Sarà capitato anche a voi di essere o di subire un “grammarnazi”, ovvero una persona particolarmente zelante nel far notare e correggere errori ortografici, grammaticali e di sintassi, pur quando non sembrano intaccare in alcun modo la comprensione del messaggio che ci si scambia.
Ovviamente, non mi interessa il “grammarnazi a scuola”, lì la regola grammaticale è la regola di un gioco che si sta giocando e il suo rispetto diventa imprescindibile, pena mandare tutto a monte.
A dir la verità non mi interessa nemmeno il caso di quando la solerzia del grammarnazi emerge nel corso di un’ infuocata diatriba: in casi come questi l’azione del grammarnazi ha l’unico scopo di offendere, ed è quindi giustificata nella misura in cui efficace.
La cosa interessante è proprio l’ “efficacia” della sua azione intimidatoria, ovvero il motivo per cui il grammarnazi ritiene di poter offendere accanendosi su apostrofi, accenti e congiuntivi all’apparenza irrilevanti.
Certo, un errore di scrittura potrebbe segnalare crassa ignoranza, qualcosa di cui vergognarsi, ma sta di fatto che il più delle volte segnala solo trascuratezza e testa nelle nuvole.
Ora, se a qualcuno fai notare una distrazione di solito non si offende, tanto più se l’ elemento trascurato si rileva del tutto inessenziale al fine ultimo, nel nostro caso la trasmissione di un significato.
All’apparenza ha poco senso colpevolizzare, ancora meno indicare al pubblico ludibrio. Eppure il grammarnazi – insieme al suo pubblico plaudente e alle sue vittime mortificate – sembra pensarla diversamente.
Ma perché questo istinto a segnalare errori sullo sfondo di un godimento proprio e di un’umiliazione altrui?
Inutile chiedere chiarimenti a lui, il più delle volte agisce in preda ad una trance poco compatibile con l’introspezione: è dominato da un istinto compulsivo.
Ebbene, a me interessa proprio questo istinto.
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Nel mio tentativo di sbrogliare la matassa ho trovato illuminante il lavoro dello psicologo Mike Tomasello. Descrivo brevemente un suo tipico esperimento.
Un gruppo di bambini viene convocato in un teatro e sistemato nelle prime file, dietro siedono compunti i genitori.
Sul palco fa la sua comparsa un attore nelle vesti di “personaggio autorevole” vestito di tutto e in grado di destare fin da subito il rispetto e l’approvazione compiaciuta dei genitori.
Costui mostra di avere con sé uno strumento bizzarro, una specie di tavola di legno con una canalina incisa nel mezzo. La tavola viene retta con una mano, nell’altra stringe una spoletta con uno sperone oblungo che, ostentando impegno, viene infine con maestria infilato nella canalina è fatto scorrere enfatizzando l’elegante gesto che ne risulta.
Ai genitori viene chiesto di approvare e applaudire quanto vedono, seppure il tutto sia privo di un significato palese. I bambini si uniscono presto al plauso.
A questo punto il personaggio autorevole cede la scena e da dietro le quinte sbuca il trasandato pupazzo Max, ha con sé la medesima strumentazione che abbiamo visto prima, ma la usa in modo molto più goffo battendo la spoletta sulla tavola e producendo un rumore fastidioso. Nel silenzio imbarazzato dei genitori i bambini cominciano dapprima a ridere e poi a mostrare la loro ostilità beffarda con parole di scherno e disapprovazione per l’azione incongrua di Max.
Sì noti che sia il “personaggio autorevole” con i suoi gesti eleganti che il ridicolo pupazzo Max con il suo goffo modo di procedere in realtà compiono azioni che non hanno nessun significato decifrabile. Eppure, il primo riceve plauso ed ammirazione incondizionata mentre il secondo è osteggiato e schernito.
Possiamo ben dire che tutto il lavoro di laboratorio di Mike Tomasello è improntato su questa falsariga e giunge per una via o per l’altra alla medesima conclusione: i bambini intuiscono da chi apprendere “la regola”, la assimilano prontamente ma soprattutto sono disturbati e provano una certa sadica soddisfazione nel punire chi la viola o ha l’aria di farlo.
Vale la pena di notare come le regole siano apprese grazie all’opera di terzi mentre l’azione punitiva è dettata da un istinto primordiale e non necessita di alcun insegnamento. In altri termini: i bambini sono dei conformisti naturali.
Ma perché dinamiche di questo genere? Nell’ambito della psicologia evoluzionistica la risposta che viene data riscuote ormai una vasta approvazione: si ritiene che la principale abilità umana consista nel costituire gruppi sociali estesi ben coordinati grazie all’istituzione di regole sociali che diventano via via talmente sofisticate da costituire una vera e propria cultura.
L’uomo non si limita a produrre cultura ma la cumula e la trasmette alle generazioni successive in modo estremamente efficace (altrimenti non potrebbe mai “cumularsi”). E’ per questo che ha un cervello gigantesco, e non tanto per compiere atti “intelligenti”.
Mentre molti animali sul pianeta posseggono un’intelligenza inferiore ma vicina a quella dell’uomo, nessuno di loro possiede una cultura in grado di cumularsi nel tempo: tutte le generazioni devono praticamente ricominciare daccapo. in questo senso noi siamo nani sulle spalle di giganti, sulle spalle di giganti eccetera eccetera. Al contrario, un animale, per quanto intelligente possa essere, non riesce a collocarsi sulle spalle di nessuno, forse giusto su quelle dei suoi genitori, ma il gioco finisce lì.
La capacità di non dover continuamente reimparare le medesime nozioni e di poter trasmettere in modo sintetico le conquiste delle generazioni precedenti è indubbiamente il nostro punto di forza, ciò che ci ha reso dominanti sul pianeta. Le tigri sono bestie poderose ma l’uomo potrebbe eliminarle dal pianeta nel giro di 24 ore, e questo grazie alla sua cultura, non alla sua forza fisica e nemmeno grazie alla sua intelligenza.
Tuttavia, questa capacità di cumulo è resa possibile dalla capacità di trasmettere e recepire una mole inusitata di nozioni. L’inclinazione dei bambini al conformismo segnala appunto come funziona questo decisivo canale. I bambini sono completamente disinteressati al significato, al perché o all’utilità di un certo gesto o comportamento, non perdono tempo a “problematizzare”, ciò che a loro interessa è la fonte autorevole dell’ insegnamento (reputazione) e che i trasgressori vengano ridotti al silenzio e puniti.
L’abilità dei bambini nel fiutare la reputazione di chi entra in contatto con loro è leggendaria, sanno per istinto da chi imparare e sanno per istinto chi sbeffeggiare. I mastri di scuola sono terrorizzati da questa competenza.
I bambini sono essenzialmente esseri alla ricerca di una regola a cui uniformarsi e a cui uniformare gli altri, in loro l’emarginazione del diverso è qualcosa di naturale. Il deviante diventa inevitabilmente bersaglio di angherie se non viene protetto dall’adulto. Le sanzioni possono cominciare nella forma di pettegolezzo o presa in giro per passare poi all’esclusione e all’attacco fisico: spesso i bulli sono lo strumento attraverso cui il gruppo dei conformisti attacca i devianti (introversi, effemminati, trasgressivi…).
E’ il processo di “domesticazione”: anche i lupi sono diventati cani facendo fuori gli individui più riottosi ad uniformarsi.
Se le cose stanno in questi termini l’arbitrarietà della regola non interferisce con l’esigenza principale dei piccoli: la regola è un fine, non un mezzo, anche per questo società diverse hanno regole diverse. Il bambino è un talebano relativista nel senso che, per scatenare il suo zelo, non è interessato alla verità della regola ma solo all’autorità di chi promana. Più efficienti faranno prevalere il gruppo sugli altri gruppi ma per intanto un gruppo bisogna crearlo.
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Mi sembra evidente che la molla in grado di muovere i bambini di Mike Tomasello sia la stessa che muove l’azione del grammarnazi, anche lui è dominato dall’istinto di punire chi trasgredisce una regola sociale – in questo caso legata alla scrittura – e questo indipendentemente dal significato profondo o dall’utilità di quella regola nel contesto dato. Anche lui è un talebano relativista, il suo accanimento, infatti, è scatenato da una regola intrinsecamente relativista, ovvero la regola grammaticale. Ma abbiamo appena visto che non c’è nulla di speciale in tutto ciò.
A questo punto le dinamiche in gioco mi sembrano più chiare, lascio a voi se giudicare il grammarnazi un bambinone in preda ad istinti primordiali di cui non riesce a liberarsi, oppure un prezioso custode di ciò che l’uomo ha di più prezioso, ovvero la capacità di trasmettere/recepire/cumulare cultura intesa nel senso di regola sociale.