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mercoledì 26 novembre 2014

How Can Meditation Help You Control Your Mind?

How Can Meditation Help You Control Your Mind?:



'via Blog this'

Per la serie: le vie alternative al paternalismo.


Importante l' introspezione. Noi cattolici fortunati ad avere l' esame di coscienza.

venerdì 17 gennaio 2014

Percepire le allucinazioni

Il problema centrale dell' epistemologia: cosa succede nella nostra mente quando percepiamo qualcosa?

Le allucinazioni esistono e una buona teoria della percezione dovrebbe darne conto.

In genere si ammette che percependo noi diventiamo coscienti di qualcosa in modo diretto e di qualcos' altro in modo indiretto.

La teoria sense-data, ricavata da Hume, è drastica: i sensi ci riportano dei dati che formano una rappresentazione mentale. Noi siamo coscienti in modo diretto di quella rappresentazione e in modo indiretto della realtà.

Una teoria del genere spiega in modo meraviglioso l' allucinazione: si produce allucinazione quando esiste una rappresentazione mentale senza che esista l' oggetto. Noi siamo coscienti in modo diretto solo della rappresentazione mentale, per cui è più che evidente, in assenza dell' oggetto, inferire una falsità.

Ma una teoria del genere sbocca necessariamente nello scetticismo sul mondo reale: se ad esso non posso accedere non potrò mai sapere se esiste o meno, se sono vittima di un' allucinazione continuata o meno.

Per molti l' assurdità dello scetticismo humaniano è qualcosa da superare poiché rappresenta una contraddizione continua nella nostra vita di tutti i giorni. Sia come sia è comunque un punto debole di Hume.

Per superare le assurdità dello scetticismo bisogna ricorrere a teorie alternative, secondo me la migliore a disposizione è quella del realismo diretto nella sua variante "intenzionalista" (intentionalism, da "intendere" o "tendere". Le intenzioni non c' entrano niente). Secondo questa teoria quando la mente percepisce si "tende" verso l' oggetto reale. E' l' oggetto reale cio' di cui diventiamo coscienti in modo diretto, la rappresentazione mentale dell' oggetto è solo un veicolo che conduce ad esso la nostra mente. L' accusa a Hume è chiara: confonde il veicolo con l' oggetto.

Nell' allucinazione non esiste un oggetto quindi non esiste un oggetto di cui essere coscienti, siamo solo le vittime di una falsa rappresentazione: la nosstra. mente si è imbarcata su un veicolo sbagliato, un veicolo che non l' ha condotta in nessun luogo.

Ma perché ci è sembrato di andare da qualche parte?

Evidentemente già il veicolo prepara in qualche modo la mente all' incontro con l' oggetto e non si puo' escludere che a volte questi preparativi siano ingannevoli. Da qui le allucinazioni. D' altronde i veicoli stessi possono essere oggetto di analisi quindi oggetto della nostra coscienza che ne puo' valutare l' attendibilità. Esiste una facoltà apposita (introspezione) che consente al soggetto di percepire i fatti mentali alla stregua di oggetti, e quindi di analizzare "veicoli" della percezione stessa.

Non che questo risolva il problema una volta per tutte poiché come ciascuno vede come intrucendo l' analisi dei veicoli si precipita in un regresso infinito. Ad ogni modo introduce una possibilità di accuratezza.

Per arginare il regresso infinito, comunque, i sostenitori dell' intenzionalismo fissano un principio di conservazione (PC) in base al quale si è giustificati, fino a prova contraria, a ritenere vere le evidenze di cui siamo in possesso. E' un principio "legalistico" come è stato osservato.

Conclusione: non c' è dubbio che la teoria sense-data spieghi meglio il fenomeno dell' allucinazione, tuttavia conduce dritta dritta nello scetticismo, cosa che appare assurda a molti. La teoria intenzionalista forse è più cervellotica quando è chiamata a spiegare l' allucinazione (c' è anche di peggio, per esempio il disgiuntivismo o l' avverbialismo) ma per lo meno non lascia aperta la possibilità che la nostra esistenza sia una mera allucinazione continuata.

venerdì 14 dicembre 2012

Senso comune, ovvero il razionalismo intuizionista

Partiamo dicendo che la ragione non implica solo il principio di non-contraddizione ma anche quello di evidenza.

Proseguiamo facendo notare che un argomento valido implica due alternative: o si accettano le conclusioni o si rifiutano le premesse.

Concludiamo dicendo che lo scetticismo è irrazionale: accetta conclusione strampalate pur di conservare premesse forse valide ma perlomeno dubbie.

Dando peso all' evidenza, la ragione non si esaurisce in una questione di "argomenti" ma implica "onestà". Che cosa reputo evidente? Per rispondere devo essere accurato e onesto (introspezione). Quando sorgono contraddizioni devo chiedermi dove sta l' evidenza più probabile facendo appello alla mia onestà introspettiva.

Lo scettico ammette di non poter vivere in base ai suoi principi. Ma questa è un' ammissione decisiva che intacca la razionalità della sua dottrina! Adesso capiamo meglio cosa intendere con il termine coerenza: non si tratta solo di logica ma anche di pratica. Tutto attiene alla ragione.

Difendere il senso comune non significa difendere il pragmatismo: la convenienza puo' essere differente per ciascun soggetto, la verità del senso comune, per contro, deve essere la medesima.

http://econfaculty.gmu.edu/bcaplan/commonsense.pdf

lunedì 6 giugno 2011

Moralismo cattivo e moralismo buono

In una serie di vecchi post me la prendevo con il neo-femminismo puritano. Il capo d’ imputazione era forte: “moralismo”.

Dico “forte” perché so che da quelle parti un’ etichetta del genere, che altrove sarebbe un vanto, è mal digerita.

In effetti, essere considerati dei “moralisti” non è molto “cool” al giorno d’ oggi, eppure non voglio dar l’ impressione che sia sempre un atteggiamento condannabile.

Vediamo allora di distinguere il “moralismo cattivo”, imho quello delle neo-femministe, da uno più accettabile se non auspicabile.

[“Moralista” = è colui che non si limita ad osservare una certa regola etica di comportamento ma fa di tutto, o comunque s’ impegna, affinché anche gli altri si uniformino alle sue preferenze]

***

Se la morale non esistesse, esisterebbero solo individui egoisti che perseguono razionalmente il loro bene personale.

Ma attenzione, anche l’ egoista razionale, grazie al miracolo laico dell scambio, puo’ fare del bene: Tizio, infatti, si arricchisce e soddisfa i suoi obiettivi quanto più soddisfa prontamente i bisogni di Caio.

Questo è tanto vero che per alcuni autori è tutto: la morale si produce in modo endogeno, fine del discorso.

Per questi autori non serve un “uomo morale”, figuriamoci se serve un “moralista”.

Ma questa logica incontra ostacoli non da poco che si manifestano nel cosiddetto dilemma del prigioniero:

priso

Provate a leggere che che si tratta, vi accorgerete che in quei casi se mi comporto da egoista non costruirò mai “un mondo migliore”.

Ci sono molti dilemmi che derivano da quello originario. Sono tutti casi in cui la tentazione opportunistica (free riding) compromette il bene comune.

Questa critica non è tanto rivolta agli “egoisti”, in fondo costoro non hanno come obiettivo quello di migliorare il mondo in cui vivono, quanto a chi sostiene che un “mondo egoista” possa essere anche un “mondo migliore” per tutti.

Spesso la politica è chiamata in causa per raddrizzare queste storture, senonché quasi sempre la toppa che mette è peggio del buco.

La cosa migliore sarebbe allora l’ entrata in scena del cosiddetto “Uomo Etico” (UE).

UE segue dei principi etici e a quei principi uniforma con zelo i suoi comportamenti nella speranza di creare il fatidico mondo migliore.

Ebbene, possiamo dire fin da subito che non riuscirà mai a dar corpo alla speranza perché quei suoi principi, qualsiasi essi siano, libereranno interazioni in stile “dilemma del prigioniero”. Situazioni in cui per perseguire gli obiettivi di UE sarebbe meglio non adottare i principi di UE.

James Jean

Ogni etica del “buon senso” (ama i tuoi figli, la tua famiglia, la tua patria…) è soggetta al “dilemma”, esattamente come la razionalità egoista.

Solo chi si pone per obiettivo diretto “la costruzione di un mondo migliore” (conseguenzialismo), evita il “dilemma”. Vivendo in un mondo dove il battito d’ ali di una farfalla scatena gli uragani, giusto uno “gnostico” cova progetti tanto ambiziosi. E i danni dello gnosticismo sono noti.

Oltre a essere proco verosimile, un’ etica conseguenziale ha altri difetti: conduce spesso a conclusioni ripugnanti ed è auto-rimuovente.

Scartata la politica e scartato il “conseguenzialismo”, per fortuna ci sono altri rimedi. Ma per sfortuna dobbiamo constatare che sono tutti rimedi-monchi.

Si può chiedere all’ uomo di coltivare un certo altruismo, ma l’ altruismo crea altro opportunismo. Si possono chiedere “test kantiani” (faccio solo cio’ che sarebbe un bene se facessero tutti), ma il test kantiano spesso è assurdo. Si puo’ invocare la fiducia nel prossimo, ma la fiducia nel prossimo non garantisce una buona uscita dal dilemma.

Alla fin fine il miglior modo per uscire da dilemma è quello di appellarsi ad una sincerità introspettiva.

Da quanto detto comprendiamo quale sia l’ ossatura di un’ etica ben costruita: sani prinicipi + riluttanza all’ opportunismo nei casi evidenti di free riding.

Ma un’ etica aprioristica (fondata sui principi) revisionata in questo modo non puo’ più nemmeno dirsi aprioristica visto che per evitare i comportamenti opportunistici ci tocca calcolare esattamente le conseguenze dei nostri atti.

E’ un ibrido!

Per costruirla gli aprioristi e i conseguenzialisti devono allearsi e rendersi conto che stanno scalando la stessa montagna da versanti diversi.

L’ ossatura della mia etica laica preferita per costruire un “mondo migliore” è all’ incirca questa: rispetto della proprietà + sincerità.

Trasparenza e Proprietà. E’ un’ etica piuttosto borghese, lo ammetto.

Oltretutto la “sincerità” e il culto della “proprietà”, spesso creano danni. Ma non esiste al momento una formula per delimitare la parte benefica!

In genere mi attengo alla mia “etica da un rigo”, a meno che qualcuno mi dimostri in modo evidente che ci sono inconvenienti. Esempio: la bugia pietosa porta benefici evidenti, e io rinuncio al mio “principio di sincerità”. I problemi di "common knowledge" impediscono alla "sincerità" di essere un principio assoluto. Un ubriaco alla guida costituisce un pericolo evidente, e io rinuncio al mio principio di proprietà.

L’ uso dell’ economia mi consente di ridurre al minimo le mie “rinunce” poichè l’ economia rende difficoltoso enucleare “evidenze” contrarie ai miei principi. E quando il calcolo delle “evidenze” si fa confuso ed incerto, l’ appello ai principi diventa decisivo.

Ed ora veniamo ad una conclusione possibile.

Penso che l’ atteggiamento moralistico abbia un qualche senso nel momento in cui crea ostacoli al free rider.

Ecco allora la risposta che cercavamo: il “moralismo buono” consiste nel sanzionare moralmente chi è aggressivo con la proprietà altrui, nonché l’ ipocrisia (insincerità) di chi sfrutta le situazioni stilizzate nel “dilemma del prigioniero”.

Tutto il resto è moralismo cattivo, il moralismo di chi al mercato compra le carote facendo la “predica” a chi preferisce le zucchine.

Derek Parfit – Reasons and Persons

sabato 23 ottobre 2010

Accordarsi nel disaccordo

La gente ama discutere ma quasi sempre non va d' accordo, magari persino su questioni dove pensa siano implicate delle verità oggettive.

Non solo, capita spesso che più discuta più profondi divengano i disaccordi.

Sono infiniti gli argomenti problematici: Dio, la morale, il calcio, l' influenza dei media sul voto alle elezioni, la meccanica quantistica, l' altezza dell' uomo che è appena passato, la bellezza di Isabelle Huppert...

La gente non va d' accordo, e magari, dopo aver constatato il disaccordo, non è nemmeno imbarazzata; stranamente non stupisce. Si è abituata ad avere opinioni divergenti.

E' del parere che il disaccordo sia un esito del tutto naturale, anche tra "specialisti". La gente trova un suo "equilibrio" nel disaccodo; in altre parole: concorda nel fatto di non concordare.

Ci si stringe cavallerescamente la mano nel rispetto reciproco: si concorda nel disaccordo e si vive appagati.

Eppure, chi ha approfondito la questione trova stravagante che una discussione possa concludersi così.

Di più, la teoria ci dice chiaramente che un equilibrio del genere è impossibile (Teorema dell' impossibilità di Aumann).

Si puo' solo essere d' accordo di essere d' accordo, ma non si puo' essere d' accordo di non essere d' accordo.

[.. Inutile riprendere la teoria ufficiale (avevo già dedicato un post al tema), per capire in modo intuitivo come procede basti considerare come in una comunità di persone ragionevoli lo sport delle scommesse fatichi a prendere piede: se c' è qualcuno che accetta la scommessa che propongo, allora c' è qualcosa che non va nelle credenze che stanno alla base della mia proposta...]

Per capire poi dove risieda la fonte dei disaccordi, basta verificare l' ipotesi violata tra quelle che Aumann pone a base del suo teorema.

Due persone, Giovanni e Giuseppe, disputano su un argomento. Se:

H1. G&G sono bayesiani... se:

H2. G&G sono honest-truth-seeking... se:

H3. G&G hanno "conoscenza comune" (sanno esattamente cosa pensa l' altro)... se:

H4. G&G hanno "principi comuni" (credono la stessa cosa se informati nello stesso modo)...

... allora G&G devono per forza di cose giungere nel merito ad un accordo su tutta la linea. E lo stesso quando passano alla questione successiva. E via così all' infinito, finchè non saranno d' accordo su tutto.

Perchè allora nel mondo reale, nonstante la logica, la gente non concorda e sembra pacificata nel rispettivo dissentire? Evidentemente qualche ipotesi non tiene.

H1 stabilisce semplicemente che i due disputanti siano ragionevoli. Se Giuseppe ammettesse di non esserlo, saremmo a cavallo, la spiegazione è bell' e pronta. Ma penso che tra i contendenti, pochi siano disposti a tanto.

Di H2 avevo già accennato dicendo che puo' avere un peso. Ma, in genere, chi non è un "honest-truth-seeking" finisce in qualche modo per ammetterlo, anzi, per rivendicarlo, e le cose si chiariscono. Certo, magari si evita la definizione di "disonesto" per ripiegare verso una terminologia più edulcorata.

Ad ogni modo H2 puo' essere sempre una pista da battere per trovare l' accordo pieno: nella discussione che precedeva Davide ha detto di essere ben felice di fare da custode al "tabù" dello schiavismo (ha ragione è una funzione sociale preziosissima), e questo è stato estremamente illuminante.

Neanche H3 presenta grandi problemi: due honest-truth-seeking, nel corso della discussione, arriveranno presto a condividere la propria conoscenza. A meno che qualcuno sia reticente, se non bugiardo. Ma se G&G sono honest-truth-seeking, difficilmente saranno reticenti.

Inoltre, due honest-truth-seeking, se discutono intimamente, realizzeranno prima o poi quella che i logici chiamano "conoscenza profonda": io so cio' che tu sai che io so che tu sai che io so... Una conoscenza essenziale per il teorema.

H4 sembra davvero essere l' ipotesi cruciale. Ma decifrare H4 è meno semplice di quanto si pensi.

G&G possono avere "principi diversi" ed essere entrambi ragionevoli?

Ponete il caso di due giudici che con le stesse identiche informazioni a disposizione sono chiamati a giudicare lo stesso caso. Ammettiamo poi che le loro sentenze finali divergano in modo antitetico.

Se rispondiamo di "sì" alla domanda appena posta dobbiamo anche tollerare il fatto che entrambe le sentenze possano essere sia conclusive che perfettamente valide.

Una concessione che turberebbe chiunque.

Eppurre per molti - chiamiamoli "discrezionalisti" - avere punti di partenza differenti è lecito, in sè non viola alcuna norma razionale.

In un certo senso la posizione dei "discrezionalisti" ci sembra di comprenderla: chi parte da premesse differenti giungerà a conclusioni differenti. Attenzione però a non lasciarsi sedurre da una simile cosiderazione, significherebbe travisare H4, ovvero non aver compreso cosa intendiamo per "principio".

Ogni "principio" responsabile del dissidio tra Giovanni e Giuseppe puo' essere a sua volta messo in discussione e cessare così di essere un "principio" che differenzia le posizioni dei due.

Dopo la discussione, infatti, per effetto ancora una volta del teorema di Aumann, non esisterà più un disaccordo sulla validità di quello che prima Giovanni e Giuseppe consideravano un "principio" divisorio.

Per questo dicevo che l' interpretazione di H4 (comunemente nota come CPA = common priors assumption) non è immediata.

Alla fine della fiera c' è solo un principio che mette tutti "d' accordo sul disaccordo" esistente, ed è il principio: "Io sono infallibile".

Da notare che da un principio del genere si puo' coerentemente costruire un florilegio di verità del tipo: "Io sono infallibile e io dico X".

Se Giovanni sostine il principio per cui "Giovanni è infallibile" e Giuseppe sostiene il principio per cui "Giuseppe è infallibile", i due probabilmente non andranno d' accordo su una certa questione ma potranno stringersi la mano perchè sono d' accordo sulla fonte del proprio disaccordo.

[E' lo stesso motivo per cui se Giovanni si sente infallibile troverà il modo di scommettere con il Giuseppe che si sente infallibile, anche se entrambi sono e si riconoscono individui razionali]

In effetti se Giovanni e Giuseppe si ritengono infallibili, eludono il teorema di Aumann e si presentano al pubblico come due persone perfettamente razionali che hanno concluso una discussione mantenendo il proprio disaccordo.

Possiamo considerare due persone del genere piuttosto "presuntuose"? Beh, direi di sì.

Mi sembra di poter chiudere affermando che la maggior parte dei disaccordi deriva da insincerità e da presunzione.

Sai che scoperta.

E la cura?

L' introspezione è l' unica che mi viene in mente.

POSTILLA

La Chiesa Cattolica nel postulare l' infallibilità papale è presuntuosa?

Sembrerebbe proprio di sì.

Ma faccio notare solo un elemento a discarico: il teorema di Aumann è eluso da chi postula la propria infallibilità ma non per questo disdegna l' infallibilità in quanto tale.

Anzi, il terema di Auman ci dice che una volta concluse le discussioni avremo a disposizione una verità determinata in modo infallibile.

O meglio, ci si è avvicinati alla verità il più possibile, il che lo possiamo questa volta affermare in modo infallibile e concordemente. Non è certo presuntuoso usare qui quell' aggettivo!

Certo, occorre avere un briciolo di fede nel fatto che la ragione umana, se correttamente esercitata, possa avvicinarsi alla verità.

Certo, bisogna che si chiuda la "Discussione Universale" e che convergano, come necessariamente devono convergere, tutte le opinioni degli uomini ragionevoli.

Ma il Papa non è a capo del "cattolicesimo"? Ma "Cattolico" non significa proprio "universale"?

Bene, spero che questi siano indizi che ci consentano di elaborare un' interpretazione feconda del termine "infallibile", sarebbe un' interpretazione facilmente comprensibile alla ragione ma soprattutto alternativa ad un' interpretazione ben più problematica.

Un link con link interessanti: http://www.overcomingbias.com/2006/12/agreeing_to_agr.html