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giovedì 4 luglio 2013

L' uomo dall' idea fissa

Riccardo Mariani ha condiviso un link.
Emanuele Severino, il nostro massimo filosofo. Ovvero, del come si puo’ far carriera con una sola idea (e che idea!).

Non riesco proprio a tacerla, eccola: frasi tipo “LA LEGNA E’ DIVENTATA CENERE” sono palesemente contradditorie, questo perché la copula “E’” esprime identità nonostante la parola “LEGNA” designi qualcosa di molto diverso dalla parola “CENERE”.

Ebbene, non sottovalutate la cosa perché sotto il peso di queste contraddizioni l’ Occidente è destinato a collassare quanto prima (quando esattamente Severino non lo dice, anche se lancia moniti ad ogni cedimento del MIB).

A voi neofiti tutto cio’ apparirà singolare. Poi apparirà curioso. Poi apparirà strano, molto strano. Poi capirete cosa significa “avere nostalgia di un buon pragmatista americano”. Poi, giustamente, lascerete perdere perché avete un fracco di arretrato da sbrigare in giornata.

http://www.youtube.com/watch?v=9NN-HGrMq0w
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lunedì 5 luglio 2010

Dogmatico è bello

Non mi piace la compagnia dei dogmatici che schifano la ragione, ma temo anche i materialisti che schifano ogni dogma.

Propongo qualche dogma sperando che possa interessare.

1. Il mondo fisico esiste.

2. La mente che ho in testa esiste. E non sono l' unico con una dotazione del genere.

3. La mia mente, nonostante le influenze che subisce, è libera di scegliere, almeno un po'.

4. Esistono dei comandi morali, chiamiamoli "principi", che la mia mente afferra.

Il punto quattro a molti, specie ai relativisti, sembra problematico.

Sebbene in sè non richieda di fare enunciazioni, mi viene in mente qualcosa tipo: 1) è sbagliato torturare ed uccidere un innocente; oppure 2) evita di stuprare una donna per il solo gusto di farlo, anche se sei ragionevolmente sicuro che la cosa non avrà per te conseguenze spiacevoli.

Ecco, per quanto si studi, si calcoli, si scopra e si pubblichi, penso proprio che nulla sia in grado di scalfire le verità di cui sopra. Cio' fa di me un dogmatico, spero di buon senso.

Vi piacciono i dogmi con cui costruisco il mio cordone sanitario? Vi sembra che facciano di me una persona troppo "rigida"? Siete più propensi a togliere dogmi o ad aggiungerne?

Ho lasciato da parte la faccenda religiosa perchè non fa altro che alzare polveroni dove tutte le vacche diventano grigie.

Mi piace esplicitare chiaramente i miei dogmi, anche perchè non credo molto nella distinzione dogmatici/non dogmatici; trovo più plausibile quella tra dogmatici dichiarati e dogmatici non dichiarati.

giovedì 27 maggio 2010

Esperimenti mentali

Il miglior modo per confutare la teoria etica dell' utilitarismo consiste nel presentare casi concreti che ne denuncino l' assurdità: esempio, se un riccone è particolarmente avido la teoria prevede che il poco posseduto dal povero spensierato venga trasferito nelle sue disponibilità.

A questo punto all' utilitarista non resta che mettere in sospetto la validità dello strumento che avete usato: l' esperimento mentale.

Ma: "... weird hypotheticals are philosophers' equivalent of controlled experiments. When a scientist wants to test a physical theory, he sets up weird laboratory conditions that make it easy to find an exception to the theory. Similarly, when a philosopher wants to test a moral theory, he sets up weird examples that make it easy to find an exception to the theory..."

Il resto continua pure a leggerlo qua.

lunedì 11 gennaio 2010

Identità personale

Giovanni commette un crimine.

Gabriele conduce una vita da Santo.

Un abile chirurgo trapianta il cervello di Giovanni nel corpo di Gabriele e viceversa.

Chi dobbiamo condannare e chi dobbiamo santificare?

Personalmente condanno il cervello di Giovanni (nel corpo di Gabriele) e santifico il cervello di Gabriele (nel corpo di Giovanni).

Cio' detto penso di avere una concezione "psicologista" dell' identità, in opposizione alla concezione biologica.

Ma ammettiamo di effettuare solo il secondo trapianto e di lasciar morire il corpo di Gabriele. Dopo qualche tempo muore anche il corpo di Giovanni con il cervello di Gabriele. Quale corpo ha diritto ad essere la spoglia del santo?

Penso che "entrambi" sia la risposta giusta. Una persona con due corpi, perchè no?

Ultimo caso: Giovanni è in coma e per salvarlo viene distrutto un emisfero cerebrale. L' altra metà del suo cervello viene successivamente trapiantata nel corpo (vuoto) di Gabriele. Bene, per quanto detto Giovanni continua a vivere, anche se nel corpo di Gabriele e in modo menomato (d' altronde era in quelle condizioni anche allorchè alloggiava nel corpo originario).

Ma ammettiamo che Giovanni subisca invece l' espianto di entrambi gli emisferi: uno trapiantato nel corpo (vuoto) di Gabriele ed uno nel corpo vuoto) di Giacomo. Non possono ovviamente esistere due Giovanni, eppure, per quanto detto in precedenza, il corpo di Gabriele che possiede un emisfero di Giovanni, eravamo ben disposti a considerarlo come "Giovanni".

Che fare? Niente! mantenere la regola. Infatti il Giovanni con un emisfero malato e da distruggere non è il Giovanni con entrambi gli emisferi sani ed espiantabili.

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martedì 22 dicembre 2009

Cosa pensano i filosofi

Cosa pensano i filosofi d' oggi? Parliamo di "mondo", non dell' "italietta".

In etica sono assolutisti, il relativismo è malvisto.

Pensano che la conoscenza sia in buona parte aprioristica. L' empirismo non attechisce. L' anatema contro i dogmi non è poi così sentito.

Credono nel libero arbitrio. Wow!

L' uomo non è uno zombie (meno male).

La maggioranza non accetta il materialismo, non sono poi così tanti quelli che riescono a fare a meno della tanto bistrattata "coscienza".

Il naturalismo fisicalista circolerà molto nelle pagine culturali del 24 ore, molto meno nei dipartimenti di filosofia.

L' utilitarismo soccombe agli approcci alternativi (virtù e deontologia).

La logica classica è quella che conta, le altre lasciano il tempo che trovano.

Il bello è oggettivo, altro che "i gusti sono gusti".

Sorpresa: in politica il libertarismo non è messo così male.

Sono maggioranze che mi sorprendono (favorevolmente). Sembra davero che Radio e TV dipingano in modo ben diverso il pensiero prevalente, forse il filosofo "da giornale" conta per dieci.

E la cosa è confermata quando si dà un' occhiata a quel che i filosofi pensano che i filosofi pensino.

Qui il mondo dei media torna fa sentire il peso delle apparenze: il relativismo guadagna terreno, la "coscienza" diventa un oggetto non identificato, e via dicendo.

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martedì 1 dicembre 2009

Chi sei?

Scommetto che non lo sai nemmeno tu così bene.

Forse posso ucciderti senza danno per nessuno e senza rimorsi di coscienza.

Forse non tutti gli omicidi sono uguali.

Ma chi sei veramente, si puo' saperlo?

Decidilo pure con calma e poi me lo spieghi, ma solo dopo aver dato un' occhiata al filmetto.

https://www.youtube.com/watch?v=KfHbsMa_wao



... urge teoria dell' identità!

Sembra proprio che non ci si possa identificare con le proprie funzioni psicologiche. In fondo il gemello le mantiene inalterate senza essere "me".

Ma nemmeno possiamo dire che l' identità risieda nei corpi! In questo caso eludere l' accusa di omicidio sarebbe un gioco da ragazzi: basterebbe creare una copia innocente di noi stessi e autodistruggerci.

Forse parliamo di anima proprio per eludere la doppia impossibilità.

n.b il video è recuperabile qui https://vimeo.com/72696357 john weldon to be




lunedì 19 ottobre 2009

L' inutile relativismo radicale dei dogmatici

E' stato Michel Foucault ad incarnare al meglio il pensiero relativista nel secolo scorso.

Per lui la realtà era una costruzione intersoggettiva alla cui realizzazione dedicava sforzi indefessi il Potere. La battaglia contro il Potere era dunque una battaglia delle idee al fine di garantirsi l' accesso alla cabina di comando, una cabina da cui era possibile "costruire" il reale e spacciarlo ovunque traendone beneficio.

La parabola di questo esimio intellettuale si concluse con un paradosso tragico.

Mentre bollava cio' che si soleva chiamare la "piaga dell' AIDS" come un costrutto sociale ordito per colpire la comunità gay internazionale, contrasse la malattia e morì.

Viene in mente la scenata con cui il Dott. Johnson rigettò il relativismo del Reverendo Berkley. Lo fece con parole passate a proverbio: "Non posso accettarlo per questo...", e così dicendo sferrò un calcio ad una pietra rompendosi il piede. Aveva "solidi" argomenti.

Cio' non toglie che anche i relativisti ne abbiano e riescano ad insinuarli, specie nelle scienze sociali.

Osservando come la neutralità sia impossibile e come i giudizi di valore pervadano ogni osservazione, concludono con un rinvio radicale al soggettivismo.

In questo caso i relativisti sfruttano anche la sponda loro offerta dai molti che enfatizzano il ruolo dei valori, per esempio da chi aderisce ad una credenza religiosa. Vero Davide?

Strana alleanza, ma non necessaria. Il metodo positivista potrebbe tranquillamente procedere in parallelo con la fede in alcuni valori non negoziabili. Eppure non lo fa mai come potrebbe, si preferisce confondere il metodo positivista con la filosofia positivista.

Ammettiamo che esca una ricerca condotta con i classici metodi neo-positivisti la quale asserisca che la felicità media delle donne è precipitata dopo l' avvento del pensiero femminista degli anni 60 e 70.

Ecco che, anzichè rispondere nel merito, si adottano i classici argomenti relativistici per revocare senza appello i metodi adottati nella ricerca, e lo si fa infervorati da valori senz' altro condivisibili. Come se il metodo positivista, da solo ordisse un attentato contro un sistema di valori. Invece i valori possono tranquillamente restare anche a fronte dell' esito di certi studi.

Altri lavori indicano come l' introduzione dell' aborto, a decenni di distanza, riduca la criminalità nei paesi studiati. Molti reagiscono ribellandosi allo studio, come se lo studio avesse implicanze morali. Forse lo studio invita chi professa un' etica utilitarista a cambiare posizione, ma nulla dice di significativo agl' altri. Temiamo forse di essere degli utilitaristi mascherati? Oppure che tali siano i nostri vicini? In caso contrario, perchè preoccuparsi? In base a quale logica?

Per le stesse ragioni non ha nessun senso tirare un sospiro di sollievo quando lo studio viene criticato entrando nel merito.

Eppure "rabbie" e "sospiri di sollievo" esistono eccome. Eppure anche chi abitualmente si presenta come apodittico nelle sue affermazioni, tutto ad un tratto ripiega su un relativismo radicale revocando in dubbio il metodo scientifico per il semplice fatto che l' esito è affetto da inevitabili imprecisioni e approssimazioni statistiche, come se cio' fosse sufficiente a fare tabula rasa di tutto. E' un sentimento irrazionale, pigro e controproducente, eppure esiste. Forse è anche il sentimento per cui i "credenti" sono così sottorappresentati nella comunità scientifica. Vale la pena farsi un esame di coscienza.

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venerdì 24 aprile 2009

Quando è il solipsismo a salvare l' esperienza

L' esperienza si può comunicare?



Probabilmente esiste un nucleo centrale dell' esperienza che non è comunicabile, anche se disponiamo di un linguaggio raffinato. Penso al piacere, al dolore... alla parte più emotiva e profonda. Per quanto un artista sia grande, fallirà nel tentativo di rendere tutto ciò con la vividezza che ci regala il vissuto.



Un discorso diverso bisognerebbe fare per il contenuto meramente informativo dell' "esperienza". Qui qualche dubbio è lecito, qui la condanna al solipsismo è tutt' altro che scontata.



Ammettiamo pure che non ci siano residui solipsistici. In aggiunta consideriamo di vivere in un' era con un' intensità mediatica senza precedenti. Inoltre disponiamo di strumenti raffinati per trasmettere informazioni (statistiche, tabelle, realtà virtuale...). Qualora il contenuto informativo di un' "esperienza" sia "comunicabile", che scopo avrebbe fare ancora esperienze a fini conoscitivi? Sarebbe molto più sensato attingere altrove quel contenuto. Con sistemi informativi tanto economici ed ipertrofici l' esperienza a fini conoscitivi (viaggi, frequentazioni, pratica...) si svaluta irrimediabilmente.



Chissà se potrà mai essere vera, per esempio, un' affermazione di questo tipo: chi si documenta sull' Africa potrebbe avere una "conoscenza" del continente più accurata rispetto a chi ci va regolarmente vivendo a fondo la sua esperienza.



Mi hanno fatto riflettere le parole di Davide su Robin Hanson "... mi sembra un fuori di testa che passa il suo tempo a pensare, seduto su una poltrona, e con assai poche esperienze vissute davvero..."



In effetti Robin non sembra molto concentrato sulla "sperimentazione". Non essendo nemmeno coinvolto nelle conclusioni a cui giungerà (è l' incarnazione di un' imparzialità atarassica), i "dati" materiali dell' esperienza se li fa passare dallo "scienziato anonimo". Uno vale l' altro, purchè ci sia il timbrino dell' accademia in modo da evitare discussioni alle quali sarebbe completamente disinteressato.



Ma non è di Robin e delle sue idee (specie di quelle più selvagge) che voglio parlare. Mi chiedo solo se davvero così facendo, ovvero ragionando sul contenuto informativo di un' esperienza comunicata e non vissuta, il suo lavoro rimanga seriamente pregiudicato in partenza.



P.S. Solo una parola sulla personalità di Robin, che effettivamente, nel leggerlo, sembra un automa insensibile. Mi ha fatto impressione come Caplan si è rivolto a lui nel preambolo di una contesa accademica che li vedeva contrapposti: "... Despite his moral views, Robin is an incredibly nice, decent person. He wouldn’t hurt a fly. To know Robin is to love him. Robin Hanson, you complete me!... ". Parole che raramente echeggiano in Università, specie tra colleghi. Per gli amanti della fisiognomica eccolo su blogginhead...

mercoledì 22 aprile 2009

Cervello e interiorità

Se penso, "qualcosa" accade nel mio cervello. Chi puo' negarlo?



Cio' non significa che quel "qualcosa" sia il mio pensiero. Oppure che quel "qualcosa" sia causa del mio pensiero.



Quanto è difficile fare questa semplice distinzione! E come semplificherebbe il dibattito intorno ai progressi delle neuroscienze.



Solo un' opzione metafisica postula il legame tra il "pensiero" e il "qualcosa".



L' empirista puro rinuncia a questa opzione, io invece la faccio: tra la supposta "causa" e il supposto "effetto" ci metto il Libero Arbitrio.



ESPERIMENTO MENTALE 1: un bottone funge da terminale ad una serie di cavi collegati ai miei lobi frontali. Premendo quel bottone il mio cervello assume un certo stato e io "alzo il braccio".



In questo caso alzare il braccio non è una libera scelta. Ma non si puo' nemmeno dire in generale che quando alzo il braccio lo faccio perchè nel mio cervello si è creato un "qualcosa". Potrei anche alzarlo perchè lo voglio alzare.



Il fatto che premere un bottone crei "qualcosa" nel mio cervello non significa che quel "qualcosa" possa crearsi anche altrimenti, magari grazie all' azione del Libero Arbitrio.



In altri termini: l' esistenza del libero arbitrio è un postulato filosofico che non puo' mai essere confutato, a meno che non si ricorra ad un altro postulato filosofico altrettanto inconfutabile: esistono solo "interazioni materiali" misurabili statisticamente. Si faccia attenzione: trattasi di vera opzione metafisica e non di semplice agnosticismo metafisico.



Ma all' orizzonte c' è qualcosa di più preoccupante.



ESPERIMENTO MENTALE 2: il dott. X dice che tutti noi siamo "pre-detetrminati" e mi sottopone un' equazione la quale predice che tra un minuto alzerò il braccio. Infatti, dopo un minuto, alzo il braccio.




Non trovo che questo esperimento mentale minacci seriamente l' esistenza del Libero Arbitrio. Infatti è molto più verosimile un finale diverso: io, con gran godimento personale, non alzo il braccio confutando l' equazione del menagramo! Dopodichè procedo al gesto dell' ombrello.



E se il dottore tenesse celate le sue previsioni? Allora, molto semplicemente, la sua equazione deterministica non sarebbe in grado di sfidare il mio Libero Arbitrio avendone la meglio.



Spesso l' empirista si bea dicendo: i miei argomenti sono osservabili, nulla si svolge al di fuori del nostro controllo.



Ma anche l' esistenza del Libero Arbitrio è osservabile. Anzi, io trovo la sua presenza lampante, persino più evidente di certe micro cause materiali. Certo, diversamente dall' empirista ritengo che anche la Ragione possa rilevare l' esistenza di "qualcosa". I sensi non hanno il monopolio in questo campo.



Quando l' empirista tenta la sortita finale osserva come il Libero Arbitrio sia solo una mera convenzione attraverso cui noi ci spieghiamo il mondo.



Se mi metto nei suoi panni cio' non è affatto una critica: tutta la conoscenza per lui è convenzione (è la sua opzione metafisica), anche il legame statistico che lega due eventi materiali. A questo punto si lasci sopravvivere una convenzione che ha dimostrato di servirci bene. Personalmente la trovo di gran lunga preferibile rispetto alla convenzione per cui saremmo tutti dei morti-viventi telecomandati. Se poi questa "convenziome" non la consideriamo tale ma la consideriamo una "realtà", funziona ancora meglio.

mercoledì 1 aprile 2009

Cimatti riabilita Dio, e lo manda allo Zoo

Tra i conduttori di Fahrenheit, il filosofo Cimatti è quello a cui ho più voglia di pensare.



Con la sua partigianeria indissimulabile rivela al meglio quanto l' idea di una Radio Pubblica sfoci senza rimedio in forme di indebita colonizazione culturale.



Quel "senza rimedio" mi serve per mondarlo da ogni colpa.



E per rimpinguare il suo medagliere dirò ancora che per "colonizzare" culturalmente bisogna avere una "cultura". Cosa abbastanza evidente in Cimatti, meno nell' esangue apporto dei suoi colleghi più specializzati negli estetismi della letteratura.



La cultura diffusa da Cimatti è quella dell' ateismo materialista (variante esistenzialista). Benchè lo declini in modo più sofisticato rispetto a Star come Odifreddi, Dawkins, Dennet.



E sotto l' egida di Wittgenstein, è proprio contro costoro che osa prendersela, innanzitutto accusandoli di essere dei "creduloni".



Wittgenstein è un filosofo noto per non prendere mai sul serio l' interlocutore.



Prendiamo il caso della Preghiera: "... non c' è nessuno qui, e tuttavia parlo, ringrazio e chiedo... ma questo parlare è veramente un errore?".



L' ateo tradizionale, quello che ti prende sul serio, non avrebbe dubbi: se parli a NESSUNO sei pazzo o giù di lì. Ma Wittgenstein, lui no. Secondo lui tu stai invece facendo qualcos' altro, qualcosa di sensatissimo che l' ateo ingenuo non riesce a cogliere.



I vari Dawkins non sono altro che creduloni bloccati in superficie. Una proposizione puo' apparire assurda e l' assurdità della superficie essere inghiottita nella profondità.



Cio' che rende profonda una Preghiera è l' applicazione: la vita che conduce colui che vi crede. Un pensiero apparentemente assurdo che ci fa agire per il meglio perde qualsiasi assurdità. In questo senso, per Cimatti, anche l' ateo prega.



D' altronde se alcuni cervelli necessitano di particolari scosse con particolari voltaggi, perchè biasimarli quando le scovano da qualche parte e vi si sottopongono? Nel dolore la Preghiera puo' essere necessaria e difficilmente qualcuno potrebbe giudicare "sbagliata" una parola "necessaria".



In questo mondo popolato unicamente di bisogni, istinti e molecole, lo si sarà notato, la Verità non trova posto se non come arnese. Gli atei ingenui sbagliano nel considerare la Religione come un tentativo pre-scientifico di "Spiegazione". In realtà la religione nasce allorchè si rinuncia a "spiegare". Il senso del Sacro, che appartiene anche all' ateo, è la reazione animalesca allo stupore, ad un sentimento che permane anche dopo la spiegazione (fate pure con voi stessi l' esempio del fuoco).



Ma per quanto sofisticato, Cimatti rivendica il suo ateismo e si sente chiamato a puntellarlo dopo aver messo alla berlina quello altrui. L' affare è arduo: tutti noi poniamo dei discrimini e facciamo distinzioni in modo che riteniamo fondato. Poichè Dio assomiglia tanto a questo fondamento, è difficile negarne l' esistenza.



Ma i filosofi del linguaggio hanno un metodo tutto loro per negare l' esistenza di qualcosa (va bene per qualsiasi cosa): basta postulare che tutto sia linguaggio. Non sorprende che con questa premessa Dio diventi soltanto una parola e nulla più (Dio = "Dio"). E vai con l' impossibilità di uscire dal linguaggio... e vai con Godel di qua e Godel di là...



[... già Godel, ancora lui... proprio quel tale che dell' esistenza di Dio aveva fornito una dimostrazione rigorosa che considerava il suo capolavoro...]



Questa costante puo' essere ripetuta stancamente negli epigono soltanto se infiorettata da una terminologia originale, meglio se semi-esoterica. Anche Cimatti esibisce la sua Mossa del Cavallo, per lui il "discorso" non è un "edificio" che ha bisogno di fondamenta. E' piuttosto "l' ambiente biologico in cui vive l' uomo".



E qui comincia a parlare difficile e lo perdo. Quando smette di parlare difficile gira con l' aria di chi ha già dimostrato tutto.



Linguaggio come sfera biologica... non si impara a vivere in quella sfera, l' uomo è quella sfera... essere o non essere biologicamente significativi... insieme della sfera ambientale e insiemi esterni alla sfera ambientale... linguaggio come riflesso...



Un corvo gracchia sulla cima del cedro. Avrà detto la verità? Domanda tanto assurda quanto è naturale cio' che gli sentiamo fare.



Ma per Cimatti, l' uomo non è che una variante della cornacchia, e quando parla di Dio sta solo emettendo il suo armonioso versaccio. E quel verso è proprio il suo. Cio' delegittima lo scandalo teatrale messo in scena dai vari Odifreddi. Magari non sarà gradevole, ma cosa c' è di più normale di un porco che grufola nel suo stazzo?



Siamo in una botte di ferro: non appena apriamo bocca non possiamo che emettere il nostro verso, è la natura che ci guida e non ci fa toppare mai. Impermeabili ad ogni sberleffo del sarcasmo altrui, procediamo nella nostra invidiabile condizione. Tutti vivono immersi nella loro "biologia", anche chi raglia "Dio-dio-dio...". E i nostalgici del giudizio, se proprio hanno voglia di esercitare quella che credono essere una loro facoltà, che giudichino piuttosto gli effetti di questo concerto.



Già, bravo Cimatti. Ma se ci hai appena tolto ogni metro (fondamento) di giudizio, come cavolo possiamo "giudicare" la bontà della meta verso cui procediamo? Molto meglio che i "nostalgici del giudizio" si astengano: sono gli unici a cui viene riservato il dubbio privilegio di parlare in modo insensato.



Io qualche giudizio avrei voglia di darlo, ma poichè non ho nessun diritto di essere "preso sul serio", poichè la mia unica prerogativa è quella di essere sezionato come un insetto, poichè la mia professione d' amore è pari al frinire della cicala e la dimostrazione del teorema equivale al bramito del cervo, preferisco tacere. Divento così uno stranissimo animale taciturno.



Con quel sacramento di Odifreddi perlomeno, bisogna ammetterlo, la voglia di turpiloquio tipica di noi bestiaccie veniva soddisfatta.



P.S. 1 Il link del libro.



P.S. 2 La mia posizione: credo che Dio esista. Sebbene non lo si possa toccare, la sua esistenza puo' essere dimostrata logicamente, ma ci sono anche parecchie prove emipiriche. Credo che chi dice "Dio esiste" non sia in preda ad uno sfogo ma voglia affermare semplicemente che "Dio esiste" (sono portato a prenderlo sul serio). Credo anche che costui affermi una Verità.

sabato 10 gennaio 2009

L' inconveniente di escludere l' anima

Ragionare sull' uomo escludendo un concetto come quello di anima comporta degli inconvenienti. Ogni discriminazione cessa infatti di essere incongruente.

Per esempio, non dovrebbe più destare scalpore la ghettizzazione dell' uomo-topo.

Conclusione non banale se formulata da chi vede l' uomo come una materia auto organizzata.

Solo il dualismo garantisce quindi in via di principio uguaglianza di diritti. E d' altronde nasce proprio con quello scopo.

"... The mess starts when we abandon an old religious idea...";

"... This puts us in an awkward position. We call ourselves egalitarians, yet we deny the equality of conceived humans...";

"... if we deem some people less human than others, does it lead us back to the bad old days of racism?We don't like to face such questions...";

"... I've got my own contradictions to sort out: that it's wrong to eat animals but not meat...";

"... I'm still working my way through the puzzle of equality...".

Auguri! Per ora il tentativo di uscire dal labirinto sembra proprio agitare una colossale "mess".

Complimenti comunque a chi, ficcatosi nel ginepraio, non si acceca pur di evitarne la constatazione.

lunedì 1 settembre 2008

In preghiera al cospetto dei numeri

Nato a Brno, Kurt Godel viene comunemente considerato come il massimo logico di tutti i tempi.

Fu un fervente platonico e si dedicò anche al problema di Dio dandone una sua dimostrazione nel solco di Leibniz.

Ma la cosa interessante è un' altra: l' ente di natura divina dotato di tutte le propietà positive e necessariamente esistente non venne da Godel relegato al ruolo del "Dio della ragione" di fronte al quale - come scrisse Heidegger - " l' uomo non puo' pregare, non puo' sacrificare e non puo' per timore cadere in ginocchio".

A differenza della concezione un po' intellettualistica del divino quale "mente superiore" professata dall' amico Einstein, il logico moravo considerava infatti Dio non solo come entità razionale logicamente dimostrabile, ma anche come essere degno di venerazione.

A me la cosa sembra decisamente strana. Certo che la vita dei grandi logici di stranezze è sempre costellata.

Fonte: Timossi p.445

domenica 31 agosto 2008

Dio dimostrato (velocemente perchè ho fretta)

Ho letto il libro di Timossi che fa bella mostra di sè sul comodino. Viene squadernata una completa rassegna storica sulle dimostrazioni dell' esistenza di Dio. E' una selva in cui ho cercato di tracciare un mio sentiero personale.

Tra le prove empiriche lascerei perdere quella del Dio/architetto o quella del Dio/orologiaio. Non mi sfagiolano e mi rivolgo altrove.

Innanzitutto Dio potrebbe esistere per il fatto che esistono alcuni precetti morali universali nel tempo e nello spazio. Ne esistesse anche uno solo, sarebbe ufficiente. E io in questa esistenza credo fermamente.

Mi sento confortato avendo al mio fianco su questa strada due tipini come Dostoevskij e Kant. Il primo disse che "senza Dio tutto sarebbe permesso", il secondo parlava di una legge che ciascun uomo porta dentro di sè.

Mi convince anche la prova cosmologica, ma solo nella sua forma radicale che non considera tanto l' armonia del creato: Dio esiste perchè c' è qualcosa al posto di niente.

Questa conclusione la traiamo sotto l' egida del principio di ragion sufficiente: ogni cosa che esiste ha necessariamente una spiegazione ragionevole e l' esistenza di Dio spiega l' esistenza dell' essere al posto del nulla. Certo, qualcuno potrebbe dire che l' essere esiste autonomamente, ma così facendo rinuncerebbe al principio. Il nostro nume tutelare in questo caso sarebbe Leibniz.

Ci sono parecchi atti di fede in queste dimostrazioni, due su tutti: esiste almeno un principio etico universale, esiste poi un principio di ragione sufficiente. Al primo in fondo credono tutti, tranne qualche nichilista isolato. Il secondo è l' atto di fede tipico delle scienze: credo nell' intelleggibilità del mondo.

Si instaura così un rapporto tra fede e ragione, è il rapporto anselmino: credo per poter capire. Anche se la vera fede interviene successivamente a caratterizzare il Dio a cui ci rivolgiamo. In questo senso Tommaso docet: la ragione come trampolino della fede.

La prova etica e la prova cosmologica sono prove empiriche, approdano a delle possibilità, il massimo che possono dirci è che l' ipotesi di Dio prevale.

Per sigillare il tutto con una certezza ci si appella alle prove logiche e la logica modale ci dice innanzitutto che la verità di un' affermazione o è necessaria o è impossibile. In altri termini, un' affermazione è o vera o falsa. Anche questo principio (bivalenza) è un atto di fede (la logica è piena di atti di fede).

"Dio esiste" prevale tra le affermazioni possibili, dunque non è impossibile, dunque è necessaria. Ecco, l' esistenza di Dio è dimostrata.

I padrini dell' argomento logico sono parecchi, si va da Leibniz fino a Godel. Mi sembra che la qualità dei cervelli in campo sia la massima disponibile sul mercato della logica.

Ma l' argomento logico non regge senza che la "possibilità" di Dio sia sostenuta dall' argomento empirico, infatti in virtù del semplice argomento logico anche una "materia infinita ed autonoma" sarebbe possibile (non contradditoria) e quindi necessaria. Per questo che il "possibile" è un titpolo di merito da assegnare con argomenti ex post e non semplicemente affidandosi alla coerenza interna.

Le mie conclusioni sono ben diverse da quelle sponsorizzate dall' autore, lui esalta l' argomento anselmino (puramente logico): Dio è il maggiore tra gli enti immaginabili, poichè "maggiore" significa che detiene tutte le qualità al massimo grado, deterrà al massimo grado anche la qualità dell' esistenza. Kant sostenne che l' esistenza non è una "qualità", mi sembra una critica distruttiva. La critica di Kant viene aggirata facendo atto di fede circa la qualità dell' esistenza. In tutta franchezza preferisco gli atti di fede richiesti più sopra.

sabato 5 aprile 2008

Scimmie filosofe

Chi crede che le cose abbiano un senso e pensa di conoscerlo già, non si mette a ricercarlo.

Nemmeno chi crede che le cose non abbiano un senso investe granchè nella sua ricerca.

Chi invece pensa all' esistenza di un senso ma sa di non averlo ancora afferrato, è naturale che investa in ricerca.

L' essere "in ricerca" è dunque una condizione naturale solo per il terzo tipo.

Il non-senso, la casualità, l' avvenimento che non ha una spiegazione, che origina dal nulla...

Queste considerazioni mi vengono in mente ascoltando i dibattiti sull' evoluzionismo.


E' sorprendente come molti scienziati si convertano in cattivi filosofi proponendoci le teorie evoluzioniste, non più come teorie scientifiche ma invece come teorie filosofiche.

Se teorie del genere esaurissero il nostro sapere, allora sarebbe il caso a fondare il pensiero con cui diamo ragione del mondo e delle cose. Il caso, il non-senso. La lotteria delle mutazioni infatti è all' origine del cambiamento adattivo.

Cio' striderebbe qualora volessimo "giustificare" l' attitudine alla ricerca che è tipica della scienza.

Naturalmente, considerazioni del genere non tangono lo scienziato. Perlomeno quello che non ha nessuna ambizione di travestirsi da Filosofo.


E' lo Scienziato/Filosofo a preoccupare. Mi diverte vederlo respingere teorie come l' ID dicendo che "non sono scientifiche".

Ma lui ha smesso da tempo gli abiti della scienza e per confutare la versione filosofica del suo evoluzionismo teorie come l' ID vanno a pennello.

martedì 1 aprile 2008

Quando l' identità conta - riflessioni sul teppismo da forum

Nel forum che frequento, spesso si è discusso dei temi legati all' identità e al relativismo.



Personalmente ho sempre ascoltato con scetticismo chi inneggiava al primato del dialogo e della relazione. Mi chiedevo: "ma come è possibile che la relazione preceda la persona?", ero infatti dell' idea che una relazione fosse costituita dalle persone. Mi chiedevo anche: "ma come è possibile che il dialogo anticipi l' identità?". Trovo molto più lineare pensare aldialogo come a qualcosa a cui danno vita dei dialoganti. So che è un po' fuori moda, però, se devo abbandonarmi alle mie idee, questa dimensione tradizionale resta per me la più congeniale. Sapere chi si è e cosa si vuole è un prerequisito per arricchiere lo scambio. Se vado al mercato senza niente, cosa mai potrò donare? Ma se vado al mercato con un "me stesso", ecco che potrò fare dei buoni affari.



Poi è successo un fatto che considero un punto segnato dalla fazione per la quale propendo.



Siccome il forum ha barriere difensive molto deboli, è rimasto vittima di una squadretta di teppisti telematici che, clonando i nick, falsificando i nomi, minando le identità, ha fatto irruzione vanificando ogni scambio e sabotando ogni tentativo di relazionarsi.



Questo spiacevole evento ci insegna forse qualcosa: è attraverso l' attacco all' identità che si vanifica il dialogo appagante e proficuo. L' identità elisa fa saltare anche la relazione. Quando l' identità è resa liquida e imprendibile, l' interesse allo scambio dialogico evapora, non sai chi hai di fronte, perdi interesse a saperlo, lo sforzo prodotto per conoscere il proprio prossimo cade regolarmente come un castello di carte, il bluff si annida ovunque, tutto diventa un cicaleccio nichilista, il nulla assume un peso insostenibile e capisci che è meglio cambiare aria. Perlare con un sig. nessuno assomiglia tremendamente al parlare con se stessi.



Non sarà un caso che proprio i sostenitori di una posizione distante da quella che ho descritto più sopra (es. Valeria), siano anche stati coloro che più hanno insistito nel voler dialogare con un fantasma inesistente e polimorfo. Ma questa loro insistenza per me non è stata molto fruttuosa e non ha affatto rinforzato la loro visione, tutto si è ridotto ad un gioco estenuato e infecondo. E non sorprende nemmeno che in questa stagnante palude formalistica, colui che si diverte di più a protrarla, è proprio il teppista/nichilista.

venerdì 1 febbraio 2008

Maschere del relativismo

Intervento forumistico 30.9.2007

Esiste una filosofia relativista, ha il solo difetto di essere incoerente. Il che, per una filosofia, non è un difetto da poco. Smascherarla è piuttosto semplice: se tutto è relativo, anche questa affermazione è relativa.

Detto cio', nel linguaggio comune il termine puo' assumere diverse sfumature di significato. Nella mia esperienza ho incontrato diversi sedicenti "relativisti". Erano anche tipi svegli, non posso negarlo. E allora come si spiega la cosa? In genere si trattava di persona:

  1. che non avendo idee chiare su una questione esprimeva il suo parere etichettandolo come una "verità relativa";
  2. che volendo adottare un dispositivo prudente si trincerava dietro formule relativiste;
  3. che non essendo interessata ad una certa discussione, cercava di liquidarla al più presto affermando che "tutto è relativo", o espressioni equivalenti;
  4. che teneva per stella polare il valore della tolleranza;


Stando a queste 4 alternative, l' unica degna di essere presa in considerazione è la quarta.

Ma per dare un valore alla tolleranza il "relativismo" non è affatto necessario.

Anzi, a dir la verità, non saprei nemmeno dire se il "relativismo" sia compatibile con la tolleranza!

Essendo una filosofia incoerente darebbe un fondamento incoerente a qualunque valore voglia sostenere e così facendo finisce per nuocere alla sua causa.



lunedì 28 gennaio 2008

Che farsene di Mises?

Lungi da me revocare in dubbio la serietà dello sforzo intellettuale prodotta da questo grande scienziato sociale del secolo scorso. Mi sia permesso però pormi le seguenti 5 domande intorno al suo utilitarismo:
  1. le ipotesi su cui si fonda sono realistiche?
  2. Ci consente di difendere le fondamenta di una società libera?
  3. Ci consente di mettere a punto una politica economica?
  4. Ci consente di formulare previsioni ad ampio respito, magari di carattere storico prima ancora che economico?

Ecco le mie risposte:

  1. No. Mi sembra che Nozick lo abbia dimostrato nel capitolo dedicato al Nostro nei Puzzle Socratici.
  2. No. Mi sembra che Rothbard lo abbia dimostrato nel capitolo dedicato al Nostro nel suo "Etica della Libertà".
  3. Mi sa di no. Senza lo strumento quantitativo è difficile fornire un protocollo al burocrate. Strumento necessario, perlomeno nella fase di mediazione al passaggio verso quel Laissez Faire che sembra auspicare.
  4. Probabilmente sì. Certo, fa una po' impressione che ipotesi di fondo tanto analitiche, poi trovino il loro impiego residuale nella formulazione di previsioni fatte su distanze epocali.

Detto questo vorrei anche aggiungere che, a mio avviso, il Mises opportunamente corretto con una sruzzatina di Rothbard, puo' essere ancora letto con profitto prendendolo alla stregua di filosofo morale.

sabato 12 gennaio 2008

Perchè scienza triste?

Liberalizzazioni. it invita a leggere Carlyle fino in fondo. L' economia veniva respinta in quanto scienza triste poichè non era in grado di fondare una visione razzista dell' uomo.

venerdì 11 gennaio 2008

3 scienze, 3 epistemologie

Recenti scambi con amici telematici mi spingono ad isolare 3 impostazioni epistemologiche che a volte vengono a contatto producendo scintille. Un attrito evitabile qualora ciascuna di esse avesse maggiore coscienza di sè.
  1. Epistemologia descrittiva. La realtà è costituita da corpi. Si osservano i fatti nel tentativo di isolare delle regolarità descrivibili da una legge di natura nominale, magari probabilistica. In alternativa si formulano delle ipotesi da testare basandosi sulla precedente tradizione di ricerca.
  2. Epistemologia esplicativa. La realtà è costituita da soggetti e oggetti. Si formulano dei modelli ragionevoli, ovvero dei modelli in cui i soggetti agiscono sulla base di "buone ragioni". Dopodichè si procede alla verifica o alla falsificazione.
  3. Epistemologia aprioristica. La realtà è costituita da soggetti e oggetti. Si individuano gli apriori dell' agire umano. Dopodichè se ne traggono tutte le conseguenze costruendo un modello coerente. I fatti vengono spiegati via via con la specificazione contingente di alcune variabili del modello.

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Direi che l' epistemologia descrittiva è propria delle scienze "dure", specie dopo che gli sviluppi nell' ambito della fisica novecentesca hanno messo in crisi il concetto di "legge di natura".

Resterebbero quindi solo delle semplici leggi statistiche, a meno che non si voglia impegolarsi in un' ontologia un po' troppo lontana dal senso comune, come quella che ha tentato di mettere in piedi il fisico tedesco Werner Karl Heisenberg quando ha voluto trasformarsi in filosofo.

Qualora si accetti l' esistenza di "leggi naturali che governano il moto dei corpi", allora potremmo invece trovarci di fronte ad una variante dell' Epistemologia esplicativa. Esisterebbe infatti un fondamento forte della conoscenza.

Per quanto riguarda le scienze umane, tutte quelle d' impostazione comportamentistica rientrano in E1. Tutte quelle che partono dall' individualismo metodologico richiedendo a posteriori un confronto sui fatti, rientrano in E2. Quindi anche l' "economia mainstream".

E3 la riserverei a certi approcci tipici dell' economia misesiana e della teoria dell' azione umana.

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Da quanto detto trapelano le mie preferenze che qui riassumo in un rigo.

Scienze "dure" in E1, economia in E2, e in E3 ci metto l' etica con tutta la filosofia che si porta appresso.