auto è in fase di disidratazione e ogni bimbo che si allontana venti metri dal focolare è destinato al rapimento.
… ma nel mondo reale il rapimento di bambini è talmente raro che se per caso voleste far rapire vostro figlio da uno sconosciuto, sapete quanto tempo dovreste farlo vagare in solitudine per le strade affinché si realizzi una probabilità credibile dell’ evento?… 750.000 anni!…
Poiché la sicurezza assoluta non esiste, le proibizioni potenziali sono infinite, un paradiso per burocrati col vizietto del paternalismo compulsivo.
Perché non vietare i lettini con spondina laterale reclinabile, per esempio?
Perché non farlo visto che nei nove anni precedenti sono morti ben 13 bimbi a causa di questo aggeggino malefico?
Pronti, il divieto è servito (negli USA Foppa Pedretti è fuori legge).
D’ altronde tredici vittime innocenti immolate sull’ altare della spondina reclinabile non sono fuffa!
Bè, chi ragiona così non conosce la regola aurea del giornalismo investigativo alla Gabanelli:
… Vuoi terrorizzare? Dài i numeri… Vuoi informare? Dài le percentuali…
Nel nostro caso le percentuali sono dello 0,000001… (e scusate se ho dimenticato qualche zero prima dell’ uno).
Insomma, le spondine della Foppa Pedretti sono molto più sicure delle sedie.
E oso arrischiare certi paralleli solo perché sento che non siamo ancora pronti per mettere al bando le sedie.  
lenooo
Ebbene, secondo LS, quando il rischio-zero diventa l’ unico standard accettabile, quando il pensiero razionale è criminalizzato, i genitori sono forzati a pensare irrazionalmente.
Secondo me, invece, non c’ è bisogno di nessun incoraggiamento per ottenere questo bel risultato.
***
Il paradosso da spiegare ce l’ abbiamo davanti tutti i santi giorni: oggi i nostri figli sono MOLTO più sicuri di ieri e, contemporaneamente, i genitori sono MOLTO più ansiosi.
Secondo la Sara non si tratta di un paradosso: i nostri figli sono MOLTO più sicuri perché i genitori sono MOLTO più ansiosi.
Ma le cose non mi sembra stiano in questi termini: con il proprio figlio al sicuro un genitore dovrebbe rilassarsi, invece soffre come una bestia e immagina di continuo il pargolo in situazioni raccapriccianti (tipo infilzato dalle spondine Foppa Pedretti).
Occorrono allora spiegazioni alternative.
lenorrrr
Se il demonio che inziga i genitori non veste i panni dei poveri burocrati ministeriali, chi dobbiamo accusare? Chi innesca la spirale dell’ ansia da sicurezza?
Un sospetto attendibile ricade sui mass media: sono soliti accendere i fari sulla tragedia piuttosto che sul business-as-usual, e tutto cio’ distorce facilmente la nostra percezione della realtà (available bias).
Un altro sospetto è la demografia: oggi si fanno meno figli e su ogni figlio c’ è un investimento emotivo maggiore che in passato. Un tempo ciascuno di noi conosceva almeno una persona che aveva perso un figlio. La cosa, per quanto dolorosa, non era certo anomala.
Eppure non mi va di liquidare la pratica con mass media e demografia. Sento che c’ è sotto qualcosa di più sostanziale, qualcosa che  sta dentro di noi genitori e spiega meglio tutta la faccenda.
lenorrr
Cerco allora di formulare una terza ipotesi avvalendomi di esempi tratti dalla mia vita quotidiana.
L’ altro giorno ero nella ressa del supermercato con la Marghe che faceva la “stupidina”, l’ ho richiamata all’ ordine. Senza molto successo, per altro.
Riflettendo a posteriori mi sono reso conto che quel richiamo era perfettamente inutile, e non ci voleva molto per capirlo se solo avessi tesaurizzato l’ esperienza passata: quando la piccola comincia a dar fuori è tempo perso riprenderla dicendo “allora marghe… adesso basta!” e cose del genere.
Tra tutte le soluzioni a disposizione, quella del richiamo stentoreo era la peggiore, eppure è quella che ho scelto.
Perché?
Perché non lo sapevo? No signori, in fondo lo sapevo e l’ ho sempre saputo. Al limite me lo sono nascosto.
Ma allora perchè?
Concedetemi una semplificazione, spero solo sia utile per far passare il concetto che mi preme; ammettiamo che in un’ occasione come quella del supermercato ci fossero solo tre modi per tranquillizzare la bimbetta. Li elenco in ordine di efficacia: 1) legarla con corde robuste al carrello della spesa e applicare un bavaglio brevettato, 2) trascurare per un attimo le sue esibizioni mostrando di essere interessati ad altro e 3) richiamarla ripetutamente in modo plateale fingendo di perdere la pazienza (o perdendola sul serio).
Va bene, la prima modalità la scartiamo per ovvi motivi, ma perché tra le due rimanenti ho scelto quella chiaramente meno efficace?
E il bello è che la risceglierei ancora se posto nella medesima contingenza; a questo punto la domanda puo’ essere riformulata in termini ancora più espliciti: perché ho scelto DI PROPOSITO la soluzione meno efficace?
Semplice, perché far cessare le pantomime della Marghe non era affatto il mio principale obiettivo in quel momento; mi premeva innanzitutto dimostrare agli sconosciuti intorno a me che ero padrone della situazione, che ero cosciente del problema e che tentavo in qualche modo di far qualcosa per arginarlo; davo a vedere di occuparmi della mia bimba e, come ci si aspetta da un bravo genitore, mi industriavo visibilmente per contenere i suoi atteggiamenti fuori luogo. Se avessi adottato la strategia migliore (silenzio e far finta di nulla) il mio segnale rassicurante non sarebbe passato e gli sconosciuti probabilmente avrebbero scosso la testa pensando: “ma guarda che roba… non c’ è più religione…  la bimba fa i numeri e il papà pensa ai fatti suoi…”. In altri termini, scegliendo la seconda opzione mi sarei “industriato” anche di più, ma non visibilmente.
I figli sono per noi qualcosa di prezioso ma sono anche lo strumento attraverso cui dimostrare agli altri quanto i figli siano preziosi per noi. Ci teniamo a far sapere che siamo dei genitori modello, e se essere genitori modello è troppo faticoso, ci teniamo comunque a non apparire trascurati.
Da genitore mi accorgo che gran parte delle interazioni avute con i bambini sono in realtà interazioni tra adulti.
E’ come se accudendo un bambino ci proponessimo due obiettivi concomitanti: custodire un valore e segnalare quanto per noi sia prezioso quel valore; questi due obbiettivi spesso richiedono strategie differenti e fanno sembrare irrazionali certi nostri comportamenti.
L’ ansia del giudizio altrui ci pervade e questo ci porta di continuo a scegliere soluzioni che sappiamo bene essere assurde per l’ accudimento in sè ma che risultano ottimali per strappare una buona impressione.
Una severa introspezione consente di vedere questo perverso meccanismo all’ opera ma quel che vediamo è solo la punta dell’ iceberg: il grosso delle pressioni che ci manipola è sommerso e si realizza eludendo la nostra coscienza, anche perché così si realizza molto meglio: lo spreco di energie convive male con una coscienza vigile.
Naturalmente quanto detto vale anche e soprattutto in tema di sicurezza. Fateci caso, se ci sentiamo in competizione con gli altri genitori, il fatto di assicurare i nostri figli molto più che in passato diventa del tutto irrilevante, visto che lo stesso fanno anche i nostri “rivali”.
Questa terza ipotesi spiega bene il paradosso dei bimbi iper-assicurati con genitori iper-ansiosi, il che segna un punto a suo favore.
Chiudo con qualcosa successo proprio ieri: dovevo spostare l’ auto di venti metri all’ interno del cortile e ho fatto sedere la Marghe sul sedile del passeggero (soluzione razionale) anziché imbragarla laboriosamente  nel suo seggiolino (soluzione assurda), proprio in quel mentre sopraggiunge mio cugino Angelo che ci sorprende in questa manovra e ci saluta con un sonoro “ciao Marghe!”. La Marghe, a cui non sembrava vero di stare dove stava (aveva già convulsamente premuto tutti i tasti abbassando finestrini, flettendo specchietti e azionando ventole fino a ieri a me ignote), comincia a urlare “Angelo, Angelo… guarda dove sono… guarda dove sono!”. L’ Angelo (padre modello) fa un sorrisetto, accenna ancora a un saluto e se ne va con l’ aria di dire “la prossima volta questa qui me la ritrovo al volante”.
Mi sono sentito una merda. Una merda razionale ma pur sempre una merda.
Ebbene, lo ammetto, in quel momento non mi consolava affatto sapere che la Marghe stesse vivendo un’ infanzia cento volte più sicura di quella vissuta da me!
Mi viene in mente un altro esempio. Capita ogni volta: la Sara mette la Vichi nel seggiolone affrancandola come si deve. Poi si siede a tavola. Dopo pochi secondi si alza e controlla che la Vichi sia ben affrancata. Io la rimprovero: “possibile che non sei sicura di aver fatto quel che hai appena fatto”. Risposta: “ma io sono sicura, solo che preferisco dare una ricontrollatina”.
Perché un comportamento tanto assurdo? Non lo so, quel che so è che esco di casa più tranquillo se affido i miei bimbi a una persona così “ridondante”.
Con le sue “assurdità” la Sara mi tranquillizza. Questa sua immagine mi seduce poiché preferisco la tranquillità all’ ansia.
Essenziale è che la Sara SIA così e non che FACCIA così (in mia presenza). Ma la Sara E’ così! Ne sono sicuro al 100% perché ho mille indizi per crederlo.
In ogni caso, una volta l’ ho spiata mentre era sola con la Vichi: appena seduta si è rialzata da tavola per dare la “ricontrollatina” di prammatica. Poteva essere altrimenti?
La Sara non cura la sua immagine per sedurmi, piuttosto genitori del genere sono un dono prezioso dell’ evoluzione, un dono fatto a padri razionali che una volta fuori  casa rendono molto di più se girano con un cuore tranquillo. 
lenoreeeeee
In questa sezione sosterrò che, data la premessa formulata più sopra, l’ adozione di molte Procedure di Sicurezza Inutili (PSI) a cui vengono sottoposti i bambini, diviene praticamente automatica anche presso soggetti ragionevoli e ben informati su quel che fanno.
Ma perché? Come puo’ essere tanto micidiale la trappola dell’ ipersicurezza? Perché non si limita a colpire i genitori sprovveduti?
In fondo, se sono ragionevole e so di essere di fronte a una PSI, rinuncio ad applicarla.
Il “ragionevole” rinuncia all’ inutile, è ovvio.
Sbagliato, e quel che ho detto nella sezione precedente spiega perché: poiché consciamente o inconsciamente tengo anche al giudizio degli altri, continuerò a richiamare la Marghe quando farà la stupidina al supermercato, ne va della mia immagine all’ interno della comunità adulta.
Ma le cose non finiscono qui.
Qualcuno infatti potrebbe dire: ok, ma se anche gli altri sanno che si tratta di una PSI, allora si puo’ rinunciare senza problemi all’ applicazione della procedura. Insomma, basta una conoscenza diffusa sulla reale natura della PSI e lo spreco si argina.
No!
No perché io “non so se voi sapete” e nel dubbio potrebbe convenirmi in ogni caso applicare la PSI.
E allora la condizione per non applicare la PSI diventa la seguente: “bisogna che sia io che voi sappiamo ma anche che io sappia che voi sappiate”. Un po’ complicato ma ci siamo arrivati.
Purtroppo non è così, sarebbe troppo bello: se so di essere chiamato ad applicare una PSI; se so inoltre che voi sapete che sono chiamato ad implementare una PSI, la cosa migliore da fare per me è ancora e comunque applicarla!
Perché?
Semplice, perché io non so se voi sapete che io so di essere di fronte a una PSI. Se voi pensate che io non conosca la realtà di come stanno le cose, pensereste male di me qualora rinunci a una PSI senza sapere che è tale. Potreste ragionare così: “lui forse crede di non essere di fronte a una PSI eppure non si dà da fare per applicarla… che padre degenere…”.
Da notare che anche se sapeste che io so di essere chiamato ad applicare una PSI, la scelta più ragionevole per me sarebbe ancora e comunque quella di applicare la PSI suddetta, sprecando così preziose risorse. E questo perché io non so se voi sapete che io so.
Non sapendo se sapete che io so di essere di fronte a una PSI, potrei pensare che vi aspettiate che io implementi la PSI giudicandomi male qualora non la implementassi. In altri termini, in mancanza di questa informazione sarebbe rischioso per me non applicare la PSI esponendomi così ad un giudizio negativo.
Come ormai è chiaro il gioco di specchi produce riflessi infiniti, cosicché la condizione sufficiente per non sprecare risorse e rinunciare alla PSI è molto particolare, i teorici la esprimono parlando di “conoscenza profonda”  circa la natura della PSI.
Ma la conoscenza profonda è una condizione difficile possa realizzarsi. Occorrerebbe una Voce Autorevole che gridi al megafono: “attenzione, attenzione, quella che avete davanti è una PSI ed è del tutto sciocco che vi diate da fare per applicarla!”. In questo modo verrei informato, ma soprattutto, anche nel caso sapessi già tutto, saprei che voi sapete. Non solo: saprei che voi sapete che io so, e così via all’ infinito: la Voce Autorevole forma nel gruppo una conoscenza profonda. Il bello è che anche se tutti noi sapessimo già in anticipo quel che dirà la Voce Autorevole, il fatto che sia Autorevole (con la A maiuscola) e che parli in un Megafono (con la M maiuscola) fa la differenza.
Tuttavia oggigiorno le Voci Autorevoli scarseggiano. Ci sarebbe Dio, ma a Dio quasi quasi non credono più neanche i credenti, e anche quelli sanno comunque di essere minoranza, il che rende Dio inadatto allo scopo. Ci sarebbe il Ministro-Burocrate, ma il Ministro-Burocrate, anche il più autorevole, non ha convenienza a pregiudicare cio’ che per lui e per la sua casta – lo abbiamo visto prima - è fonte di rendita.
***
Certo che basterebbe lasciarsi scivolare addosso il giudizio della gente e tutta questa congerie di problemi sarebbe superata. Ma l’ obbiettivo appare velleitario se è vero come è vero che l’ uomo è un’ “animale sociale”, ovvero che è cablato per fare l’ esatto opposto. Essere “animali sociali” consiste essenzialmente nel dare peso al giudizio altrui.
Cosa resta? Non lo so, forse un po’ d’ introspezione puo’ dare una mano. Parlo del vecchio esame di coscienza serale che il catechismo ci chiedeva di compiere inginocchiati davanti al letto. Io, nel mio piccolo, ho dato alla causa  scrivendo questo post.
***
Ma i genitori sono necessariamente persone ansiose dedite alle PSI o persone narcise dedite a curare la propria immagine in società? Che alternativa deprimente.
Forse possiamo mettere in campo un’ ipotesi meno disturbante.
Per formularla parto da lontano, parto niente meno che dall’ epidurale.
E’ una discussione avuta qualche tempo fa con il mio amico Alessio.
Noi cristiani siamo spesso accusati di esaltare la sofferenza per la sofferenza.
Dice l’ ateo Alessio: se all’ ospedale fatichi a procacciarti l’ epidurale la colpa è anche della “cultura cattolica” che pervade questo povero e arretrato paese, una cultura per cui “bisogna soffrire” per ottenere qualsiasi cosa.
Un tempo negavo alla radice l’ accusa, forse a causa di un riflesso condizionato difensivo. Ma oggi, devo ammettere, ne capisco meglio il senso e in parte mi vedo costretto a condividerlo.
Possibile però che gli insegnamenti di una cultura millenaria fossero così campati in aria? Possibile che non ci fosse niente da salvare?
A illuminarmi è stata la lettura di alcuni psicologi atei (Jonathan Haidt su tutti) che, studiando i segreti della felicità umana, invitavano a imitare la saggezza del passato, con una predilezione verso quella cristiana.
Il ragionamento sottostante era all’ incirca questo: certo, la sofferenza gratuita appare assurda, ma tutti noi abbiamo un ambito della vita in cui ci comportiamo in modo “assurdo”, un ambito in cui siamo dominati dalle passioni. E a chi manca un ambito del genere, lo cerca avidamente.
L’ ideologo che urla a squarciagola è tanto assurdo quanto il ricercatore che crede contro l’ evidenza più immediata nella sua teoria. Il giocatore che s’ innamora del suo cavallo delira quanto l’ imprenditore che s’ innamora del suo originale business.
E il tifoso? Anche scrivere un post tanto lungo senza essere pagati è abbastanza assurdo.
In questi eccessi a volte si annida la nostra rovina ma più spesso sta la radice del nostro benessere: la felicità richiede un impegno vitale.
Si tratta quindi di innamoramenti che ci portano a sovrainvestire nella “causa” sacrificandoci al di là di ogni calcolo razionale. Ma non si tratta di perversioni, bensì di atteggiamenti virtuosi e vantaggiosi.
Vantaggiosi per noi: la felicità dell’ individuo si realizza solo sentendosi coinvolti in una causa “alta” in cui esprimere la propria identità, e il coinvolgimento lo ottieni anche e soprattutto attraverso forme di sofferenza e trepidazione: senza un qualche sacrificio personale nulla ha sapore.
Vantaggiosi per la società: la presenza di avanguardie entusiaste disposte a sacrificarsi, apre poi la pista alla maggioranza ragionevole. Abbiamo tutti bisogno di gente che faccia il salto nel buio in nostra vece, la seguiremo illuminati dai bagliori dei loro schianti. Senza questi avanguardisti la società stagna.
E allora, mi chiedo, se proprio dobbiamo sceglierci una mania che ci realizzi, perché non sovrainvestire sui figli? Perché non dare tutto per loro (anche se basterebbe molto meno)? Perché, anziché limitarci a farne un valore da custodire razionalmente, non facciamo di loro la nostra vera passione?
Perché, in poche parole, non innamorarsi di loro? 








sabato 25 giugno 2011

Chiamatemi per i play off!

Se devo comprare un maglione, io vado al bar, la Sara in negozio: mi chiama al cellulare solo quando si disputano i play off! Ovvero, quando la scelta è ristretta a due/tre esemplari.

Quindi, capisco bene chi non vuole avere niente a che fare con le scelte. 

 

In passato (prima di conoscere la Sara) ero anche un fautore del matrimonio indiano quello in cui i genitori scelgono peri figli. Facevo anche delle reprimende ad alto volume rivolte a mia mamma (sbigottita, lei quando si sbigottisce ride) per la sua deprecabile passività!

Però distinguerei.

*** scelta come rischio

Tutti noi - chi più chi meno, le donne più degli uomini – siamo avversi al rischio, quindi soffriamo le scelte.

Se però mi guardo dentro, mi accorgo che in certi campi (quelli che più mi appassionano) la scelta è una ragione di vita: l’ attendo con trepidazione assaporandone ogni istante.

Falkenstein conferma: in borsa di solito ci si fa pagare per sopportare dei rischi, ma poi, non si sa come mai, pur di investire su certi titoli particolarmente rischiosi, si paga. La speranza trasforma l’ avversione al rischio in una propensione.

Anche gli psicologi concordano: dietro una felicità c’ è quasi sempre una libera scelta con la quale ci realizziamo.

Distinguerei quindi gli ambiti prediletti da quelli indifferenti. Sia l’ opzione gregge che quella dado sono a disposizione per neutralizzare lo stress da scelta nel secondo ambito.

*** scelta come discriminazione

Quando scegliamo ci differenziamo. Per l’ invidioso è un problema.

In più lo facciamo consapevolmente, quindi attiriamo il giudizio altrui, il che amplifica il fastidio dell’ invidioso.

Se la natura umana risiede nell’ invidia (il che non è da escludere), limitare la libera scelta puo’ essere produttivo.

E’ la conclusione del mio post: perché i nuovi profeti del comunismo non puntano di più sull’ invidia!

Invece, dopo aver posto le premesse, ci si perde in speculazioni sull’ alienazione, la falsa coscienza ed altri esoterismi assortiti.

lunedì 2 maggio 2011

la Ragione non è un Gendarme!

Puo’ esistere una truffa senza che esista una chiara volontà di truffare?
La mia ansia di “denuncia” puo’ finalmente liberarsi per il semplice fatto che rinvengo, per esempio, pubblicità dall’ apparenza inequivocabilmente truffaldina?
Per molti sì, a costoro basta il “dato oggettivo” per poter parlare di truffa e di truffatori.
In questi casi l’ esempio è sempre la via maestra per capirsi: chi vende a terzi i numeri del Lotto vantando un particolare intuito è un truffatore oggettivo per il semplice fatto, dicono i censori, che non esistono in natura doti del genere e chi le spaccia, quand’ anche in buona fede circa i suoi super-poteri, instaura un negozio truffaldino che andrebbe denunciato alla svelta o comunque impedito.
Insomma, quando la “ragione” (che a volte chiamiamo “scienza” ) ci dice che il contenuto di una certa promessa è “impossibile”, il promittente, al di là della sua predisposizione psicologica, è “censurabile”.
La rete è zeppa di segnalazioni preoccupate circa l’ infondatezza di alcune credenze messe in circolo dalla pubblicità, dalla moda o da qualche guru (qui, quo, qua…).
Non è mia intenzione prendere di mira un caso specifico, piuttosto un’ attitudine preoccupante che ci spinge ad agire da censori facendoci credere nello stesso tempo di essere alfieri di una malintesa modernità. Il “proibizionista” in questi casi vede se stesso come un condannato alla lucidità, lui non vorrebbe “censurare”, non è nelle sue corde, ma chi se non lui puo’ portare il fardello di chi è rimasto indietro? Peccato che il suddetto fardello spesso sia solo un peso immaginario sotto di cui è dolce farsi opprimere…
Aakash Nihalani INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEI COLORI
… il proibizionista è spesso un sottile “ragionatore”, a lui piace “ragionare” e “calcolare”, solo che vorrebbe usare la Ragione per “censurare” anziché per “conoscere”, come se le due attività fossero facilmente intercambiabili.
E invece nello “scambio” sorgono gravi problemi, perché la Ragione funziona benissimo quando viene impiegata come strumento conoscitivo, ma funziona assai meno bene quando viene piegata a strumento di censura.
I problemi nascono dal fatto - curioso e non sempre registrato - che una “regola razionale” che accresce il benessere di tutti, spesso implica proprio l’ adozione di “comportamenti irrazionali”. E’ la ragione stessa che ci chiede di non censurare comportamenti irrazionali.
Il Nobel Robert Aumann fu il primo a tracciare una distinzione tra “atti razionali” e “regole razionali”: un atto puo’ non rientrare nei primi ma essere compiuto nell’ ossequio delle seconde: un caso esemplare è rappresentato dall’ ultimatum game.
Esempi ancor più tersi vengono dal mondo della finanza scrupolosamente indagato da Eric Falkenstein; qui la gente, contrariamente alle assicurazioni e a quanto predetto dalle teorie ortodosse - si accolla taluni rischi senza pretendere “premi”. Anzi, talvolta paga del suo pur di poterlo fare: molti di noi sentono infatti l’ insopprimibile esigenza di rischiare laddove si sentono “vocati”:
“… come regola, avere un sogno, prendersi un rischio sulla base di una speranza, è un’ attitudine sana e diffusa un po’ ovunque, persino nel mondo della finanza… anche se cio’ implica il tenere comportamenti ritenuti irrazionali dalla maggioranza… questo virtuoso sconfinamento nell’ irrazionalità è una sonda utile per indagare meglio la propria vocazione, è utile per fare scoperte inaspettate, magari su aspetti non direttamente attinenti con quelli prevedibili in partenza… la regola di prendersi un rischio irragionevole quando si è ispirati è una buona regola… almeno dal punto di vista strategico…”
Eric Falkenstein – Finding Alpha -
Questo (sano) istinto spiega come mai i titoli di borsa più rischiosi abbiano un ritorno atteso più basso anziché più alto come sarebbe logico attendersi con operatori avversi al rischio. Si rischia sperando, non si rischia calcolando. Possiamo censurare un calcolo denunciandolo come scorretto ma non possiamo censurare una speranza.
Sul punto ci si limita a riecheggiare il buon Ray Bradbury:
“… ogni tanto ognuno di noi è chiamato a “saltare il burrone” costruendosi sul posto le ali necessarie, e per farlo bisogna rischiare sulla base delle speranze che ognuno di noi culla nel suo cuore…”
La “speranza”, questa sconosciuta che miete vittime e manda avanti il mondo.
Molti grandi “innovatori” a cui dobbiamo il nostro benessere – fortunantamente per noi - erano dotati di uno spiccato “coraggio intellettuale”, ovvero di quella particolare resistenza contro il disprezzo intellettuale proveniente dal Sapere Ufficiale che marchiava le loro idee come “irrazionali” se non ridicole. Questa accusa non scalfiva il loro ego e cio’ ha consentito di perseverare nell’ irrazionale  intrapresa in cui erano coinvolti. Ma i “ridicolizzatori” di ieri sono un ostacolo secondario rispetto ai “censori” di oggi.
Dal punto di vista evolutivo sembra vincente una società con parecchi membri che ragionano all’ incirca così: pretendere di indovinare i numeri del Lotto non è ragionevole, ma io sono “speciale” e posso farlo; pretendere di fondare una nuova religione è da matti, ma io posseggo il carisma necessario per riuscirci; pretendere di rivoluzionare le teorie della fisica è impresa folle, ma io sono Einstein e ci riuscirò! Tutti atteggiamenti irrazionali ma “sani”, atteggiamenti che moltiplicano le prove e gli errori consegnando ai posteri il saldo positivo.
Innovare, molto spesso, è come fare un salto nel buio, occorre una grande fiducia in se stessi e nelle proprie capacità. Anzi, diciamola tutta, occorre un’ irrazionale fiducia in se stessi! Forse per questo la natura equipaggia la nostra mente con un robusto “overconfidence bias” (in ogni settore delle attività umane la maggioranza degli operatori si crede più dotato della media).
Un mondo che si affida solo al freddo calcolo delle probabilità è un mondo statico che si consegna alla ruggine.
Non voglio con questo dire che sul campo non restino dei “cadaveri”, voglio solo dire che non ha molto senso dispiegare il preservativo universale tanto amato dai proibizionisti perchè “avere sogni”, “avere speranze”, “accollarsi il rischio della propria vocazione”, sono tutti atteggiamenti che, pur conducendo a comportamenti irrazionali che fanno parecchie vittime, seguono pur sempre una “regola socialmente ottima” che non andrebbe disincentivata.
Una buona società, quindi, non vessa i suoi componenti reprimendo e censurando taluni  atteggiamenti solo perché sono palesemente irrazionali, una buona società sa che dietro un atto razionale puo’ nascondersi una regola razionale, una buona società sa che la ragione è fatta per conoscere non per censurare, e si guarda bene dall’ assumerla come Gendarme al proprio servizio!
p.s. link

mercoledì 22 dicembre 2010

Via dalla Felicità

Il vecchio rimpiange i tempi andati, allora era più felice e non fatico a capirlo: era anche più giovane.

Ma anche il ragazzo immigrato rimpiange il suo paese, laggiù era più appagato: meno pressioni, meno fretta, tanti amici e una famiglia accogliente. Certo, meno risorse, ma anche più felicità, lo dice lui.

Io lo prendo sul serio questo ragazzo, credo davvero che fosse più felice e mi chiedo: "perchè non torni"?

La domanda è sensata, visto che le "risorse" sono funzionali alla "felicità".

Ma lui non sa rispondermi, sta di fatto che "tornare alla felicità" è fuori discussione.

Lui non mi risponde, mi risponde però la novella di Russ Roberts: "The Price of Everything", e lo fa in modo brillante, oserei dire commovente.

Noi siamo abituati a pensare che la "felicità" sia tutto. In questo senso è l' ideologia utilitarista che ci scorre nelle vene.

Quando critichiamo gli studi sulla felicità si finisce sempre per recriminare su quanto poco sia catturabile dai numeri questo sentimento. Ma c' è una critica ancora più puntuta: questo sentimento non esaurisce la realizzazione umana, c' è anche la Speranza.

Se chiedete ad una persona "speranzosa" quanto è felice, probabilmente nicchierà, come puo' esserlo finchè non raggiunge l' oggetto dei suoi desideri?

Eppure "lo speranzoso" non dismetterà il suo sogno per dirigersi laddove sa di trovar garanzie di felicità, ed è giusto che sia così. Dobbiamo concludere che la nostra anima si realizza nella "speranza" prima ancora che nell' immota "felicità".

Gli immigrati ci danno una grande lezione: scappano dalla Felicità per andare verso la Speranza.

Teniamone conto, specie quando prepariamo il mondo che accoglierà i nostri ragazzi. Tremebondi pensiamo di tutelarli garantendo loro un minimo di felicità, a costo di ridurre la società ad una palude. Ma forse non è di questo che hanno bisogno.