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mercoledì 12 dicembre 2018

A CHE SERVE IL NOMIGNOLO?

A CHE SERVE IL NOMIGNOLO?

Quando sarete al cospetto di Michele Greco non chiamatelo mai “Papa”, potreste ritrovarvi incaprettati in men che non si dica. Presso i mafiosi il nomignolo nasconde sempre una certa presa per il culo, la cosa serve a rendere chiaro che viene dato e non scelto (è la differenza fondamentale con i “nomi di battaglia”). In siciliano soprannome si dice 'nciuri, ovvero “offesa”.

Alcuni soprannomi venuti fuori al maxi processo di Palermo:

“u'Dutturi” (il dottore – uno specialista nel tagliare la droga).

“L'Ingegnere” (l’addetto alle radio).

“Il Senatore” (chi aveva conoscenze politiche).

“U'Tratturi” (il trattore – noto per i massacri compiuti).

Soprannomi "fintamente” positivi: “Re della Kalsa” (mandamento), “Principe di Villagrazia”, “Principe della Cocaina,” “Papa”, “Generale”, “Cavaliere”, ”Pinuzzu Garibaldi,” “L'Agnelli del Contrabbando” e “Onassissino” (piccolo Onassis).

“Il cornuto di Buffalo”.

“Il gioielliere” (un pescivendolo con prezzi salatissimi).

“Filippo” (un contrabbandiere che ha preso il nome dal guardiacoste sempre alle sue calcagna).

Soprannomi derivati dal fisico: “u'Beddu” (il bello), “Il Grosso”, “u'Riccio”, “Turchiceddu” (il piccolo turco, per la carnagione scura), “u'Buttigghiuni” (il bottiglione), “Faccia di Pala” (faccione).

“Pietro u'Zappuni” (per i dentoni frontali).

“Il vampiro” (per l’aspetto spettrale).

“Scillone” (il pendolo, per il modo d’incedere).

“Mussu di Ficurindia” (per la forma allargata della bocca).

“Pinzetta” (per l’abitudine di spuntarsi le sopracciglia).

“Alfio Lupara”

Derivati dal carattere: “u'Tranquillu” (quieto), “u'Guappo”, Abbruciamontagna” (brucia montagne, per il suo temperamento), “u'Cori Granni” (per la generosità), “u'Facchinu” (per la maleducazione), “Parrapicca” (di poche parole), “Piluseddu” (villoso), “Farfagnedda” (balbuziente), e “Tempesta”.

Derivati da animali: “Il Cane”, “Il Lupo”, “Capretto” (ragazzino), “Pecora Bianca” (per la chioma imbiancata), “Cavadduzzu” (cavallino), “Conigghiu” (coniglio), “Musca”, “Farfalla”, e “Salamandra”.

Derivati dagli hobby: “Turi Karaté”, “Scarpapulita”, “Pupo”, “Cacciatore”, “Studente” (un eterno fuori corso), e “u'Masculiddu” (maschietto).

Derivati dalla verdura: “Milinciana” (melanzana, per l’aspetto scuro e raccolto) and “Cipudda” (cipolla).

“Scagghidda” (scaletta).

“Pinnaredda” (pennetta).

“Puntina”.

“Il Bruto” (stupratore di minori).

“Ninu u'Babbu” (Nino the pazzo).

“Fifu Tistuni” (testone).

“Saru u'Bau” (l’orco).

“Calo Tabarano” (il depresso).

“Piddu Chiacchiera” (nick dato a Giuseppe Madonia per la sua mania di esagerare i racconto).

”Il Corto” (Riina).

“u'Viddanu” (il rozzo: Bernardo Provenzano).

“Mozzarella” (Marino Mannoia).

“Taninu Babbuneddu” (per il cranio grosso).

“Ciccio Occhialino”

Dati ai killer (notare la scarsa minacciosità): “Scarpuzzedda” [scarpetta], “u'Picciriddu” [il ragazzino], “Anatreddu” [anatroccolo], “Il Ragioniere”.

”Ciaschiteddu” (uccellino).

“Siddiati” (brontolone).

”Tignusu” (il pelato).

Ma perché si danno i soprannomi? Ci sono tante teorie: per consentire l’identificazione ai mafiosi (in Sicilia l’omonimia è diffusa), per depistare gli inquirenti, per stimolare la competizione, per prendere in giro, per creare intimità…

La mia preferita: per ricordare al soggetto i suoi difetti, ma soprattutto che la gente lo guarda e lo giudica. E’ la stessa funzione del pettegolezzo: una specie di sanzione informale data dal basso in grado anche di gestire le tensioni tra potenti e umili.

Poi serve anche come test: in Italia e non solo ci si saluta spesso con forme offensive (“tel chi il sacco di merda”, “come va vecchio figlio di puttana”, “va chi c’è, quel cornuto di Turiddu…”, “Oh, vecchio bastardo, come te la passi?…”). E’ un modo per stabilire intimità ma anche per capire se possiamo permettercela. Il passaggio dall’intimità al formalismo è un segno funesto. Esempio: se vi rivolgete a Riina chiamandolo “Curtu” e lui vi risponde serio serio con il Vossia, siete un uomo morto.

martedì 11 dicembre 2018

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO

L’IMPORTANZA DI CHIAMARSI ERNESTO

Cose imparate oggi: i cognomi erano soprannomi.
Voi non ci crederete ma è esistito un mondo in cui l’informazione scarseggiava, cosicché non andava sprecata, a partire dai nomi. Il fatto che io mi chiami “Riccardo” non dice niente a nessuno, se mi chiamassi “Pietro” non farebbe differenza. Si tratta di una palese occasione sprecata per informare. Oltretutto, “Riccardo” è un nome che mi è stato appioppato quando ancora non si conosceva il mio carattere.  Sarebbe molto più utile  se la gente mi chiamasse “lo spaccaossa”. O al limite – considerata l’ereditarietà dei caratteri personali - “Mario”, che è il nome di mio papà, lui almeno aveva già vissuto a lungo e qualcosa in più si sapeva.

Ma ancora oggi ci sono mondi dove l’informazione scarseggia ad arte: il mondo del crimine. Al maxiprocesso di Palermo il 32% degli imputati era schedato dalla polizia con un soprannome (spesso il nome del padre o del nonno). Non esiste professione che eguagli questo record.