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martedì 20 settembre 2011

“Piccolo è brutto”?

Da Regole:

In Italia per cinquant'anni «piccolo è bello» è stata la parola d'ordine della competitività. E continua a esserlo anche oggi, durante questa crisi, dove le preoccupazioni di tutti sono concentrate sul futuro delle nostre «leggendarie» PMI. Questa simpatia e l'indulgenza regolatoria che ne deriva hanno delle (giuste) ragioni storiche, ma oggi sono una delle cause del blocco dello sviluppo dei servizi in Italia. Nulla è risultato più fatale all'economia italiana del «piccolo è bello», che forse ha avuto un senso cinquant'anni fa, quando era cruciale l'agilità di tante piccole imprese nel settore industriale, ma che negli ultimi vent'anni è diventato un alibi

Che l’ Italia sia il paese della piccola impresa è un mito: in tutti i paesi prosperano i “piccoli” solo che dopo un po’ o crescono o falliscono lasciando l posto ad altri. L’ Italia, insomma, è il paese dove le imprese sono piccole e restano tali in eterno.

Nel podcast Abravanel spiega bene il nesso tra dimensioni d’ impresa e regole.

Il capitalismo si basa su alcune (poche) regole forti: proprietà privata, brevetti, rispetto dei contratti… Secondo Abravanel il problema del capitalismo nostrano risiede nel particolare rapporto che abbiamo instaurato con le regole: ne abbiamo troppe e diventa così estremamente faticoso rispettarle. La dimensione media delle nostre aziende pesa se teniamo conto che a volte il rispetto di una regola ha lo stesso costo per la multinazionale e per la micro impresa. Il mancato rispetto, sentito come inevitabile anche se raramente ammesso, viene tollerato. Si produce così una svalutazione della “regola” e questo è un danno di sistema perché a farne le spese sono anche le “regole buone”. Anche gli altri paesi hanno regole “sbagliate” ma, rispettandole ugualmente, i danni emergono con chiarezza e gli errori legislativi vengono corretti più velocemente. Da noi una correzione del genere, se va bene, procede molto a rilento: si preferisce tollerare l’ inadempienza affinché non emerga mai in modo conclamato l’ effetto pernicioso di una legislazione stupida e anti-economica.

Sembra convincente.

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C’ è poi anche il recente saggio di Erik Hurst e Benjamin Wild Pugsley:…, eccone uno stralcio:

… most small businesses have little desire to grow big or to innovate in any observable way. We show that such behavior is consistent with the industry characteristics of the majority of small businesses, which are concentrated among skilled craftsmen, lawyers, real estate agents, doctors, small shopkeepers, and restaurateurs. Lastly, we show non pecuniary benefits (being one's own boss, having flexibility of hours, etc.) play a first-order role in the business formation decision…

lunedì 7 luglio 2008

Imprenditori in polvere

Perchè il numero di microimprese in Italia è tanto elevato? Perchè la nostra struttura produttiva si discosta tanto da quella di molti Paesi più avanzati di noi?

E' un aspetto preoccupante, molte riforme risultano impraticabili a causa dell' estrema dispersione degli imprenditori.

Non mancano però gli aspetti positivi: si diffonde meglio una salutare mentalità imprenditoriale (è il popolo delle partite IVA). Quella mentalità più matura che sostituisce il tiro alla fune ideologico delle "conquiste" con il bilancino dei pro e contro.

Ora però non vorrei occuparmi se "piccolo" sia più o meno bello, do la precedenza alle domande del primo capoverso e offro due ipotesi:



  1. La regolamentazione posta sul lavoro dipendente è repressiva; si cerca di aggirarla puntando a forme elusive di imprenditorialità e trziarizzazione; conquiste come lo Statuto dei Lavoratori, nonchè la sciagurata giurisprudenza che ha innescato, hanno semplicemente ucciso cio' che volevano tutelare estinguendo la figura del Lavoratore in favore di quella ambigua di Microimprenditore.



  2. Il nostro welfare è stato costruito anche mediante una tolleranza spinta dell' evasione fiscale, soprattutto al sud. Cio' ha consentito di mantenere in vita parecchie microimprese improduttive. Ma perchè un microimprenditore improduttivo non cessa la sua attività per andare "sotto padrone"? A parte la scarsità di domanda (vedi 1), è sempre meglio "comandare" che "essere comandati". Specie se uno è abituato così. La differenza che si spunta con l' evasione impedisce di cedere le leve del comando, anche quando la barca fa acqua. A proposito, la preferenza verso il comandare piuttosto che verso l' ubbidire, giustificherebbe i redditi talvolta inferiori che il micro-imprenditore spunta rispetto agli stipendi dei suoi dipendenti!

giovedì 10 aprile 2008

Due sassolini nella scarpa dei Tremonti

Tutto ormai è made in China, i dati confermano. I timori tremontiani prendono corpo e si diffondono. Le ragioni del guru appaiono solide.

Qualsiasi prodotto si prenda in considerazione, i cinesi hanno fatto irruzione giocando sui mercati la parte del leone. Il messaggio tremontiano acquista in autorevolezza.

Eppure la Germania, tanto per fare un nome, non perde poi granchè delle sue quote di mercato estero? Tremonti aggrotta le ciglia.

Se poi quardiamo da vicino, la Germania non si è nemmeno sottoposta a ristrutturazioni che l' abbiano rivoltata come un calzino. Tremonti tace.

Ma sì, è la vecchia teoria del consumatore. Bastano piccole variazioni qualitative (al limite, se si dispone di un buon messaggio pubblicitario, anche nessuna), per "creare un nuovo prodotto" e differenziarsi dagli onnipresenti cinesi. E la differenziAzione paga un casino con mercati tanto allargati e in crescita.

L' innovazione semi instantanea è una speranza che forse Tremonti non aveva considerato in tutta la sua portata. Qui la medesima tesi meglio articolata.


***

E già che ci siamo fatemi smussare un altro corno al demonio della globalizzazione. Fatemelo fare ora che siamo nel mezzo di turbolenze finanziarie: le recessioni sono meno acute e più brevi in epoche caratterizzate da forte "globalizzazione".

Chissà poi a cosa sarà dovuto il fatto che gli ultimi 5 anni sono anche quelli in cui è cresciuto di più il reddito pro-capite mondiale prendendo a base gli ultimi trenta.

Tremonti, grazie lo stesso, continua pure la campagna elettorale.

venerdì 21 marzo 2008

La croce sulle piccole imprese

La bassa produttività di cui soffre il sistema italiano viene da molti imputata ad una struttura in cui prevalgono le piccole imprese. Ma le piccole imprese non sono di per sè scarsamente innovative. Anzi, in certi settori sono le più innovative come chiarisce questo studio. Inoltre, il vero nucleo dinamico del sistema è formato dalle medie imprese che sono state anche piccole. Allora bisognerebbe chiedersi cosa da noi faccia da ostacolo a queste dinamiche che altrove sembrano essere naturali.


Il primo colpevole sembrerebbe essere il nostro sistema pensionistico: altissimi oneri contributivi finiscono per rendere conveniente un outsourcing esagerato. Da lì la nascita di microimprese a bassa produttività. Se a questo si assomma la soffocante sindacalizzazione nella medio-grande impresa, si capisce come pur di fuggire da quell' incubo si battano tutte le piste disponibili.

Il microcredito fa bene? Panico

Surowiecki ne dubita, da lì non è mai uscita un' impresa importante. La risposta è pronta: giudicare il microcredito alla stregua di una politica industriale è sviante, trattasi di politica di welfare e come tale funziona abbastanza bene.


Lo stesso argomento si puo' adottare contro chi scrolla la testa nell' osservare la struttura del nostro sistema produttivo ed esclama "...troppe microimprese!!". Vero, e molte cause potrebbero essere rimosse. Però, per quanto sulla micro impresa che non si sviluppa puo' essere emessa una sentenza di condanna produttiva, bisogna invece decantarne le qualità welferistiche. Il piccolo fruttivendolo che presidia il terrirorio con il suo negozietto dai margini minimi, dà spesso sostentamento minimo e significato ad un paio di vite che hanno fatto tutta la vita quel lavoro.

giovedì 24 gennaio 2008

Un' agenda per il sud

La ricetta di Perotti sul 24 ore del 230108 p.17

10 anni 50 mrd di euro, risultati zero. I sussidi e gli appetiti della Camorra. Detrazioni fiscali e le cartiere in stile Parmalat. Il mito della mancanza di infrastrutture.

Ridurre i contributi UE, chiudere Sviluppo Italia e rinunciare alla 488.

"...dopo aver reso illegale negare il genocidio degli armeni e il linguaggio omofobico, puniamo pure l' espressione "Politica industriale"..."
Addendum, disponibile una riproduzione dell' articolo.