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lunedì 8 luglio 2019

IL RISENTIMENTO DELL’ORFANO

IL RISENTIMENTO DELL’ORFANO

Penso alla solitudine del’anti-fascista senza fascismo, a quella del missionario senza povertà, allo struggimento dell’interista senza Juventus… Voi ridete ma è un dramma. Ti senti spaesato, goffo e stupido come quando al buio in fondo alla scala aspetti un ultimo gradino che non c’è. Vuoi compensare in qualche modo, incanalare subito altrove le tue energie positive in esubero. Non offri un bello spettacolo.

Quando ridicolizzo chi utilizza sette pattumiere per riciclare i rifiuti o mangia bio per combattere il riscaldamento globale, c’è sempre chi – sapendo che non sono un negazionista - avanza un’obiezione (solo apparentemente) sensata: “ma che male ti fa, anche lui nel suo piccolo dà un contributo alla soluzione del problema, lascialo in pace e lascialo vivere come crede”. No, le cose non stanno in questi termini. Un “gretino” impegnato in micro-condotte eco-friendly assomiglia molto di più all’adepto di una setta che a chi “dà il suo piccolo contributo”. In quanto tale, come tutti i temperamenti religiosi, nel momento in cui intravede che la sua divinità cessa di essere utile, potrebbe entrare in crisi esistenziale e diventare cattivo. Il nemico che viene a mancare lo rende nervoso.

Un dato che mi conferma nella mia ipotesi: chi è più impegnato ad orientare la sua esistenza contro l’effetto serra è anche il più ostile ad adottare misure serie (carbon tax, nucleare, geoengineering) per risolvere il problema ambientale.

E chi riferisce a chi vede nell'utopia verde l'ultima trincea contro mercato e diseguaglianze che la lotta per un ambiente più pulito richiede più mercato e più diseguaglianze?

https://www.nature.com/articles/s41558-019-0474-0?fbclid=IwAR3e80e_yA_9rPcN70SfhETeQvYqBqX_QHDYMQuy1hmrgTHA7JgwHwpKYUU

lunedì 21 gennaio 2019

LA QUESTIONE AMBIENTALE AFFRONTATA E RISOLTA


In fondo bastano tre misure:
1) Tassare i combustibili fossili (carbon tax; si puo’ iniziare con 40 euro la tonnellata).
2) Eliminare ogni regolamentazione ambientale e i relativi sussidi (solare, auto elettrica…).
3) Girare in automatico il gettito della carbon tax ai cittadini sotto forma di credito d’imposta (il governo non deve vedere un euro).
Vi piace?
I pregi: chi inquina paga, chi è inquinato è risarcito ma soprattutto la scelta ambientale è guidata dai prezzi anziché dai “profeti ambientalisti” che ci molestano H24 da giornali e TV.

https://feedly.com/i/entry/jLbdATYr0p7bf56jn6TjC6yaiQ0m1xY/1xu3vVx5GdY=_168699e7bb8:2228064:56b782f7

lunedì 26 novembre 2018

RELIGIONE AMBIENTALISTA.

RELIGIONE AMBIENTALISTA.

La religione ambientalista è pericolosa poiché prende a pretesto un problema reale cosicché i precetti della sua fede inquinano una discussione seria. Si pone allora il problema di come distinguere ed emarginare i “preti verdi”?
Di seguito offro un criterio. Comincio col dire che quando si parla di ambiente e riscaldamento globale le questioni sul tavolo sono almeno quattro:
SE la Terra si sta riscaldando.
SE l’attività umana contribuisca al riscaldamento.
QUANTO l’attività umana contribuisce al riscaldamento.
QUALI sono i benefici (e i costi) che derivano dal riscaldamento.
COME affrontare il problema.

Ebbene, il “prete verde” parla seriamente solo dei “SE”. Sul resto o è silente o impiega slogan e formule prefabbricate. 

sabato 20 ottobre 2018

Non avveleniamo il “pasto gratis”! SAGGIO


Non avveleniamo il “pasto gratis”!


Lettera aperta ad un amico ambientalista.
Carissimo, sul tema dell’ambiente abbiamo sempre litigato, tuttavia sappi che riconosco le tue buone intenzioni e so bene che sei mosso da una spinta morale genuina. Ma direi di più, da un vero e proprio desiderio di bellezza! Odi gli economisti che continuano a ripeterti in modo ottuso: “non esistono pasti gratis”. Tu sai invece benissimo che esistono eccome i “pasti gratis”: il nostro pianeta è per noi un dono gratuito, così come è uno spettacolo completamente gratuito quello che offre a tutti il sole mentre cala tra le brume generando mille riflessi che neanche il più geniale artista saprebbe immaginare. Quanto più questi doni vengono apprezzati, tanto più si vorrebbe preservarli, e tu sei tra queste anime sensibili. Ma poiché anch’io aspiro ad essere della compagnia diventa necessario un chiarimento nel merito.
L’OBIEZIONE
Conosco a memoria la tua fondamentale obiezione all’economia del nostro tempo, la riassumerei così, dimmi se sbaglio: la continua crescita della ricchezza richiede massicce emissione di biossido di carbonio, ma, come tutti sappiamo, l’atmosfera si sta riscaldando proprio a causa di questo pernicioso effetto collaterale. Incentivando una crescita continua del benessere materiale dei popoli  e spingendo al massimo i motori dell’economia di mercato globale  finiremo per sacrificare l’ambiente in cui tutti viviamo. Con una formula icastica proposta da quel Papa Francesco che tanto ti piace (tranne quando parla di Cristo) possiamo ben dire che la nostra è, a lungo termine, “un’economia che uccide“: uccide prima il pianeta e poi i suoi abitanti.
Insomma, tu ti rappresenti il rapporto tra ricchezza e qualità dell’ambiente come un compromesso: o uno o l’altro. Ma i miei dubbi che le cose stiano proprio come tu dici sono sempre stati forti, soprattutto quando osservo che la ricchezza: 1) ci difende meglio dai disastri ambientali, 2) agevola la scoperta di soluzioni ai guai ambientale e 3) sensibilizza alla causa verde.
Una disamina articolata del dilemma che prenda in considerazione tutti i feedback tra ambiente ed economia l’ho trovata nel saggio di Bas van der Vossen e Jason Brennan “L’obiezione del cambiamento climatico alla crescita economica”. Te ne raccomando la lettura. I due, sulla base di quanto appena detto, si chiedono se il pericolo ambientale consigli di rettificare o di rafforzare il percorso intrapreso dalla civiltà occidentale da almeno due secoli.
UTOPIA
Da tempo l’ ONU – che tu vedi come un baluardo della scienza-  si è posto su questi temi obbiettivi ambiziosi, come per esempio quello di “stabilizzre le concentrazioni di gas serra nell’atmosfera a un livello tale da prevenire pericolose interferenze antropogeniche con il sistema climatico”.
Peccato che le temperature continueranno a salire per almeno altri 50 anni qualunque cosa si faccia. In altri termini, i livelli di carbonio attualmente nell’atmosfera rendono già oggi tutto quel che si vorrebbe prevenire  inevitabile.
IL VERO DILEMMA
Una volta appurato che la stabilizzazione non basta, la reale domanda  da porsi riguarda il fatto se sia sensato agire con una radicalità sufficiente per abbattere le emissioni. La questione, insomma, è “ come” organizzare la vita su un pianeta più caldo e non “se” il nostro pianeta sarà tale.
Oggi la crescita delle emissioni è da imputare soprattutto ai paesi in via di sviluppo, per questo il dilemma povertà/ambiente è così pressante: cose come infrastrutture, assistenza sanitaria, istruzione, trasporti e tempo libero, così come la disponibilità di frigoriferi, lavatrici e aria condizionata, sono essenziali per risolvere i problemi della povertà nel mondo. Tuttavia, nello stesso tempo,  rischiano di pregiudicare il clima futuro.
LE PROPOSTE VERDI
Sul punto la tua posizione e quella dei tuoi amici, mi è sembrato di capire, non è univoca. Alcuni chiedono che la crescita economica dei paesi in via di sviluppo si fermi. Altri che continui ma sia controbilanciata da una decrescita della nostra. Altri ancora spingono per pesanti investimenti in produzione di energia pulita in modo da avere la botte piena e la moglie ubriaca: meno povertà senza danni per l’ambiente.
Chi paga, quindi? Nel primo e nel secondo caso si mira a imporre i costi a popolazioni diverse, mentre nel terzo caso si lascia aperta la questione.
Tra poco affronterò una per una le varie proposte, purché sia chiara la natura comparativa della scelta. Cioè, non possiamo sostenere una certa politica senza chiederci se i costi che impone (riscaldamento/mancata crescita) siano accettabili alla luce delle alternative disponibili.
L’EQUIVOCO DA DISSIPARE
Tutti, a parole, sembrano abbastanza d’accordo che i maggiori sacrifici non ricadano sui poveri della terra, tuttavia molti – e a volte mi sembra di poterti ricomprendere nel novero – partono da un assunto errato nei loro ragionamenti, non sembra cioè che abbiano molto chiara la relazione complessa tra ricchezza e ambiente. Per costoro la terra, se rispettata, fornisce condizioni climatiche ideali e un ambiente adatto all’uomo. Sotto inteso: è stata l’industrializzazione a rovinare questa armonia.
La realtà è piuttosto diversa: senza tecnologia (e quindi crescita economica) la maggior parte della Terra è un posto inospitale per noi. Senza tecnologia, molti posti risultano troppo freddi e molti altri troppo caldi. Ciò che nella gran parte dei casi rende la Terra vivibile è proprio la tecnologia. La nostra capacità di vivere bene in tutto il mondo deve quasi  tutto alla tecnologia e alla ricchezza che abbiamo saputo ottenere spremendo le risorse del pianeta.
Quando le persone sono povere, non solo hanno maggiori probabilità di soffrire di fame o le malattie, ma la loro capacità di far fronte alle intemperie e ai disastri meteorologici è anche molto indebolita, non è un caso se le morti legate alle condizioni meteorologiche siano diminuite drasticamente nel secolo scorso, e questo nonostante la popolazione sia cresciuta. Tali morti, infatti, sono circa un cinquantesimo rispetto a 80 anni fa. I costi dei disastri naturali sono  aumentati perché siamo più ricchi ma il pedaggio in termini di vite umane si è abbassato. La logica sottostante sembra chiara,  se i paesi sono ricchi, i costi economici dei disastri tendono a salire ma è molto meglio, ovviamente, essere ricchi e avere la villa danneggiata piuttosto che essere poveri e perdere tutto quello che hai, ovvero la tua baracca; questo anche se la baracca si presenta a livello statistico come una perdita economica minore.
Conclusione: la ricchezza ci consente di affrontare meglio tempeste e terremoti. Le persone ricche possono avere consumi strampalati che molti condannano come “mero spreco”, ma sono anche persone più “propense” a sopravvivere ai disastri. Sono meglio attrezzate per evitarli, vivono in case più robuste, hanno sistemi di allarme migliori e ricevono un aiuto migliore nel momento del bisogno, tanto è vero che il rischio di morte per fattori ambientali è molto più alto nei paesi poveri.
Altro vantaggio del mondo ricco: è un mondo in cui più menti possono applicarsi a problemi di alto livello (tipo il riscaldamento globale). Altrove, purtroppo, i bisogni di base assorbono l’intero potenziale cognitivo disponibile in loco.
QUANTUM
Certo, anche procedere sulla solita strada senza  badare all’ambiente produce inconvenienti, su questo hai ragione, nessuno lo nega. Ma come quantificarli? Sentiamo William Nordhaus: “per dare un’idea dei danni nel caso in cui si stia  fermi… fino al 2095 si stimano circa 12 trilioni di dollari, ovvero il  2,8% della produzione globale, per un aumento della temperatura globale di 3,4 ° C sopra i livelli del 1900”. Tradotto: un po’ come sospendere la produzione per sei mesi in un secolo (oggi la crescita media mondiale è oltre il 4% all’anno). In sé non è molto, è come arrivare alla meta secolare sei mesi dopo. Al contrario, fermare la crescita per salvare il clima condannerebbe miliardi di persone a “povertà e malattie per un futuro indefinito” (sempre parole del neo-Nobel).
Ricapitolando: il cambiamento climatico ci fa star peggio, la crescita economica ci fa star meglio. Ciò che dovremmo fare dipende dalla potenza relativa di queste due forze contrapposte, tenendo sempre a mente che se la crescita non viene intralciata dalle tue politiche predilette l’abitante  medio della Terra, entro il 2095, sarà tanto ricco quanto il tedesco medio o il canadese medio di oggi.
Chiuderei questa sezione con un’immagine eloquente: i Paesi Bassi e il Bangladesh sono entrambi in larga parte sotto il livello del mare ma nei Pesi Bassi nessuno teme un innalzamento del livello dei mari come invece accade in Bangladesh. Il medesimo fenomeno che passa inosservato nel primo paese sarebbe funesto  per il secondo. Perché? Perché gli olandesi possono proteggersi: sono ricchi! Ok?
DISTRIBUZIONE
Tuttavia, tu come molti ritieni che un’ulteriore crescita economica – con relativo inquinamento – non sia necessaria nei paesi poveri poiché quanto abbiamo già oggi in tasca, se opportunamente redistribuito, basterebbe a risolvere la piaga sella povertà mondiale. In altri termini, ci serve solo riallocare le risorse che già abbiamo.
Solo qualche osservazione in merito, primo: il congelamento della produzione mondiale ai livelli attuali non fermerà il riscaldamento globale (vedi sopra).
Secondo è alquanto discutibile se la produzione attuale sia sufficiente per porre fine alla povertà mondiale. Infatti, il prodotto pro capite mondiale nel 2015 è stato di circa 16.000 dollari, ovvero pari alla soglia di povertà in USA.
Ma poi c’è una questione pratica grande come una casa: non tutta la produzione economica si presenta in  forma idonea ad essere convertita in reddito da ridistribuire lontano da dove viene alla luce. La ridistribuzione burocratizzata tra nazioni ha precedenti disastrosi che hanno bruciato ricchezza anziché trasferirla. Agire in quei termini si prospetta come l’ennesimo spreco colossale. Anche perché il programma di povertà che veramente funziona, ovvero la libera migrazione dei popoli, sarebbe poi moralmente più problematico da giustificare in presenza di una grande macchina ridistributiva.
STOP AI RICCHI
Prendo ora in esame l’ ipotesi alternativa che avanzi quando cogli le difficoltà della prima, quella per cui non dovremmo stoppare la crescita economica nei paesi poveri quanto piuttosto  nei paesi ricchi. Si presenta subito un problema non da poco a cui abbiamo già accennato: la relazione perversa tra crescita, danni ambientali e capacità di fronteggiarli. E’ proprio grazie alla spinta innovativa dei paesi di frontiera, ovvero i più ricchi, che noi abbiamo più opportunità di scoprire una soluzione definitiva al riscaldamento globale: quanto più li freniamo, tanto più questo lieto fine si farà improbabile.
Ma c’è di più. Sembra infatti che nella sensibilità su questi temi ci sia un punto di svolta allorché il PIL pro-capite del paese esaminato supera la soglia dei 9.000 dollari, a questo punto, cioè, si comincia ad inquinare meno. Motivo? Un po’ la tecnologia pulita disponibile ma soprattutto la coscienza ambientale ormai pienamente formata. L’esempio USA parla chiaro: le emissioni di carbonio nel 1900 erano 1,8 tonnellate per 1.000 dollari di PIL (anno riferimento valuta 2005). Hanno poi raggiunto un picco negli anni ’30 oscillando intorno alle 2,8 tonnellate per 1.000 dollari di PIL. Da allora sono crollate costantemente, e oggi si aggirano sulle 0,4 tonnellate per 1.000 dollari di PIL.
Potremmo sintetizzare così il concetto di fondo: la cura dell’ambiente è un bene di lusso e come tutti i beni di questo tipo è più richiesto nelle società opulente.
Conclusione: se intervieni sulla crescita dei paesi ricchi: 1) sei poco efficiente poiché i paesi ricchi inquinano già molto poco, 2) impedisci alla coscienza ambientale di formarsi in modo pieno e 3) ridimensioni la probabilità di innovare nel settore delle energie pulite.
TASSARE I RICCHI
Consideriamo ora l’ultima soluzione proposta dal movimento ambientalista di cui fai parte: ridurre la crescita complessiva risarcendo della  perdita sopportata i paesi svantaggiati. Si tratterebbe ancora una volta di tassare i ricchi e trasferire ai poveri.
Questa proposta si scontra con un fenomeno spesso dimenticato ma ben noto agli economisti: i ricchi sono impossibili da tassare. Detto in altri termini, i paesi non sono economie autarchiche, cosicché ciò che accade in uno di loro si ripercuote necessariamente sugli altri. Se un paese ricco sopporta dei costi aggiuntivi non è detto che alla fine sia lui a farsi carico della sofferenza aggiuntiva. Tanto per capirsi, se tasso Paris Hilton lei pagherà l’onere aggiuntivo chiudendo uno dei suoi hotel in Nevada (che non sapeva e non saprà mai nemmeno di avere) e licenziando tutti, non certo rinunciando alla parure di brillanti che tanto agogna.

LE TRE SOLUZIONI DELL’ANTI-AMBIENTALISMO

Tenendo sempre presente il concetto fondamentale per cui ridurre le emissioni e ridurre la crescita sono cose differenti, vediamo ora tre possibili interventi coerenti con quanto detto. Te le sottopongo, fammi sapere cosa ne pensi. 
Primo. Ridurre i sussidi ai combustibili fossili. Sembrerebbe ovvio ma se ne parla poco. Le sovvenzioni per i combustibili fossili in tutto il mondo ammontano a circa 500 miliardi di dollari all’anno. La maggior parte di questi vengono elargiti in via di sviluppo, specialmente in quelli ricchi di petrolio come il Venezuela o l’Arabia Saudita.
Secondo. Carbon Tax a tutto campo. Incentiva l’utilizzo di tecnologie meno inquinanti senza distorcere i processi economici legati al mercato e allo sviluppo.
Terzo. Favorire l’immigrazione dai paesi in via di sviluppo. Oltre ad essere il programma anti-povertà che funziona meglio, consente agli ultimi di diventare produttivi utilizzando le tecnologie più avanzate e meno inquinanti.
L'immagine può contenere: spazio all'aperto
Félix Vallotton Soleil couchant dans la Brume 1911

lunedì 8 gennaio 2018

6. Polarizzazione nel dibattito sull'ambiente.

1990 Julian Simon vince la sua scommessa contro Paul Ehrlich. Riceve i 576000 dollari.

Ha vinto su tutti il fronte. La popolazione è aumentata. I prezzi dei minerali contenuti Sì sono tutti abbassati.

Il dibattito ambientalista non sarà più lo stesso. Nasce lo stereotipo dei falsi profeti. Thomas Malthus riceve una botta tremenda. E con lui William Stanley Jevons, Fairfield Osborn e William Vogt.

La reazione di pe. La scommessa non prova nulla. Unico errore ammesso il periodo considerato, 10 anni sono pochi. Simon e come chi si butta dal Empire State Building e dopo 10 piani dice tutto bene.

Simon bandiera dei conservatori. Ron Bailey in his 1993 book Eco-Scam: The False Prophets of Ecological Apocalypse. God Wants You to Be Rich, financial advice author Paul Zane Pilzer.

Nella storia hanno pesato i cicli macroeconomici più che la crescita della popolazione. La volatilità dei prezzi ha pesato.

Ma la scommessa diventa un simbolo e la divisione insanabile. Prima conservatori e progressisti non erano così divisi sull'ambiente.

Le controversie sull'ambiente diventano radicali. Spesso è il punto chiave dei programmi politici.

PE accusato di dare credibilità alle tesi immigrazionista.

Nordhaus su pe: salva il pianeta a spese dei suoi abitanti. La questione dei valori mescolata indebitamente a quella scientifica.

Una nuova proposta di scommessa formulata da Simon viene rifiutata PE.

Simon rifiuta la scommessa proposta da ehrlich e shnider. Indicatori di benessere insensati. La concentrazione dell'anidride carbonica nell'aria non dice nulla sul nostro benessere. Simon propone altri indicatori. Aspettativa di vita, tempo libero, potere di acquisto, prezzi.

La diatriba si inasprisce. Non si trova un terreno comune. Attacchi alla persona. Toni sempre più frustrati e amari.

Il prestigio degli sconfitti non viene scalfito. Simon e frustrato. L'essere vittima di continui attacchi dà uno stigma di purezza a PE. I nemici di Simon continuano a dominare la scena. Simon si ammala. Colpito da infarto.

Da morto diventa un simbolo contro il club di roma, Paul Ehlich, Lester Brown e al corpo

Parola d'ordine a destra. Simonizzare il riscaldamento globale.

Erede. Lomborg. Tutto sommato le cose sul nostro pianeta vanno meglio e migliorano sempre. Più tempo libero, più sicurezza e meno incidenti, più educazione e spaghi, più reddito, meno carestie, più cibo e più salute per tutti.
Meglio adattarsi ai cambiamenti climatici. Il soldi spesi per tagliare le emissioni avrebbero potuto dare acqua poeta a tutti i poveri del mondo. La posizione terzista né a destra né a sinistra di lomborg lo rende particolarmente insidioso.

La critica avvelenata a lomborg non sarebbe stata concepibile prima della scommessa.

Tra ambientalisti ed economisti la differenza sta sempre più nel sistema di valori. Antiumanesimo degli ambientalisti. Gli uomini non hanno il diritto di far scomparire le altre specie sul pianeta. Estetismo ambientalista.Oreskes lo ammetto candidamente.

venerdì 13 ottobre 2017

Perché non sono più ambientalista SAGGIO


Perché non sono più ambientalista


Non lo sono più perché è troppo difficile.
Fare l’ambientalista è tremendamente complicato, non ne azzecchi mai una. Se sei onesto hai continuamente la testa arrovellata da dubbi.
Come quando ho deciso di fare colazione a consumo-zero. Un bel bicchierone di latte freddo e via.
Poi uno pensa: ma per avere latte bisogna avere mucche, e le mucche, lo sappiamo, emettono parecchio metano (evito i dettagli). Il metano è un gas serra più potente dell’anidride carbonica. Per produrre 250 millilitri di latte bisogna tollerare l’espulsione di 7,5 litri di metano, che pesano circa 5 grammi ed equivalgono a 100 grammi di anidride carbonica. E questo senza contare tutto cio’ che occorre per fare il latte: foraggio per le mucche, trasporto, pastorizzazione… Era molto meglio puntare su una colazione diversa senza badare alla corrente elettrica. Si ma cosa? Il latte di soia? Il the? Io sono un ambientalista, mica un fachiro. E poi mi fa già male la testa.
Nemmeno il cheeseburger che mangiavo a pranzo si è rivelata una scelta felice. Così come la braciola di agnello a cena, perché anche gli ovini producono metano. Forse farei meglio a prendere del maiale oppure del pollo. O ancora meglio del pesce, specie quello che nuota vicino alla superficie: aringhe, sgombri o marlenghi. Ma dove li trovo i marlenghi? Certo, l’ottimo sarebbe la zuppa vegana, ma preferisco tagliarmi le vene.
Il chilometro zero è qualcosa su cui ho puntato a lungo, comprare prodotti locali riduce chilometri percorsi dal cibo per arrivare sui nostri piatti, ma spesso è una pratica controproducente. E’ sicuramente vero che trasportare cibo in giro per il mondo fa consumare energia, tuttavia l’impatto è inferiore a quanto si pensi, la maggior parte dei prodotti viene trasportata via nave (i consumi sono minimi), e quando viene caricata sugli aerei non sta su una bella poltrona con ampio spazio per le gambe e lo champagne gratis. Per esempio, la scelta di un nordico di consumare pomodori inglesi anziché spagnoli e di certo maldestra, l’anidride carbonica emessa dal viaggio del tir è completamente controbilanciata dal fatto che la Spagna e baciata dal sole mentre l’Inghilterra è baciata dalle serre..
Anche l’idea di evitare i sacchetti di plastica per la spesa mi sembra oggi un sacrificio decisamente dubbio. Il sacchetto è responsabile di solo un millesimo di emissioni di anidride carbonica rispetto al cibo che ci mettiamo dentro, forse valeva la pena di spendere altrove le proprie energie cognitive. Inoltre, questo risparmio non si avvicina neppure lontanamente a compensare la debolezza che mi concedo prendendo la macchina, nemmeno se avessi l’ibrido. D’altronde che faccio? Torno in bici carico di borse?
Non che muoversi in autobus migliori di molto la situazione. Nella mia città l’autobus trasporta in media 13 persone, le auto portano in media 1,6 persone e mettendo così meno anidride carbonica per km su passeggero. Certo, l’autobus viaggia lo stesso anche se non lo prendo ma allora non fatemi sentire in colpa se prendo l’aereo, tanto viaggerebbe lo stesso! In certi casi l’autobus può essere la scelta giusta, ciò non toglie che una settimana di autobus la compensi se non dimentichi di usare il coperchio bollendo le patate.
Ho lavato a mano i piatti per parecchio tempo prima di accorgermi che disprezzare la lavastoviglie è stato un gesto sciagurato, usando l’acqua calda ho inquinato molto di più. E d’altronde cosa vuoi? Che lavi con l’acqua gelata?
L’idea di installare un mulinello a vento sul tetto non è stata delle migliori, specie quando ho saputo che il risparmio energetico è compensato 5 volte evitando lo  stand by del computer.
Ho fatto solo qualche esempio dei mille che potrei fare. Insomma, è un gran casino.
Non potrebbe essere tutto più semplice?
No, a meno che uno dedichi la propria vita a studiare le emissioni.
Il bello è che ci sono persone che trascorrono le loro giornate in ufficio a fare questo genere di stime. Lo fanno per professione, lo fanno per una clientela che spazia dalle banche alla Pepsi Cola.
E in effetti ci vuole un professionista per comprendere l’impatto ambientale, per esempio, di un cappuccino. Per farlo occorre una macchina espresso, uno strumento decisamente sofisticato composto da migliaia di pezzi sulla produzione dei quali occorre concentrare l’attenzione, ma anche una mucca, dei chicchi di caffè, di una tazzina di ceramica… Quanto inquina ciascuno di questi oggetti? Occorre sapere come sono stati costruiti e cosa è servito per costruirli! Ci sono migliaia di aspetti di cui tenere conto. Il bar che vi serve il cappuccino ha i doppi vetri? Il barista che vi serve il cappuccino è un pendolare? Quanti km percorre ogni giorno per andare avanti e indietro? Che automezzo usa? E che dire dell’ avanti e indietro dai campi del coltivatore di caffè? Un caffè nero filtrato sarebbe meglio dell’orrore di un latte di soia?
Questi professionisti devono comprare e consultare libroni enormi obsoleti dopo pochi mesi (ci sono miliardi di prodotti in giro, un cappuccino ne tira in ballo più di 2000).
Anche un professionista farebbe comunque errori. La discordia alligna ovunque: per alcuni le banane sono un alimento a bassa emissione di anidride carbonica, altri fanno invece notare che le banane sono un prodotto con un impronta di carbonio importante. Ho letto studi che suggeriscono che la carne, se lavorata nel modo giusto, potrebbe aggravare molto meno sul cambiamento climatico di quanto non faccio adesso.
Per ogni gesto quotidiano c’è una pila di tesi di ricerca da scartabellare, ed è impossibile che si riesca ad arrivare ad una conclusione certa anche perché l’aggiornamento richiesto è continuo: quel che valeva ieri non vale oggi. Se questo è vero per gli esperti figuriamoci per persone qualsiasi. Figuriamoci poi quanto sarebbero disposti ad accollarsi questo onere persone con una coscienza ambientale appena al di sotto di quella dei fanatici.
Ma il punto decisivo è un altro, ovvero che esiste un metodo semplicissimo per risolvere d’emblée tutto il problema: lacarbon tax.
Si dovrebbe imporre una tassa per tonnellata di carboniocontenuta in ogni combustibile fossile estratto sul proprio territorio, in questo modo il potenziale inquinante di qualsiasi oggetto viene a riflettersi sul suo prezzo. Una tassa di €50 sul carbonio farebbe aumentare il prezzo della benzina di circa €0,03 al litro, creando così un incentivo modesto a guidare meno e in modo più efficiente e a comprare auto con tasso di consumo minore. Il prezzo medio dell’energia crescerebbe, i pomodori spagnoli aumenterebbero di prezzo a causa del dispendio energetico necessario per spedirli via mare dalla Spagna, ma  il prezzo dei pomodori nordici coltivati in serra aumenterebbe ancora di più! Tutto diverrebbe una mera conseguenza, un camionista che ignorasse il prezzo più alto del gasolio nel programmare le sue spese di spedizione finirebbe semplicemente fuori mercato.
Una volta al supermercato non dovrei più lanciarmi in calcoli arditi quanto complessi, mi basterebbe guardare al prezzo:quanto più dispendiosi saranno i pomodori in termini di emissione di anidride carbonica, tanto più il prezzo tenderà a salire. Non servirebbe più alcuna banca dati centrale, nessuna biblioteca con gli scaffali imbarcati da tomi assurdi. Guardo il prezzo e penso alla mia convenienza. Fine.
Ma i governi insistono sulle “regole” anziché sui prezzi, il frutto di questa scelta è molto spesso maldestro esattamente come il mio comportamento ai tempi in cui ero ambientalista e mi imponevo delle “regole”. Senonché, io imparo dai miei errori, mentre le normative di governo, per loro stessa natura, tendono a essere in qualche modo impermeabili alle opportunità di miglioramento. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi.
La soluzione del prezzo ha una natura evolutiva mentre la soluzione delle regole ha una natura progettuale. “L’evoluzione è più intelligente di noi”, diceva un tale, almeno quando i problemi da risolvere sono molto complessi, tipo quello ambientale. Quando un processo evolutivo viene lasciato libero di agire su un problema, spesso troverà soluzioni che nessun progettista in carne e ossa sarebbe in grado di immaginare. L’economia, ovvero il sistema dei prezzi, è per sua natura un ambiente evolutivo, gli imprenditori e gli ingegneri hanno una miriade di idee che aspettano solo il giusto scenario economico per essere applicate, i governi invece sanno molto poco di tutto questo.
Ma perché soluzioni tanto semplici non trovano accoglienza entusiasta da parte dell’ambientalista medio?
Mi sono fatto l’idea che gran parte del mondo ecologista sia disinteressato all’ambiente quanto piuttosto alla ricerca di una pseudoreligione anti-capitalista. E, in questo senso, l’origine ideologica di molti leader non fa che alimentare questo sospetto.
Se le cose stessero così i conti tornerebbero: il vero obiettivosarebbe quello convertirci a nuovi stili di vita, non di risolvere il problema del global warning. L’ecologismo diverrebbe solo uno strumento nelle mani di chi ha obbiettivi ideologici da perseguire.
Faccio l’esempio che da cattolico mi è più vicino, quello di Papa Francesco. Sua Santità nell’ultima enciclica ha invitato in modo accorato a prendersi cura del creato ma anche a diffidare di quelle “soluzioni che facciano leva sui prezzi”. Ma perché mai? Forse che dopo aver rinunciato  alla conversione cattolica (vedi condanna del proselitismo) si punta su conversioni socialmente più “desiderabili”?
Naturalmente, una soluzione che punti sui prezzi non cambierebbe in nulla il nostro “stile di vita”, continueremmo a scegliere sulla base della nostra “convenienza” anziché sulla base della nostra “coscienza ecologica”. Questo, mi rendo conto,  puo’ andar bene per chi ha come nemico il riscaldamento globale ma non per chi ha come nemico il capitalismo.
ambient

venerdì 12 maggio 2017

Deprogrammare i figli dall'ambientalismo scolastico

Steven Landsburg è un padre preoccupato.
Sua figlia frequenta le scuole elementari e l’indottrinamento ambientalista morde in modo inatteso quanto irrazionale.
Nel saggio WHY I AM NOT AN ENVIRONMENTALIST dà sfogo alla sua lamentela.
Quando la sua bambina torna a casa da scuola i genitori vengono catechizzati a dovere da chi ha appena subito lo stesso trattamento…
… I was lectured by four-and five-year-olds on the importance of safe energy sources, mass transportation, and recycling. The recurring mantra was “With privilege comes responsibility”…
Urge deprogrammazione della prole. Ma come fare?
L’ambientalismo ricorda qualcosa…
… much in common with the least reputable varieties of religious Fundamentalism…
L’antidoto al fanatismo è la scienza. L’antidoto all’ambientalismo è l’economia…
… Environmentalism goes beyond science when it elevates matters of preference to matters of morality…
Professarsi ambientalisti vuol dire avere una preferenza, a volte questo viene dimenticato…
… in the 25 years since the first Earth Day, a new and ugly element has emerged in the form of one side’s conviction that its preferences are Right and the other side’s are Wrong. The science of economics shuns such moral posturing; the religion of environmentalism embraces it…
E’ questa grave dimenticanza che ha trasformato l’ambientalismo in una religione.
La retorica delle “generazioni future” – una delle favorite dal verde - è bolsa. Non trovate arrogante chi ha la pretesa di parlare a loro nome? 
… future generations will prefer inheriting the wilderness to inheriting the profits from the parking lot?…
C’è chi obietta: l’ambientalista è animato da preferenze genuine, il cementificatore solo dal profitto. L’obiezione va respinta…
… Another variation is that the parking lot’s developer is motivated by profits, not preferences. To this there are two replies. First, the developer’s profits are generated by his customers’ preferences…
Forse che le preferenze legate al profitto sono di rango inferiore? E qui salta agli occhi l’approccio religioso dell’ambientalismo…
… In many cases, they begin with the postulate that they hold the moral high ground, and conclude that they are thereby licensed to disseminate intellectually dishonest propaganda…
Il riciclaggio è la materia che più appalesa l’assunto della superiorità morale
… Environmentalists can quote reams of statistics on the importance of trees and then jump to the conclusion that recycling paper is a good idea. But the opposite conclusion makes equal sense…
Infatti, riciclare spinge l’industria della carta a non realizzare più foreste. Vuoi più foreste? Usa più carta ma soprattutto evita di riciclarla. L’ambientalista, almeno quelli che ho incontrato, non sembrano molto interessati alle foreste (o alla logica).
Forse quel che conta è il rito
… I suspect that they don’t want to do that because their real concern is with the ritual of recycling itself, not with its consequences. The underlying need to sacrifice…
L’accanimento contro i pesticidi è un classico corto-circuito. Il cancro non si combatte combattendo i pesticidi!
… Environmentalists call on us to ban carcinogenic pesticides. They choose to overlook the consequence that when pesticides are banned, fruits and vegetables become more expensive… people eat fewer of them, and cancer rates consequently rise.* If they really wanted to reduce cancer rates, they would weigh this effect in the balance…
E che senso ha dire che l’estinzione di alcune specie animali potrebbe essere pericolosa?…
… Species extinctions, we are told, have consequences that are entirely unpredictable, making them too dangerous to risk. But unpredictability cuts both ways. One lesson of economics is that the less we know, the more useful it is to experiment. If we are completely ignorant about the effects of extinction, we can pick up a lot of valuable knowledge by wiping out a few species to see what happens…
Passiamo una vita senza nemmeno sapere cosa sia la foca monaca e poi ci sconvolgiamo quando ci viene detto che è in pericolo.
L’aria pulita è un lusso che i poveri evitano, cosicché è più che naturale spostare le attività inquinanti nel Terzo Mondo. Ma gli ambientalisti non ci stanno…
… To them, pollution is a form of sin. They seek not to improve our welfare, but to save our souls. There is a pattern here. Suggesting an actual solution to an environmental problem is a poor way to impress an environmentalist…
Lo spreco viene presentato come un peccato irredimibile. C’è da chiedersi perché?…
… It is true that your luxuriant shower hurts other buyers by driving up the price of water but equally true that your shower helps sellers by exactly the same amount that it hurts buyers…
Per l’ambientalista bisognerebbe conservare tutto perché tutto è “risorsa”. Tutto tranne il tempo
… environmentalism targets children specifically. After my daughter progressed from preschool to kindergarten, her teachers taught her to conserve resources by rinsing out her paper cup instead of discarding it. I explained to her that time is also a valuable resource…
L’indottrinamento ambientalista puo’ essere neutralizzato solo con l’indottrinamento economico: dal male esce il bene e dal bene esce il male. Che poi è il ben noto: “ti procurerai il cibo con il sudore della fronte”. La vita è fatta di compensazioni (trade off)…
… it might be worth sacrificing some wilderness in exchange for the luxury of not having to sort your trash…
L’ambientalista ama la gnosi, per lui c’è il male contro il bene: l’inquinatore è un cattivone per definizione.
La gnosi ambientalista fa male alla sanità mentale dei pargoletti, meglio la diversità dell’economia: non esistono due principi (male e bene) ma uno solo (un dio da cui discendono male e bene inestricabilmente intrecciati).
Molti si preoccupano dell’ora di religione o del crocifisso in classe ma ci sono ben altre superstizioni che lambiscono le tenere menti degli scolaretti…
… we face no current threat of having Christianity imposed on us by petty tyrants; the same can not be said of environmentalism. My county government never tried to send me a New Testament, but it did send me a recycling bin