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lunedì 23 maggio 2011

L’ invenzione dell’ odio e dell’ amore

I normali problemi che presenta a tutti la vita dell’ uomo medio sembra fossero insormontabili per Henry Treadwell, cosicché decise di cercarne di più difficili conducendo una vita estrema, da super eroe.

E’ un tipico modo per mascherare la propria inettitudine: si alza l’ asticella per fallire gloriosamente quando si presente un fallimento con ignominia.

Le sue vacanze erano al contempo noiose ed eccitanti: noiose perché sempre nello stesso posto, eccitanti perché questo posto erano le penisole dell’ Alaska, paradiso del feroce orso Grizzly.

Il regolamento parla chiaro: distanza di minimo 100 metri dalle terrificanti creature. Henry Treadwell, telecamerina in spalla, invece sgrullava loro il capoccione. Ci si sedeva sopra quasi fossero poltrone. Faceva così il fuorilegge e ne andava fiero.

GREAZZLY  BEAR BEAN BAG

Le fidanzate lo mollavano puntualmente, se per eccesso di eccitazione o per eccesso di noia non lo so.

Treadwell si sentiva chiamato a salvare questi bestioni dalle minacce incombenti. Il suo era un trasporto mistico, si sentiva “chiamato” a farlo, una voce aveva detto: “tocca a te!”, si sentiva in missione per conto di Dio e pronto a sacrificare tutto.

Senonché non incombeva proprio nessuna minaccia: gli orsi proliferavano iper protetti in una riserva naturalistica.

Cio’ non diminuiva la sua dedizione, anzi, questi intoppi di logica elementare rinfocolavano la fantasia favorendo i voli pindarici. Ora si vedeva come un samurai intento a resistere, e dovendo inventarsi un nemico esagerò: l’ Uomo. Sì, l’ uomo, l’ emancipazione dall’ umanità intera divenne la sua meta. La “civiltà” andava combattuta a partire da quei figli di puttana dei guardia-parco.

Fece una fine tragica: il pilota dell’ aereo che doveva recuperarlo al termine della tredicesima estate non sentì i consueti schiamazzi dell’ istrione. Trovò invece un Grizzly che rovistava in una gabbia toracica umana. La testa, con un sorrisino sulle labbra, era in cima alla collina, il braccio con l’ orologio funzionante sul sentiero, i vestiti e il resto delle membra nello stomaco dell’ esemplare che venne successivamente abbattuto e squartato.

Il martirio da sempre cercato si era compiuto: mangiato dagli orsi. Finalmente con loro, per sempre. Già in passato lo si era sentito affermare che “solo con la morte avrebbe potuto cambiare le cose”.

Come ogni mistico, Henry non si limitava ad “amare” gli orsi, voleva entrare in comunione con loro, voleva essere uno di loro. Era una sua fissa e lo ripeteva sempre.

Come ogni mistico, Treadwell aveva un’ inclinazione caotica, le fidanzate al suo fianco servivano ad “ordinare” le sue euforie.

Amy fu l’ ultima, morì con lui, la possiamo sentire nell’ audio della tragedia (la telecamera ha il tappo): Henry, già mezzo mangiato, le dice di andarsene e mettersi in salvo, lei invece si attarda fatalmente con inutili padellate sulla testa del mostro.

I suoi amici – invasati quanto lui – dicono che l’ orso che gli fece la pelle era un infame che a lui neanche piaceva.

Ma le parole più convincenti le ho sentite pronunciare dagli abitanti del villaggio alaskano più prossimo ai recessi frequentati da Treatwell. Parlo del “baffo” e del reggente il museo, entrambi esprimono lo stesso concetto con sfumature un po’ diverse.

Il primo, con la schiettezza del cowboy artico, ci dice che il biondino trattava gli orsi come fossero gente con un costume da orso. Ha resistito tanto a lungo perché gli orsi lo credevano un ritardato mentale e per un po’ hanno gradito il chiassoso spettacolino. Poi qualcuno si era stufato e l’ aveva sventrato con l’ artiglio del mignolo.

Il secondo è un eschimese scienziato ed esprime l’ opinione della comunità indigena: l’ invadenza di Treadwell non era “rispetto” verso l’ animale, tutt’ altro; lui era animato da buone intenzioni ma ha recato solo danno alla fauna selvaggia che tanto amava; da 7.000 anni noi osserviamo un confine invisibile che ci separa dagli orsi. Treadwell non l’ ha fatto e queste cose hanno un prezzo.

Non c’ è solo clownerie in questa storia. Anche molta poesia, le immagini con la volpe Spirit, per esempio. Ma c’ è soprattutto la vicenda personale di HT: gli orsi lo salvarono dall’ alcolismo motivandolo e HT, sentendo che doveva loro la vita, voleva dirlo al mondo riconsegnandola platealmente ai legittimi proprietari. Ci mise 13 anni ma alla fine ci riuscì.

Ora, io mi domando e chiedo: poteva mai una simile tempra di santo, mistico, buffone non attrarre l’ interesse di Werner Herzog?

No, infatti questo è il tributo che gli reca riutilizzando le 100 ore di filmati che HT aveva girato in una delle più profonde solitudini mai viste.

link

lunedì 7 febbraio 2011

Spirito/nebbia/occhi/torrente/scimmie

Aguirre furore di Dio -

Degrada lo spirito popol vuh, che dapprima sublima nella nebbia, che poi trasogna l' occhio, che infine inzacchera il fiume, che da ultimo svilisce nei disordini della scimmia.

Il furore di cui al titolo noi non lo vediamo all' opera, ma per appurarne l' esistenza ci basta avvistarlo che cova in fondo alla pupilla visionaria di Aguirre.

Sappiamo così per certo che presto la maestosa lentezza della nebbia andina sarà turbata dalla compulsiva curiosità di quell' anomalo babbuino che viene dall' Europa.

Sappiamo che l' antimisticismo cattolico, corredato da una teleologia torrentizia e fangosa, sconvolgerà il sonnolento moto circolare che culla l' imperturbabile stagno dell' imbambolato indigeno.

Ci sarà sempre un tradimento, una testa mozzata, un sabotaggio che darà la svolta agli eventi, che accelererà l' evoluzione in direzioni impreviste, che farà saltare equilibri secolari, che sbarrerà di nuovo l' occhio ambizioso nel miraggio dell' Eldorado.

Aguirre fallisce e finisce pazzo, scosso dal suo muto sogno, grottesco comandante di una zattera di scimmiette che antepone le noccioline alla condivisione del sogno.

Ma il film non dice questo, il film dice che verrannno altri dopo di lui.

Quella stirpe non è fatta per la rinuncia. Quegli occhi sono un potente fertilizzante che garantisce frutti anche nella sconfitta, un fertilizzante che è la vera novità portata da oltreatlantico e imposta al mondo: la "distruzione creativa".



P.S. Intervento critico della Sara: ma Kinski non assomiglia a Sallusti?

mercoledì 8 settembre 2010

Il giorno che diventai relativista

Ragazzi, questo libro è da comprare di corsa (e il blog relativo da frequentare assiduamente).

Le relazioni tra persone risultano complesse, ma quelle tra noi e gli animali, a quanto pare, sono un vero rompicapo.

Non che la cosa sia nuova, ma...

[How can so many Americans believe animals have the right to live, and also that people have the right to eat them? Why is it wrong to feed a pet snake kittens but not rodents? Should pit bulls be outlawed? Should mice be used for medical research? Do true vegetarians eat fish? Does living with a pet really make people happier and healthier? What do we make of the fact that in 1933 the Nazi party enacted the world’s most progressive animal protection legislation? Why can a puppy be regarded as a family member in Kansas, a pariah in Kenya, and lunch in South Korea? Who enjoyed a better quality of life—the chicken on a dinner plate or the rooster who dies in a Saturday-night cockfight? Why is it wrong to eat the family]

In fatto di etica è ben difficile raccapezzarsi.

Non mi meraviglia che la sicumera tipica di molti libertari su questi temi faccia naufragio.

Non mi meraviglia nemmeno più la congenita prudenza di Diana, che, sensibile alla materia, probabilmente è proprio avendo in mente certi dilemmi che conduce le sue riflessioni e sviluppa i suoi istinti.

Nell' affrontare casi etici di tale portata, anch' io mi converto di corsa la RELATIVISMO e al CONVENZIONALISMO.

Cio' significa che se dovessi scoprire che anche l' uomo ha una natura animale, il mio relativismo diverrebbe assoluto.