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lunedì 18 dicembre 2017

Settimo passo: Dio ci parla (la Bibbia e la Chiesa).

Settimo passo: Dio ci parla (la Bibbia e la Chiesa).

Abbiamo visto che probabilmente esiste un Dio, che probabilmente coincide con il Dio cristiano e che è un Dio d’amore. Un Dio del genere probabilmente ci starà vicino facendosi uomoallevierà la nostra condizione e ci indicherà un modello di perfezione premiando i giusti e castigando (o non premiando) i cattiviMa dopo la morte di Gesù dove reperiremo le indicazioni del Dio vivente?
Risposta: nella sua Bibbia e nella sua Chiesa.
Cos’é la Chiesa? E come si legge la Bibbia?
La Chiesa di Cristo prolunga l’ autorità del Figlio incarnato in terra.
Ma come riconoscere di essere in presenza della Chiesa autentica, quella fondata da Gesù attraverso i suoi apostoli (Chiesa Apostolica)?
La Chiesa ha subito molte divisioni al suo interno, ma in molti casi questo non ha pregiudicato la possibilità di isolare  un cosiddetto “corpo ecclesiastico“.
Detto questo, non è auspicabile che tutto resti indistinto. Il criterio fondamentale per riconoscere la Chiesa di Gesù è la continuità con una tradizione che discende da un insegnamento originario mai tradito.
Cosa rende una certa associazione esistente qui ed ora la medesima associazione che esisteva tempo fa? In primo luogo, la continuità dell’oggetto sociale.
Facciamo un parallelo con una società di calcio.
Supponiamo che la società sia fondata nel 1850 e che cessi di praticare il gioco del calcio nel 1900, i suoi membri però continuano ad incontrarsi per dar vita ad un partito politico.
È chiaro che questa nuova associazione non è identificabile con quella preesistente poiché l’oggetto sociale è radicalmente mutato.
E se invece continua a praticare il gioco del calcio ma con regole differenti?
La continuità rilevante ai nostri fini si verifica facendo riferimento a due fattori: 1) oggetto sociale (dottrina) e 2) governance.
Anche nell’esempio estremo della società di calcio una certa continuità organizzativa potrebbe riscontrarsi. Nuovi membri potrebbero essere ammessi con le stesse procedure di prima e le decisioni potrebbero essere prese avvalendosi della stessa governance precedente.
Qualora il Papa dovesse ammettere la poligamia o introdurre forme di panteismo, la dottrina sarebbe in chiaro contrasto con la tradizione e l’insegnamento di Gesù così come è stato interpretato finora.
Ciò costituirebbe una chiara discontinuità. Il che, si badi, non è ancora sufficiente a stabilire un’eresia poiché un’alternativa più ortodossa è sempre necessaria.
In altre parole, l’eresia sarebbe conclamata solo se un ramo della Chiesa si distaccasse continuando a professare la dottrina tradizionale. E’ difficile si possa parlare di eresia se non esiste in concreto un’ortodossia.
Purtroppo,  i casi ambigui, specie in materia dottrinaria,  abbondano, per questo giova un criterio di riserva come quello legato alla continuità dell’organizzazione.
Se il Papa “eretico” di cui sopra riuscisse a conservare all’interno della Chiesa una continuità organizzativa, e in assenza di scismi significativi, possiamo considerare riassorbita la sua “eresia” grazie a questo criterio di riserva che lo pone comunque in continuità con il passato.
Riassumendo: dottrina e organizzazione sono i due criteri di base. Ma quale prevale quando collidono?
Facciamo il caso della società di calcio che seguendo una votazione in linea con le procedure fissate nell’atto costitutivo decida di dedicarsi da ora in poi al rugby. Stando così le cose, una minoranza e va per conto suo continuando a fare calcio.
La prima società presenta una maggiore continuità organizzativa mentre la seconda una maggiore continuità nell’oggetto sociale.
Che fare?
dubbi sono tanti, forse è meglio districare la matassa rivolgendo la propria attenzione a dei casi concreti.
Gli scismi storici possono essere classificati secondo i criteri accennati, alcuni hanno al centro questioni dottrinarie, altri questioni organizzative.
Lo scisma ariano è essenzialmente dottrinario. I cattolici ritenevano che il figlio fosse della stessa sostanza del padre mentre gli ariani che fosse solo di una sostanza solo “simile” al padre, e quindi non pienamente divino. Si trattava di una divisione eminentemente dottrinaria.
Lo scisma ortodosso fu invece essenzialmente organizzativo. Sia gli ortodossi che i cattolici romani riconoscevano un ruolo di leadership ai vescovi, senonché i secondi concedevano al Vescovo di Roma un’autorità straordinaria che i primi gli negavano. A questo problema Si aggiunse poi quello relativo alla dottrina dell’infallibilità papale.
C’è poi lo scisma protestante da intendersi su due fronti: sia dottrinario che organizzativo.
La posizione protestante su peccato originale e natura umana si distaccò da quello cattolico.
I protestanti enfatizzavano la radicalità del Peccato Originale e l’incapacità dell’uomo di riformare se stesso, giungendo alla conclusione che solo la Grazia accompagnata dalla fede salva (sola fide).
I cattolici insistevano invece sul fatto che la libertà umanaavesse un peso e non fosse annichilita dal peccato originale. La salvezza dell’uomo, inoltre, richiedeva qualcosa di più oltre alla pura fede, ovvero uno sforzo personale teso alla realizzazione delle opere buone.
Sul versante della governance, per i protestanti non è necessario che i leader della chiesa fossero Vescovi nominati da altri Vescovi, potevano essere scelti direttamente dai Pastori se non dal popolo. Inoltre, le diatribe dottrinali dovevano essere risolte consultando direttamente la Bibbia.
Descritti gli scismi, si presentano a noi due soluzioni alternativi: o la Chiesa di Cristo presenta, nonostante tutto, una sua continuità complessiva di fondo, oppure le distinzioni sono sostanziali  ed occorre approfondire l’analisi per stabilire dove risiede la continuità.
Nel corso dei millenni la Chiesa ha messo a punto delle pratiche per derivare e aggiornare la giusta dottrina.
Un concetto  centrale è quello di Deposito della Fede: Bibbia (vecchio e nuovo testamento), più insegnamenti orali della Tradizione. Il Concilio di Nicea ha posto questi ultimi sullo stesso piano delle Scritture.
La Bibbia (vecchio e nuovo testamento) resta il centro della testimonianza scritta. Il primo Canone biblico risale al 367 dopo Cristo.
criteri seguiti per la formazione del canone sono essenzialmente tre: 1) la sua conformità alla Tradizione, 2) la sua “apostolicità”, ovvero il fatto che lo scritto derivi in modo diretto dalla figura di qualche apostolo o di persone connesse agli apostoli, e 3) la sua accettazione dalla Chiesa in generale.
I primi due criteri sono chiaramente criteri di continuità.
In caso di controversie il ricorso alla testimonianza dei Padriè sempre stata abitudine dirimente.
Il Papa e il Concilio dei Vescovi restano comunque le istituzioni più autorevoli all’interno della Chiesa. I pronunciamenti del Concilio richiedono di solito un’approvazione papale mentre il Papa puo’ pronunciarsi con maggiore autonomia.
Talune tradizioni sono talmente consolidate da non richiedere per la loro validità alcuna forma di approvazione.
Il libro fondamentale dei cristiani è la Bibbia, ma la Bibbia è un libro difficile da leggere.
Tutto nella Bibbia è “vero”, per questo lo si considera un libro ispirato da Dio.
Il fatto che sia vero non significa che sia vera ogni sua frase, tanto è vero che troviamo molte contraddizioni, oltre che molte assurdità. Esistono quindi regole particolari per interpretare questo testo così ingannevole.
Il primo problema della Bibbia è che su molti punti dice il falso. L’universo, per esempio, non è stato creato 4000 anni prima di Cristo. Nessun oceano ricopriva l’orbe terracqueo 3000 anni fa.
Sarebbe meglio vedere la Bibbia come una biblioteca contenete libri di diverso genere letterario, che richiedono interpretazioni differenti. Ci sono libri storici, fiabe morali, fiabe metafisiche, libri filosofici, libri romanzeschi… e libri che sono un misto dei precedenti.
La lettura puo’ essere letterale, allegorica o metaforica a seconda del genere.
La prima, per esempio,  è adeguata ai libri storici e cronachistici. In questo caso ogni versetto è vero. E’ il criterio che adottiamo per i giornali.
Un altro fattore di cui tenere conto è la traslazione temporale della narrazione: il contesto culturale conta e va soppesato dal lettore moderno.
Esempi di libri storici: il libro dei Re, il Vangelo di Marco e gli Atti degli Apostoli.
Un altro genere letterario molto utilizzato nella Bibbia è quello della “storia romanzata”, chi ha in mente i “docudrama” della TV sa di cosa parlo.
In questi casi se il libro dica il vero lo si giudica dalla verità del messaggio centrale, più che dalla verità di ogni singolo passaggio.
Esempi di docudrama: il libro dei Giudici, il secondo libro di Samuele e in molti punto il Vangelo di Giovanni.
C’è poi il genere della fiaba morale, ovvero delle fiction con un messaggio morale. Per esempio il libro di Daniele o il racconto di Giona. Questi libri sono veri nella misura in cui il loro messaggio morale è vero. Il libro di Daniele è vero se è vero che professare la fede nonostante la persecuzione puo’ essere considerato un atto eroico.   Qui conta la verità del precetto morale veicolato.
Poi ci sono le fiabe metafisiche. Si tratta di fiction che narrano la condizione umana.
Esempio: la Genesi, un ispirato appello in cui si esprime la dipendenza di ogni cosa da Dio.
Ci sono infine generi residuali e di contorno: inni di lode (Salmi), epistolari intimi (alcune lettere di Paolo), istruzioni morali (Proverbi), dialoghi teologici…
Detto questo, come possiamo allora giudicare la verità della Bibbia? Perché diciamo che è un libro vero?
Primo criterio ipotizzabile: la Bibbia è vera se ciascun libro che la compone, giudicato a seconda del suo genere, è vero.
Problema insormontabile: non conosciamo con certezza il genere di ciascun libro, inoltre alcuni generi ci sono talmente estranei che un’analisi diventa quantomeno azzardata.
Per isolare i generi si potrebbe ricorrere alle intenzioni dell’autore, ma troppo spesso ci sono sconosciute.
Ricordiamo le due difficoltà da cui siamo partiti: 1) incongruenza interna e 2) assurdità rispetto ad altri saperi noti.
Si tratta di un problema che già i Padri dovettero affrontare: esempio, come doveva essere visto quel Dio vendicativo che sfracellava il cranio dei bimbi babilonesi sulla roccia?
Origene considerava “da stupidi” prendere alla lettera il mito dell’Eden, per esempio.
Presto la Chiesa si rese conto che Dottrina e Tradizione dovevano prevalere sull’apparente guazzabuglio della Bibbia, anche se Dottrina e Tradizione originavano proprio da quei libri.
La Chiesa deve quindi assumere un ruolo ordinatore.
E’ vano quindi l’appello continuo alla Scrittura, prevale sempre la Chiesa.
Il cristianesimo non è religione del libro ma religione viva, ovvero una religione ecclesiale.
Il metodo di Origene, ovvero il metodo delle metafore, è quello più usato per armonizzare l’insegnamento di Dio.
Ma come veniva giustificato questo metodo? Per i Padri la Bibbia era un libro ispirato da Dio a persone che lo trascrivevano con tutti i loro limiti di comprensione del mondo.
La lettura metaforica è molto flessibile e consegna i significati alla Chiesa e alla Tradizione. Se dico che una persona ha uncervello acuto, sto dicendo qualcosa di assurdo poiché nessun uomo possiede un cervello dai profili taglienti, è chiaro che al termine “acuto” puo’ e deve essere attribuito un significato differente. Se dico che “Giovanni era un dinosauro“, vale lo stesso discorso. Come si vede l’interprete ha un ruolo predominante allorché la metafora è la regola.
L’armonizzazione dei passaggi problematici è talmente complessa che tutti i saperi e le culture richieste per compierla al meglio non possono stare in una testa: la lettura della Bibbia non puo’ che essere comunitaria e questa comunità si chiama Chiesa di Dio. Il significato “emerge” in una dialettica, non viene registrato in base a codici prefissati. La dialettica stessa è stata innescata dal Libro. Il Libro è sia l’origine che la conclusione dell’opera.
La Sacra Scrittura è l’innesco di un percorso storico nella verità, non una foto realistica.
In questo senso nemmeno l’autore materiale della Bibbia  – il cosiddetto profeta – sa cio’ che scrive, inutile interpellarlo.
E’ questo un concetto simile a quello della fallacia intenzionale in campo artistico: nemmeno l’artista conosce il segreto della sua arte, inutile chiedere a lui.
Gesù non ha scritto un libro ma fondato una Chiesa, con lo scopo di interpretare il libro.
Nel Credo cristiano si dice che Dio parlò ai profeti, a segnalare l’ispirazione divina di un messaggio che richiede comunque una comprensione evolutiva.
Così come il mutamento dei corpi vede all’origine una spinta divina che innesca un processo, lo stesso si puo’ dire per la parola.
L‘evoluzionismo è stato visto come il “linguaggio” di Dio nella materia, allo stesso modo l’interpretazione della Scrittura lo è nella parola.
L’elemento vivo prevale su quello libresco, è anche il motivo per cui il sapere scientifico deve prevalere e informare la lettura dei testi. La presenza di contraddizioni e assurdità significa lavoro per una comunità, così come la presenza di corpi inadeguati significa lavoro per il processo di selezione naturale.
In questo senso la visione dei protestanti si oppone a questa tradizione: per loro la Bibbia dirime le questioni, è tribunale di ultima istanza e la lettura solitaria viene praticata e consigliata.
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lunedì 19 ottobre 2009

Cacciari sul "Date a Cesare..."

Come sempre il Cacciari imbeccato dalla Caramore è molto stimolante.

Ma non concordo.

Se simili posizioni (dialettiche) fossero prevalse, probabilmente la Chiesa sarebbe soccombuta nel giro di qualche decennio.

Viene il dubbio che l' esito non sia sgradito a chi propone certe esegesi.

Che malizia, la cosa non vale certo per il sindaco/filosofo...

Da ascoltare comunque.

sabato 22 agosto 2009

Per una teologia "benestante"

Da non molto il magistero pontificio ha smesso di esigere la sottomissione della moglie al marito (imperativo esposto a chiare lettere nella Scittura e poi ininterrottamente sostenuto nell' insegnamento).

Bene, dei capovolgimenti interpretativi sono dunque possibili. Cio' significa anche che una Verità assoluta puo' essere comunicata con messaggi che variano nel tempo.

***

"... la dottrina sociale della chiesa assume un atteggiasmento critico nei confronti sia del capitalismo liberista che del collettivismo marxista..." (Sollecitudo Rei Socialis)

Spero che presto anche insegnamenti come quello qui sopra possano essere rivisti. La cosa non è facile poichè sembrano uno sbocco naturale a chi legge i Vangeli.

Attenendosi ai testi sembra infatti che essi impongano in forma pregiudiziale di rinunciare alla ricchezza e al mondo terreno. Sembra che i Vangeli esigano di cercare la mortificazione (prendere la croce), di rinunciare ai diritti (porgere l' altra guancia), di fuggire la ricchezza (guai ai ricchi), non la povertà (beati i poveri). Molti cristiani amano quaesta visione con parecchi aut aut.

La ricchezza è dunque malvista, e non mi riferisco solo alla provenienza o all' utilizzo. A quando una svolta?

Un' alternativa è infatti possibile. Gli espropri subiti durante il Risorgimento hanno sensibilizzato la Chiesa nei confronti del diritto di proprietà; GPII, nella centesimus annus, ha tessuto un inatteso elogio dell' imprenditore; ma si puo' procedere oltre su questa strada?

Di seguito imposto la rotta per circumnavigare i 4 principali scogli che s' incontrano leggendo le Scritture.

1. "Beati i poveri", "Guai ai ricchi" - (Lc 6,20; Lc 6,24 - Mt 5,4-12)

Luca sembra categorico. Ma ricordiamoci che nella Bibbia si parla di "poveri" e "indigenti" per indicare coloro (Israele) che subiscono la dura oppressione dallo straniero. Si indica quindi il popolo di Dio in ambasce, non una categoria sociologica. Per Matteo poi, è ancora più facile: ci si riferisce ai "poveri in spirito", ovvero agli umili.

2. "Non accumulate tesori sulla terra...", "vendete e date in elemosina...", "E' più facile per un cammello..."; "Non potete seguire Dio e mammona..." (Mt 6,19; Lc 12,13-21; Lc 18,25)

Non si tratta di insegnamenti sapienziali, bensì profetici: la fine è prossima, investite oculatamente. seguire Gesù comporta rischi di persecuzione materiale: sistemate i vostri averi nel migliore dei modi.

3. "Va', vendi cio' che possiedi e dallo ai poveri...". (Mt 19,21; Mt )

Gesù usa un' iperbole. Tipo: se la tua mano ti dà scandalo, tagliala.

4. La messa in comune dei beni nelle prime comunità cristiane (Atti 2,42-47; 4,32-35; 5,12-16).

Innanzitutto, mettere in comune le proprie ricchezze non significa farsi poveri. Poi, la realtà descritta in Atti non è la realtà storica. In terzo luogo trattasi di insegnamento profetico e non sapienziale: bisognava convogliare l' attenzione sull' eschaton e sui compiti terreni relativi a questa imminenza. Anche guadagnare l' ammirazione degli ellenisti contava.