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martedì 28 maggio 2024
paradosso del buon senso
Lo sperimentatore ci informa che il 28% degli elettroni in un certo esperimento è stato deviato verso l'alto e il 72% verso il basso. Perché dovremmo credergli? Perché fa parte del buon senso accettare ciò che consideriamo l'evidenza dei nostri sensi in situazioni quotidiane appropriate. Qui nasce un problema: da un lato il progresso scientifico mina il buon senso, dall'altro continua a fondarsi sul buon senso.
sabato 25 gennaio 2020
IL VIDEO GIOCO DEGLI SCIENZIATI
IL VIDEO GIOCO DEGLI SCIENZIATI
Qual è la differenza tra un filosofo della scienza e uno scienziato che fa filosofia cercando di interpretare una teoria scientifica?
La differenza è che il filosofo di solito ha fatto i compiti a casa. Le uscite di Richard Dawkins, Jerry Coyne, Stephen Hawking e altri stanno lì ad attestarlo.
Hawking, per esempio, dice che "la filosofia non ha tenuto il passo con gli sviluppi moderni della scienza, in particolare della fisica". Strano perché la fisica è ferma da decenni mentre la filosofia della fisica ha prodotto una mole considerevole di volumi. E' un po' dura "non tenere il passo" in queste condizioni. E' più probabile che Hawking non sappia di cosa parli. E perché dovrebbe saperlo? E' del tutto normali non essere esperti in materie che non sono la propria. Perché mai dovrebbe passare il suo tempo a leggere libri di filosofia anziché di fisica? Sarebbe molto difficile per lui. Probabilmente, quindi, è solo disinformato.
Eppure molti grandi scienziati non mollano la presa: non solo pontificano di filosofia ma fanno filosofia, scrivono interi libri di "pseudo-filosofia", ma si vede che sono libri dilettanteschi. Se un filosofo provasse a fare della fisica privo delle basi, nessun fisico sarebbe altrettanto indulgente con loro!
I fisici, da quasi cent'anni, sono stati dissuasi dal pensare alle domande fondamentali. La maggior parte di loro direbbe giustamente "ho gli strumenti per risolvere un'equazione differenziale ma non per rispondere a domande sul tempo". Porsi le domande fondamentali della fisica non fa più parte del loro addestramento.
Il problema è che la meccanica quantistica è stata sviluppata come uno strumento matematico. I fisici hanno capito come usarlo in quanto tale per fare previsioni, ma senza una comprensione di ciò che ci stavano dicendo sul mondo fisico. Questo è chiaro quando li senti parlare. Da questa lacuna già Einstein era sconvolto, ma anche Schrodinger. La meccanica quantistica era semplicemente una tecnica di calcolo senza una teoria ben compresa. Bohr e Heisenberg, anzi, sostennero che una chiara teoria non doveva esserci, quindi non c'era nulla da capire. La "comprensione" di una teoria rappresentava un concetto obsoleto, se non nel senso di "saper fare previsioni". Ma si sbagliavano, oggi possiamo dirlo. D'altro canto, il loro atteggiamento fu quello vincente e chiuse lo spazio a domande perfettamente legittime, come quelle di Bell. Speriamo di uscirne al più presto.
C'è anche chi ritiene che Bohr e Heisenberg in realtà presero una posizione filosofica intorno alla natura del caso, e poiché gli argomenti della fisica non la giustificavano avrebbero dovuto necessariamente ricorrere ad argomenti filosofici, ma questo avrebbe implicato l'esistenza di un discorso razionale che non fosse il discorso scientifico. La filosofia si puo' fare bene o si puo' fare male, fingere di non farla significa solo farla male: la filosofia seppellisce sempre i suoi becchini.
Esempio: alcuni fisici muoiono dalla voglia di fare grandi affermazioni sul "tempo"; Sean Carroll, ad esempio, è irremovibile nel dire che il tempo è reale. Altri dicono invece che sia illusorio, che in realtà non esiste una direzione temporale e così via. Ma l'impressione è che questi scienziati siano furviati dalla matematica che usano per descrivere la realtà. Gli oggetti matematici, come noto, non stanno nel tempo, e se usi quel tipo di rappresentazione per descrivere il mondo rischi di confonderli con il mondo. E' un po' come il bimbetto che vive sui video giochi fino a mescolare il reale e il virtuale. Scambiare la matematica con la realtà è la tipica trappola in cui cade lo scientista. Dirlo chiaramente non implica che la matematica non descriva in modo sorprendente la realtà; il punto è che non ci fornisce una descrizione esaustiva della realtà, ma è piuttosto un'astrazione da una realtà che in sé è più ricca.
La stessa affermazione di molti filosofi secondo cui la fisica ha dimostrato che il cambiamento è illusorio, è in ogni caso seriamente problematica. Come notò Karl Popper, Einstein, interpretato da Minkowski, riprende Parmenide. Ma ciò significa che la relatività, se interpretata come implicante l'illusione di ogni cambiamento, erediterebbe tutti i problemi tipici di Parmenide. Ora, nessuno crede che la fisica moderna abbia davvero dimostrato che non esiste un vero cambiamento nel mondo fisico esterno. Ma anche supponendo per amor di discussione che lo abbia fatto, ci troveremmi di fronte ad un altro caso in cui la scienza tenta di unificare i fenomeni relativizzando le differenze apparenti con il senso comune. Quindi "calore", "suono", "rosso", "verde", ecc. vengono ridefiniti mentre il senso comune viene relegato nel mondo del mentale soggettivo. Per la scienza il suono non esiste, è ovvio, esiste solo una muta frequenza d'onda, ma possiamo con questo dire che il suono non esista anche se continuiamo a sentirlo? Possiamo davvero dire che esiste solo cio' che è rappresentabile in un modello quantitativo? Ovviamente no. Molto più ragionevole dire che la matematica rappresenta meravigliosamente la realtà senza per questo coglierla nella sua interezza. Allo stesso modo, il tempo e il cambiamento, se trattati come se non esistessero realmente nel mondo esterno, sono relativizzati nel mentale dell'osservatore; ma possiamo con questo davvero dire che non esistono? Non si può aggirare il fatto che il cambiamento si verifichi davvero, almeno nella coscienza dell'osservatore stesso. Negare ciò significa implicitamente negare la base probatoria empirica su cui si suppone che la stessa teoria fisica poggi. Quindi, se Einstein fosse davvero Parmenide redivivo, la sua posizione affronterebbe le medesime incoerenze. Se siamo soggetti a simili macroscopiche illusioni, chissà quali altre illusioni ci hanno fuorviato nell'eleaborare la sofisticata teoria einsetiana. In alternativa, potremmo adottare una visione dualista secondo la quale il soggetto cosciente non fa parte di quel mondo. Ciò ci salverà dall'icoerenza, ma a costo di spostare semplicemente il cambiamento piuttosto che eliminarlo, e, ovviamente, anche a costo di lasciarci con il problema di spiegare come il soggetto cosciente sia collegato al mondo naturale, visto che non fa parte di esso.
domenica 5 gennaio 2020
UN PICCOLO TRIBUTO A EINSTEIN
UN PICCOLO TRIBUTO A EINSTEIN
Non avremo più scienziati come lui. Non perché fosse un genio eccezionale, ma perchè non c’è più domanda di geni. Mi spiego meglio.
Le persone credono a tutto. Si fanno ingannare da bugiardi, truffatori, seduttori, demagoghi, imbonitori, e chi più ne ha più ne metta. Ma le persone posseggono anche il “logos”: sanno ragionare. Riflettendoci, la prima caratteristica discende dalla seconda: è solo perché ragioniamo, pensiamo e usiamo il linguaggio che possiamo essere ingannati.
Ma c’è di più: se il cristiano devoto ha ragione, allora indù, ebrei, buddisti e atei hanno torto. Dal che discende che ad ingannarsi è quasi sempre la maggioranza. L’inganno è così diffuso che probabilmente rappresenta un vantaggio evolutivo anche in chi “ci casca”. Ci sono inganni che perdurano a lungo senza ragione apparente. Ci sono inganni con cui conviviamo bene, che non siamo affatto interessati a sfatare. Qui vorrei raccontare una storia particolare. No, non riguarda qualche religione dai dogmi inverosimili, riguarda la la meccanica quantistica.
Non pretendete troppo da me, non riesco a tracciare una storia rigorosa, non sono un fisico, non ne ho gli strumenti adatta; dirò comunque qualcosa di generico – spero corretto – cercando di approfondire solo la questione che mi interessa veramente.
Che nelle particelle delle onde elettromagnetiche ci fosse qualcosa che non andava (che non si conciliasse bene con la gravitazione universale) lo aveva già capito Max Planck, il quale però lasciò cadere la cosa sperando si forse che si risolvesse da sé. Nel 1905 Albert Einstein fece un passo decisivo con la sua analisi dell’effetto fotoelettrico, certi fenomeni legati al calore e alla luminosità si manifestavano solo sotto certe frequenze di luce. Perché? Boh. Passo successivo: nel 1913 Niels Bohr ideò l’atomo di Bohr. Gli elettroni orbitano attorno al nucleo proprio come i pianeti che orbitano attorno al sole. Tuttavia, a volte l’elettrone salta su un’orbita differente emettendo luce. Si trattava di capire quando cio’ avveniva. Bohr non riuscì a comprendere bene quale legge governasse questi salti quantici. E con questo enigma si chiudeva il periodo della “vecchia” teoria quantistica.
Poco dopo, 1925, Il formalismo matematico di Heisenberg (a base di matrici) ottenne le previsioni che Bohr aveva cercato, erano di una precisione incredibile, ma restavano di natura statistica. L’enigma si riproponeva in altra veste: perché a volte le cose vanno in un modo e altre volte in un altro? E perché in condizioni differenti ma ininfluenti gli esiti cambiano?
Di fronte a queste domande Bohr avrebbe potuto dire che la teoria non era ancora matura per rispondere, invece prese una decisione diversa e alquanto strana, disse: non è possibile visualizzare ciò che l’elettrone sta facendo perché il micromondo dell’elettrone non è, in linea di principio, visualizzabile. Solo gli “oggetti classici” sono visualizzabili. La definizione di “oggetto classico”, purtroppo, non l’abbiamo. In altri termini, se non sappiamo le cose, la colpa non è nostra ma delle cose. Se le nostre conoscenze sono solo probabilistiche cio’ non implica che siano limitate: è il mondo (il micromondo) ad avere natura probabilistica. C’è una differenza tra una fotografia sfocata e una foto della nebbia. Per Bohr la nostra foto è perfetta, ma stiamo fotografando la nebbia. Di fronte ad una simile posizione l’accusa di sofistico sarebbe scattata immediatamente, ma, per il prestigio dello studioso, non scattò. Anzi, la scuola di Copenaghen si propose come la maggior candidata all’ortodossia.
Nel 1926 Erwin Schrödinger produsse un formalismo matematico differente dal precedente, il suo era a base di equazioni, più classico. Ma era comunque equivalente al precedente. Se le matrici di Haisenberg parlavano di particelle, le equazioni di Schrödinger parlarono di funzioni d’onda. In questo senso il nuovo approccio era più tradizionale e intuitivo. Le onde, stando al linguaggio di Bohr, sono visualizzabili. L’equivalenza dei due formalismo la dobbiamo a Paul Dirac: entrambi i sistemi fanno esattamente le stesse previsioni osservabili.
Piccola digressione epistemologica: per un positivista logico le due impostazioni non sono distinguibili poiché una teoria si definisce in base alle previsioni osservabili che consente di fare. Il positivista si disinteressa di cio’ che non puo’ essere osservato. Il positivismo logico è praticamente una teoria semantica: una teoria non dice altro che le sue conseguenze osservabili. All’epoca tutti erano “positivisti logici”, il positivismo logico emergeva spontaneo nelle menti degli scienziati; ogni volta che veniva “ucciso” risorgeva puntualmente. Se il mondo delle particelle subatomiche si presentava come assurdo, poco importava visto cio’ che consentiva di fare. La situazione, in un certo senso, si è riproposta nell’economia quando Milton Friedman propose di considerare i giocatori di biliardo come geometri, così facendo era possibile prevedere le loro mosse, ovvero i loro tiri. Ma al contempo si trattava di un’ipotesi assurda poiché era chiaro che nessuno dei giocatori di biliardo era geometra! Domanda: la verosimiglianza delle ipotesi conta? Per i positivisti logici no. Contano solo le conseguenze. Oggi nessuno sosterrebbe più una cosa del genere.
Ma torniamo a noi. Nel 1926 la situazione era piuttosto confusa. In che modo il formalismo matematico utilizzato per rappresentare il sistema quantistico entra in contatto con il mondo come mostrato nell’esperienza? E’ l’indovinello “della misurazione”. Ma cosa stiamo misurando? Cosa esiste? La “strana” posizione di Copenaghen si fondava anche sul fatto che noi non abbiamo nessuna esperienza diretta con gli elettroni, come possiamo dire che il senso comune rimaneva sconvolto da certi comportamenti bizzarri? Il senso comune si forma con l’esperienza. Qui però la funzione d’onda di Schrödinger diventa decisiva poiché mostra come sia possibile risalire senza rotture dal mondo delle particelle a quello degli oggetti. In questo senso, anche un gatto, si disse, eredita le proprietà delle particelle subatomiche di cui è composto; anche un gatto, quindi, dovrebbe avere natura probabilistica In uno chema quantistico la sua essenza, almeno quando non lo osserviamo, è quella di essere sia vivo che morto (oppure né vivo né morto). Ma questa è una palese assurdità. La reazione di Bohr: qui si parla dell’invisibile, non di gatti. Ma a questo punto sorge il problema di distinguere gli oggeti classici (i gatti) dagli oggetti invisibili (le particelle). Formulandolo nei termini di Schrödinger: possiamo visualizzare il micromondo: è un’onda. Ma ad un certo punto, le onde ci appaiono come particelle. Quel punto critico è noto come “collasso d’onda” ed è importante conoscere le sue caratteristiche. Quando e come collassa la funzione d’onda?
Qui torna in campo Einstein – siamo alla drammatica quinta conferenza Solvay. Il genio pretende un chiaro resoconto di ciò che sta accadendo nel mondo fisico ma per Bohr è una pretesa assurda, una domanda insensata, è l’espressione “reale mondo fisico” che ha perso di senso: ripeto, contano soltanto le conseguenze prevedibili. Einstein in tutta questa faccenda gioca il ruolo dell’ anti-positivista. La sua posizione è spesso chiamata “realismo”, ma io la chiamerei “buon senso”: crede in un mondo oggettivo. La semplice previsione, non importa quanto precisa, non è sufficiente, manca la descrizione del reale.
Einstein e Bohr erano opposti polarmente nel loro approccio alla fisica, e la resa dei conti si ebbe in quell’epica conferenza. Einstein, un tempo radicale, era diventato un conservatore alla disperata ricerca di recuperare il determinismo classico. Ma come andarono le cose in quel duello finale? Nella vulgata, Einstein capì che doveva concentrare le sue obiezione in qualcosa di facilmente comprensibile e propose un esperimento mentale progettato per mostrare l’insostenibilità delle affermazioni di Bohr (ne ho parlato qui). Bohr gli rispose avvalendosi niente meno che delle armi del nemico, e tirò fuori a sorpresa la relatività. Einstein rimase spiazzato (come si resta di solito quando veniamo rintuzzati da una replica tanto sicura quanto ermetica). Una resa dei conti a valere nei secoli dei secoli. Einstein, sconfitto, trascinò il suo corpo ferito altrove, cambiò di umore, diventò una persona irritabile e smise di fare fisica in termini significativi.
Ma questo resoconto canonico non è molto fedele. Innanzitutto, Einstein non era infastidito più di tanto dall’indeterminismo della meccanica quantistica. Ciò che lo irritava – come diceva ripetutamente – era la “non-località”. Secondo la teoria quantistica di Bohr certi corpi erano in grado di influenzarsi a vicenda senza entrare in contatto. Esempio: se certi microeventi vengono osservati si manifestano in un certo modo, se non vengono osservati in un altro. E questo senza che ci sia un contatto fisico tra osservatore ed osservato. Un assurdità per Einstein. Tutto regolare per Bohr, che in nome delle “conseguenze” (ovvero della capacità predittiva) sarebbe stato disposto anche a credere ai fantasmi. Ma per Einstein, tra il “fatto bruto” di Bohr e i fantasmi non c’era molta differenza, quindi questo stato di cose andava sanato. Un altro modo per descrivere la non-località tira in ballo il collasso d’onda di cui sopra: se un’onda elettromagnetica viene incanalata attraverso un foro molto stretto, quando emerge si diffonderà in tutte le direzioni come le onde prodotte da un sasso scagliato in acqua. Ma nell’esperimento capita che lo schermo emisferico costruito per catturare l’elettrone ad un certo punto non riveli nulla di espanso, bensì un singolo lampo luminoso. Esiste cioè un punto in cui l’onda si trasforma in particella senza però che vi sia alcuna trasformazione descrivibile. Si tratta di una trasformazione istantanea: senza onda non c’è particella ma tra onda e particella non c’è alcuna mediazione fisica. In qualche modo, tutte le parti distanti della funzione d’onda scompaiono istantaneamente, come se viaggiassero più velocemente della luce, cosa impossibile. Si realizza così un’ azione spettrale a distanza, tipo paranormale. Miracolo? Fantasmi? A Bohr non interessa, è un “fatto bruto” che si limita a registrare. Einstein è invece è sconvolto, vuole una spiegazione. Oltretutto, il fenomeno aveva una sua regolarità, non era caotico, in un certo senso si poteva anche pianificare un percorso in grado di spiegare le cose (in seguito lo si farà, anche se in modo inaccettabile per Einstein). C’era qualcosa che stava agendo e metteva in contatto fisico i due fenomeni. Einstein cominciò a parlare di variabile nascosta senza mai riuscire ad esplicitarla.
Ma accettare la posizione di Einstein significa rifiutare la completezza della meccanica quantistica. Bohr si disinteressò della cosa e la sua posizione/non-posizione stava decisamente vincendo la guerra della propaganda. L’anarchismo trionfava. L’oscurantismo filosofico si propagava ovunque. L’incoerenza segnata dal “principio di complementarità” veniva sdoganata. Trionfava l’alleanza tra positivismo soggettivista e dialettica antilogica. Un abbassamento senza precedenti degli standard critici per le teorie scientifiche diveniva norma. Ciò ha portato a una sconfitta della ragione e al culto anarchico dell’ incomprensibile e del caos.
La storia successiva è piuttosto anodina. Nel 1932 la presunta prova matematica di John von Neumann attestava che la meccanica quantistica è completa, non si poteva aggiungere nulla, non c’era spazio per “variabili nascoste”. Nel 1935 Grete Hermann scopre difetti fatali nella prova di von Neumann. Successivamente Einstein ripropone, nel famoso argomento di Einstein-Podolsky-Rosen (EPR), le sue obiezioni; segue risposta incomprensibile e svogliata di Bohr. Nessuno sembra più interessarsi del dibattito teorico, si sfruttano invece le capacità dell’algoritmo quantistico. Bohr vince e diventa l’ortodossia, non perché il suo modello fosse superiore ma perché il suo disinteresse per un modello adeguato incontra bene il disinteresse della comunità scientifica tutta presa a sperimentare l’algoritmo.
Il profano pensa che a tanti anni di distanza le cose si siano messe a posto, che il casino sia stato ricomposto. Ma non lo è mai stato. Negli anni 50 e 60 il misticismo di Copenaghen si era congelato in un comando minaccioso: zitto e calcola (con l’algoritmo che ti abbiamo dato!). Chiunque tentasse di elaborare una teoria migliore faceva una brutta fine in termini di carriera.
Il primo rinnegato fu David Bohm, ipotizzava un’onda pilota in grado di guidare le particelle lungo percorsi prefissati in modo da aggirare la non-località e giungere a una teoria completamente deterministica. Si potrebbe pensare che almeno Einstein potesse accogliere con favore il suo tentativo ma non fu così, probabilmente perché il modello si conciliava male con la relatività (violava, diciamo così, certi limiti di velocità). Ad ogni modo il lavoro di Bohm fu ignorato ed efficacemente soppresso. Circola voce che Oppenheimer abbia detto: “se non possiamo confutare Bohm, allora dobbiamo ignorarlo.”
Un altro rinnegato fu Hugh Everett, sosteneva che per rendere coerente lo schema di fondo occorreva moltiplicare gli universi di riferimento. Il gatto di Schrödinger non doveva essere sia vivo che morto ma vivo in un universo e morto in un universo differente. Bohr si rifiutò di benedirlo e lui lasciò per sempre il mondo accademico.
Il terzo rinnegato fu John Stewart Bell. In realtà agì su un piano diverso, dimostrò cioè che l’imbarazzante “azione a distanza” era inevitabile, mettendo così chiaramente in luce il lato inaccettabile della cosiddetta “teoria” quantistica. Talmente inaccettabile che oggi i filosofi della scienza tentennano nel chiamarla “teoria” preferendo considerarla una lista di postulati con cui ricavare un algoritmo previsionale. Bell dimostrava una volta per tutte che le paure di Einstein erano qui per restare. Come ha reagito la comunità dei fisici a questa scoperta epocale? Con un’alzata di spalle. Sostiene che il risultato di Bell dimostra che l’indeterminismo è inevitabile, dimenticando che Bell stesso era il sostenitore più convinto della teoria deterministica di Bohm.
Certo, il lavoro di Bell ispirò una generazione di fisici teorici ad esaminare i fondamenti della fisica, in questo senso registrò un piccolo successo. Tuttavia, la soppressione della più genuina curiosità scientifica è sicuramente il punto di approdo di tutta la vicenda. Da allora la conoscenza della fisica è diventata secondaria per un fisico, l’unica cosa che conta è andare a Ginevra e infilare la testa nell’ennesimo accelleratore costato milioni di euro e giocare agli autoscontri.
Concludo allora come ho iniziato: non avremo più scienziati alla strega di Einstein. Non perché fosse un genio eccezionale, ma perchè non c’è più nessuna domanda di geni. E spero ora di aver spiegato perché.
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IL LUNGO ADDIO AL BUON SENSO
IL LUNGO ADDIO AL BUON SENSO
Il conflitto tra il resoconto scientifico del mondo e il “buon senso” sembra essere la regola, Copernico, per esempio, propose che, invece di tenere ferma la terra, si tenesse fermo il sole. Assurdo, visto che tutti constatiamo quotidianamente che la terra è ferma mentre il sole si muove. Ma il buon senso puo’ essere riconciliato pensando ai diversi piani di riferimento: se siamo su un treno e l’altro si muove, chi si sta muovendo in realtà? Il buon senso coglie bene questo enigma e, quindi, finisce per afferrare bene anche l’ipotesi di Copernico. Altro esempio: la terra gira su se stessa. Assurdo: se la Terra gira così velocemente, ci si chiede, come potrebbero gli uccelli in volo tenere il passo? Per risolvere il conflitto si dovette introdurre il concetto di inerzia: gli oggetti messi in movimento tendono a rimanere in movimento per conto loro.
Il buon senso è una raccolta di credenze ampiamente condivise che nascono spontaneamente dall’interazione quotidiana; qui sostengo la tesi di come sia logicamente impossibile per qualsiasi scienza empirica liberarsi completamente del buon senso. In altri termini, il buon senso non puo’ mai essere “liquidato”, deve essere sempre “riconciliato”. Se la riconciliazione è impossibile, la teoria non è una teoria valida. Ma perché?
Prendiamo la meccanica quantistica, ovvero la prima teoria che tenta una liquidazione del buon senso. Tuttavia, le affermazioni sugli stessi risultati sperimentali da cui tale teoria deriva traggono la loro autorità dal buon senso. Lo stesso Niels Bohr ha sottolineato esattamente questo punto in una delle sue discussioni in cui parla di interpretazione “classica” degli esiti sperimentali (nel suo gergo “classico” equivale a buon senso). In altre parole: la teoria liquida il buon senso per poi recuperarlo quando constata i dati sperimentali. Questo è un problema. Molti fisici, purtroppo, anzichè vedere il problema, sembrano deliziarsi nel portare all’estremo la “stranezza quantistica”. Esempio: il gatto di Schrödinger.
Nella fisica classica, informazioni complete sullo stato iniziale di un sistema, insieme alle leggi della fisica, consentono di derivare esattamente lo stato finale. L’incapacità della teoria quantistica di andare oltre semplici previsioni probabilistiche fu presa da Bohr e dalla sua scuola di Cpenaghen come un’indicazione che le leggi della fisica stessa sono probabilistiche. Di solito, di fronte ad una previsione probabilistica noi ammettiamo i nostri limiti, in questo caso no: abbiamo una conoscenza completa delle cose, sono LORO ad avere una natura “probabilistica”. Al buon senso gira la testa. Ma perché prendere una simile posizione così assurda? Molto più ragionevole la posizione di Einstein: la descrizione della realtà data dalla meccanica quantistica non è completa. E’ un bene che si possano fare previsioni accurate, ma la teoria non è completa, punto e basta.
Ma veniamo al gatto di Schrödinger. Lo studioso notò che certi comportamenti subatomici possono essere amplificati su scala macroscopica in modo da descrivere oggetti “normali” come per esempio un gatto. E fin qui nessun problema per il senso comune: se gli atomi sono i mattoncini che ci costruiscono, possiamo parlare di noi parlando di quei mattoncini. Ora, il senso comune non puo’ giudicare l’elettrone – non ha nessuna esperienza in merito – ma il gatto sì. Ora, dal fatto che lo status di una particella puo’ essere indeterminato ne deriva che anche lo status di un gatto chiuso in un box puo’ essere indeterminato. Cio’ significa che nell’istante X puo’ essere contemporaneamente SIA vivo CHE morto.
È essenziale notare che Schrödinger non stava proponendo di accettare una conclusione tanto bizzarra. Descriveva infatti l’esempio come un “caso ridicolo”, mostrava cioè che la comprensione di Bohr della teoria quantistica non poteva essere corretta. Ma per qualche oscura ragione, i fisici hanno cominciato ad usare il gatto di Schrödinger come illustrazione fedele della realtà.
I paradossi potevano essere spinti oltre: l’atto stesso dell’osservazione in qualche modo costringeva magicamente il gatto a “determinarsi” nella condizione di vivo o morto. Il buon senso vede in questo potere degli osservatori una specie di “storia di fantasmi”, un’azione spettrale a distanza tipo quelle che abbondano nel mondo paranormale. Fortunatamente c’è una via d’uscita, basta ammettere la propria ignoranza: non sappiamo ancora bene come vanno le cose. Copenhagen, invece, non batté ciglio: non c’è nessuno spettro, nessuna ignoranza, la natura è così, punto. I fisici di tutto il mondo erano chiamati a bersi anche la più comica delle bizzarrie. E lo fecero! Per loro – e in questo erano in linea con il positivismo logico che allora dominava – una teoria non deve “spiegare”, deve solo “prevedere”, è chiaro che se le cose stanno così andava bene tutto. Uno di loro arrivò a dire: “ora sappiamo che la luna non è lì quando nessuno guarda”. Ah ah ah. una lezione ce la portiamo a casa: ciò che il fisico medio ha da dire su questo argomento non sembra affatto affidabile. Ci sono infatti diversi modi più chiari e coerenti di dare un senso alla teoria quantistica – prima, per esempio, ho parlato di ignoranza – e nessuno di loro suggerisce che la luna non esista!
Ma se la teoria quantistica non ci dice che esistono gatti né vivi né morti, cosa ci dice?
La risposta è semplice: nulla. Nulla perché, molto semplicemente, non esiste alcuna teoria della meccanica quantistica, esiste al limite un semplice algoritmo con cui i fisici fanno le loro previsioni. Un algoritmo serve a quello, e a lui è giusto non chiedere altro. Una teoria, invece, deve dirci COSA ESISTE e COME CAMBIA. I fisici non hanno nulla del genere per l’infinitamente piccolo. Non hanno cioè un’interpretazione valida di quello che succede in quel mondo, anche se riescono a prevederlo. Certo che se prevedere è tutto – come per i positivisti logici – allora, contro il buon senso, l’algoritmo puo’ fungere anche da teoria. Si badi che l’algoritmo in sé è silente sulla natura delle cose, non ci dice se sono determinate o indeterminate, è la teoria che si assume questo onere.
Tuttavia, al di là dell’indeterminazione, è la presenza di fantasmi a sconcertare il senso comune, nonché Einstein (che l’indeterminazione l’accettava). Come se non bastasse, John Bell dimostrò più tardi che l’azione dei fantasmi (lui la chiamava “località” o “azione a distanza”) era inevitabile nella meccanica quantistica. Già Newton, in accordo con il senso comune, aveva risolutamente respinto l’idea di un’interazione non mediata tra oggetti. Certo, potremmo togliere un vincolo di velocità massima pari a quello della luce, ma in questo caso andrebbe in crisi la relatività.
da quanto detto traggo almeno due lezioni: 1) chi vuole fare predizioni se la cava, chi vuole conoscere è in mezzo al guado. Per questo i fisici si sono messi a sperimentare nel tentativo di predire, ma quanto a conoscenza non avanzano di un millimetro da decenni. 2) Il senso comune è regolarmente violato dalla scienza, ma questo non è un problema poiché c’è sempre un momento di riconciliazione. Quando la riconciliazione manca cominciano i guai. Ecco, nel caso della meccanica quantistica li vediamo tutti.
Per finire, cedo la parola a Democrito: povera mente, accumuli prove su di noi e poi cerchi di rovesciarci? Non capisci che il nostro rovesciamento è la tua caduta!
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