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mercoledì 20 giugno 2018

IL ROBOT CHE FIRMA ASSEGNI

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IL ROBOT CHE FIRMA ASSEGNI
Oggi l’Italia spende nel welfare quasi 10.000 euro per abitante (neonati e miliardari compresi). Il visionario pensa che si potrebbe azzerare il sistema e consegnare un assegno equivalente ad ogni codice fiscale indipendentemente dalla sua condizione (basta un robot). Una famiglia con tre figli partirebbe ogni anno con in tasca una dotazione di 50.000 euro (che i più benestanti restituirebbero di fatto pagando le tasse). Sarebbe un sistema con menoburocrazia (basta un software), più efficienza (ognuno spende i suoi soldi), meno parassiti (non bisogna discriminare i bisognosi meritevoli) e meno paternalismo (ognuno spende come vuole).
Questa idea ha un nome, si chiama: “reddito minimo di cittadinanza”, è un’idea liberale come e più della flat tax. Ne hanno parlato in tempi diversi Milton Friedman, Bruce Ackerman, Anne Alstott, Thomas Paine, Henry George, Charles Murray e Matt Zwolinski. Oserei dire che l'ideologia neoliberista si puo' ben riassumere nella formula: "reddito minimo garantito + flat tax".
Da tenere a mente quando Travaglio afferma che l’attuale governo “mette insieme un ircocervo”.
P.S. Naturalmente l’espressione “azzerare il sistema” da che mondo e mondo non ha alcun senso politico, per cui è bene diffidare quando si parla di reddito di cittadinanza in campagna elettorale o nei ministeri poiché si ha in mente qualcosa da aggiungere al marasma attuale per renderlo ulteriormente intricato.


CATO-UNBOUND.ORG
A basic income guarantee isn't libertarian. But it beats the welfare state as we know it, and libertarians should support it, says Matt Zwolinski.

venerdì 27 aprile 2012

Lingue virtuose

Se penso alle tasse, un secondo dopo, come del resto qualsiasi liberale, penso automaticamente alla natura dei governi:

… while government is, in principle, able to do some good… the problem is that the circumstances under which it is able to do so are very narrowly limited, difficult to foresee, and prone to exaggeration by politically interested factions…

Sono troppo prosaico, vero?

Fortunatamente la maggioranza, ovvero l’ autoproclamata “parte migliore del Paese”, con a capo quel po’ po’ di presidentone che allo strumento non sbaglia mai una nota (lo strumento assomiglia a un trombone), è dominata da istinti ben più nobili: alla parola “tasse” associa (e urla) la parola “equità” (*).

La retorica dell’ “equità” fiscale straborda da radio, tv e giornali: è sempre così quando spadroneggiano i governi del “tiriamo a campare” (Andreotti, Ciampi-Amato, Monti) (**): pagare le tasse è un dovere etico, e ancor più è un dovere che paghi il benestante, in modo da redistribuire le fortune e venire in soccorso a coloro che “non ce la fanno”.

In tutto cio’ c’ è qualcosa di curioso: spesso sono i “ricchi” a sostenere che i “ricchi” devono contribuire di più.

Ma c’ è anche qualcosa di sconcertante: perché costoro, se credono veramente a cio’ che dicono, invece di formulare appelli urbi et orbi corrugando il volto pensoso, non firmano assegni circolari e li inviano spontaneamente al Ministero del Tesoro sotto forma di beneficienza?

Se non si ricordassero dove hanno messo la penna faccio notare che è sulla scrivania al solito posto!

I virtuosismi fatti con la lingua lasciano sempre uno strano retrogusto: all’ ammirazione, chissà perché, si mescola lo schifo.

LINGUA

Riformulo senza tanti sarcasmi: perché chi vuole più “solidarietà a suon di tasse” non comincia a trasferire nei forzieri statali un cospicuo contributo spontaneo come suggerisce loro quella coscienza che tengono linda sempre in vetrina?

Insomma, perché mai i governi di tutto il mondo sono surclassati dalle organizzazioni concorrenti quanto a donazioni ricevute?

Tutto cio’ non è sentito come imbarazzante? Non è percepito come la stigmate dell’ ipocrisia sulla “campagna per l’ equità”?

C’ è chi ritiene che in fondo i governi possano far fronte al loro fabbisogno grazie allo strumento coercitivo.

Sappiamo già che questa risposta è logicamente fallata.

C’ è invece chi invoca il famigerato “dilemma del prigioniero”, quello per cui è ragionevole fare qualcosa solo se la fanno tutti; invocazione particolarmente fuori posto quando si tratta di solidarizzare con chi è più in difficoltà:

… the fundamental question is: “Why is government’s share of the voluntary donations market so damn small?” All genuinely charitable donations suffer from the Prisoners’ Dilemma…

Despite widespread nationalist and statist sentiments, Uncle Sam’s share of the charity market is microscopic – less than .001%.

How very odd.

Suppose you start a new charity to provide free haircuts for hippies.

You only manage to raise the money to pay for three haircuts a year.

The Prisoners’ Dilemma might explain why people aren’t more generous with their money in general. But the Prisoners’ Dilemma doesn’t explain why the other charities raise so much more money than yours.

If you ask “Why don’t people give more money to my charity?,”the best answer is that people hold your charity in low esteem…

most people know that there are better and more efficient ways of using their money to help other people than giving it to government…

… Most tiny charities can say their donations are low because few have heard of them, or because most who have don’t have a visceral scene of what they real y do. But everyone knows about government debt, and a lot about what it pays for…

Quello “schifo” che sentivamo è dunque dovuto all’ ipocrisia che lubrifica le lingue e blocca le azioni.

Ma non fermiamoci qui: l’ ipocrisia del benestante che invoca tasse eque senza versarle già oggi volontariamente sul conto corrente del Tesoro (farlo è possibile!) è pur sempre un buon argomento contro l’ equità (sbandierata) in quanto tale:

1. Lots of people say that X is wrong.

2. But these people almost always do X.

3. Therefore, even the opponents of X don’t really believe X is wrong.

4. So X probably isn’t really wrong.

This fleshed-out Argument from Hypocrisy is hardly airtight. But it’s not supposed to be. Like most good arguments, the point of Argument from Hypocrisy is not to evoke absolute certainty, but to tilt your probabilities. Widespread hypocrisy about X really is a reason to disbelieve X. A pretty good reason, in fact…

La mia impressione è che chi punta sulle tasse sia soprattutto colui che campa consumando tasse, altro che equità. Un’ ascoltatina di straforo alla “fauna telefonante” di Prima Pagina fugherebbe ogni dubbio in merito.

Ma giova anche la lettura di “Repubblica”, il tipico rotocalco con un culto addirittura estetico delle tasse (“la bella tassa”): Pansa lo definisce un giornale in ostaggio a migliaia di “professoresse ululanti”. Ecco, soffermiamoci solo per un attimo sul tipo antropologico della “professoressa ululante”: il suo stipendio non è stellare ed è comunque messo insieme grazie alle nostre tasse. Perché mai dovrebbero inaridire la fonte ultima dei loro introiti, che per conseguenza diventa la “fonte ultima” anche per il tabloid di Piazza Fochetti? Ovvio che la “professoressa ululante” e il suo foglio di riferimento amino le tasse, e il senso civico in questo idillio non ha alcuna parte.

Tuttavia è pur vero che il reddito medio di chi legge “Repubblica” resti comunque più elevato del reddito medio della cittadinanza comune, e magari ha anche fonti ben diverse dalla solita: ebbene, in questo caso non si puo’ parlare di ipocrisia atta a mascherare un mero interesse di bottega.

Probabilmente trattasi solo di ipocrisia atta a mascherare una cosmesi ideologica ad uso e consumo delle anime belle: sia come sia, ora lo sappiamo, si puo’ sempre rispondere: “vuoi più tasse? Fai un bonifico e pagatele, altrimenti rimetti la lingua in bocca e taci!”.

Matt Zwolinski et al. - Want Higher Taxes? Pay Them Yourself – bronko edizioni.

(*) la sponsorizzazione più maldestra del concetto di “equità” l’ ho ascoltata ieri da Lerner: “bisogna prendere i soldi laddove ci sono”. La stessa logica ladronesca della banda del buco, insomma. Imbarazzante.

(**) che è sempre meglio che “tirare le cuoia”, come osservava il più consapevole della compagnia.