lunedì 6 maggio 2019
AVVISO (sessista) PER LE MAMME
martedì 28 giugno 2016
Il nido fa male ai bambini
Per loro e per il loro IQ molto meglio interagire con gli adulti a casa.
«i bambini che frequentano il nido in giovanissima età beneficiano di minori interazioni 1 a 1 con gli adulti. Queste interazioni - spiega lo studio - sono particolarmente rilevanti per lo sviluppo cognitivo dei primi anni di vita
Grazie al Nobel Jim Heckman sappiamo che i primi tre anni di vita sono fondamentali
Perché pare evidente come sia facile l’equazione: il bambino/a ha bisogno di rapporti diretti con un adulto, quindi le mamme restino a casa. Considerando che già oggi una donna su quattro lascia il lavoro quando diventa madre per le enormi difficoltà di tenere insieme vita familiare e lavorativa a causa dell’assenza di servizi (anche asili nido), il pericolo di un peggioramento delle chance di lavoro per le donne è dietro l’angolo. Ne è consapevole Ichino, che infatti dice: «L’equazione non solo è sbagliata ma anche controproducente per le donne, perché dà per scontato che siano loro a doversi occupare dei figli. Se non cambia la divisione dei compiti in famiglia, diventando più egualitaria, non saranno gli asili ad aiutare le donne. La parità va ottenuta in famiglia»
giovedì 16 aprile 2015
Donne cattoliche e donne femministe
Quello che non capisco: perché più asili e non più flessibilità sul lavoro e sui servizi all' infanzia?
A volte due problemi tendono a mescolarsi: quello della povertà e quello vero e proprio della conciliazione tra lavoro e maternità.
Leviamo di mezzo il primo, quello della povertà e immaginiamo un mondo perfettamente flessibile.
Ebbene, io, mamma lavoratrice, posso tappare tutti i buchi che crea la gestione di un figlio attraverso il baby sitting, in questo modo risolverò ogni problema.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma io considero un valore passare più tempo col bambino, voglio tempo per me e per noi due insieme, non mi basta "tappare i buchi".
Risposta: non c' è problema, paghi questo tuo valore rinunciando a parte del tuo stipendio (su un mercato flessibile questa operazione risulta semplice) e acquisti una porzione del tuo "valore" sul mercato.
Conclusione. grazie alla flessibilità è facile conciliare bimbi e lavoro, ognuno puo' farlo restando in linea con i valori che intende professare. Va da sé che alcuni valori saranno più costosi di altri, ma questo non ci sorprende, è sempre così.
I problemi potrebbero nascere una volta che introduciamo l' elemento povertà, ma a questo punto dobbiamo anche segnalare che cessiamo di occuparci di un problema come la "conciliazione bimbi/lavoro" per occuparci invece della "povertà" delle perone nella società contemporanea.
Domanda: se una persona non guadagna a sufficienza per permettersi una baby sitter tappa-buchi, perché mai dovrebbe pagarla in sua vece un' altra persona finanziando la realizzazione di "più asili"?
Se il lavoro della baby sitter vale di più del lavoro della "lavoratrice" allora quest' ultima potrebbe dedicarsi al primo. Farsi pagare da terzi per avere una baby sitter è una mera redistribuzione di reddito a cui si accede facendo un figlio, nulla ha a che vedere con la conciliazione tra lavoro e figli. E' è un po' come farsi pagare per avere un figlio. Io dico: "voglio fare un figlio, non posso permettermelo perché svolgo un lavoro a basso valore aggiunto e tu mi devi pagare il suo mantenimento".
Non so se sia molto etico farsi pagare per avere un figlio. Puo' darsi di sì, puo' darsi che i figli siano un diritto, che avere figli sia considerato un bene essenziale per il soggetto e che quindi debba essere fatto rientrare nel "reddito minimo" a cui accede ogni cittadino povero. Purché sia chiara una cosa: stiamo parlando di povertà (e quindi di reddito minimo), non di "conciliazione" tra maternità e lavoro, a quella, come chiarito, ci pensa la flessibilità: deregolamentazione dei contratti, deregolamentazione del babysitting, deregolamentazione degli asili...
giovedì 27 febbraio 2014
Does Pre-k Work? It Depends How Picky You Are
'via Blog this'
martedì 19 novembre 2013
martedì 17 settembre 2013
Asilo
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venerdì 24 maggio 2013
sabato 14 gennaio 2012
Amarsi ancora
Il linguaggio dei testi ciellini, sulla scorta del modello fornito da Don Giussani, è spesso animato da una tensione esistenziale immanente che a volte rischia di rendere il messaggio piuttosto criptico. Sarà che dovendo battere sempre sui medesimi tasti si cerca aiuto nella densità concettuale e nell’ intimismo spinto, forse per aggirare la pedanteria dottrinaria. In questo senso il Massimo Camisasca di Amarsi ancora è un’ eccezione poiché predilige uno stile scorrevole, piano, qua e là perfino naif.
Si vede che l’ obbiettivo primario è posto nel farsi comprendere e non nel prevenire obiezioni.
Il libro, in soldoni, è un’ apologia della famiglia a cui aderisco senza nemmeno ricorrere alla fede: la famiglia è il luogo privilegiato dove sperimentare l’ altruismo, un luogo prezioso da preservare con cura.
Dove mai potremmo ritrovare, infatti, qualcosa del genere?
Chiarisco meglio questo punto prendendo a termine di paragone una comunità concorrente: lo Stato-Nazione. Perché la Famiglia è superiore alla Nazione? I motivi sono essenzialmente due:
1. Il primo è evidente: in famiglia l’ altruismo è “naturale”. All’ interno dello Stato-Nazione è sempre posticcio (richiede pratiche coercitive per realizzarne una parvenza).
2. Il secondo è meno evidente: noi non riteniamo mai lecito adottare comportamenti criminosi per avvantaggiare i nostri figli. Nell’ ambito dello Stato-Nazione invece sì: ingaggiando una guerra, per esempio, sappiamo con certezza che uccideremo degli innocenti (comportamento di solito ritenuto criminoso) tuttavia accettiamo ugualmente la nozione di “guerra giusta”.
Il libro è una rivista leggera di topoi legati alla famiglia.
Dipendenza. La vita familiare la esalta. E’ cosa buona visto che, come diceva Chesterton: “coloro che hanno fiducia solo in se stessi stanno al manicomio”.
Prolificità. C’ è l’ esaltazione della famiglia numerosa: il mondo è dei prolifici, lo dice anche il freddo demografo. Musica per le orecchie di un natalista che sulla scia di Julian Simon vede i bambini come “the ultimate resource”. Musica con una nota stonata: chi esalta la forza della famiglia numerosa non puo’ nel paragrafo successivo denunciarne la debolezza chiedendo a gran voce che soccorra la stampella dei sussidi statali.
Genitori: il Padre “prende per mano” e introduce i figli al “rischio”. Affrontare il rischio richiede un calcolo razionale. La Madre introduce al “principio di precauzione” stendendo una rete. Entrambi i ruoli sono importanti: le rischiose piroette sono affrontate con più fiducia grazie alla rete, la rete non ha senso senza le piroette. Bella l’ armonia tra questa visione e le conclusioni della psicologia evolutiva più avanzata.
La preghiera. In famiglia è un dovere. La preghiera richiede silenzio e nell’ epoca della connessione continua “fare silenzio” diventa già di per sé un’ impresa meritoria. Altre raccomandazioni: alternare preghiere standard con preghiere personalizzate. In queste ultime inserire sempre qualche notizia di cronaca attinta dal giornale per dare vivacità e presenza sostanziale.
Dopo un litigio pregare sempre: è un modo per stare insieme in armonia senza la necessità di parlarsi direttamente, un modo per “sbollire”.
Fallimenti. Sono uno stimolo prezioso per:
1. guardare in faccia i nostri limiti e
2. non giudicare chi ci sta vicino.
Siamo limitati e siamo anche chiamati a non giudicare il nostro prossimo. C’ è forse qualcosa d’ altro che deve sapere un buon cristiano?
Fecondità. E’ difficile negarne il valore, anche per quanto detto prima.
Tuttavia non capisco bene gli insegnamenti impartiti in materia di contraccezione: quella naturale viene ammessa. Ma mentre il termine “naturale” mi appare appropriato quando lo uso come ho fatto all’ inizio, qui mi appare invece oscuro.
Aborto. E’ un misfatto: Camisasca chiama a testimonianza il peso che ogni donna che abortisce porta con sé per tutta la vita. Preferisco l’ argomento dello slippery slope.
Educazione. L’ atto educativo forma sia il bambino che il genitore: si sta – insieme - a tu per tu con la realtà. L’ adulto tende a dimenticare che esiste una realtà a lui esterna e da cui “dipende”, gli occhi del bimbo (l’ “uh!” della Marghe quando appare un gatto) glielo ricorda.
Ci siamo noi, la realtà ma anche il senso. Non si puo’ educare senza ricorrere a un discorso sensato. L’ educazione è sempre educazione al senso. Difficile motivare senza proporre un’ identità.
Scuola. A scuola le persone precedono nozioni e regole. A scuola, poi, si rafforza l’ amicizia, un sentimento che forma l’ individuo almeno quanto i rapporti familiari (e forse anche di più).
Società. La famiglia è tenuta ad entrare in una rete familiare, pena la sua morte per implosione. Gli oratori contribuiscono alla nascita del clan.
Insegnamento della fede. Non occorre aver compiuto studi speciali, basta l’ amore e l’ esempio: i bambini (più che ascoltare) ci guardano.
Mi fermo qui sebbene il libro continui affrontando argomenti interessanti come il fidanzamento, i beni nel matrimonio, la tecnologia educativa, l’ amore che muore, i nonni, l’ adozione, l’ affido ecc.
Fin qui la famiglia ideale di Camisasca. Ma la famiglia reale dei numeri?
A questo punto di solito attaccano le geremiadi e si comincia a parlare di declino, di egoismo, di gratificazione dell’ io.
Ma chi i numeri li sa maneggiare - per esempio Gianpiero Dalla Zuanna e Guglielmo Weber nel loro Cose da non credere – ci invita all’ ottimismo.
La famiglia è viva e vegeta (lo sanno soprattutto i pubblicitari), non solo, è più che mai di moda l’ innovazione introdotta dalla Famiglia Cristiana: l’ amore.
In questo senso non bisogna idealizzare troppo il passato, quando era “estesa” lo era per le condizioni economiche imposte dalla mezzadria, la famiglia dei braccianti in realtà era “nucleare” proprio come quella dei nostri condomini/alveare. Spesso non si andava oltre il contratto; oggi l’ affetto tra i coniugi è più sincero. Ci si separa di più anche perché non si sopporta che venga a mancare. Non solo: quando ci si separa c’ è sempre una reale sofferenza, altro che “festa di divorzio”. Certo, si convive molto di più, magari si fa il primo figlio fuori dal Matrimonio, ma in testa, alla fine, c’ è sempre quello, anche quando non ci si arriva.
L’ ideale rimane quello di una coppia che si ama per sempre. Il Matrimonio non ha certo perso il suo fascino, a esso ambiscono perfino gli omosessuali.
Oltretutto ancora oggi il matrimonio è una buona assicurazione contro la povertà.
Il legami familiari sono intensi come non mai, specie da noi: il fenomeno dei bamboccioni ne è un sintomo. E’ sempre esistito nei secoli e oggi si è esasperato solo perché le famiglie sono più ricche e possono garantire al bamboccione una vita agiata per più tempo.
Ma perché allora si fanno così pochi figli?
Sul punto le risposte sembrano ormai chiare, le traggo dal libro di Della Zuanna e Weber – Cose da non credere: … nelle zone ricche del mondo a legami familiari forti (la sponda Nord del Mediterraneo e l’Asia centrale), la bassa fecondità è anche oggi il grimaldello utilizzato dai genitori per garantire ai figli – o all’unico – figlio – una condizione sociale migliore… In questi paesi non è vero che le coppie non vogliono avere più figli: all’opposto, molte coppie vivono con sofferenza la rinuncia ad avere un figlio in più. Il fatto è che i bambini con più fratelli sono penalizzati dal punto di vista economico, godendo di opportunità assai inferiori rispetto ai figli unici e a chi ha un solo fratello… Ancora: contrariamente all'opinione diffusa, la famiglia italiana non si sta sfaldando; gli italiani fanno pochi figli non per basso reddito o carenza di servizi ma perché per i figli «le coppie italiane vogliono il "massimo" e quindi non accettano servizi di basso livello o situazioni abitative inadeguate»… leggi tutto. C’ è chi pensa che egoismo e edonismo ostacolino la procreazione (es. il Papa). Ma forse le cose non stanno proprio così visto che nella nostra società, contrariamente al passato, i più ricchi fanno più figli dei poveri. Anche il cittadino medio, a pagamento, sceglie di far figli. D’ altronde, in passato, il baby boom e il boom dell’ economia italiana sono andati di pari passo. Tradotto: il nemico della prolificità non è l’ avidità di ricchezze. In altri termini: il bisogno di molti figli è sentito ancora oggi e quando accumuli ricchezza la investi volentieri per “comprare” figli. D’ altro canto è pur vero che i nostri nonni, mediamente molto più poveri di noi, avevano una prole più numerosa. Cosa risolve il puzzle? Semplice, l’ invidia sociale. Basta tenerne conto per riordinare le tessere. La vita dei nostri nonni era quella, punto. Non cambiava poi molto se avevi due o quattro figli: un piatto di polenta a mezzodì, la minestra la sera, i mandarini a Natale, la scuola del paese, niente vacanze, massimo una gita a Porlezza; per il resto era lavoro in campagna e gioco nei boschi per i più piccoli. A quel punto tra due e quattro sceglievi quattro e ti facevi pure la pensione. La società contemporanea offre invece stili di vita alquanto differenti, un ventaglio di scelte molto ampio. Con la libertà arriva l’ invidia e volendo “dare il massimo” alla nostra famiglia possiamo concederci al più un figlio o due. Il bimbo diventa un po’ il nostro supereroe. In Europa, si sa, il tarlo dell’ invidia sociale e del conformismo è particolarmente laborioso. Tutti vogliono dare “il massimo” in termini di vacanze, di scuola, di cure mediche, di tempo libero, di accessori, di abbigliamento… Se non “dai il massimo” ti senti “lasciato indietro” e ti sale l’ ansia da status, il risentimento, il livore, la confusione mentale; cominci a immaginare complotti, a cacciare le streghe, a stanare gli untori, a perseguire la speculazione, a demonizzare la ricchezza, a marciare ad Assisi, a fare scioperi generali… Controprova: negli USA, paese in cui la parola “europeo” è un insulto corrosivo equivalente a “rosicone”, fanno tutti molti più figli in condizioni che sono anche più precarie delle nostre. Soluzioni: 1. Autoritarismo (imponiamo un unico stile di vita favorendo l’ egalitarismo a suon di sussidi). 2. Curare l’ invidia sociale. La prima via è una scorciatoia allettante, e infatti l’ Europa sembra aver imboccato proprio quella sovvenzionando le famiglie affinché possano “dare il massimo” a più figli. E le nazioni europee che non possono permetterselo (per esempio noi), semplicemente restano col figlio unico. Un’ idea della seconda via, quella in salita, la danno i ciellini stessi realizzando comunità con stili di vita alternativi che neutralizzino l’ ansia da status e da conformismo. Lì dentro puoi avere cinque figli perché se poi ti manca lo zainetto griffato o la settimana bianca non ti senti un marziano. Pazienza, porterai a scuola il borsone liso del papà e farai le “vacanzine” di gruppo a Passo Rolle. Il tutto accompagnato dalla questione dell’ identità: averla è decisivo per stemperare la frenetica voglia di gregge.
giovedì 11 novembre 2010
Il problema sono gli asili?
La spiegazione più coerente con l' evidenza ribalta il nesso di causalità: ci sono pochi asili perchè ci sono pochi bambini.
La donna italiana lavora poco e, come se non bastasse, il gap sugli stipendi non le consente di finanziare la cura dei figli appaltandola a terzi. Il gap è dovuto al fatto che la donna italiana è molto più impegnata nei lavori di casa rispetto all' uomo.
Bisogna intervenire?
E perchè mai? Questa condizione sembrerebbe essere culturale, ovvero basata sulle preferenze di una popolazione.
Perchè dovremmo cambiare dall' alto delle preferenze?