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domenica 3 febbraio 2019

VADEMECUM PER LE CRISI ECONOMICHE

VADEMECUM PER LE CRISI ECONOMICHE

L'argomento è difficile e non riesco a semplificarlo in modo accettabile per quanto c'abbia provato in tutti i modi. La letteratura è tanta e ogni punto riempie una biblioteca. Tuttavia, questo è quello che ho imparato leggendo per anni sul tema gli autori più rispettati.

1. Ci sono crisi economiche da domanda (CD) e crisi da offerta (CO).

2. Le CD derivano da una perdita di fiducia degli operatori, di solito a seguito di uno shock finanziario.

3. La paura ti paralizza, non spendi più e stai a guardare. Chi produce subisce un contraccolpo.

4. Le CO, invece, si generano a causa di un apparato produttivo non competitivo (magari perché la Cina ha cominciato a fare le cose meglio di te e tu devi cambiare mestiere).

5. Sia CO che CD possono essere curate abbassando i salari nominali.

6. In che modo il taglio dei salari cura una CO? Semplice: ci rende più competitivi.

7. In che modo un taglio dei salari cura una CD? Semplice, la deflazione ci garantisce di poter fare le stesse identiche cose di prima con una quantità di moneta minore (anche i salari reali restano invariati, cosicché il taglio dei salari nominali non produce un impoverimento tra i lavoratori).

8. Purtroppo, l'esperienza ci insegna che i salari sono "rigidi". Durante la crisi l'imprenditore piuttosto fallisce ma non taglia i salari. Perché? Forse ha degli scrupoli morali, forse non vuole demoralizzare i dipendenti. Sia come sia le cose stanno così. prendiamolo come un dato.

9. Nel caso delle CD una cura alternativa al taglio dei salari consiste nel sostenere la domanda.

10.. Ma ci sono diversi modi per sostenere la domanda: si possono attuare politiche fiscali e politiche monetarie.

11. Le politiche monetarie hanno il pregio di non distorcere la struttura dell’apparato produttivo. La banca centrale garantisce moneta facile al sistema del credito che presta agli imprenditori più promettenti.

12. Le politiche fiscali, invece, distorcono l’apparato produttivo e quindi, anche quando risolvono una CD, ci gettano inevitabilmente in una CO. Nelle politiche fiscali è il governo a decidere dove investire, il che non offre garanzie sul lungo periodo.

13. Esempio di distorsione da politica fiscale: Mussolini e Hitler fronteggiarono bene la Grande Crisi (CD) costruendo un Grande Esercito. Ricevettero grandi lodi per la loro politica di investimenti pubblici. Ma quando la crisi fini avevano un apparato produttivo che sapeva fare solo produrre armi, ed era quindi inservibile (CO). Chissà, magari certe imprese coloniali e belliche cominciarono anche per non affrontare una dolorosa riconversione industriale.

14. La politica monetaria si realizza concretamente abbassando i tassi d’interesse e, una volta arrivati a zero (zero bound), ponendosi esplicitamente obbiettivi inflazionistici (la cosa equivale ad un tasso negativo).

15. Per Keynes, il grande guru del ciclo economico, la politica monetaria è inefficace causa "illusione monetaria", ovvero il fatto che gli operatori si concentrino esclusivamente sulle variabili nominali. Certo che se fosse così le aspettative inflazionistiche non avrebbero nessun ruolo. Mi sembrano osservazioni fuori dal senso comune. Ma Keynes era un tipo pragmatico, da un punto di vista teorico lascia piuttosto sconcertati.

16. Keynes era quindi un grande sponsor delle politiche fiscali. Ma come le difendeva dall'accusa di distorsione dell’apparato produttivo? Di creare solo "fuochi di paglia"? Di non risolvere la CD ma di convertirla in una ancor più dolorosa CO? Non si difendeva, assumeva semplicemente che le CO non esistessero, oppure che il lungo periodo non esistesse. Qui vale il finalino di cui al punto precedente.

17. Ora passiamo alle CO, come si affrontano? In questi casi la crisi non è altro che l’assestamento ad un nuovo equilibrio, cosicché la politica monetaria rischia di produrre solo inflazione (o iperinflazione). Nel caso delle CO l'immeritatamente famosa curva di Philip ci svia, lo abbiamo scoperto negli anni settanta sperimentando la stagflazione.

18. Per contro, nelle CO, la politica fiscale non fa che prolungare l'agonia del sistema produttivo distorto alternando sollievi illusori a ricadute.

19. In questi casi occorrono le famose "riforme", solo che è difficile capire quali. La soluzione migliore è deregolamentare e incentivare gli investimenti in modo che le "riforme" si producano da sè e il sistema si aggiusti in modo spontaneo. Certo, bisogna capire se la cosa sia politicamente fattibile.

20. Il vero guaio è che distinguere le CD dalle CO non è affatto facile, anche perché una CD è sempre pronta a trasformarsi in una CO e viceversa.

21. Anche distinguere tra l'efficacia delle politiche fiscali e di quelle monetarie è dura poiché i politici le utilizzano sempre insieme creando un fenomeno di "compensazione" che confonde e consente a tutti di sostenere la propria tesi.

22. Tuttavia, da quanto ho detto un consiglio resta fermo: evitare le politiche fiscali, servono solo alla politica. Al limite lasciarle come ultima spiaggia.

23. Far fuori le politiche fiscali significa far fuori Keynes, e in effetti i keynesiani rimasti su piazza sono ben pochi, di solito sono politici travestiti da economisti. Molti ex-keynesiani sono rimasti credibili trasformandosi in neo-keynesiani e puntando su un ruolo attivo della banca centrale, il che, come abbiamo visto, è più che ragionevole per affrontare le CD.

22. IMO: l’Italia è in una CO.

venerdì 11 aprile 2014

Macromemoir

Arnold Kling dice la sua sulla crisi.

Origini: il capitalismo crea innovazione e l' innovazione richiede aggiustamenti e distruzione del vecchio. In questa fase le crisi mordono, specie nei paesi poco dinamici.

Rimedi.

Politica fiscale: porta sollievo temporaneo ma non aiuta al raggiungimento dei nuovi modelli strutturali. Anzi, acuisce le distorsioni della sruttura e trascina le crisi indefinitivamente.

Politica monetaria: la Fed puo' poco. I mercati, oggi molto più grandi, neutralizzano la sua politica espansiva. PY=MV. Se l' aumento di M si traduce in una diminuzione di V, allora è tutto vano. Le aspettative inflazionistiche sono quindi indeterminate. L' inflazione non è una funzione continua nelle aspettative ma discontinua: iperinflazione, business as usual, stagflazione...

Sintesi: la politica fiscale prolunga le crisi, quella monetaria puo' alleviare ma non risolve.

Cosa serve?

Dinamismo dell' economia: legislazione pro business e flessibilità del mercato del lavoro.

Il nume tutelare di questa visione?: Schumpeter.

lunedì 20 maggio 2013

Primo maggio di lotta e di governo

il nemico pubblico numero uno è comune: la disoccupazione.
Comune a sindacati, confindustria e governo.
Comune anche l’ arma scelta per aggredirlo: meno tasse sul lavoro.
Questa comunità d’ intenti ci rassicura sulla ritrovata coesione delle forze sociali nel far ripartire la “macchina”.
Ma è anche sospetta: tutti usano le stesse parole ma siamo sicuri che dicano la stessa cosa?
lavoro
Bonanni, noto sindacalista:
… bisogna ripartire dal lavoro, non dobbiamo colpirlo ma agevolarlo… meno tasse… è necessario che al lavoratore restino in mano più risorse da spendere per i suoi bisogni… buste paga più gonfie per ripartire con il lavoro…
Siamo sicuri che Bonanni o la Camusso abbiano in mente i disoccupati?
Se penso a un sindacalista preoccupato della disoccupazione mi vengono in mente le volpi a cui si affidano le chiavi del pollaio.
Mi dite quanti disoccupati troveranno lavoro se gli sgravi fiscali beneficiano il lavoratore?
Probabilmente zero: perché dovrei assumere un nuovo lavoratore se per me il costo del lavoro non cambia?
Con buste paga più gonfie, forse qualcuno che prima non lavorava deciderà di farlo, ma nessun disoccupato verrà riassorbito. In gergo si dice che l’ occupazione aumenta ma la disoccupazione resta stabile.
***
Solo una riduzione fiscale a beneficio dei datori di lavoro colpisce la disoccupazione.
E quali sono le tasse "a carico” esclusivo dei datori di lavoro?
Difficile dirlo, di certo l’ Irap ha più chance dell’ Irpef sugli stipendi, ma Bonanni e la Camusso si guardano bene dal parlare dell’ Irap.
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Qualcuno dice: ma buste paga più gonfie rilanciano la domanda!
Sempre che “rilanciare la domanda” non sia poi quel fuoco di paglia che non scalda nessuno, bisognerebbe capire se le risorse destinate a “gonfiare” quelle buste paga sono dirottate  da risparmi improduttivi.
Ebbene, a parità d' indebitamento, in genere sono risorse destinate a spese alternative, quindi avrebbero “rilanciato la domanda” in modo altrettanto dinamico.
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Qualcuno tra i miei amici “di destra” dice che chi non lavora e si lamenta quasi sempre è un “falso disoccupato”, un “disoccupato volontario” (è tale solo perché sceglie di esserlo).
Non dobbiamo preoccuparci troppo di loro, e, in ogni caso, gonfiare le buste paga è utile per combattere il fenomeno della falsa disoccupazione.
Se sono disoccupato perché non trovo un lavoro da astronauta, quando gli operai verranno pagati di più, accetterò mio malgrado di fare l’ operaio togliendomi dall’ esercito dei disoccupati e cessando così di fare lo “schizzinoso”.
Se ero disoccupato solo per il fatto che il lavoro non mi è offerto nella mia città, forse una busta paga più pingue puo’ aiutarmi.
Se ero disoccupato perché il sussidio di disoccupazione è tanto comodo, forse una busta paga più pingue puo’ convincermi a cambiare idea.
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Io penso invece che gran parte della disoccupazione sia autentica.
La disoccupazione è molto dolorosa, difficile sia volontaria. Le ricerche sulla felicità delle persone sono abbastanza convincenti.
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Se la disoccupazione è autentica, ovvero involontaria, va affrontata con i soliti ferri del mestiere, in particolare penso alla legge di domanda e offerta.
La legge ci dice che, in presenza di un eccesso di offerta, il prezzo della merce deve scendere affinché l' eccesso sia riassorbito.
Ma il mercato del lavoro sembra restio ad accettare questa legge: esiste una rigidità dei salari nominali verso il basso. E’ stato Keynes il primo economista ad accorgersene.
I Keynesiani sembrano rassegnarsi al fenomeno: i salari non possono scendere, punto e basta.
Il sospetto è che, essendo i keynesiani ideologicamente a sinistra dello spettro politico, il retro-pensiero sia: i salari non devono scendere.
Una volta mischiati per benino positivo e normativo, i keynesiani si dedicano a battere vie improbabili.
A destra invece non esistono remore del genere e si studia con fervore il modo di abbattere i salari affinché il mercato del lavoro funzioni esattamente come gli altri.
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Come far scendere i salari nominali e riassorbire la disoccupazione?
Ci sono alcune ricette “di destra” dalla logica inattaccabile: meno regole, meno diritti sindacali, meno salario minimo, meno…
Meno di tutto cio’ e la disoccupazione riceverà un colpo mortale. Capite bene come mai Bonanni o la Camusso non saranno mai nemici mortali della disoccupazione.
Il funzionamento del mercato è in gran parte inquinato da queste incrostazioni che generano disoccupati a go-go.
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Ma c’ è anche un’ alternativa che a destra non si prende mai in considerazione: più inflazione.
In periodi recessivi l’ inflazione è spesso il modo più efficace per diminuire i salari reali quando quelli nominali sono rigidi.
Poiché l’ imprenditore è in grado di adeguare i suoi prezzi al costo della vita, l’ inflazione diminuirà il costo reale del lavoro riassorbendo le eccedenze, proprio cio’ che la destra vuole.
In passato qualcuno ha definito l’ inflazione come una tassa, da qui il paradosso: più lavoro con più tasse sul lavoro.
La tassa che ho in mente è naturalmente l’ inflazione.
I miei amici di destra sono preoccupati: ma che c’ entra l’ inflazione con il libero mercato?
Dimenticano che esiste una Banca Centrale.
Chiedo loro: che c’ entra la Banca Centrale con il libero mercato?
Forse che una politica della banca centrale tesa a targetizzare il tasso d’ interesse a breve è più “pro-market”? Oppure lo è una politica che stabilizza la crescita di M2? Oppure lo è una politica che congela la base monetaria?
Secondo me la politica della Banca Centrale più “pro market” è quella che stabilizza il PIL nominale, e in periodi recessivi questo significa solo una cosa: più inflazione. Da cio' derivano salari reali più bassi, quindi più lavoro e più crescita.