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venerdì 2 marzo 2018

A cosa servono le favole

A cosa servono le favole?
A generare e diffondere cultura.
Both religion and fiction serve to reassure our associates that we will be nice. In addition to letting us show we can do hard things, and that we are tied to associates by doing the same things, religious beliefs show we expect the not nice to be punished by supernatural powers, and our favorite fi...
OVERCOMINGBIAS.COM

lunedì 14 novembre 2011

Pensar narrando

Da Paolini a Lucarelli, raccontare la realtà avvalendosi della “fabula” è pratica invalsa. Vanno di moda le inchieste con suspence, la Gabanelli miete ascolti.
Ma attenzione, questo metodo espunge a viva forza dalla realtà il suo tratto più tipico: il “casino”!
La realtà non si rispecchia nella melodia filante del racconto, assomiglia piuttosto a un contrappunto.
Il “casino” è un sabotaggio al racconto, un affronto alla teatralizzazione. Il casino non è compatibile con le “storie”, eppure è essenziale per capire:
…we should be suspicious of stories. We’re biologically programmed to respond to them. They contain a lot of information. They have social power. They connect us to other people. So they’re like a kind of candy that we’re fed when we consume political information, when we read novels. When we read nonfiction books, we’re really being fed stories.
…So what are the problems of relying too heavily on stories? You view your life like “this” instead of the mess that it is or it ought to be.
…narratives tend to be too simple. The point of a narrative is to strip it way, not just into 18 minutes, but most narratives you could present in a sentence or two. So when you strip away detail, you tend to tell stories in terms of good vs. evil, whether it’s a story about your own life or a story about politics.
…As a simple rule of thumb, just imagine every time you’re telling a good vs. evil story, you’re basically lowering your IQ by ten points or more. If you just adopt that as a kind of inner mental habit, it’s, in my view, one way to get a lot smarter pretty quickly…
Another set of stories that are popular - if you know Oliver Stone movies or Michael Moore movies [… o un’ inchiesta della Gabanelli?…]. You can't make a movie and say, "It was all a big accident." No, it has to be a conspiracy, people plotting together, because a story is about intention. A story is not about spontaneous order or complex human institutions which are the product of human action but not of human design. No, a story is about evil people plotting together. So you hear stories about plots, or even stories about good people plotting things together, just like when you're watching movies. This, again, is reason to be suspicious…… leggi tutto.



Silviu Szekely

mercoledì 3 agosto 2011

Cronisti declamanti

Filippo La Porta – Meno letteratura, per favore! – Bollati Boringhieri
Filippo La Porta alza anche in nostra vece un lamento sacrosanto.
Capita spesso anche a lui: quando legge un giornale, anziché essere messo al corrente della dinamica dei fatti, s’ imbatte puntualmente in giornalisti con l’ ambizione di “raccontare una storia”.
Tutti si immaginano letterati in erba e smaniano per “raccontare una storia”.
Redarguiti rispondono che in caso contrario il messaggio “non passa”, “non buca”.
Eppure, quando votiamo un amministratore cittadino vorremmo tanto sapere se migliorerà l’ illuminazione della nostra via, non desideriamo essere affascinati dalle sue “narrazioni” o essere sbigottiti da metafore particolarmente creative.
Nulla da fare, ormai preda delle muse ecco il nostro Caudillo di provincia circondato da microfoni che si accinge a declamare il suo programma elettorale.
L’ anelito artistico si annida ovunque e dubbi capolavori ci vengono sbattuti in faccia ogni volta che giriamo un angolo o una pagina.
In questo senso la “letteratura” si è presa una beffarda rivincita: impazza sul web, alimenta la chiacchiera e non c’ è disciplina che sia esente da una patina letteraria di dubbio valore.
La conclusione è d’ obbligo:
… vorrei sommessamente chiedere ai miei connazionali: meno letteratura, per favore!…
Lo capisco e sottoscrivo.
Per anni la stampa sportiva, che compulsavo avidamente al bar, è sembrata una tribuna per poeti macilenti alla ricerca estenuata del phatos. In questo senso un mirabile logoteta come Gianni Brera ha fatto parecchi danni.
Volendo fare nomi e cognomi dei maggiori responsabili avanzerei quello di Gianni Mura, senz’ altro un buon rappresentante dell’ insulsa deriva.
Rappresentante ma anche teorizzatore, perché il tutto non avveniva certo in sordina: si intendeva di proposito ricondurre l’ evento sportivo a racconto epico/moralistico.
Detto questo non dimentico che “la palla è rotonda” e che anche il più freddo razionalizzatore, quando riferisce della vicenda umana, si trasforma giocoforza in un raccontatore di fiabe.
Tutti siamo d’ accordo che Ariel Rubinstein sia un genietto dei nostri tempi? E allora lascio che sia lui a esprimere il concetto in modo adamantino:
As economic theorists, we organize our thoughts using what we call models.
The word “model” sounds more scientific than “fable” or “fairy tale” although I do not see much difference between them. The author of a fable draws a parallel to a situation in real life. He has some moral he wishes to impart to the reader. The fable is an imaginary situation that is somewhere between fantasy and reality. Any fable can be dismissed as being unrealistic or simplistic, but this is also the fable’s advantage. Being something between fantasy and reality, a fable is free of extraneous details and annoying diversions. In this unencumbered state, we can clearly discern what cannot always be seen in the real world. On our return to reality, we are in possession of some sound advice or a relevant argument that can be used in the real world. We do exactly the same thing in economic theory. A good model in economic theory, like a good fable, identifies a number of themes and elucidates them We perform thought exercises that are only loosely connected to reality and that have been stripped of most of their real-life characteristics. However, in a good model, as in a good fable, something significant remains.
Like us, the teller of fables confronts the dilemma of absurd conclusions,
because the logic of his story may also lead to absurd conclusions.
Like us, the teller of fables confronts the dilemma of response to evidence. He wants to maintain a connection between his fable and what he observes; there is a fine line between an amusing fantasy and a fable with a message.
Like us, the teller of fables is frustrated by the dilemma of fableless regularity when he realizes that sometimes his fables are not needed to obtain insightful observations.
Like us, the teller of fables confronts the dilemma of relevance. He wants to influence the world, but knows that his fable is only a theoretical argument.
As in the case of fables, absurd conclusions reveal contexts in which the model produces unreasonable results, but this may not necessarily make the model uninteresting.
As in the case of fables, models in economic theory are derived from observations of the real world, but are not meant to be testable.
As in the case of fables, models have limited scope.
As in the case of a good fable, a good model can have an enormous influence on the real world, not by providing advice or by predicting the future, but rather by influencing culture.
Yes, I do think we are simply the tellers of fables, but is that not wonderful.

sabato 2 luglio 2011

Condannati alla difesa?

Credere nella religione tradizionale africana equivaleva a giocare sempre in difesa. Non c’ era una dottrina a cui appellarsi; c’ era soltanto il sentimento del valore dei costumi antichi, della sacralità della terra natale. Assomigliava, in dimensioni ridotte, al conflitto in atto tra cristianesimo e paganesimo nel quarto e quinto secolo, all’ epoca della conversione del mondo classico. Il paganesimo non poteva diventare una Causa. In favore dei vecchi dèi e dei loro templi si poteva al massimo dire che esistevano da sempre e che avevano reso un buon servizio all’ umanità. Il cristianesimo, per contro, poggiava su un fondamento filosofico e poteva essere spiegato. La religione tradizionale africana non aveva dogmi; si esprimeva nelle sue pratiche e in cose come i cento amuleti che gli stregoni offrirono a Meutsa I prima della battaglia navale con i Wavuma.
V.S. Naipaul
All’ epoca in cui la squadra del cristianesimo mieteva trofei ovunque, era trascinata all’ attacco da un centravanti di peso – la ragione.
La ragione affiancava al sentimento una solida dottrina. La ragione collegava la Causa con l’ Effetto, la ragione procurava uno stabile fondamento filosofico.
Con questa punta di diamante tutto era possibile e il cristianesimo conquistò la coppa del mondo. Le sue coorti atteggiate a testuggine sfondavano le linee nemiche facendo volare per aria le bancarelle zeppe di amuleti.
La strategia – ora… da qualche secolo - è quella di svendere il nostro bomber rassegnandoci al catenaccio.
Certo, è una testa calda, a volte crea problemi nello spogliatoio, ma una volta venduto perderemo per sempre l’ occasione di disciplinarlo.
[… se ci mutiliamo della ragione come potremo denunciarne gli abusi?…]
Non trovate che sia esagerato confinare il ragionamento sulla fede ad esperienza adolescenziale che evapora una volta che al liceo s’ incontrano Marx, Freud e Nietzsche?
Si finisce per sedimentare istinti che posti davanti ad una pretesa “conoscenza” fanno scattare il deleterio riflesso di bollarla a prescindere come strumento di potere e causa di superbia.
Su questa via l’ intelligenza si degradata passando da dinamico trapezio in grado di proiettarci nelle  braccia di un altrettanto dinamico catcher a trampolino rabberciato che ci slancia all’ insù verso il nulla quando va bene, all’ ingiù verso il lastrico di una piscina prosciugata quando va male.
Leggendo il libro di Valter Binaghi e Giulio Mozzi10 buoni motivi per essere cattolici, mi sembra però di cogliere un certo fervore per il cambio di strategia.
I due blogger cattolici puntano molto sulla bellezza del racconto evangelico.
L’ atto di fede sembra essere innanzitutto l’ adesione a narrazioni meravigliose ed appaganti. Il cattolicesimo come bella immaginazione.
C’ è la favola triste della cacciata dall’ Eden e c’ è la favola terribile del diluvio universale. Poi ce ne sono molte altre di fattura altrettanto pregevole. Rapiti da questo fascino, sorvoliamo con naturalezza sulle incongruenze.
Ok, mi viene da dire, ma mentre nelle favole accadono tante cose prodigiose che c’ incantano, cosa succede nella realtà?
Rinunciando al nostro centravanti diventa difficile giocare partite del genere.
Non per questo, secondo gli autori, la voglia di dirsi cattolici scema; al contrario, monta perché… la storia della creazione è avvincente e aspettare la fine del mondo mantiene alta la tensione umana.
Perché la vicenda di Gesù è un’ appassionante storia d’ amore con un unico comandamento: ama!
Dubbio (mio): siamo sicuri però che l’ amore mondano sia svincolato dal fare il bene? E che il fare il bene nel mondo implichi anche una riflessione operativa e un calcolo? E’ da escludersi che l’ intenzione lastricherà mai alcuna via diretta all’ inferno?
[chi se lo ricorda?: L' enigma di San Francesco. Cristianesimo, Povertà e Teologia della Liberazione. … se il link non funziona, citofonare diana]
L’ apologetico duo prosegue con la delicata faccenda dell’ incarnazione.
L’ attacco è quanto mai appropriato: Gesù non è un supereroe.
[youtube http://www.youtube.com/watch?v=NWRrL2YJbLM]

Nel suo tran tran sboccia cio’ che ha di meraviglioso la banalità dell’ umano.
Puo’ farlo grazie alla normalità di Gesù, grazie alla vita appartata condotta fino alla soglia estrema del "gran finale", grazie al Gesù figlio di un piccolo imprenditore che impara un mestiere sul bancone del falegname pestandosi le dita con il martello. Un bravo ragazzo che sbaglia, soffre, inciampa, si rialza… e sempre in compagnia.
Peccato che, chiamati al passo successivo, ovvero a riconoscere il banale umano che tutti i giorni affonda i suoi gomiti nei nostri fianchi, anziché simpatizzare e intenerirsi per le mille manchevolezze che lo affliggono, si preferisce esorcizzarlo dipingendo lo sprezzante quadretto di una piccola borghesia dietro la cui maschera si occultano mille meschinità riprovevoli.
Altra riserva mi permetto di porla sul sospetto gettato di continuo verso ogni forma di umana organizzazione esteriore di chi vive la fede (nel mirino è la Chiesa istituzionale).
Operazione che stride con l’ omaggio alla carne.
Cosa significa organizzarsi se non far campare la carne? Non è un caso se persino il corpo puo’ essere sommariamente descritto come un’ organizzazione naturale.
Una volta accettata l’ incarnazione e l’ uomo-dio, la forma non puo’ più essere del tutto bandita nel discorso sulla fede. Ostinarsi a farlo segnala un’ ostia mal trangugiata.
Passiamo alla Grazia.
Nell’ atto di fede la Grazia gioca un ruolo decisivo, ok. La cosa è ben sottolineata.
Ma insistere nello svilire l’ azione dell’ intelligenza e della psicologia in queste faccende, deprezza quanto di umano c’ è in quell’ atto. Per evitare un simile rischio si potrebbe far notare come tutti i giorni ognuno di noi, indipendentemente dalle sue affiliazioni, compia atti di fede formalmente simili a quello cattolico senza che intervenga alcuna grazia. Basta il senso comune!
In altri termini, qualsiasi uomo ha dimestichezza con l’ atto di fede, qualsiasi uomo esperisce ogni giorno il naturale legame che quell’ atto intrattiene con la ragione. Questo Signor Qualsiasi potrebbe essere disorientato se ci impuntiamo su un desertificante monopolio da conferire alla Grazia.
Chiudo.
Narrazioni, immaginario, favole, bellezza…
E il vero, che fine ha fatto? Così come il reale, sembra defilarsi un po’ troppo in questo resoconto.
Il nostro centravanti non c’ è più, e forse questo incide sulla reticenza.
Come si lega la bellezza al vero?  A quanto pare non grazie alla naturalezza visto che “il pensiero naturale non ci serve a nulla”. Una pratica cruciale resta dunque in buona parte inevasa.
Possiamo davvero lasciare tutto slegato e puntare una posta tanto elevata sull’ appagamento estetico?
Mmmmmmmmmm.
Ho paura che chiudendosi in difesa prima o poi un gol lo becchiamo.
love link
Come al solito l’ entusiasmo con cui si obietta prende la mano, e alla fine il quadretto fornito è orribilmente deforme.
Non ci sono, infatti, solo perplessità. Tutt’ altro.
Dapprima fatemi notare come i coautori ci tengano a distinguere i loro testi. Chissà, forse la scelta non dipende solo dall’ irriducibile differenza stilistica (leggiadro quello di Mozzi, puntuale quello di Binaghi).
Sta di fatto che in alcune pagine più che in altre, non posso negarlo, agiscono potenti anticorpi in grado di opporsi virilmente alle derive paventate. Basti pensare a quando si parla del cristianesimo come mito compatibile con teologia e scienza, o quando si depreca l’ inane sociologismo che riconduce il male alla cattiveria, o alla brillante e interamente condivisibile tirata contro Mancuso e il Modernismo.
Dici poco!