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lunedì 5 dicembre 2011

La penuria di crocette

L’ arte è il regno della sfumatura?

Forse che sì, ma forse che no.

Per il “forse no” sembrano schierarsi i “meritocratici fuori-mercato”.

Se non digitalizzi l’ universo come fai infatti a redigere quiz in tutte le materie? Come fai a misurare il merito stando alla larga dai mercati e dormire tranquillo?

Se il merito è il frutto di un’ autopsia, inutile cincischiare, hai bisogno di cadaveri.

ETSY SELLERS

Veniamo al sodo: nel test Invalsi dei licei si proponeva un brano di  Rigoni Stern, in cui una ragazza cadeva sugli sci davanti a un soldato che la risollevava chiedendole scusa proprio nel mentre lei riprendeva la discesa «indispettita, crucciata e arrabbiata per quella stupida caduta».

Domanda del burocrate: perché la ragazza se ne va senza dire grazie?

A. È seccata dall'invadenza del militare;

B. Si vergogna del proprio aspetto;

C. È irritata con se stessa per essere caduta;

D. Si è fatta male cadendo.

Per il calcolatore ministeriale c’ è una risposta giusta e una sola (la C?).

Una vera fortuna visto che, guarda caso, abbiamo a disposizione una sola crocetta.

Ma per gli “sfumaturisti” probabilmente la risposta giusta è per l’ appunto un coacervo di sfumature che coinvolgono sia A che B che C che D.

Questo per il semplice fatto che Rigoni Stern sa scrivere, ovvero, non si fa imprigionare in una casella.

Veramente non si fa imprigionare neanche in quattro caselle, per cui, in casi del genere, chi penetra a fondo cio’ che legge lo riconosci non solo perché non saprebbe dove mettere la crocetta ma, semmai, perché in grado di allungare creativamente la lista proposta arrivando fino alla Z: con Rigoni possiamo permettercelo!

E al diavolo le assurdità targate Invalsi.

giovedì 18 novembre 2010

Sergentemagiù Rigoni

Questi scrittori di guerra li riconosci subito, hanno tutti un rigo dal cominciamento che attacca d' impeto, come se la storia gli bruciasse tra le dita.

Poi si acquietano, ne hanno passate tante e ora ce le raccontano ritmati dalla lenta gravità delle loro stanchezze, svuotati da tutto per potersi svuotare da ogni rancore e da ogni rivalsa, neanche poi così contenti come si aspettavano di essere "tornati a baita".

Il cervello di quelli venuti giù dalla Russia poi, mentre raccontano, è ancora intontito dal crocchio della neve sotto lo scarpone, è ancora trapassato dal quadrante di Cassiopea fissato per ore durante le marce notturne.

Nella steppa hanno combattuto una guerra dura contro altri uomini, e una seconda ancora più dura contro i topi slavi che cercavano di condividere le loro coperte.

Poche soddisfazioni, pochissime. Giusto a Natale due fette di polenta e gatto, ma polenta dura eh? (alla bergamasca). Però due fette grandi come mattoni, Il tutto innaffiato con ottima acqua di neve, e per codina un caffè pestato nell' elmetto.

Che era Natale lo si capiva subito dal modo di bestemmiare. Uno smadonnamento fiorito, soave e disteso, non come quel rosario sparato senza neanche prendere fiato che partiva quando ti impigliavi nei gabbioni di filo spinato, e ci finiva dentro la naja, la fidanzata, la posta, gli imboscati, i russi, mussolini, e altri personaggi inventati sul momento. Il tutto da godere ticketless.

Anche quella guerra era più che altro un sovrapporsi di interminabili e snervanti momenti di pace.

Una pace satura di attività che non erano il massimo per lo sviluppo di un solido capitale umano. Potevi dedicarti all' ascolto degli starnuti del nemico, a vedere diventar bianchi e poi scoppiare i pidocchi buttati sulla piastra, allo staccio della farina, alla fumatina di una Milit, a cambiar trincea saltellando nella neve come un capretto a primavera, a pensare parole nuove da scrivere alla ragazza (parole nuove = parole diverse da baci, bene, amore, ritornerò), a fumarti la posta ricevuta, a giocarti a carte i soldi della deca, a evitare i conducenti che odoravano di mulo e che si grattavano la scabbia.

Poi finalmente, attesissima, liberatoria, arriva la guerra (detta anche la sagra). Con il miagolio nell' aria delle pallottole che passano di sopra.

Oggi pomeriggio ne muore solo uno che non conoscevi neanche tanto bene, Cade e la neve gli entra nella bocca, fai le tue cose e quando lo riguardi il sangue gli esce sempre più piano.

Ma smette subito anche questo pezzo di guerra che non voleva consumarsi, smette sussultando come smette la risata di un ubriaco, con qualche fucilata raminga che si attarda senza credere più in se stessa. La fucilata ingiustificabile di uno che è invasato dalla rabbia degli stanchi, degli stanchi di guerra e di vita.

Quando vedi il comandante più tignoso e incapace con la gamba in cancrena ti viene da dire che era un buon diavolo anche lui. E pure questo sentimento ti sale spinto dalla spossatezza, è una misericordia regalata dalla stanchezza. Era un tenente giovane e impazzito, la truppa aveva imparato l' arte di non obbedirgli assecondandolo. Il capitano era il primo ad inorgoglirsi per questa abilità sopraffina e provvidenziale che deve essere il bagaglio primario di ogni buon soldato.

Intanto - mentre passando vedi ancora alcuni alpini placidamente addormentati che muoiono immobili incassati come stravecchi piccioni dalla massa dimezzata definitivamente ai margini dello stormo - il Don è un Lete che spinge alcuni fortunati ormai indifferenti fuori dalla "sacca".

giovedì 19 giugno 2008

Sergentemagiù Rigoni

Solo l' anno scorso, dopo consulto con la miri, lessi la sua opera magna. Visto che l' altro giorno si è involato, forse l' occasione è buona per riprendere vecchie impressioni annotate a suo tempo fresco di quella vicinanza.


***


Mario Rigoni Stern: Il sergente nella neve.

Questi scrittori di guerra li riconosci subito, hanno tutti un rigo dal cominciamento che attacca d' impeto, come se la storia bruciasse loro tra le dita.

Poi si acquietano, ne hanno passate tante e ora ce le raccontano ritmati dalla lenta gravità delle loro stanchezze, svuotati da tutto per potersi svuotare da ogni rancore e da ogni rivalsa, neanche poi così contenti come si aspettavano di essere "tornati a baita".

Il cervello di quelli venuti giù dalla Russia poi, mentre raccontano, è ancora intontito dal crocchio della neve sotto lo scarpone, è ancora trapassato dal quadrante di Cassiopea fissato per ore durante le marce notturne.

Nella steppa hanno combattuto una guerra dura contro altri uomini, e una seconda ancora più dura contro i topi slavi che cercavano di condividere le loro coperte.

Poche soddisfazioni, pochissime. Giusto a Natale due fette di polenta e gatto, ma polenta dura eh? (alla bergamasca). Però due fette grandi come mattoni, Il tutto innaffiato con ottima acqua di neve, e per codina un caffè pestato nell' elmetto.

Che era Natale lo si capiva subito dal modo di bestemmiare. Uno smadonnamento fiorito, soave e disteso, non come quel rosario sparato senza neanche prendere fiato che partiva quando ti impigliavi nei gabbioni di filo spinato, e ci finiva dentro la naja, la fidanzata, la posta, gli imboscati, i russi, mussolini, e altri personaggi inventati sul momento. Il tutto da godere ticketless.

Come tutte, anche quella guerra era più che altro un sovrapporsi di interminabili e snervanti momenti di pace.

Una pace satura di attività poco indicate per lo sviluppo di un solido capitale umano. Potevi dedicarti all' ascolto degli starnuti del nemico, a vedere diventar bianchi e poi scoppiare i pidocchi buttati sulla piastra, allo staccio della farina, alla fumatina di una Milit, a cambiar trincea saltellando nella neve come un capretto a primavera, a pensare parole nuove da scrivere alla ragazza (parole nuove = parole diverse da baci, bene, amore, ritornerò), a fumarti la posta ricevuta, a giocarti a carte i soldi della deca, a evitare i conducenti che odoravano di mulo e che si grattavano la scabbia.

Poi finalmente, attesissima, liberatoria, arriva la guerra (detta anche la sagra). Con il miagolio nell' aria delle pallottole che passano di sopra.

Oggi pomeriggio ne muore solo uno che non conoscevi neanche tanto bene, Cade e la neve gli entra nella bocca, fai le tue cose e quando lo riguardi il sangue gli esce sempre più piano.

Ma smette subito anche questo pezzo di guerra che non voleva consumarsi, smette sussultando come smette la risata di un ubriaco, con qualche fucilata raminga che si attarda senza credere più in se stessa. La fucilata ingiustificabile di uno che è invasato dalla rabbia degli stanchi, degli stanchi di guerra e di vita.

Quando vedi il comandante più tignoso e incapace con la gamba in cancrena ti viene da dire che era un buon diavolo anche lui. E pure questo sentimento ti sale spinto dalla spossatezza, è una misericordia regalata dalla stanchezza. Era un tenente giovane e impazzito, la truppa aveva imparato l' arte di non obbedirgli assecondandolo. Il capitano era il primo ad inorgoglirsi per questa abilità sopraffina e provvidenziale che deve essere il bagaglio primario di ogni buon soldato.

Intanto - mentre passando vedi ancora alcuni alpini placidamente addormentati che muoiono immobili, incassati come piccioni stravecchi dalla massa dimezzata definitivamente ai margini dello stormo - il Don è un Lete che spinge alcuni fortunati ormai indifferenti fuori dalla "sacca".