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lunedì 18 dicembre 2017

Ha ah ah…

Ha ah ah…

Sono convinto che la maggior parte degli illustri filosofi che ha scritto trattati sul riso e sul comico non ha mai visto un bambino ridere
Max Eastman
L’uomo è proprio una bestia strana, ogni tanto erutta una sequela di asmatici singulti ritmici e di grugniti sincopati volti a segnalare un picco di piacere. Contorce poi in modo spasmodico la sua faccia deformandola e ansimando quasi fosse in preda all’ angoscia.
Non è angosciato. Sta ridendo.
Il riso è in lui un comportamento innato e inconsapevole.
Impariamo a ridere ben prima di imparare a parlare o a cantare.
In tutte le culture il riso si presenta con modalità molto simili e le “traduzioni” non servono.
Il riso è un atto involontario: il cervello si mette in azione da solo. Un po’ come il respirare.
Anche se lo pratichiamo di continuo, qualsiasi sia la funzione del riso noi non la conosciamo intuitivamente, dobbiamostudiarla.
In questo senso le speculazioni abbondano: Platone, Aristotele, Cartesio, Darwin… tutti hanno detto la loro.Sbagliando!
Molti – specie gli antichi – hanno creduto alla teoria della superiorità: il riso come forma di derisione dall’alto in basso. Un modo per sentirsi superiori.
E il solletico?
E come si spiega poi che noi non ridiamo affatto quando incontriamo chi ci chiede l’elemosina?
Per Freud ridiamo per scaricare una tensione nervosa che si accumula nel cervello. Ma l’energia nervosa di cui parla Freud non sembra esistere. Nel nostro cervello non esistono processi “idraulici”. Taluni ormoni, per esempio il cortisolo, potrebbero essere un equivalente a cio’ che un tempo si chiamava “energia nervosa”, sia come sia le risate non dissipano affatto queste presenze.
Per Kant e Schopenhauer ridiamo quando le nostre attese sono violate. Ma perché dovremmo produrre suoni? Perché poi la risata è utilizzata socialmente?
Robert Provine è forse lo studioso contemporaneo che è andato più a fondo del problema.
E’ partito da alcune osservazioni empiriche.
Primo, noi ridiamo in compagnia, quasi mai da soli. E’ il motivo per cui alla TV le risate sono preregistrate.
Secondo, la risata è una vocalizzazione, un suono. In questo senso è una forma di comunicazione.
Terzo, chi parla ride molto di più di chi ascolta (50% in più). Si tratta quindi di una forma di comunicazione attiva.
Da queste semplici osservazioni ne ricaviamo che il riso non sembra affatto una reazione psicologica, bensì un messaggio.
La mamma tocca il suo bambino che sorride. Lo tocca ancora e lui ride sempre di più. Tra i due si è instaurata una comunicazione. Con un estraneo le cose sarebbero andate diversamente.
Anche altri animali ridono: tutte le grandi scimmie, per esempio. Più le specie sono geneticamente simili, più le loro risa si presentano simili.
***
La risata segna i confini tra gioco e serietà. Questo è quanto ci dice la scienza oggi.
Se rido e poi faccio una faccia terribile, il bambino riderà. Ma senza la risata inaugurale la reazione sarebbe stata ben diversa.
Riso e gioco sono inseparabili.
Il gioco ci serve ad esplorare il mondo, e la risata segnala che siamo in questa fase.
Il gioco è un’attività senza scopo (diretto), un’oasi che il riso contrassegna e presidia.
Noi giochiamo anche da soli ma ridiamo solo in presenza degli altri, poiché solo in questo caso dobbiamo comunicare la nostra volontà di giocare.
Nelle altre specie la risata è sostituita da altri comportamenti: il cane tende le zampe anteriori in modo parallelo alzando il didietro. Alcune scimmie spalancano la bocca in modo scomposto, altri animali si agitano compiendo movimenti esagerati e non necessari.
Noi sorridiamo, ridiamo, ci agitiamo in modo scomposto, facciamo facce, emettiamo versi acuti.
A volte ridiamo per avvisare: il bambino colpisce il suo pari e poi ride.
A volte ridiamo per rassicurarci: se un bimbo ci colpisce ridiamo per capire se lo fa per gioco.
Quando il confine del gioco è certo ridiamo meno: non si ride giocando a Monopoli o ad altri giochi da tavolo con regole chiare.
C’è risata solo quando c’è un qualche pericolo: un doppio senso fa ridere se è su una materia delicata, per esempio il sesso.
Il cattivo umorismo spesso si caratterizza per essere “troppo” innocuo.
La prima volta che ho sparato con il fucile il rinculo è stato tremendo. Ho reagito ridendo un po’ istericamente. Sono cresciuto in una cultura dove non si spara, dove pensare alle armi induceva pensieri di morte e di tragedia. Forse con la mia risata volevo scacciare i demoni e dire  “tutto bene, tutto tranquillo”.
Se vostra mamma inciampa e cade a terra, lei sarà la prima a ridere. Non potete essere voi a farlo per primi – anche se vi rendete conto subito che è illesa – poiché far scadere a gioco una realtà che potrebbe essere seria non vi verrebbe perdonato.
Gli umoristi sono dei virtuosi del riso. E’ un po’ come se si sfidassero ad indurlo legandosi le mani con dei vincoli ben precisi.
Innanzitutto, si avvalgono di astrazioni come le parole o le immagini, non vi faranno mai il solletico!
In secondo luogo, emetteranno pochi segnali espliciti: per esempio non rideranno mai.
Il riso, avendo una funzione sociale, è contagioso: a risata corrisponde risata in segno di intesa. Ebbene, l’umorista non userà mai il trucchetto del contagio per indurre al riso.
L’umorista crea un mood, una connessione particolare con il suo pubblico. La connessione punta alla serietà per virare senza preavviso verso la comicità.
Segnare il confine tra gioco e serietà in modo “invisibile” è un virtuosismo in cui gli umoristi sono maestri. Per questo l’umorismo varia da cultura a cultura, perché si avvale di sfumature.
***
Ma l’ironia ha un suo lato oscuro.
La risata è un atto involontario, e questo ci rende “trasparenti”. In un certo senso abbiamo ragione di temerla.
Inoltre, se uno non studia la scienza della risata non ha ben chiare le funzioni del riso. Ma questa ignoranza, abbinata con l’involontarietà del gesto, puo’ essere strategica nelle relazioni sociali.
Le risate che facciamo consentono agli altri di investigare su di noi, sui nostri valori, sulle nostre relazioni sociali. Ma spesso noi non vogliamo affatto essere “investigati”. In questo senso la risata è nemica della privacy.
Innanzitutto il riso ci dice che considerazione abbiamo di talune  norme sociali.
I ragazzi ridono molto mentre prendono in giro una vittima. Da adulti si diventa più moderati e attenti a non violare le convenzioni. Alcune goffe violazioni ci esporrebbero a forme di ritorsione. Possiamo andare incontro a disapprovazione, censura e boicottaggio.
D’altronde, come dicevamo, l’ironia senza pericolo ha poco senso. Questo perché l’ironia serve ad “esplorare”. L’equilibrio è sottile e bisogna tener presente anche il lato oscuro.
I bambini ridono molto della cacca e dei peti, questo perché intuiscono che la materia è delicata e va indagata, sebbene con le dovute precauzioni.
Ma il concetto è generale: la situazione di pericolo è essenziale per produrre un effetto comico. L’ironia ci consente di parlarne potendo ritirarci in qualsiasi istante.
Esempio:
Io: come lo chiameresti un nero che guida un aereo?
Tu: … non lo so…
Io: Pilota! Che cosa pensavi, razzista!
Essere razzisti è socialmente proibito, ma esserlo in modo sottile ed ironico diventa accettabile.
Il confine è labile poiché non tutti condividiamo le medesime norme sociali, come sanno quelli di Charlie Hebdo. Tuttavia, pericolo e ironia sono inscindibili.
Se noi ridiamo di qualcosa, non abbiamo una grande considerazione di quella cosa, e questa potrebbe essere un’informazione sensibile da non far trapelare. Ma poiché 1) la risata è involontaria e 2) non sappiamo bene cosa segnala, le nostre difese diventano più vulnerabili.
Ridere è un po’ come mettersi a nudo. Ridendo, il nostro cervello rivela a tutti i nostri sentimenti più intimi.
Esplorare o preservare la nostra privacy? Privilegiare i benefici o il lato oscuro dell’ironia?
Ridere rivela anche una certa distanza psicologica dal soggetto del nostro riso.
Un incidente puo’ farci ridere, a patto non ci freghi nulla di chi lo subisce.
Mel Brooks diceva che la tragedia si realizza quando mi taglio il dito, la comicità quando tu cadi nel canale di scolo e crepi.
In una puntata di South Park ci si chiedeva quanto tempo dovesse ancora passare per fare battute sull’ AIDS. la distanza rilevante è anche temporale. La commedia è tragedia + tempo, diceva qualcuno.
Sul web c’è il sito dei Darwin Award che documenta le morti più stupide. Le vittime sono, e non potrebbero che essere, perfetti sconosciuti.
Si scherza amabilmente sugli stupri carcerari: “quando fai la doccia occhio se cade il sapone!”. Ovviamente lo fa solo chi è molto distante da quelle realtà.
Segnalare la propria distanza psicologica puo’ essere pericoloso, puo’ escluderci dalla compagnia. L’involontarietà della risata ci espone anche a questo ulteriore pericolo.
***
Ridere è essenzialmente pericoloso, ma non potrebbe essere altrimenti. Il riso ci serve per calibrare i vari confini sociali. Si tratta di un atto delicato che comporta continue correzioni, e solo i messaggi ironici sono correggibili.
Pensate solo alla vostra educazione sessuale. In genere vi è stata impartita dai vostri amici – o dagli adulti – a suon di battute. Perché? Perché si tratta di argomento pericoloso.
La funzione esploratoria dell’ironia puo’ essere estremamente fruttuosa, e non esiste strumento più appropriato.
Su certi argomenti il linguaggio canonico è troppo preciso, troppo perentorio, ci inchioda al già detto. In questi casi soccorre l’ironia, con la sua vaghezza, i suoi doppi sensi, la sua ritrattabilità.
Se qualcuno si offende per una nostra uscita ironica possiamo sempre replicare: “ma dài, e ridi un po’…”. La maggior parte dei terzi sarà subito dalla nostra parte. Ne uscirete illesi e con molte informazioni in più.
Il rapporto tra verità e ironia è quindi duplice: da un lato, molto spesso, la verità puo’ essere comunicata solo avvalendosi del registro ironico. Dall’altro, l’ironia è onesta: si ride involontariamente. La risata forzata si smaschera facilmente. In risu veritas, diceva james Joyce.
Risultati immagini per www.thisiscolossal.com laughter

lunedì 22 giugno 2015

Una teoria del cazzeggio

L'uomo, come  molte altre specie animali, dedica molto tempo al gioco, ovvero ad un'attività in cui, in un ambiente sicuro, impara a muoversi nel rispetto di regole date. E’ un allenamento quanto mai prezioso per affrontare preparati la vita adulta, ovvero quella che si svolgerà all’esterno del “recinto sicuro”.
Ora, si può giocare a scacchi, a nascondino ma si può anche “giocare a parlare", ovvero a cazzeggiare.
Il cazzeggiatore dimostra di dominare le regole del linguaggio e per lo più a questo fine si cimenta su tematiche poco serie.
Tuttavia, capita spesso - spessissimo - che eserciti le sue abilità acrobatiche su argomenti seri, e qui la funzione del gioco cambia leggermente, in questi casi ci si allena a "violare" con classe una regola sociale prevalente.
Mi spiego meglio: cazzeggiando su argomenti "seri" si è autorizzati a dire cose che in un contesto serioso ci attirerebbero mille guai. In un certo senso si è sempre giustificati poichè possiamo sempre far passare per ottuso chi ci critica nel merito. Il critico, in questi casi, molto semplicemente “non capisce" l'aria di cazzeggio che pervade la conversazione in corso. Non c'arriva, è limitato, non è brillante (come noi cazzeggiatori).
L'abilità del cazzeggiatore consiste nel barcamenarsi tra i diversi livelli del linguaggio affinché l'opinione espressa sia sempre messo al riparo da ogni critica grazie alla produzione di un abile tono semiserio che pur facendo passare un messaggio squalifichi in anticipo ogni possibile obiezione. In questo modo puo' "partecipare al dibattito" restandone fuori.
L'umorismo è l'esito inevitabile del cazzeggio.
L'umorismo allena alla comunicazione indiretta, al messaggio obliquo, alla creazione di codici personali, alla creazione di un meta-linguaggio comprensibile solo agli “amici”. I “nemici”, quando intervengono nel merito per difendersi perché magari si sentono chiamati in causa, intervengono per definizione fuori luogo: dimostrano di non avere senso dell'umorismo.
nerd, per esempio, sono le classiche vittime degli umoristi: la  tendenza autistica conferisce loro un solo livello di comunicazione, un po’ come i robot, e ciò li rende facili prede di chi invece è abile nell'esprimersi su molteplici livelli.
Forse esagerando si puo' dire che l’umorismo è un residuo del dogmatismo passato. Se ieri chi criticava un dogma commetteva  peccato, oggi chi si attarda a criticare l'idea sottesa ad una "battuta" viene additato come “privo di senso dell'umorismo”, il che è la massima scomunica del nostro tempo. Cosicché nei talk show della TV capita spesso di vedere il povero politico beota di schieramento avverso a quello per cui simpatizza il conduttore costretto a primi piani col riso forzato mentre viene messo alla berlina dal “satiro” di turno ingaggiato dagli autori e fatto esibire a pochi metri da lui. In questa morra l'umorismo è sempre vincente e la capacità di infliggere danni asimmetrica.
Non voglio con questo dire che non esistano sedi dove “l’idea sottesa ad una battuta” non possa essere discussa apertamente e in modo serio, tuttavia il momento umoristico resta un limbo corazzato per definizione, impenetrabile ad ogni dissenso, monologante nella sua essenza. Proprio come i dogmi: criticarli si puo’, chi dice il contrario sbaglia, purché lo si faccia nelle sedi opportune. Per esempio nelle segrete stanze del Concistoro o dei tinelli di casa propria.
L'ipocrita è particolarmente simpatetico all'umorismo. E si capisce, il mondo della comunicazione polisemica, il mondo dalle mille uscite di sicurezza è l'acqua in cui nuota da sempre. Ed sono le stesse acque in cui si esercita l'umorista.
Nell’umorismo l’uomo si allena ed esibisce le sue potenzialità nel produrre ipocrisie (esercizio quanto mai fruttuoso allorché si tratterà di cavarsela nella "seria"). In entrambe le attività è preziosa la capacità di creare un linguaggio ellittico, multistrato, dove tutti i livelli si mescolino in modo apparentemente incongruo. Una matassa che solo gli adepti sanno sbrogliare. Dobbiamo saper tenere un discorso che in realtà sono più discorsi contemporanei con destinatari diversi.
Il riso è la palestra principale dove si allena l' Homo Hypocritus.
Siamo molto legati a chi ci fa ridere perchè sentiamo che con lui si apre un canale di comunicazione privilegiata fatta con un codice esclusivo, intimo. Con chi condivide il nostro senso dell’umorismo possiamo “cospirare” al sicuro. Vuoi far innamorare una donna? Falla ridere!
La buona fama del riso è recente, nella storia è sempre stato visto con sospetto dai moralisti; a partire da Aristotele per lo più lo si considerava prerogativa dell'arrogante, dello sprezzante, del superbo. Ridere in pubblico era esecrabile. Oggi invece viene invece  considerato un appannaggio del "simpatico". Perchè questa completa inversione di rotta? Forse oggi un bene come quello della "fiducia" è meno prezioso visto che lo garantisce dall’alto lo stato. L’umorismo, infatti, con le sue mille ambiguità, la sua mancanza di trasparenza, mette sempre a rischio la produzione comunitaria di fiducia reciproca.
Chiudo con il dato fondamentale delle ricerche sul riso: l'80% dei nostri sorrisi non si materializzano in contesti comici bensì in contesti socializzanti. Chi parla, per esempio, ride molto di più di chi ascolta (negli spettacoli comici avviene il contrario).  In sintesi: secondo Rod Martin il riso è in prima istanza una vocalizzazione socializzante (ricerca di complici) e non una reazione a situazioni comiche. Le donne ridono molto di più degli uomini (il 126% in più), si ritiene sia un segno di sottomissione; per contro gli uomini sono fonte di riso molto più delle donne, pensate solo a chi era il buffone della classe quando eravate al liceo.
P.S. Per approfondire rinvio alla tag "humor" del blog Overcoming Bias.
 P.S. Teorie alternative:
[youtube https://www.youtube.com/watch?v=bjWnJGGQYro]

Ammetto di non aver mai sentito il fascino delle teorie filosofiche legate al riso – da Aristotele a Bergson –, semmai ho trovato più convincenti quelle antropologico-evoluzioniste testate per quanto possibile sul campo.

Dalla mia ricognizione sembra
 allora che l’ipotesi più accreditata leghi a doppio filo l’umorismo con l’ipocrisia, l’esoterismo e la capacità di evadere talune norme sociali restando impuniti.

Mi spiego meglio, a quanto pare l’uomo è un essere che gioca, anche con le parole: anzi, in età adulta gioca prevalentemente con le parole e i pensieri. Possedere qualità umoristiche richiede un dominio inusitato sul linguaggio, nonché una particolare competenza sulle espressioni ambivalenti e allusive. Si tratta di doti preziose che vengono sempre buone. Un esempio: parlare contemporaneamente a Tizio e a Caio facendo passare messaggi differenti ai due destinatari - magari il primo per rabbonire un “guardiano” e il secondo per allearsi con un complice - puo’ essere una grande risorsa: la capacità di controllare le sfumature linguistiche, il saper stabilire piani differenti di comunicazione gioca in questo compito un ruolo decisivo. E guarda caso parliamo di competenze particolarmente allenate dall’uomo brillante e di spirito. Insomma, lo humor è senz’altro una risorsa sociale - noi ridiamo molto di più in contesti sociali che in contesti comici, inoltre chi parla ride mediamente di più di chi ascolta – ma non per questo è per definizione sempre cosa buona: ci si fa complici condividendo un codice anche per compiere misfatti.

Non c'è da sorprendersi se in passato i severi moralisti non avevano un grande concetto della comicità, e lo credo bene: la difficile quanto essenziale produzione di fiducia richiedeva a tutti un parlar chiaro ai limiti della piattezza, le allusioni imprecisate dell’ "umorista" erano malviste. Oggi la fiducia è prodotta invece da uno stato centralizzato che arriva ovunque con i suoi tentacoli coercitivi, e non a caso in un contesto del genere le facoltà tipiche dell’umorista sono state sdoganate fino ad un’ammirazione sconfinata.

Si dirà: va bene indagare sull’origine delle facoltà umoristiche ma questo che ci dice dell’oggi? Qualche residuo di questa origine poco nobile ancora lo sperimentiamo in un uso improprio dell'umorismo che però viene molto naturale, preciso: l'umorismo allena alla comunicazione indiretta, al messaggio obliquo, alla creazione di codici personali, alla creazione di un meta-linguaggio comprensibile solo agli “amici”. I “nemici”, quando intervengono nel merito per difendersi perché magari si sentono chiamati in causa, intervengono per definizione fuori luogo: hanno la coda di paglia, dimostrano di “non avere senso dell'umorismo”, una vera e propria bolla di scomunica nella società contemporanea. La sfumatura umoristica/ironica, in altri termini, ti mette al riparo da ogni critica: affermi tra le righe il tuo messaggio e chi ha da ridire è a priori un ottuso privo della capacità di “cogliere” lo spirito.

A questo punto c’è sempre chi richiama una distinzione tra ironia e umorismo. E’ utile farla? Forse, ma secondo me no: i due fenomeni sono senz’altro differenti ma anche molto correlati tra loro, il più delle volte laddove c’è umorismo, prima o poi salta fuori l’ironia, puoi scommetterci. Chesterton, tanto per dire, è un grande umorista ma quante stoccate riserva agli atei? Infinite. Dire che il mondo si divide tra “credenti” e “creduloni” è una raffinata e dolorosa bacchettata ai suoi nemici atei e la dobbiamo proprio a quel genio che sta alle scaturigini del suo sempre godibile umorismo.

Ho scritto un casino! Scusa, ora passo alla lettura. Grazie del link sul "nichilismo estetico".

mercoledì 10 giugno 2015

Robin Hanson su cazzeggio e umorismo

  1. L'uomo, come  altre specie animali, dedica molto tempo al gioco, ovvero ad un'attività in cui, in un ambiente sicuro si impara a muoversi nel rispetto di alcune regole.
  2. Si può giocare a scacchi, a nascondino ma si può anche giocare "a parlare", o a cazzeggiare. Il cazzeggiatore domina le regole del linguaggio e per lo più parla di cose poco serie. Ma può anche darsi che affronti argomenti seri e qui la funzione del gioco cambia leggermente: ci si esercita a dominare le regole per violare una regola, magari in modo benigno. Cazzeggiando su argomenti seri si è autorizzati a dire cose che non si possono dire in un contesto di serietà. In un certo senso si è sempre giustificati poichè possiamo far passare per ottuso chi ci critica poichè "non capisce" l'aria di cazzeggio della conversazione. L'abilità del cazzeggiatore consiste nel barcamenarsi tra i diversi livelli del linguaggio affinchè il messaggio espresso sia sempre messo al riparo da un abile tono semiserio.
  3. L'umorismo è l'esito inevitabile del cazzeggiatore. L'umorismo allena alla comunicazione indiretta, al messaggio obliquo, alla creazione di codici personali, a un livello di comunicazione  che sia comprensibile solo agli amici. I nemici, quando intervengono per difendersi, intervengono per definizione fuori luogo: dimostrano di non avere senso dell'umorismo. I nerd, per esempio, sono le classiche vittime degli umoristi: hanno un solo livello di comunicazione e ciò gli rende facili prede di chi invece è abile nell'esprimersi su più livelli. L'umorismo è un residuo del dogmatismo del passato. Se ieri chi criticava un dogma co metteva un peccato, oggi chi si attarda a criticare l'idea sottostante una battuta viene additato come privo di senso dell'umorismo, il che è la massima scomunica del nostro tempo.
  4. L'ipocrita invece è simpatetico all'umorismo. E si capisce, il mondo della comunicazione polisemica, il mondo dalle mille uscite di sicurezza è il suo regno. L'umorismo è un'attività in cui alleniamo ed esibiamo le nostre potenzialità di produrre ipocrisia, ovvero un linguaggio ellittico, multistrato, dove tutti i livelli si mescolano in modo apparentemente incongruo. Il riso è una caratteristica basilare dell' Homo Hipochritus.
  5. Siamo molto legati a chi ci fa ridere perchè sentiamo che con lui si apre una comunicazione privilegiata fatta con un codice esclusivo. L'umorismo ci allena per la ricerca di complici nella violazione benigna di norme.
  6. Storia del riso. Nella storia dell'umanità il riso è stato sempre visto con sospetto dai moralisti, un segno di arroganza, di disprezzo, di superiorità e di derisione. Oggi invece viene per lo più considerato con simpatia. Perchè? Forse oggi un bene come quello della fiducia è meno ricercato visto che lo garantisce lo stato. Il riso, infatti, con le sue mille ambiguità, mette sempre a rischio la produzione di fiducia trasparente.
  7. Alcuni dati delle ricerche sul riso. Il riso non è una reazione a situazioni comiche bensì una vocalizzazione socievole: l'80% delle nostre risate non avvengono in contesti comici ma in contesti socializzanti. Chi parla, per esempio, ride molto di più di chi ascolta. Le donne ridono molto di più degli uomini, si ritiene sia un segno di sottomissione. Gli uomini per contro sono fonte di riso molto più delle donne, pensate solo a chi era il buffone della classe quando eravate al liceo.