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venerdì 26 novembre 2010

Capire la mente cattolica III

Nel capitolo tre, ELV affronta il tema del primato della coscienza. Apprezzo il fatto che questo insegnamento venga riconosciuto come un "capolavoro di saggezza" uscito dalle officine ecclesiastiche. Mi associo volentieri ad un simile giudizio.

Ma veniamo alle note dolenti, ovvero alla parte critica che di seguito riassumo scomponendola in due parti:

1. La Chiesa afferma il "primato della coscienza", ma poi chiede obbedienza, le due cose sono incompatibili.

Perchè incompatibili?

Prima considerazione: si puo' obbedire senza un' adesione coscienziosa. E allora si è dannati.

Seconda considerazione: si puo' obbedire in coscienza. Allora si è salvi.

Terza considerazione: si puo' disobbedire consapevolmente. Allora si è dannati.

Quarta considerazione: si puo' disobbedire inconsapevolmente. Allora non si è dannati.

Se le quattro considerazioni sono vere, allora il primato della coscienza in realtà è compatibile con la richiesta di obbedienza. Che si obbedisca o meno la nostra sorte resta ancora nelle mani della nostra coscienza.

2. Ad ogni modo, quando la Chiesa si pronuncia, scende troppo nei particolari, cosicchè la coscienza del singolo resta stritolata.

Particolari? Qui bisogna specificare, e infatti ELV specifica. Rifaccio i suoi esempi.

"Dio è uno e trino".

Non mi sembra un "particolare", bensì un dogma fondamentale.

Nel linguaggio del mondo ci dice che Dio stabilisce un contatto con l' uomo ed entra in comunicazione empatica con lui mettendosi al suo livello. Un Cattolico deve crederlo, siamo nella sostanza del suo credo, non nei "particolari".

Per illustrare un "particolare superfluo, esempio peggiore non poteva essere portato. Ma proseguiamo.

"Dio è presente nella Comuinione del pane".

Stesso discorso di prima. Anche qui siamo nel vivo della fede. Credere nel dogma della presenza reale qui ed ora della sostanza di Cristo è importante, non è un particolare.

Poi ELV si sposta sulla morale, e qui le sue ragioni sembrano preoccupare molti credenti.

Però, essendomi occupato un pochino della dottrina sociale della Chiesa, devo ammettere di averla trovata molto "generica", tutt' altro che "paticolare". In teoria quella dottrina è compatibile sia con forme di libertarismo che con forme di socialismo spinto. Uno spettro ampissimo, dunque.

ELV, con i suoi esempi, privilegia le prescrizioni sessuali.

Molti condividono la sua sensibilità, non mi resta che far notare come a questo punto non si parli più di dogmi. Ci viene chiesto di uniformarci nell' obbedienza con i comportamenti, ma questo non ci impedisce di prendere parte in modo civile alla discussione interna alla Chiesa affinchè l' indirizzo evolva in un certo senso.

Io, favorevole al testamento biologico, ubbidisco senza per questo sentire in gabbia la mia coscienza dissenziente. Al limite sento in gabbia le mie azioni, cosa in questa sede irrilevante visto che ELV affronta il problema della coscienza.

Altri "particolari" che ad ELV non vanno giù sono in realtà formalismi cerimoniali che la Chiesa riceve dalla sua ricca Tradizione.

Dovrebbe forse snobbarli? Per giungere a questa conclusione bisognerebbe essere pronti a sostenere che per una Comunità la Tradizione non rappresenti un valore. Io sostengo esattamente l' opposto, e con il conforto ormai sia delle scienze umane che di quelle logiche.

martedì 23 novembre 2010

Capire la mente cattolica II

Con il capitolo II, ELV sembra buttarla in filosofia.

Ripropongo la sua accusa suddividendola in due parti:

1. Quando il cattolico dice "credo in Dio" non sa in realtà di cosa parla, questo per il fatto che la parola "Dio" non è intelleggibile, trattasi infatti di un concetto indefinibile; per esempio, cosa significa "eterno"? Boh. Così come ha ben poco senso la parola "credo" quando è usata come la usano i Cattolici, ovvero per significare una certezza.

In un certo senso è vero che per parlare di Dio dobbiamo ricorrere a metafore, ed è anche vero che Dio in gran parte è Mistero.

Detto questo, l' accusa si regge bene solo se si adotta una prospettiva "materialista".

Dicendo "Dio" ci manca un riferimento naturale che i sensi possano cogliere, Dio non è avvistabile da alcun telescopio e cio', agli occhi del materialista, lo rende un concetto insensato.

Ma noi, credenti o no, utilizziamo spesso concetti che non hanno riferimenti nel mondo naturale, penso ora a "mente", "coscienza", "responsabilità", "causa", "numero" e molti altri. Difficile dire che siano concetti senza senso o che siano in qualche modo riducibili naturalisticamente, anche se proprio in questo consiste la tortuosa fede dei materialisti.

Andiamo avanti, perchè mai Dio non sarebbe definibile? E le trenta pagine che Richard Swinburne dedica alla definizione del concetto di Dio nel suo ormai classico "The existence of God"? E la definizione formale di chi, da Anselmo a Godel, si è impegnato nella dimostrazione dell' esistenza divina?

Il fatto che un concetto non sia definibile in modo completo non significa che sia insensato. Tutti i giorni maneggiamo concetti del genere senza considerarli insensati.

Ancora un passo, perchè mai non potremmo cogliere il senso di una parola come "eterno"?

D' accordo, non possiamo sperimentare con i sensi l' "eternità", ma, a riprova di quanto dicevamo, un limite del genere puo' allarmare giusto un materialista!

Per tutti gli altri un concetto come "infinito" è da noi bene o male compreso, in caso contrario molta matematica farneticherebbe.

Con Swinburne direi di più, si tratta di un concetto talmente familiare per la mente umana che, semplificando le spiegazioni fondate sul concetto di "Dio", finisce per renderle razionalmente preferibili rispetto alle spiegazioni concorrenti.

Veniamo ora alla parola "credo".

Per respingere l'accusa basterebbe notare come anche il non credente in molti frangenti usi questa parola proprio per esprimere qualcosa di vicino alla certezza.

Pensiamo a questa domanda: "vivo in un Matrix o in una realtà?". Noi, credenti o meno, non ci poniamo nemmeno l' interrogativo, diamo per scontata la risposta. Eppure è una risposta fondata sulla "credenza".

Altra domanda che potrei pormi: "tu hai una mente come ce l' ho io?": altra risposta scontata, altra "credenza".

E adesso la seconda accusa.

2. Ammesso che l' espressione "credo in Dio" abbia senso, molti credenti non sanno quel che dicono quando la pronunciano.

Su questo posso concordare, il credente oggi non è abituato a riflettere sulle basi razionali della sua fede, ma devo aggiungere che i cattolici, proprio in virtù di cio' che la loro fede domanda, sono anche i più attrezzati per rimediare all' inconveniente.

... continua...

lunedì 14 dicembre 2009

L' intemperante Vallauri

La premessa di Vallauri

Esistono due Mondi: 1) mondo naturale (preesiste all' uomo) e 2) mondo artificiale (creato dall' uomo).

UNO è "continuo". Non contempla transizioni istantanee: se esco dal bosco non c' è un istante in cui passo dal "bosco" al "non-bosco". Trattasi di un mondo "intemperante".

DUE è "discreto". Prendi la città: o sei in via Mazzini o sei in via Cavour. O sei in una corsia o sei nell' altra. Sono strade "ben temperate".

La denuncia di Vallauri

Rischiamo di perdere il contatto con UNO per dedicarci unicamente a DUE. Il nostro cervello si abitua a pensare secondo i moduli di DUE e, alla lunga, le priorità di quel mondo fagocitano quelle del mondo naturale: per esempio produciamo ricchezza a scapito del pianeta.

Per capire bene questi concetti non c' è niente di meglio che ascoltare tutta la puntata. Oltre all' ambiente- in- pericolo, lo schema si applica bene a tacchi alti e tatuaggi. Come sempre interessante.

***

Posso dirlo? Per quanto senta interesse, o non capisco bene o non sono molto d' accordo. Cito tre motivazioni.

A. I nativi americani adoravano la Terra e viveno immersi in (1), eppure sovracacciagione e sovraraccolta erano la norma; le loro pratiche più comuni risultavano devastanti per l' ambinete e se non fosse stato per la loro pochezza tecnologica... (link - link...). Il discorso vale per quasi tutte le popolazioni primitive.

B. La curva di Kuznets parla chiaro: le società più avanzate hanno una maggiore sensibilità ambientale. E nelle società avanzate predomina "2".

C. Noi sappiamo perchè il pianeta è in pericolo, abbiamo una teoria solida a riguardo e ci riferiamo ad essa parlando di "tragedia dei beni comuni". Quando una risorsa non risulta privatizzata, non c' è nessun padrone che ne abbia cura. La soluzione: rintracciare espedienti per la privatizzazione. Ma in fondo "privatizzare" = "digitalizzare".

Ecco allora il paradosso: quanto più riusciremo a "digitalizzare", tanto più scongiureremo i rischi per il pianeta. In realtà tutto cio' è un paradosso per lo schema proposto da Vallauri. Per l' alternativa invece è una naturale conseguenza.

***

Vorrei offrire ora una mia considerazione conclusiva.

Vallauri parla di mondo "discreto" per riferirsi al mondo artificiale e di mondo "continuo" per riferirsi al mondo naturale. La mia sensazione è che il mondo "discreto" sia molto più semplicemente quella parte di mondo che conosciamo meglio, tanto che possiamo esprimerla parlandone con un linguaggio chiaro e intelleggibile. Non è infatti una condizione del linguaggio non ambiguo quello di essere "discreto"? Il mondo continuo è, molto più semplicemente, il mondo a noi sconosciuto.

La contemplazione della natura è per me la contemplazione del non-appropriato, del non-conosciuto. Il suo fascino si dispiega al meglio nell' animo proteso all' appropriazione e alla conoscenza.

***pspspspspspspspsps

In campo musicale riesco ad amare sia le musiche temperate...



... che quelle intemperanti



Con il giusto schema interpretativo entrambe hanno un loro fascino, in fondo la contemplazione dell' informe non necessità modalità mistiche...

lunedì 23 novembre 2009

Razionalità impensabili

Il problema sembra essere questo: perchè valutando un atteggiamento prudente siamo portati a giudicarlo come razionale mentre invece, quando prendiamo in considerazione gli slanci entusiastici di Tizio o di Caio, li bolliamo come irrazionali?

Effettivamente non c' è ragione che tenga: a priori un comportamento ad alto rischio è tanto razionale quanto un comportamento prudente.

Come giustificare allora la stranezza?

Risponde Vallauri: il Potere da sempre ci vuole timidi, timorosi, rispettosi. Non ci vuole certo scatenati e iperattivi. Per questo, da sempre, associa la razionalità - parola che gode di ottima stampa - alla prudenza guardinga.

Le cose quadrano ma, non so perchè, ancora non convincono.

Sarà che il potere più desideroso di controllo sociale subito da noi italiani nella storia recente, non si presentava certo con queste fattezze. Il fascismo esaltava l' intraprendenza, il rischio, la vitalità, l' ardimento. L' understatement era prerogativa dell' oppositore. Ad essere timido, impacciato e piuttosto pauroso era l' antifascista, con i suoi compassati occhialini...

D' accordo sulle premesse, propongo quindi una spiegazione alternativa: il prudente pensa, l' entusiasta no.

Eh sì, perchè l' errore che commettiamo non è tanto quello di giudicare razionale il prudente e irrazionale l' entusiasta, quanto quello di associare la razionalità al pensiero.

Come dirlo in due parole... dunque, potrei dire che mia mamma è costituzionalmente incapace di pensare o di inferire alcunchè, eppure, se la giudicassi dai suoi comportamenti, è l' essere più razionale al mondo tra quelli che conosco.

E' un illusione ottica ritenere che la razionalità per essere applicata debba essere pensata. La stessa illusione che ci inganna quando giudichiamo il "prudente" e l' "avventato".

lunedì 16 novembre 2009

La logica della Zucchina

Vallauri espone la logica della Zucchina, eccola:



Da ascoltare tutto.

Dunque vediamo se ho capito:

1) Giovanni coltiva le zucchine e le vende a Fabio;

2) Fabio le raccoglie dai produttori e le smercia al distributore Antonio;

3) Antonio le smista al ristorante di Giacomo;

4) Giacomo le utilizza per comporre un piatto particolare che serve poi nel suo ristorante di lusso, Franco se lo gusta pagandolo un capitale.

Domanda: perchè i soldi si concentrano su Giacomo e non, per esempio, su Antonio?

Eppure tutti i passaggi sono essenziali per giungere all' esito finale: il ruttino di Franco.

La "logica della zucchina" ha la risposta pronta: perchè Giacomo è il più vicino al pagatore finale mentre Antonio è il più lontano.

La risposta è "pronta", non c' è che dire, ma poco convinvente, direi. Perchè mai i soldi non dovrebbero fluire verso il più lontano? il Sultano del Brunei è lontanissimo dai pagatori ma non se la passa niente male. Invece il mio benzarolo fatica a pagare il mutuo.

Certo, cio' che fa Giovanni è essenziale affinchè Giacomo possa servire il suo piatto. Ma forse non è essenziale Giovanni!

Anche cio' che fa Giacomo è essenziale. Ma in questo caso è essenziale anche Giacomo con il suo locale. Per questo i soldi vanno verso di lui.

Penso che questa logica sia più convincente rispetto a quella delle zucchine.

Invalidando la logica della zucchina vengono invalidati anche i ragionamenti che seguono.

In particolare, Vallauri lamentava uno scarso finanziamento spontaneo alla ricerca di base. La lamentela è fondata, ma per tutt' altre ragioni rispetto a quelle esposte nella "logica della zucchina". In questo settore i benefici degli investimenti non sono, per ora, "appropriabili".

Mi viene un dubbio. Con la logica della zucchina Vallauri lamentava anche i bassi stipendi dei professori. Invalidata la logica della zucchina, tale lamentela risulterebbe infondata.

Come se non bastasse, in questo caso non puo' essere fatta valere nemmeno la logica della "non appropriabilità"!

Forse la "logica della zucchina" serviva per tenere insieme tutto. Mi viene un sospetto: non sarà che Vallauri è un professore?