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martedì 25 febbraio 2020

CARNE

PIANI E SCALE
Ecco un colloquio tra l'animalista Vegan e il carnivoro Tiger.
Vegan: gli animali provano dolore? Io penso di sì, e penso anche che non abbiamo il diritto di infliggere loro delle sofferenze.
Tiger: sono d'accordo, e infatti condanno il dolore gratuito inflitto agli animali.
V: eppure secondo me la distinzione che fai tra uomo e animale è troppo estrema. Come la giustifichi?
T: l'uomo è più intelligente dell'animale, è in grado di comprendere appieno la realtà del dolore.
V: eppure i bambini non mi sembrano molto più intelligenti degli animali.
T: hai ragione; mi correggo, la caratteristica rilevante non è la propria intelligenza, ma l'intelligenza della propria specie.
V: così eviti il paradosso del bambino ma ti cacci in guai ancora peggiori: noi abbiamo imparato a non giudicare i gruppi ma i singoli, e tu, dando rilevanza all' "intelligenza della specie", torni pericolosamente indietro. Oltretutto non si capisce bene perché l'intelligenza di un gruppo debba essere rilevante quando giudichiamo un singolo.
T: forse perché solo l'uomo possiede la facoltà della ragione, di comprendere le realtà astratte, di pensare ad un Dio.
V: Mi stai dicendo che è possibile torturare un ateo?
T: hai ragione, mi hai risvegliato dal mio dogmatismo, devo pensare meglio questo problema.
V: bene, intanto ti propongo di unirti alla schiera vegana.
T: fammi provare ancora. Forse l'intelligenza non è la soluzione e la mia confusione derivava dal fatto che resta comunque un indizio di coscienza.
V: intelligenza o coscienza non vedo cosa cambi. Almeno l'intelligenze si puo' misurare, la coscienza è un concetto più evanescente, lo lascerei fuori.
T: la coscenza introduce dei danni che vanno oltre il dolore. Prendi il caso della donna drogata e poi stuprata. Questa donna non ha provato dolore fisico, non ha danni fisici, eppure l'atto che ha subito è condannabile. Perché? Penso che la cosa sia legata ad una caratteristica della coscienza.
V: potrei anche seguirti ma non vedo la relazione con il caso degli animali.
T: ti faccio allora un caso differente: prendi un pc intelligente, noi lo possiamo spegnere.
V: e con questo?
T: ho detto "spegnere" ma avrei potuto dire "uccidere".
V: uccidere un PC? Assurdo.
T: infatti, un pc, per quanto intelligente, non ha coscienza, quindi la sua morte non ha rilevanza morale. Questo ci fa riflettere sulla relazione tra intelligenza e coscienza. E' importante visto che ora nella nostra discussione diamo rilevanza solo alla seconda.
V: e che differenze vedi?
T: l'intelligenza si puo' misurare su una scala continua mentre la coscienza o c'è o non c'è. Nel caso del pc non c'è, nel caso dell'uomo sì.
V: e nel caso dell'animale?
T: non voglio negarla ma si tratta di una coscienza inferiore. Insomma, la variabile coscienza è discreta (superiore/inferiore) mentre l'intelligenza è continua (QI). La discrezionalità della coscienza ci suggerisce di discutere in base a "piani", non in base a "scale".
V: ma in questo modo ricadi di nuovo nello specismo, e devo ripeterti le obiezioni precedenti.
T: ma ora considero il gruppo solo per dire che tutti i suoi componenti hanno pari diritti. Sei sicuro che le tue critiche precedenti reggano ancora? Tutti stanno sullo stesso piano anche se su gradini differenti.
V: ma sei davvero sicuro che il bambino sia dotato di una coscienza "superiore"?
T: qui hai ragione, mi sembra evidente però che la sua potenzialità di uomo sia rilevante. 
V: "potenzialità"? Vedo che recuperiamo la metafisica di Aristotele.
T: Ma si tratta di un concetto che usiamo tutti i giorni. Perché è illecito torturare una persona anestetizzata? Perché quella persona tornerà ad essere cosciente. Lo stato di coscienza è una sua potenzialità.
V: mi puzza.
T: ad ogni modo non è necessario introdurre concetti metafisici, basterebbero quelli utilitaristici: fare del male a un bambino puo' minare una quantità notevole di felicità futura. E' chiaro che per un animale non si puo' dire altrettanto poiché non avrà mai accesso a una coscienza superiore. Considera che già oggi noi infliggiamo una gran quantità di dolore ai bambini per il loro bene futuro. La pluriennale schiavitù della scuola è giustificata proprio in questo modo.
V: e il caso del disabile mentale?
T: lui non ha nemmeno potenzialità, hai ragione. L'unico modo per difenderlo consiste nell'affermare il legame intravisto tra coscienza e specie, qualcosa che, lo ammetto, si puo' solo intuire. In fondo è il motivo per cui il vilipendio di cadavere ripugnante tutti,  religiosi e no.
V: quanto dici non è insensato ma - al di là della coscienza inferiore - la sofferenza inferta agli animali è troppa.
T: ti propongo questo compromesso: l'animale deve comunque essere riconosciuto come soggetto morale ma a lui si applica una morale meno esigente, ovvero quella utilitarista.
V: e questo dovrebbe giustificare una dieta carnivora?
T: bè, sì. E' grazie agli allevamenti che così tanti animali possono nascere e vivere. Se quella vita vale la pena di essere vissuta, dal punto di vista utilitaristico gli interessi di uomini carnivori e animali si combinano bene.

Perché la nostra sofferenza dovrebbe essere diversa da quella degli animali?
La risposta più popolare è: "intelligenza". Il tuo dolore conta solo se sei intelligente. Gli animali sono stupidi, quindi il loro dolore e la loro sofferenza non sono un male.
Ma allora il dolore di una persona con un basso QI vale meno? E quello di un bambino? E quello di un disabile mentale?

CATO-UNBOUND.ORG
Michael Huemer says that how we treat animals may be a crucial test of conscience.


È plausibile che un decennio di allevamenti intensivi abbiano causato più dolore e sofferenza di tutto il dolore e la sofferenza prodotto nella storia dell'uomo.


CATO-UNBOUND.ORG
Michael Huemer says that how we treat animals may be a crucial test of conscience.


Affermare che mangiare carne sia lecito non significa dire che il maltrattamento degli animali sia un nonsense, i peggiori esempi di allevamento animale non vanno confusi con la legittimità di essere carnivori. C'è uno spazio morale tra il veganesimo e il prendere a calci i cuccioli per divertimento. Inoltre, anche le pratiche di allevamento industriale che potrebbero sembrare più discutibili dal punto di vista morale sono ciò che rende possibile a molti uomini più poveri di accedere alla carne. Anche se una morte meno dolorosa dell'animale sarebbe auspicabile, non è ovvio che negare la carne agli ultimi sia la scelta più morale. Forse livelli ultra-minimi di sofferenza animale sono un lusso che possiamo concederci in quanto paesi ricchi, ma il fatto stesso di mangiare carne non può essere illegittimo.


CATO-UNBOUND.ORG
Do animals have rights? And even if not, do we still owe them anything?

venerdì 13 dicembre 2019

PERCHE' NON SONO VEGETARIANO

Se uno vive nel XXI secolo prima o poi dovrà chiedersi se sia giusto mangiare gli animali. In genere le persone hanno forti convinzioni su questo punto ma spesso si basano su vaghe intuizioni che si traducono nel dialogo da sordi tipico delle guerre culturali.
La domanda centrale da porsi è se la vita di un animale di allevamento valga la pena di essere vissuta, poiché l'alternativa realistica al consumo di carne non è una vita migliore dell'animale stesso ma molto più semplicemente il non venire al mondo.
Partiamo da un fatto incontrovertibile: il "dolore" degli animali schiavizzati e uccisi sarebbe irrilevante se incosciente. Investigare sulla coscienza degli animali diventa importante. La maggior parte degli animali ha sensori, ma, in assenza della coscienza, innescarli potrebbe non provocare l'esperienza soggettiva della "sofferenza". Purtroppo, il concetto di coscienza è problematico. Cos'è la coscienza? Il solipsismo ci impedisce di vedere quella altrui. Io sono cosciente, ma potrei mentire e nessuno potrebbe smascherarmi. Potrei avere dei dubbi anche sulla coscienza di mia figlia!. Di fatto una "cosa" è cosciente se è cosciente. Se è sensibile al bene e al male, se è libera, se è responsabile, se si rende conto.
Di certo gli animali hanno una coscienza inferiore a quella umana, indirettamente lo ammettiamo tutti non ritenendoli responsabili per quello che fanno; gli animali non rivendicano i loro diritti e anche l'animalista più acceso trova giusto schiavizzare il suo adorato cane. Tuttavia, potrebbero avere una coscienza in grado di provare dolore e sofferenza. Gli indizi fondamentali di una "coscienza inferiore" in questo senso sono due:
1. Un'architettura del cervello simile alla nostra e risultante dal medesimo processo evolutivo.
2. Comportamenti difficili da spiegare se non in riferimento all'esperienza cosciente.
Fisicamente la coscienza sembra risiedere nella corteccia cerebrale posteriore, laddove c'è un certo ripiegamento che non saprei descrivere altrimenti (l'ho letto su un libro e mi fido). Non chiedetemi di più. Molte parti del cervello possono essere rimosse senza grandi cambiamenti nella personalità o nell'intelligenza, ma se mancano anche piccole parti della corteccia posteriore i pazienti perdono grandi quantità del contenuto cosciente: consapevolezza del movimento, consapevolezza spaziale, sonora, visiva, ecc. È importante riconoscere che la coscienza è una cosa specifica, fragile, con caratteristiche distinte che differiscono da altre attività neuronali che associamo all'intelligenza, quindi l'intelligenza degli animali rispetto agli umani non si correla necessariamente con il loro grado di coscienza.
Ora, tutti i mammiferi hanno una corteccia cerebrale, con gradi diversi di sviluppo. Pertanto, tutti i mammiferi sono probabilmente coscienti, sebbene con grandi differenze in vividezza e complessità. Uccelli e rettili sono un caso più difficile perché la loro evoluzione del cervello è divergente rispetto a noi. I pesci non hanno alcuna architettura neurale per le parti legate alla coscienza.
Lo studio del cervello è importante perché se schiacci una mosca, si dibattere ed emetterà forti rumori "arrabbiati" prima di soccombere, un uomo reagirebbe allo stesso modo. Se non sapessi nulla dell'architettura neurale delle mosche, potresti concludere che le mosche sono consapevoli e capaci di soffrire come noi.
Ma la coscienza non è il cervello, quindi un altro ambito di indagine sono i comportamenti animali. Si possono progettare test di "intelligenza" animale, come il test dello specchio (consiste nell'osservare la reazione dell'animale allo specchio). Ma gli elefanti (sicuramente coscienti nell'analisi dei cervelli) falliscono regolarmente nel riconoscersi mentre più di un pesce lo passa. Considerando anche la dissociazione tra coscienza e intelligenza direi che questi test hanno un'importanza relativa.
Alcuni studiosi osservano comportamenti che si associano a stati emotivi simili a quelli umani. A volte c'è grande differenza nell'intelligenza ma grande somiglianza nel comportamento. In questi ultimi casi è plausibile che l'animale stia vivendo un'esperienza cosciente simile alla nostra. Quando giochiamo con il nostro cane percepiamo un suo coinvolgimento cosciente, al di là della sua intelligenza. Gli scimpanzé che vedono un altro scimpanzé perdere un combattimento lo consolano con un sovrappiù di grooming, cosa impossibile da immaginare senza una bruciante sconfitta. Tutto sommato, trascorrere del tempo con gli animali (in particolare i mammiferi superiori) rende abbastanza difficile immaginare che siano tutt'altro che coscienti, anche se la mera intelligenza potrebbe da sola spiegare molto direi che non spiega tutto. C'è anche da dire che la gamma e la complessità dei comportamenti animali è strettamente correlata all'architettura del cervello che riteniamo causa la coscienza: più complessa è l'architettura del cervello, più il comportamento è "umano".
Gli animali che intendiamo come coscienti hanno meno probabilità di esibire un comportamento "meccanico" tipico degli automi. Esistono molti esempi di comportamento "robotico" negli insetti (tipo i vortici della formica, il volo ripetitivo delle api o delle falene), mentre ci sono pochissimi esempi di "robotica" nel comportamento dei mammiferi. Un esempio comico di robotica l'ho appena visto su YouTube: è quello degli anatroccoli che seguono il cane pensando sia la loro mamma.
Al netto di tutte le incertezze c'è una buona ragione per credere che tutti i comuni mammiferi che ci mangiamo (mucche, maiali, pecore, capre) abbiano una coscienza inferiore in grado di sottoporli a sofferenze. Dall'altro lato, questa coscienza degrada man mano che passiamo dai primati, agli altri mammiferi, agli uccelli, ai pesci, agli insetti giù giù fino alle piante. C'è come una scala di coscienza che va dall'uomo alle pietre in modo più o meno uniforme.
Ma noi crediamo realmente che gli animali abbiano una coscienza? Qui si crea un problema poiché il nostro atteggiamento verso gli animali, anche quello degli animalisti, non è conforme a questa scala. Di solito, per esempio, attribuiamo una coscienza inferiore a certi animali e zero coscienza agli insetti. Nessuno si preoccupa di ammazzare milioni di insetti con il parabrezza della propria auto! Bryan Caplan ne ha tratto conseguenze decisive: poiché il problema della coscienza è troppo ostico se affrontato nel merito, traggo le mie conclusioni misurando l'ipocrisia della gente che partecipa al dibattito; poiché la "questione insetti" segnala alta ipocrisia tra gli animalisti, la probabilità che abbiano ragione nel merito si abbassa in modo decisivo. Questo è un buon punto. Tuttavia, ripenso al mio cane e non riesco ancora a convincermi che sia solo un robot intelligente: una certa coscienza è presente in lui, nessuno mi convincerà del contrario.
Sulla coscienza concluderei così: le incertezze sono molte, anche se negare la coscienza mi sembra piuttosto azzardato. Per questioni di prudenza sarei orientato ad adottare per gli animali una morale di tipo utilitarista. Se l'uomo ha dei diritti inviolabili, l'animale ha un benessere di cui bisogna tenere conto. Se l'uomo è sempre un fine e mai un mezzo, l'animale puo' essere mezzo ma solo a certe condizioni. Va bene così?
In questo caso, quindi, diventa importante capire "quanto" soffrono gli animali allevati. Purtroppo non esiste alcuna unità di misura per misurare questa esperienza. In generale si puo' concludere che la vita delle mucche sia migliore di quella dei maiali che è migliore di quella dei polli (un vero inferno). Il problema è un altro: a prescindere dalla qualità si tratta comunque di vite che meritano di essere vissute? E qui si entra nel vivo.
Parlando in generale, l'evoluzione non si preoccupa di quanto tu sia felice fintanto che a) esisti e b) trasmetti i tuoi geni, cosicché ha escogitato una serie di compensazioni nel sistema nervoso per garantire che gli animali come te 1) non siano mai soddisfatti al punto da smettere di competere, ma neanche 2) mai così infelici da desiderare di non esistere. Cio' che abbiamo è una specie di felicità di base a cui ritorniamo sempre una volta assorbiti i picchi verso l'alto e verso il basso. Poiché non si possono intervistare gli animali, vale la pena di concentrarsi su quelle condizioni in cui le persone segnalano cambiamenti nella felicità o si suicidano e di confrontarle con le esperienze degli animali d'allevamento.
Nell'uomo l'abitudine assorbe quasi tutto. E' un potente ammortizzatore delle condizioni esterne. ma questa è una regola base del nostro apprendimento: quando ci viene ripetutamente inviato un segnale, soprattutto se è molto frequente e non è cambiato di recente in intensità o durata, cessiamo di sperimentarlo in modo consapevole. Noi notiamo solo le novità. Ci abituiamo anche al dolore e alla sofferenza, persino a forti shock del sistema. In letteratura questo è noto come il paradosso della disabilità, in base al quale la maggior parte delle persone con disabilità grave riferisce di avere una qualità della vita buona o decente, anche quando agli osservatori esterni la loro sembra una vita indegna di essere vissuta. Il consenso nelle ricerche sulla felicità è che le persone abbiano un livello generale abbastanza stabile di felicità-base a cui rimbalzano regolarmente dopo qualsiasi cambiamento in positivo o in negativo. In un famoso studio di Brickman, i paraplegici vittime di incidenti e i vincitori di lotteria hanno riportato livelli simili di felicità prima e dopo il "grande evento" della loro vita.
Passiamo alla storia: il consenso tra gli storici è che mentre la schiavitù causava stress e sofferenze estreme, il tasso di suicidi da parte degli schiavi è sempre stato decisamente basso.
Passiamo alla medicina. Analizzando il profilo psicologico dei pazienti in cure palliative con cancro terminale, solo un trascurabile numero era da considerarsi a rischio suicidio. E anche chi ha scelto alla fine questa strada funesta, per quanto presentasse menomazioni funzionali e fisiche, dolore incontrollato, consapevolezza di essere nella fase terminale della propria vita e depressione, segnalava comunque come fattore scatenante della scelta la paura di perdere la propria autonomia e di essere un peso per gli altri.
Tirando le somme, talvolta gli uomini decidono che le loro vite sono intollerabili e si suicidano. Ma è interessante notare che questo fatto non lo vediamo mai in altri animali. Le uniche osservazioni aneddotiche credibili sono relative ai delfini, si tratta di bestie molto intelligenti che possono suicidarsi non respirando. Tuttavia, se gli uomini in condizioni estremamente miserabili non scelgono il suicidio, penso sia lecito ipotizzare che la vita di un animale di allevamento valga comunque la pena di essere vissuta.
La preferenza per la vita è tenace in qualsiasi essere vivente. La letteratura scientifica e gli esempi storici tratti dalla schiavitù e dalle malattie terminali suggeriscono che ci abituiamo praticamente a tutto. L'adattamento edonico è una forza travolgente. La vita dei nostri antenati era molto molto dura. Brutale, direi. Per questo anche in condizioni che le persone dei paesi avanzati etichetterebbero come "molto peggio della morte", l'evoluzione ha fatto in modo che si continui a preferire la vita. Non solo si sopravvive ma si vuole farlo in tutta coscienza. I bambini che giocano nelle discariche africane non sono poi molto meno felici dei bambini che giocano nei soggiorni europei.
Questo significa che gli animali, non importa quanta sofferenza provino, preferiscano vivere? Una risposta certa non c'è ma dopo quanto detto propenderei per il sì. Se le cose stessero così gli allevamenti aggiungerebbero felicità al mondo. Se non ci fossero ce ne sarebbe un po' meno: gli animali allevati possono vivere una vita degna e noi possiamo mangiarli a cuor leggero. Il caso più infernale è quello dei polli ma, essendo uccelli, anche il loro cervello segue una linea evolutiva ben differente dal nostro. Questa distanza aumenta i dubbi di una loro coscienza, cosicché anche il loro caso puo' rientrare in quello più generale.
Ma la scelta carnivora è ostacolata da altri due fattori: salute e ambiente.
Privare della carne un bambino puo' essere problematico ma contenere il consumo degli adulti dà dei benefici in termini di salute. Per fortuna, almeno per quanto riguarda gli adulti, si tratta di un'opzione personale. S'informano e scelgono per conto loro. Ognuno scelga come morire.
Ma la carne inquina, è un fatto. Gli allevamenti emettono gas serra. Ma il problema è collettivo e si affronta razionalmente tassando le esternalità, non con scelte etiche personali o stili di vita che oggi hanno tutta l'aria dell'esibizionismo moralista. Tuttavia, è anche vero che in assenza di politiche fiscali adeguate, la scelta personale puo' pesare.
Personalmente penso che mangiare carne sia lecito: 1) il problema della coscienza è ostico e indebolito dall' "argomento insetti",1) agli animali è comunque corretto applicare un'etica utilitaristica, 3) gli allevamenti sembrerebbero aumentare la felicità nel mondo anziché diminuirla. Resta il problema ambientale, ma qui l'impegno politico è comunque preferibile all'impegno dietetico.

sabato 11 maggio 2019

ANIMALI

Sacrifichereste un milione di mucche per salvare un uomo?
L'animalista risponde con un "no": vorrebbe dire assegnare un valore microscopico alla sofferenza delle mucche.
Ma poi è il primo a sacrificare senza problemi un milione di insetti per salvare una mucca.
Possiamo prendere sul serio un simile ipocrita? Io penso di no.
Ancora più assurdo, poi, sarebbe prendere sul serio chi su questi problemi si comporta in modo coerente.

TREEHUGGER.COM
Last May, Dutch biologist Arnold van Vliet embarked on a bold and buggy mission to count how many insects are killed by cars -- and six weeks later, the results are in. To perform the census of bug vs. car fatalities, the

lunedì 1 ottobre 2018

Insetti

Insetti

L’incubo dell’animalista dovrebbero essere gli insetti, anche loro in fondo sono animali.
Le nostre auto ne uccidono a trilioni ma la cosa sembra lasciarlo indifferente. Anzi, collabora attivamente alla carneficina senza muovere obiezioni morali, quando per una gallina d’allevamento s’ immolerebbe. Il solo camminare di un vegano rischia di mietere vittime ma io non ho mai sentito da lui spendere una parola di formale condanna per aver generato tanta sofferenza nel mondo.
Viene naturale pensare che se anche i più scrupolosi difensori dei diritti degli animali cadono in tali contraddizioni nemmeno loro credano fino in fondo alla causa che professano. Questo che porto non sarà un argomento logico decisivo ma, nell’impasse della diatriba animalista, puo’ essere il fattore decisivo. Un po’ come l’affare dei preti pedofili: sono fatti che non scalfiscono la verità del cattolicesimo ma di fatto infliggono un duro colpo alla Chiesa.
Ma gli insetti soffrono sul serio? Per risolvere l’arcano, di solito, l’animalista si attiene ai dati comportamentali, alla presenza di un sistema nervoso appropriato e al fatto che la sofferenza sia un fattore utile all’evoluzione di quella creatura. Gli insetti sembrerebbero avere i tre i requisiti richiesti. Forse il loro sistema nervoso con è esattamente quello di una vacca ma la cosa è compensata dal numero delle vittime (vogliamo dire che 1000 insetti valgono una vacca?).
Se anche ci fossero dubbi in merito alla sofferenza dell’insetto la cosa sembrerebbe irrilevante poiché l’animalista è un cultore del principio di precauzione, e in caso di dubbio è tenuto ad astenersi.
A noi anti-animalisti gli insetti non fanno né caldo né freddo, da questo punto di vista siamo a posto con la nostra coscienza. Tu, animalista, mi accusi di non dar troppo peso all’intelligenza delle galline, e io ho gioco facile nell’accusarti di non darne all’intelligenza dell’insetto.
L’animalista puo’ sempre svicolare dicendo che considera microscopica l’intelligenza di un insetto rispetto a quella di una gallina, talmente microscopica che non puo’ essere compensata nemmeno dal numero più elevato di vittime, ma così facendo si mette nella condizione ideale per comprendere quel che dico quando sostengo che l’intelligenza di una gallina è microscopica rispetto a quella dell’uomo, talmente microscopica da essere praticamente irrilevante in termini di sofferenza.
A questo punto, però, ho posto un legame tra intelligenza, sofferenza e doveri morali e l’animalista avveduto potrebbe pormi l’ imbarazzante quesito che segue:
Supponiamo che tu pensi che la sofferenza degli animali non abbia importanza perché gli animali mancano di capacità cognitive sofisticate, intelligenza, ragionamento astratto e così via. Ora immagina di sapere che perderai presto e per sempre quelle capacità. Hai un tumore al cervello che ti renderà stupido, ti impedirà di cogliere concetti minimamente complessi, le essenze universali o qualsiasi altra cosa che nemmeno un animale puo’ comprendere. Domanda: una volta che questo accadrà potrò torturarti? Trovi che sia corretto per me  farlo? Non ti preoccupare, sarai stupido, quindi niente di tutto ciò ti infliggerà sofferenze.
Effettivamente la cosa è imbarazzante: se rispondo di sì, tutto ok. Ma io voglio rispondere di no! Purtroppo, se lo faccio, indirettamente supporto i diritti degli animali: creature ritenute dai più talmente stupide da poter essere torturate e uccise.
Il fatto è che per me un uomo non andrebbe mai torturato, anche se trattasi di un ritardato mentale. Per questo sono in imbarazzo: da un lato vorrei rispondere no, dall’altro non posso negare la rilevanza dell’intelligenza in tutto questo affare.
Fortunatamente questo imbarazzo lo conosce bene anche l’animalista quando si ritrova ad affrontare la questione degli insetti: come stabilire le specie animali da proteggere attribuendo loro dei diritti? La PETA (People for Ethical Treatment of Animals), per esempio, ipotizza due vie: 1) o tiriamo una riga netta nelle specie ordinate gerarchicamente per complessità dei sistemi nervosi o 2) postuliamo una scalacontinua nella capacità di sentire il dolore stabilendo poi caso per caso il comportamento moralmente idoneo. La prima via è necessariamente arbitraria, la seconda implica trattamenti differenziati all’interno della stessa specie animale. Pensiamo al trattamento differenziato tra gli uomini: alcuni soggetti possono essere torturati in quanto più stupidi, altri no. E’ una situazione ripugnante! Per questo la tradizione utilizza il metodo della “riga” che, per quanto arbitrario, evita il razzismo inter-specie. Ora, così come la tradizione ha tirato una riga tra l’uomo e gli altri animali, vegani e vegetariani sembrano averla tirata giusto sopra gli insetti. Perché mai dovremmo passare da un arbitrio all’altro? Perché anziché passare da arbitrio ad arbitrio non ci uniformiamo alla tradizione restando fedeli alla vecchia “riga” sulla quale abbiamo fondato la nostra civiltà?
Gli insetti dipinti in anamorfosi dall’artista di strada Odeith
P.S. Mike Huemer ha in cantiere un libro per rispondere all’obiezione degli insetti originariamente sollevata da Bryan Caplan. E’ da lui che ho tratto l’ “imbarazzante questi” di cui sopra.