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mercoledì 27 gennaio 2016

Chi sono i veri nemici della scienza di Giogio Israel

  • Abstract
  • Nn incolpiamo la cultura umanistica (la cultura è unitaria), i nemici sono 1 scientismo e 2 relativismo. Due prodotti del marxismo egemone in italia
  • Fare scienza richiede motivazioni, per averle bisogna coniugare lo studio della scienza con dei valori (cultura unitaria). Oggi si tenta in altro modo: sedurre con le applicazioni
  • Premessa
  • La tecnoscienza: come è cambiata la scienza? Ieri sapere quasi filosofico, oggi mai disconnesso dalle applicazioni
  • Oggi la scienza è ovunque eppure c è in giro chi sbotta: troppo poca matematica.
  • Accusa: la religiine e la cultura umanistica frenano la scienza italica. E gli usa?. Forse che le fiabe frenano la scienza. Ennio de giorgi matematico cattolico. Carroll autore fantastico e matematico. L italia ha avuto fior di scienziati prodotti dalla scuola gentiliana
  • La scienza viene offerta con un immagine accattivante incentrata sulke applicazioni. Ne risente la scienza di base
  • Sui giornali spesso la scienza è usata per propugnare un modello positivista
  • Cap 1 il disastro educativo
  • Un esempio illuminante: come tener in mano la penna. La calligrafia. Oggi correggere qs tecnoche viene considerato repressivo. L ideologia anti autoritaria della spontaneità
  • Storia geografia. Assurdo privilegiare il metodo sui contenuti. Il bimbo ha bisogno di storie, aneddoti, episodi concreti. Nn di formule filosofiche che designano un metodo, magari abbellite con una filastrocca di rodari: il tempo passa e nn torna mai indietro. Indicatori temporali. Spazialità. Dentro e fuori. La storia come narraziine è completamente distrutta.
  • Metodologia (e pedagogia): la scienza dei nullatenenti
  • La matematica. Se storia e geografia sono ormai astratte la matematica diventa empirica. Rovesciamento assurdo dei ruoli
  • Pochj concetti e molto problem solving. Spiegare nn serve più. Dalle discipline alle competenza. Nn più libri di testo ma dispense con soluzioni pre confezionate
  • Enriques: sceglie la matematica per infezione filosofica liceale
  • Come valutare l insegnante? Nn esistono metodi quantitativi infallibili e spesso il solo risultato è quello di umiliare l insegnante
  • Come valutare la ricerca? Ieri: valufaziine soggettiva di ricerche anonime. Oggi impact factor e altri metodi quantitativi.
  • Tesi: la scienza della valutazione è una pseudo scienza in quanto l elemento soggettivo è ineliminabile ed è molto megloo che questo emerga alla luce del sole
  • Lotta alla gaussiana degli oggettivisti:l inseganante tende ad uniformare i voti di anno in anno cosicchè vanno perdute le peculiarità di un anno. Osservazione utilizzata per appiattire eliminando gli estremi: niente più geni nè somari (la media minima di de mauro)
  • I guai del pedagogismo democratico e della sua lotta di classe nella scuola: lo studente deve imparare da sè l insegnante è un facilitatore
  • La scuola come impresa: al centro mettiamo la soddisfazione del cliente. Pragmatismo. In sè la cosa nn è male Ma la cultura nn è un prodotto qualsiasi e la scuola nn è un impresa, nn ha obiettivi quantificabili e gli incentivi che deve fornire e che deve subire sono soprattutto interiori. La famiglia al centro ha incentivato un atteggiamento aggressivo e irresponsabile, una perdita di status.
  • La scuola nn deve rinunciare ad educare e per educare occorrono maestri. Oggi sembra si limiti ad istruire. L insegnante deve far conoscere il mondo ai suoi allievi.
  • Finta autononomia: salari incomprimibili. Finanziamenti dati. Programmi pre stabiliti. Valore del titolo di studio parificato. Alla fine conta solo la presentazione accattivante del prodotto (studiare meno). Niente di peggio che la concorrenza senza concorrenza.
  • Cap 2 la scienza in italia
  • Lo scontro enriques neoidealisti. Spesso travisato. Enriques nn rivendicava alcun primato della sci3nza, chiedeva soltanto un dialogo al fine di costruire con i filosofi una conoscenza più completa. Gentile rispose picche: la scienza nn conosce, e molti considerano la sconfitta di enriques come l inizio del declino. Seno chè la loro posizione è identica a quella di gentile, anche se rovesciata: la filosofia nn conosce; e i guai che provocano alla ns cultura sono anche più notevoli.
  • Distinguiamopoi tra croce e gentile: il primo irremovibile, il secondo sempre più in dialogo con enriques
  • Fascismo e scienza. Le leggi razziali furono un duro colpo x la ns scienza. Volterra levi civati... tutti via. La germania perse i suoi primati scientifici che passarono agli usa.
  • Il corporativismo favoriva la scienza pura.
  • Il nazionalismo impedì le collaborazioni internazionali
  • Bottai. Gli studiosi ebrei rimpiazzati da lecchini e furbacchioni
  • Cap 3 quel che nn riuscì a croce riuscì ai suoi nemici
  • Croce: scienza come ammasso di pseudoconcetti. Elenco di meri fatti. Anticipatore del relativismo.
  • Croce: la scienza è un mero sapere pratico. Massima in linea con la tecnoscienza moderna.
  • Sarà x qs che bellone, nel suo libro, accenna a croce solo di passaggio ma indica in altri i colpevoli della ns mentalità anti scientifica: l irrazionalismo straniero importato da severino galimberto giussani ecc. Perchè qs accusa? Per sviare. Fu la cultura marxista ad ereditare il peso della cultura scientifica italica, e nn l ha fatto kolto bene.
  • Marxisti e scienza. Voglia d importare newton nelle scienze sociali. Il capitale. Storicismo, necessità della storia. Una scienza sui generis i cui continui fallimenti hanno reso la scienzampoco affidabilee per gli italiani. Gramsci è poi un crociano travestito, già in lui i semi del relativismo. Nell urss, patria della scienza, si censurae si chiede rispetto per l ortodossia
  • Uniche eccezioni: paolo rossi e lodovico geymonat (peccato che quest ultimo aderì dogmaticamente al marxismo)
  • Negli anni sessanta fu avanzata la tesi che la scienza dipendesse dal potere (relativismo della scienza). Ci si schierò da una parte e dall altra. Dibattito interessante distrutto dai radicalismi dell irrazionalismo e dell oggettivismo ingenuo. Un segno di provincialismo che orientò molti filosofi su posizioni insostenibili (es geymonat). Strano che bellone nn accenni all apporto deleterio di certo neomoggettivismo fasullo e se la prenda coi vari lakatos e fereyeband (che nn hanno certo impedito agli usa di affermarsi come potenza scientifica).
  • George steiner: la liquidazione della religione lascia campo libero al marxismo... e allo scientismo.
  • Spesso i festival nn sono che messe mascherate dove fa capolino una cultura progressista, chiaro segnale di chi tenta una distrrazione dai propri fallimenti.
  • Cap 5 cultura del divertimento
  • I festival. Dietro il divertimento l ideologia e la messa progressista.
  • Ideologia anche nella scuola: il democraticismo nn tollera i maestri. Meglio il sistema con tanto di macchine che quantificano le valutazioni, meglio se le appiattiscono. Tutti contro la didattica trasmissiva
  • Mai nella storia l esperienza ha preceduto la teoria. La riflessione sulla natura ci ha dato newton. Koyrè: la buona fisica si fa a priori. Questa sentenza la si trae studiando la storia. Il ministero dell istruzione nn si capisce bene cosa abbia studiato.
  • Conclusione la distorsione dei metodi
  • Cos è la scienza? I più rispondono con sicumera elucubrando sui metodi. Ma la scienza è piuttosto un cumulo di conoscenze. La scienza è un contenuto.
  • Thom: il metodo scientifico nn esiste e il metodo sperimentale è fatto solo da tradizioni locali di laboratorio
  • La scienza per i giornali: una tradizione post medievale. Cioè tipo che euclide è nato dopo il medioevo anzichè prima
  • Neuroscienza: nessuno dubita che se penso qualcosa accade nel mio cervello ma da qui a stabilire nessi. La questione è meramente ontologica. Eppure a leggere certi articoli tutto sembra risolto.
continua

lunedì 5 settembre 2011

Tutti i guai di chi sbaglia metafora

Curioso, la crisi sui mercati ha mandato in tilt innanzitutto i critici del mercato.

Dapprima si sono animati subodorando il momento propizio per sferrare un attacco a colpo sicuro ma la dolorosa scoperta che le armi in mano erano obsolete o  spuntate li ha resi pigri, riluttanti all’ approfondimento, rabbiosi e inclini alla rissa verbale.

E non parlo solo della vuotaggine caciarona dei no-global-spacca-vetrine e del loro allucinato “altro mondo possibile”, ho in mente anche la semplicioneria di compassati personaggi sia di destra che di sinistra da sempre nostalgici del dirigismo dei bei tempi e a disagio nel muoversi e nel comprendere una società liberale retta da fili invisibili, una società che non capiscono mai bene come faccia a tenersi in piedi  in assenza di burattinai.

Di seguito, a titolo d’ esempio preclaro, riporto una zoppicante analisi zeppa di vieti slogan del solitamente lucido Giorgio Israel. Parlo dunque di persona stimabile. E’ un formulario compilato diligentemente e vale la pena scorrerlo, un mesto repertorio di mezze verità strumentali alla polemica virulenta, un catalogo di stereotipi forse in grado mezzo secolo fa di innescare fruttuosi dibattiti ma che oggi appare più che altro come la stanca riproposizione di una critica pigra e dai contenuti vaghi, l’ ideale cioè per posizionarsi comodamente tappandosi orecchie e cervello.

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D’ altro canto qui i malintesi si susseguono con ritmo incalzante andando a comporre un canovaccio esemplare; tanti birilli messi così ordinatamente in fila invitano allo strike e la sfida di una replica è appetitosa anche per il suo valore didattico di esercitazione.

La crisi del 2008 suscitò pungenti critiche alla capacità di previsione della teoria economica, che oggi si ripropongono.

Né quello che accadrà tra un mese, né quello che accadrà domani è alla portata delle capacità predittive della teoria economica

. Eppure la politica è sempre più dominata dalla tecnocrazia, che si tratti di agenzie di rating o di “esperti” che, pur incapaci di previsione, dispensano ricette per superare la crisi.

Non occorre essere marxista né keynesiano per ammettere che la teoria economica del cosiddetto “mainstream” è un galeone affondato, perché sono in crisi i suoi capisaldi teorici. Il primo è che il mercato lasciato a sé stesso va spontaneamente in equilibrio. Lo si presenta come un asserto “normativo”: lasciate libero il mercato e tutto va a posto. Peccato che non esista un solo risultato teorico che lo convalidi: al contrario, ogni risultato va in senso opposto. Quanto alle pratiche concrete, basti pensare al fallimento dei modelli matematici che da un trentennio sono stati costruiti sulla convinzione che i mercati finanziari siano controllabili e sul secondo capisaldo del “mainstream”: è “razionale” il soggetto economico che conosce perfettamente il funzionamento del sistema e agisce in modo assolutamente egoista, massimizzando il proprio profitto. La versione moderna di questa concezione è la teoria delle “aspettative razionali”, ovvero delle attese dei soggetti economici di fronte a eventi che influiscono sulle loro decisioni. Se i soggetti si comportano “razionalmente” l’economia s’indirizzerà verso gli eventi che essi “razionalmente” si aspettano. In definitiva, da un’idea di razionalità quanto mai discutibile si ricava il precetto che farebbe evolvere l’economia in modo determinato e prevedibile: comportatevi “razionalmente” e la realtà sarà “razionale”. Negli anni settanta gli economisti matematici Fisher Black e Myron Scholes e l’ingegnere Robert Merton formularono un modello matematico che traduceva tale visione ispirandosi ad analogie con la meccanica statistica. Esso mirava a descrivere l’andamento nel tempo di prodotti finanziari (come un portafoglio di azioni o obbligazioni) e di opzioni definite su di essi.  Le ipotesi irrealistiche del modello – per esempio, che le attività finanziarie si spalmano nel tempo per frazioni arbitrariamente piccole di prodotti finanziari – sono state accettate come prescrizioni adeguate a prevedere e controllare il mercato finanziario. Si è fatto credere che bastasse implementare nei computer il modello di Black-Scholes-Merton per realizzare il sogno di un’economia “razionale” e mezzo mondo finanziario ha operato in tal modo.

Ricordate il crack della finanziaria Long Term Capital Management nel 1998? Era l’occasione per concludere che il mondo è fatto da uomini che non hanno conoscenze perfette e non si comportano come robot, che non esiste una legge meccanica di equilibrazione del mercato, che il primato nel governo della società e dell’economia è della politica e non della tecnocrazia e della sua pseudoscienza. Nessuno se n’è dato per inteso.

Eppure qualcuno l’aveva detto, proprio un protagonista di oggi, che sul declassamento dell’economia statunitense da parte dei “tecnici” della Standard & Poors avrebbe fatto una fortuna. Nel corso di una audizione al Congresso USA (15 settembre 1998), il finanziere George Soros dichiarò quanto segue:

«Il riorientamento dovrà iniziare riconoscendo che i mercati finanziari sono intrinsecamente instabili. Il sistema capitalista globale è fondato sulla convinzione che i mercati finanziari lasciati a sé stessi, con i loro strumenti, tendono verso l’equilibrio. Questa convinzione è falsa. I mercati finanziari sono portati verso gli eccessi e se una successione di rialzi e di ribassi si verifica al di là di un certo limite, non si tornerà mai al punto di partenza. Invece di agire come un pendolo, i mercati finanziari hanno agito, soprattutto di recente, come una palla di demolizione, colpendo un’economia dopo l’altra. Si parla molto dell’eventualità di imporre una disciplina di mercato, ma imporre la disciplina del mercato significa imporre l’instabilità e quanta instabilità può essere tollerata dalla società? La disciplina del mercato deve essere integrata con un’altra disciplina: mantenere la stabilità dei mercati deve essere il fine delle politiche pubbliche».

Sono parole che fotografano in modo impressionante gli eventi attuali e dicono che in tanti anni non si è appreso nulla. Si paventa il ritorno a ricette socialiste o keynesiane. Ma un equivoco – evidente nel dibattito seguito all’articolo di Marcello Veneziani – sta nel fatto che essere liberali non significa – al contrario! – credere che non esista un ruolo della soggettività, o che essa debba essere ridotta alla parodia della razionalità come infinita preveggenza e illimitato egoismo. Tantomeno è intrinseco al liberalismo concepire l’economia come un sistema fisico governato da leggi cieche che garantirebbero l’equilibrio. Questo gretto scientismo è estraneo a una concezione liberale in cui la centralità del soggetto fonda il primato della politica. Al contrario, scientismo e tecnocrazia uccidono il ruolo della politica e sono consoni a visioni totalitarie.

In questi giorni si levano voci da ogni parte circa i rischi che corre l’economia reale schiacciata da un’economia finanziaria che vale (oltretutto virtualmente) molto di più e detta legge alla politica economica pretendendo di rappresentare il giudizio “oggettivo” del mercato. Si parla di rischio per una democrazia e una politica sempre più deboli di fronte a tecnocrazie sempre più prepotenti e prive di legittimazione. È il momento di capire che la posta in gioco è la fine del primato delle ideologie tecnocratiche, a tutti i livelli, soprattutto a quello culturale. La politica deve avvalersi delle (autentiche) competenze, non subordinarsi passivamente ad esse. Altrimenti, la palla di demolizione continuerà nella sua opera implacabile e autodistruttiva, tra una predica e l’altra degli “esperti”. Il compito primario della politica deve essere quello di difendere a tutti i costi l’economia reale e puntare sulle forze produttive e non parassitarie, perché una società che avvilisce i soggetti effettivamente produttivi e li abbandona a processi “spontanei” (che di fatto non lo sono affatto) non riesce a suscitare le forze morali e la spinta etica che sole possono rivitalizzare la società e garantirle un futuro. (leggi tutto)

Nel precedente pezzo è facile individuare almeno una dozzina di fraintendimenti a cui spesso la libellistica anti-mercato ricorre a meri fini strumentali confondendo le idee a chi tenta in buona fede di farsene una. Cerco di isolarli uno ad uno nelle righe che seguono anche se so bene che domani, aprendo il giornale, sono destinato a patire la cocente frustrazione di leggere chi ripeterà la litania da capo.

Le crisi

A volte sembra che i nostri commentatori mettano allegramente insieme le varie crisi che stiamo vivendo riducendole ad una senza tanto pensarci su. Far di tutta l’ erba un fascio è sviante e un po’ di prudenza non guasterebbe:

Unfortunately, not everyone is talking about the same crisis.  Some are talking about the housing bubble/crash, some are talking about the late 2008 financial crisis, and I believe both groups have the 2011 unemployment crisis in the backs of their minds (otherwise why is the debate seen as being so important?)… But the link between the housing bubble and the severe financial panic is much weaker than people realize.  And the link between the severe financial panic and high unemployment in 2011 is almost nonexistent.

Previsioni.

Se non fossimo stremati bisognerebbe ripetere per l’ ennesima volta che il senso dell’ esistenza dei mercati risiede proprio nella loro imprevedibilità. Infatti, se esistesse una casta di esperti in grado di predirne gli esiti che senso avrebbe raccomandarne il ricorso? In un certo senso la sconfitta dell’ esperto è da valutare come una vittoria del mercato.

Perfetta informazione.

Se non avessimo il latte alle ginocchia insisteremmo con pazienza a far presente che il concetto di “perfetta informazione” è probabilistico. Di conseguenza, anche su cio’ che conosciamo molto approssimatamente possiamo dire di essere “perfettamente informati. Ho la sensazione che chi legge le perentorie quanto frettolose righe di Israel difficilmente possa intuire il reale contenuto dell’ espressione.

Egoismo.  

Anche l’ homo economicus è solo una convenzione metodologica ed è davvero spossante puntualizzare di nuovo che il raffazzonato riferimento operato ad arte nell’ articolo non aiuta nessuno a capire di che si sta parlando.

L’ homo economicus ha delle preferenze e una ragione attraverso cui le persegue, solo in questo senso è un “egoista”. Ammettiamo che tra le sue preferenze rientri la felicità del prossimo: farà di tutto per perseguirla anche se la cosa costa cara. Strano egoista! Dalla caricatura di Israel avete forse percepito che l’ altruismo di sostanza è perfettamente compatibile con l’ egoismo metodologico? Scommetto di no visto che trattasi di una caricatura fatta per ridicolizzare e non per capire.

Razionalità. 

Tra le preferenze dell’ homo economicus potrebbero esserci, tanto per dire, anche comportamenti irrazionali. In questo caso sarebbe perfettamente razionale comportarsi irrazionalmente in taluni frangenti. Chi si attiene al “fantoccio” abbozzato da Israel troverebbe a dir poco singolare che comportamenti irrazionali caratterizzino la condotta di un agente “perfettamente razionale”. Ma in tali paradossi cade proprio perché i fantocci assemblati con l’ imperizia furbetta dei faziosi non  consentono di capire alcunché.

Infallibilità. 

L’ homo economicus nella versione fantozziana di Israel è “perfettamente informato”, “perfettamente egoista” e “perfettamente razionale”. Detto questo l’ ingenuo in buona fede che legge fiducioso concluderà che un uomo del genere è necessariamente infallibile nelle decisioni che prende. Come ci rimarrà costui nell’ apprendere che la nozione di homo economicus è compatibile con quella di operatore che sbaglia di continuo senza mai azzeccarne una? L’ ipotesi dell’ homo economicus è infatti un’ ipotesi relativa alla configurazione statistica degli errori e non a particolari talenti o psicologie. Non aspettatevi che il cruciale concetto emerga anche solo per sbaglio nel fazioso resoconto di Isreal.

Detto questo, chi ha capito cosa sia il mercato ha capito anche che esiste un solo modo serio per criticarlo: fornire un algoritmo per far soldi sistematicamente giocando in borsa. I critici competenti almeno provano ad avanzarne una parvenza ma quella riportata è una critica piazzaiola che ha ben poco di serio. 

LCTM.

Dove attingere poi le forze per ribadire ancora che il fallimento di un operatore di mercato (LCTM) non equivale al fallimento del mercato? Il mercato non fallisce se fallisce un’ impresa. Anzi, fallisce se non produce un numero adeguato di fallimenti d’ impresa.

Per sprecare un rigo entrando nel merito, pur sapendo benissimo che è l’ ultima cosa che interessa, mi limito a far osservare che Israel confonde l’ ipotesi dell’ efficienza dei mercati finanziari (EMH) con le teorie per prezzare le attività finanziarie (CAPM): se si fallisce operando con CAPM cio’ non compromette in alcun modo EMH.

Ultima cosa: le posizioni assunte da LTCM si sono rivelate vincenti nel lungo periodo. Questa variabile (“lungo periodo”) non è specificata nel modello teorico, tanto è vero che ironicamente si dice rivolgendosi a chi pretende di battere il mercato: “il mercato è razionale ma lo diventa il giorno dopo che cessa la vostra solvibilità”.

Conclusione: chi liquida il modello con supponenza fanfarona mischiando nozioni eterogene dimostra solo di non conoscerlo a fondo. 

Equilibrio economico.

Passiamo all’ annosa questione dell’ “equilibrio economico”. Israel disorienta il lettore già sfiancato con un passaggio contraddittorio nel quale, dopo aver affermato che la teoria mainstream postula l’ equilibrio efficiente dei mercati, sostiene che non esiste un risultato teorico di tale portata. Ma allora cosa cavolo dice la teoria? Dopo averle fatto dire tutto è il contrario di tutto è facile proseguire affermando quel che si crede in completa balia del proprio arbitrio e dei propri umori.

La teoria ortodossa, in effetti, ci parla dei fallimenti del mercato, ma anche di fallimenti della politica (cosa che naturalmente Israel salta a pié pari visto che rivendica una “nuova centralità della politica”) per concludere che in genere, laddove applicabili, le soluzioni competitive si fanno preferire. Un atteggiamento troppo umile per un nemico che s’ intende accusare d’ arroganza. Meglio taroccare le sue posizioni inventandosi una trombonata come quella dei “mercati assolutamente razionali, informati e efficienti”.

Ciliegina: l’ azione del mercato viene comunemente definita di distruzione creativa. Come conciliare allora “distruzione” ed “equilibrio”? Arduo problema, ma solo per chi ha in mente la versione naif di equilibrio, quella spacciata per comodità da Israel al solo fine di irriderla.

Soros.

Se non fossimo senza fiato inviteremmo poi a prendere con le molle i consigli di un capitalista ora sulla cresta dell’ onda che invita a bloccare le dinamiche dei mercati sotto una valanga di regole che immobilizza più di una colata di cemento, il conflitto d’ interesse è palpabile. E’ come invocare “l’ arimo” quando si sta soccombendo. Israel si mette sotto i piedi il primo comandamento di chi si occupa del mercato: difendere il capitalismo dai capitalisti. 

Tecnocrazia.

Ora però vorrei occuparmi di un altro svarione e chiedo: ma chi è il tanto odiato “tecnocrate” se non un regolamentatore dei mercati?

Il banchiere centrale, tanto per fare un esempio, è il tecnocrate chiamato a mettere ordine nel mercato del credito. L’ authority antitrust è il tecnocrate che limita le concentrazioni in qualsiasi settore.

Come si può allora accumunare nella stessa condanna i mercati e i suoi regolamentatori chiamati a porre paletti?

Boh. Pensavo che la regolamentazione dei mercati fosse l’ alternativa al mercato selvaggio.  Ma forse, come alternativa, si ha in mente piuttosto la Corea del Nord.

Israel sembra qui aver dimenticato il cruciale discrimine tra competizione e concorrenza, tra “mercato” e pseudo-mercati disegnati a tavolino, il che significa procedere sprovvisti della più elementare bussola.

Keynes.

Ma le cose sembrano stare ancora peggio: come si puo’ sprezzare la figura del tecnocrate per poi ammiccare a politiche keynesiane? Non risiede proprio nel “fine tuning” keynesiano il trionfo della tecnocrazia?

Oltretutto, mostrare in piena crisi da deficit una certa simpatia per approcci deficit spending è a dir poco intempestivo.

Meccanicismo.

Il peccato originale di Israel è quello di confondere il mercato con un meccanismo razionale, quasi fosse una macchina, dimenticando (forse perché non lo ha mai saputo) che se mai esistesse un’ istituzione che si oppone recisamente ad ogni soluzione razionalistica dei problemi sociali, questa è il mercato. Il mercato sostituisce l’ Intelligenza Unica del tecnico con una moltitudine d’ intelligenze le più disparate. Quanti guai puo’ procurare una metafora sbagliata.

I ragionieri.

Non si puo’ nemmeno dire  che Isreal compia lo strafalcione in buona compagnia visto che la suo fianco si ritrova l’ incartapecorita partita doppia del rag. Massimo Mucchetti (qui Piero Ostellino cerca pazientemente di introdurre il giornalista all’ ABC dell’ opera del mai letto e sempre citato a sproposito Adam Smith).

La fisica.

Di questo passo c’ è d’ aspettarsi una denuncia a breve contro l’ interferenza dei fisici nelle vicende internazionali seguita da un richiamo alla politica affinché riprenda la sua centralità limitando il pervasivo ruolo della forza di gravità.

martedì 17 maggio 2011

La ragnatela

Con un micidiale uno-due Giorgio Israel mette al tappeto la scuola finlandese.

In fondo però il suo bersaglio è un altro: assaltare in sancta sanctorum dei test, un sistema le cui risultanze internazionali glorificano proprio quella scuola.

La pars destruens di Israel è convincente. Oltretutto non sarò certo io ad opporre resistenza quando nel mirino ci sono le presunte armi miracolose della burocrazia.

Peccato che la pars construens sia deboluccia e, non per niente, confinata sempre in un angolino. A quanto pare ci toccherebbe restare ancorati ad occhiuti ispettori incaricati di saggiare la qualità delle nostre scuole somministrando la giustizia dall’ alto del loro “sapere riconosciuto”. Un po’ come adesso, insomma.

Detto in altri termini: insegnanti che controllano altri insegnanti. Chi si presume “sappia” che verifica il sapere di chi si presume “sappia”.

Balza alla mente la domanda canonica: ma chi controlla i controllori?

E per restare ancora nell’ ambito delle verità proverbiali aggiungo: ma non lo sa Israel che “cane non morde cane”?

A puntello della malferma costruzione viene invocata anche l’ “auto-responsabilità dell’ insegnante”. Ma così facendo si costruisce sulle sabbie mobili, l’ auto-responsabilizzazione funziona bene con i Santi, in altri ambiti sarebbe meglio non contarci troppo.

Le intenzioni di Israel sono per la verità lodevoli, lui vorrebbe una scuola con l’ insegnante al centro. Ma non è la scuola di adesso? I sindacati che spadroneggiano e contro cui inveisce a ragione lo stesso Israel cosa sono se non i rappresentanti degli insegnanti? Già, è vero, lui vorrebbe mettere al centro l’ “insegnante buono” ma l’ “insegnante buono” più che la soluzione è il problema. Come identificarlo? Anche chi ha contribuito a plasmare il deprecabile panorama odierno era impegnato a lastricare quella strada, salvo accorgersi che conduceva all’ inferno.

Israel ha ragioni forti, i suoi critici altrettanto, siamo all’ impasse?

Non direi, siamo invece alla soluzione più naturale: smettiamola di fissare ossessivamente la nostra attenzione sulla scuola e spostiamola sulla società.

Il sistema è complesso quanto puo’ esserlo un’ intricata ragnatela, in questi casi si agisce efficacemente solo agendo su fili distanti dall’ epicentro dei guai.

Spingiamo allora per una società giusta e meritocratica, è facile (!?), basta ambire ad una società libera con politici insensibili alla moltitudine di piagnistei mascherati da “rivendicazione di diritti”. Il resto lo faranno le famiglie, sarà loro interesse optare per la scuola più adatta ai figli. Saranno loro a “selezionare”, a “valutare”, a “scremare”… lo faranno senza l’ uso cieco di esoterici marchingegni burocratici poco affidabili, lo faranno sgombre dal velo obnubilante di un patente conflitto d’ interessi. 

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sabato 4 dicembre 2010

Metafisiche travestite

Impazza travestirla in abiti da neuroscienza.

Pensiero e immagine cerebrale sono connesse, ma come viaggia il nesso?

La scienza non puo' rispondere, ma la presentazione giornalistica di molti lavori sembra darlo per scontato.

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=31888

http://gisrael.blogspot.com/2009/12/occhio-alla-metafisica-travestita-da.html

domenica 29 agosto 2010

Israel vs. Dr. House

Il nuovo libro di Israel è chiaro fin dal titolo: "Per una medicina umanistica. Apologia di una medicina che curi i malati come persone".

In fondo per Israel la medicina è una pseudo-scienza, non c' è nulla di più sbagliato che trattarla come una scienza vera e propria.

E' per questo che il valore dell' opera medica risiede in gran parte nella vicinanza umana tra i protagonisti (medico e paziente in primis).

Cerco d' immaginarmi un approccio alternativo e mi viene in mente il Dr. House, uno che non perde tanto tempo con il paziente per andare subito al sodo.

Diagnosi, terapia e prognosi, ecco il trittico in cui esprime al meglio il suo genio medico.

Non vedo con regolarità il telefilm, ma Diana forse mi ha edotto quanto basta.

L' arbitro non sospetto di questo match potrebbe essere Robin Hanson.

Penso seriamente che Robin su quel ring alzerebbe il braccio a Israel. E questo nonostante sia una persona molto diversa da lui: umanista l' uno, transumaniano l' altro.

Inizierebbe il suo arbitraggio sentendo le ragioni dei contendenti.

Il Dr. House punta al sodo? Ma per Hanson in queste faccende il "sodo" non esiste, e i numeri sembrano parlare chiaro.

Il Dr. House punta tutto sulla cura? Ma per Hanson noi non andiamo tanto dai medici per curarci, e i numeri sembrano confermarlo.

Direi che a questo punto occorre precisare.

Se noi andassimo negli ospedali per curarci dovremmo concludere che la Sanità è un fallimento, un immenso spreco di risorse.

Certo, esistono alcune tecniche di base ultra verificate, esistono strumentazioni decisive per la diagnosi, esistono medicine imprescindibili che salvano una marea di vite umane che ieri sarebbero andate perdute, ma quel che noi di solito chiamiamo "Sanità" è l' immenso placebo che sta attorno a questo nocciolo duro.

Così pensa Hanson, e i numeri sembrano dargli ragione (è inevitabile per chi guarda prima ai numeri e poi taglia un vestito su misura per loro).

Ma perchè tanto "spreco" visto che non siamo degli stupidi?

Evidentemente noi chiediamo altro alla Sanità, e non solo semplici cure.

Hanson pensa che medico e Sanità ci servano per dimostrare quanto ci "prendiamo cura" di noi stessi e degli altri.

L' importante non è tanto curare (20%) ma prendersi cura (80%).

Per "curare" non occorrerebbe certo l' imponente spiegamento di forze che ostenta il settore sanitario un po' in tutto il mondo!

Il sovrappiù trova quindi la sua spiegazione nell' ipotesi hansoniana, infatti il placebo non cura nulla ma lascia intatto lo "sforzo per la cura", ovvero cio' che ci sta davvero a cuore.

Se quel che ci interessa veramente è produrre quello sforzo, la mastodontica Sanità moderna viene proprio incontro a questo bisogno.

La mia storia recente mi ha fatto frequentare ospedali da mane a sera: Hanson ne esce confermatissimo.

Alla solita domanda: "devo fare anche questo per il bene della piccola?", il più onesto rispondeva ambiguamente: "guardi... non è che sia poi... comunque lei lo faccia... un domani non avrà rimorsi di coscienza".

Tradotto: "guardi, è praticamente certo che non serve a un cazzo, ma lei, visto che farlo è pur sempre un sacrificio, visto che è pur sempre qualcosa di oneroso, visto che è pur sempre qualcosa in più... lei lo faccia in modo un domani da essere sempre a posto con la coscienza".

Altri medici e altre ostetriche rispondono invece in modo magari anche deciso... ma in perenne contraddizione tra loro. E tu resti lì, a soppesare le loro contraddizioni.

Nella Sanità l' imperativo è "fare il massimo" e in particolare "far fare il massimo" per i bambini.

Tre quarti delle cose che fanno e ti fanno fare non servono a "curare" ma a "fare il massimo".

Tu per caso sei un tale che non ha intenzione di "fare il massimo" per il suo bambino? E allora pedala.

Fare quel che serve è routine noiosa da infermieri, "fare il massimo" è roba per geni, roba per il Dr. House. Senonchè gli effetti del "massimo" sono avvolti da nebbie più spesse di quelle che cingono l' Olimpo.

E allora, una volta smascherata la mitologia del "massimo" cosa si può davvero aggiungere alla semplice cura del malato?

Bè, l' unico modo sensato di impreziosire una cura diagnosticabile anche dall' infermiere consiste nel profondere un impegno per un contatto più umano e rasserenante con il malato e il bisognoso in genere.

Diamo alle cose l' importanza che hanno sulla base dei fatti come li conosciamo oggi: 20% alla cura, 80% al prendersi cura; e lasciamo da parte la mitologia del "dare il massimo".

Insomma, assist di Hanson, gol di Israel.

P.S. Lungi da Hanson pensare che la medicina non sia utile (scienza o pseudoscienza che sia).

In altri termini: quel 20% dello sforzo che coincide con la cura è utilissimo e salva la vita, come dicevo.

Ma poi c' è l' 80% restante.

House sembra investirlo ancora sulla pura "cura", ma secondo i dati di Hanson, si schianta contro un muro: la cura non dà più nulla, è una zucca da cui non puoi spremere altro sangue.

Eppure noi uno sforzo supplementare, che è poi l' 80% dello sforzo complessivo, lo pretendiamo.

Evidentemente non abbiamo bisogno di cure - visto che sono inefficaci e noi non siamo tanto stupidi da non capirlo - abbiamo bisogno che "ci si prenda cura".

Proprio oggi la Sara pensava di avere problemi alla ferita (suppurava). In realtà non era nulla di grave, il dott. montoli l' ha vista e l' ha tranquillizzata.

Al momento del congedo abbiamo chiesto se dovevamo disinfettarla con regolarità. Lui, colto un po' di sorpresa, ha detto di farlo pure.

La risposta corretta sarebbe stata "fate quel che volete" ma se avesse risposto correttamente noi LO AVREMMO GIUDICATO MALE. Evidentemente non eravamo in cerca solo di "risposte corrette".

Facciamo un altro esempio: vai dal medico, lui ti visita e ti dice l' essenziale. Poi tu gli fai altre mille domande e lui si sente in dovere di rispondere anche se ormai l' essenziale è stato detto e tutto il resto è superfluo. Ma se avesse risposto con un' alzata di spalle alle tue numerose domande TU PROBABILMENTE LO AVRESTI GIUDICATO MALE.

sabato 19 giugno 2010

C' è qualcosa che non va in Giorgio Israel

Giorgio Israel è un intellettuale che seguo costantemente, ce ne sono così pochi che ripagano dello sforzo.

Le mie idee collimano quasi sempre con le sue. In realtà le mie più che idee sono intuizioni, parlerei quindi di sensibilità comune.

Prendete per esempio l' articolo sulla medicalizzazione della società, sarebbe da incorniciare.

Un altro suo cavallo di battaglia che condivido in toto è la battaglia contro i feliciometri e affini.

Israel ha trasferito questa sua sensibilità umanistica nel campo dove opera, la scuola.

Come misurare la preparazione di un ragazzo? Come misurare la qualità di un insegnate?

Israel ride di chi ci prova ad applicare metodi quantitativi a questi problemi ed etichetta costoro come "esperti del nulla". Mi unisco volentieri alla sua pernacchia, in fondo mi fa comodo.

Solo che poi in Israel subentra qualcosa che non va.

Chi è scettico sulle "misurazioni oggettive" applicate all' uomo, conclude poi in favore della libertà dell' uomo: poichè in un certo campo non esiste un criterio oggettivo, che ciascuno scelga la sua via.

Israel però mi sembra scettico anche sulla libertà, e qui si chiude il suo paradosso.

E' come se dicesse: non esiste una soluzione oggettiva, quindi la soluzione per te la scelgo io. Chi non vede il lato inaccettabile della vicenda così prospettata?

Non esiste un modo oggettivo per stabilire la qualità degli insegnanti, quindi i tuoi insegnanti li decidiamo noi per te. E' difficile obiettare ad un' affermazione del genere, soprattutto perchè ci suona insensata. Infatti nessuno osa farla esplicitamente, ma non è forse sottesa in chi rifiuta l' oggettività per mantenere l' autoritarismo?

Israel rinuncia all' oggettività di certe misurazioni (bene) ma non rinuncia a forme di autoritarismo (male) per quanto lui stesso contribuisca a smontarne i supporti. Forse è uno strascico delle ideologie che ha frequentato in passato.

Ma solo se c' è oggettività puo' avere un senso l' autoritarismo, solo se c' è una soluzione oggettiva vale la pena di imporla a tutti. In caso contrario, è la libera ricerca ad avere molto più senso.

Ma Israel non si rende conto che l' oggettività di taluni criteri di valutazione è sbandierata, non tanto perchè esista veramente qualcosa del genere, quanto perchè è necessaria a giustificare la scuola unica: statale, obbligatoria per tutti, con un unico programma?

Che senso avrebbe rinunciare a quell' oggettività per poi continuare a perorare il monopolio statale sull' istruzione? Se non esiste l' oggettività dei numeri a garantire che quella è la via migliore, non ha più senso che quella via detenga il monopolio e sia l' unica da percorrere.

Eppure dovrebbe rendersene conto. Prendiamo il caso degli insegnanti, lui afferma che non esiste un criterio oggettivo per valutarli. Bene, per "responsabilizzare" quei soggetti la soluzione liberale s' impone: valuteranno i clienti di quell' insegnante secono i loro criteri soggettivi e l' insegnante dovrà "farsi preferire" se vuole lavorare. Ma Israel nicchia, la soluzione liberale non gli piace, vorrebbe salvare forme di autoritarismo, cosa resta? Resta l' auto-responsabilizzazione degli insegnanti, una soluzione in stile kolkhoz. Non mi pare si possa fare molta strada con l' auto-responsabilizzazione dei sindacati. Detto da un insegnante, oltretutto, sembra un po' una presa in giro.

martedì 1 giugno 2010

Abusi della ragione

Ho sinceramente goduto dell' ultimo articolo di Israel sui "feliciometri".

Anche per me taluni tentativi di "misurazione della felicità" segnalano un "abuso della ragione".

Purchè non si tralasci mai di segnalare che anche la sentenza a priori sull' inadeguatezza di tali misurazioni ci fa ricadere nel medesimo "abuso". E Israel spesso "tralascia".

Una volta messi da parte gli "abusi della ragione", una volta messa al centro la nostra ignoranza, non resta che il Metodo della libertà.

venerdì 21 maggio 2010

Invisibili cerotti

GAETANO SALVEMINI: "... dalla concorrenza delle scuole private, le scuole statali hanno tutto da guadagnare e nulla da perdere...".

ANTONIO ROSMINI: "... le famiglie hanno dalla natura prima ancora che dalla legge il diritto di scegliere per maestri ed educatori della loro prole quelle persone nelle quali ripongono maggiore confidenza..."

DON LUIGI STURZO: "... finchè in Italia la scuola non sarà libera, nemmeno gl' italiani saranno liberi...".

ANTONIO GRAMSCI: "... noi socialisti dobbiamo essere propugnatori di una scuola libera... di una scuola lasciata all' iniziativa dei privati e dei Comuni...".

DON LORENZO MILANI: "... la scuola di Barbiana ha 20 allievi, nessuno figlio di papà, è dei preti, non ha dallo Stato nessuna sovvenzione ma anzi aperta opposizione ed è senza dubbio l' unica scuola funzionante nel territorio della Repubblica...".

CAMILLO RUINI: "... la questione della scuola libera non è solo una rivendicazione dei cattolici ma una questione più generale che riguarda le libertà civili...".

GIOVANNI PAOLO II: "... i pubblici poteri devono preoccuparsi che le sovvenzioni pubbliche siano erogate in maniera che i genitori possano scegliere le scuole per i propri figli in piena libertà...".

LUIGI EINAUDI: "... Trial and error, ecco il metodo dei reginmi liberi. Così per la scuola, essa è libera e feconda finchè qualcuno abbia diritto di dire: io conosco programmi e metodi migliori e apro una mia scuola in cui proclamo, diffondo e insegno la mia verità.

DARIO ANTISERI: "... la libertà di scelta educativa delle famiglie (buono) non ha come unico contraltare il monopolio statalista... deve guardarsi anche dall' insidioso metodo delle convenzioni, vero cappio che trasforma il libero educatore in un postulante ai piedi del potere politico...".

SALVATORE VALITUTTI: "... l' espressione "Religione di Stato" ci fa inorridire mentre l' espressione "Scuola di Stato" ci appare naturale. Eppure sono equivalenti, che cos' è la "Scuola di Statto" se non una "Religione di Stato"?

... e via cantando.

In fondo è per questo che trovo stucchevoli le battaglie di Israel contro i "pedagoghi" e i "metodologisti". Forse è perchè nel mio intimo so che la scuola migliorerà lentamente non certo grazie ad una fantomatica riforma che tarda più di Godot, ma piuttosto grazie al semplice riconoscimento di alcuni diritti elementari della famiglia.

Dentro il buono scuola e fuori il valore legale dei ogni titolo di studio. Ecco come si comincia a levare qualche cerotto da bocche che forse hanno qualcosa da dirci.

mercoledì 21 aprile 2010

Stucco

Allulli pensa che esistano metodi validi per dare una valutazione quantitativa alle prestazione dello studente.

Israel si oppone con la consueta "serenità e pacatezza" di chi è stato morsicato da strani rettili.

C' è un gran sfoggio di ricerche e studi, approfittatene per approfondire.

La cosa che meglio si capisce, comunque, è l' utilità di una battaglia contro la scuola unica.

Beato il giorno in cui Israel e Allulli potranno trovare soddisfazione iscrivendo i loro figli nella scuola che risponde meglio alle loro esigenze.

Visto il tenore dello scontro non pare proprio che sia la stessa.

Concentrandosi sulla salvezza dei loro figli e trascurando quella degli altri bambini, sicuramente eviteranno battibecchi; inoltre, sottoponendo la rispettiva prole a sperimetazione differenti con esito visibile a tutti, contribuiranno in modo più pacifico e fattivo al dibattito.

Chiamatela pure virtù dell' egoismo, una virtù tanto rara in un tempo dove s' intensifica la circolazione dei "salvatori del mondo".

martedì 2 marzo 2010

La strana coppia: il Pigro e il Ciarlatano

Sapevamo già che la schiatta degli intellettuali pencola vistosamente a "sinistra". Eccezion fatta per gli economisti.

[...Forse lo studio dell' economia è raccomandabile per avere cura e proteggere i valori della destra conservatrice e libertaria...].

In realtà per spiegare quanto sopra le teorie fioccano, non ci sono problemi.

Ma ora c' è di più.

A quanto pare i progressisti sono più intelligenti. Così come lo sono gli atei.

Dimenticavo, anche la fedeltà del marito è correttamente predetta dal suo QI.

A dirlo è Satoshi Kanazawa. Un' autorità nel campo. Con garanzie del genere a Maria Laura Rodotà sembra di sognare e corre a riprendere tutto sul Corriere.

Spiegazioni in merito?

Boh, forse la Tradizione è un ombrello sotto il quale credono di trovar protezione i meno dotati.

Direi comunque di non scervellarsi troppo poichè ci sarebbe una spiegazione ancora più semplice: gli studi "dell' Autorità" sono semplicemente inaffidabili.

Poichè la liquidazione è fatta, calcolatrice alla mano, da "compagni di cordata" empatici con l' "Autorità", vale proprio la pena di prenderla sul serio.

E dire che qualcuno se la prende quando s' imbatte in idee "corredate" da numeri! Vedo in questo atteggiamento la difesa preventiva del pigro.

Magari tutti i ciarlatani ricorressero a questo espediente! Con un po' di pazienza sarebbe facile smontare per benino le loro avventate conclusioni.

Forse questo genere di "ciarlatani" confida nel pigro, cerca di avvalersi della sua presenza per costruire un connubio parassitario.

Nel pigro abbonda l' insulto ma scarseggia l' impazienza. Il pigro corre a suonare la campana dell' allarme ma la sua è una campana fessa, fatta di risentimento e rancore. E' chiaro chi esce vincente dal confronto.

Si tratta però di una vittoria di Pirro se nei paraggi, lo speriamo vivamente, c' è invece un sereno "smontatore" che si è sottratto alle infuocate prediche del Pigro.

I veri ciarlatani purtroppo sanno bene che la via maestra è un' altra ed è lastricata di "paroloni", "vaghezza" e tanta "Storia".

Chi ha scelto la via dei numeri tace ora in silenzio (ha trovato un calcolatore paziente), ma chi ha scelto la via corretta dei "paroloni" puo' invece strombazzare impunito vita natural durante.

martedì 1 dicembre 2009

Ragione ed erudizione

Paolo Giordano la fa semplice, per lui tutto è naturale: Mahmoud Vahidnia, essendo un matematico, odia i dogmi e, con una forma mentale del genere, non puo' che opporsi al regime iraniano.

Risponde Israel con "mille controesempi" (che in realtà sono quattro).

La teoria di Giordano ha i suoi pregi, ma i fatti dove stanno?

I contro-esempi di Israel sono eclatanti, ma i fatti dove stanno? Non c' è materiale per supportare la la null-hypothesis.

Da che parte stare? I contro-esempi di Israel neutralizzano gli esempi di Giordano? Il cigno nero è stato trovato? Popper sta con l' uno o con l' altro?

Non scherziamo, Popper faccia il piacere di restare a casa propria, qui tutto rimane a livello di chiacchiericcio stimolante e polemico, godiamoci semplicemente lo sfoggio di erudizione.

Se invece siamo interessati a soluzioni rigorose di questo come di altre centinaia di enigmi del genere, sappiamo tutti cosa fare, sono lì a portata di mano, ma sono faticose e bisogna tirarsi su le maniche. Consistono essenzialmente nel contare.

Soluzioni forse troppo pedanti per trovare ospitalità in giornali dediti all' intrattenimento colto. Per quello ci vogliono i fuochi d' artificio con "mille esempi e mille controesempi". Purchè il "mille" non vada mai oltre il "tre" o il "quattro" perchè le pause caffè sono molto brevi e la campanella suona per tutti.

mercoledì 11 novembre 2009

Tutta colpa di Dewey

Israel prende la parola su una questione che ci sta a cuore:

Galli Della Loggia coglie perfettamente il punto quando parla di un’ideologia che concepisce la scuola non come luogo di istruzione ma luogo di educazione...la grandezza di una società liberale sta nel lasciare ciascuno “libero” di prendere la via che preferisce, dandogli lo strumento principe per tale scelta: la conoscenza.

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mercoledì 14 ottobre 2009

Cosa deve fare la scuola

Se la scuola funzioni o meno lo si stabilisce avendo in mente a cosa sia preposta. E, per quanto si converga nel segnalare il "disastro educativo", su questo punto decisivo non c' è affatto unanimità.

La scuola deve sollecitare domande di senso o insegnare dei metodi per risolvere problemi concreti?

La scuola deve instillare valori o deve far "apprendere come apprendere"?

La scuola deve presentare una visione del mondo o deve proporre un sapere operativo?

La scuola deve educare o formare?

La scuola deve trasmettere un sapere disinteressato o un sapere che si confronti con i problemi della realtà?

La scuola deve trasmettere un sapere qualitativo o un sapere in qualche modo quantificabile?

La prima ipotesi è fortemente sostenuta dalla CEI in questo libro, la seconda rappresenta la vulgata oggi di gran lunga dominante.

La visione della CEI parte dall' osservazione che l' Uomo è un soggetto di libertà e non un uomo-macchina che agisce secondo procedure determinate.

Questa distinzione non puo' comunque essere decisiva, poichè l' Uomo è entrambe le cose.

Ancora pieno d' incertezze, esprimo la mia idea sul tema: la visione educativa della CEI probabilmente è più vicina alle mie corde, ma poichè si è fatto della scuola un bene pubblico che solo una "burocrazia" centralizzata è in grado di produrre, la seconda visione s' impone necessariamente per evitare degenerazioni. I motivi sono ovvi: ad un sistema burocratico è applicabile qualche incentivo solo se le prestazioni sono misurabili oggettivamente.

Attenzione a non intendere il riferimento ai "burocrati" in senso dispregiativo; in realtà ho in mente gente a cui non resta che incentivarsi mediante l' autoresponsabilizzazione. Giù il cappello quindi a chi ci riesce, mi chiedo solo se un sistema dove l' autoresponsabilizzazione riveste un ruolo tanto centrale potrà mantenersi su alti livelli a lungo?

link

giovedì 28 maggio 2009

La critica pigra

"...negli anni nessun modello economico è riuscito a prevedere alcun che nè sul piano macroeconomico che microeconomico..."



Penso che dietro ad uscite di questo tenore, più che un' errata valutazione ci sia dell' ignoranza.



A questo proposito esemplare è il cristallino editoriale sul Sole 24 di oggi in cui Roberto Perotti considera alcune pigre critiche rivolte agli economisti accademici:



"Gli economisti non hanno previsto nè capito la crisi perchè la metodologia prevalente si basa su modelli troppo astratti e matematici...".



Perotti: questa critica è frutto dell' ignoranza...



"Gli economisti guardando la realtà con la lente perversa di ipotesi assurde come le aspettative razionali, l' informazione completa, i mercati efficienti...".



Perotti: anche questa critica è frutto di una profonda ignoranza...



"Gli economisti non hanno previsto la crisi".



Perotti: qui c' è molta confusione, ai sismologi nessuno chiede di prevedere i terremoti... si domanda invece una valutazione seria delle conseguenze e di come debbano essere affrontate.



"Molti non economisti hanno previsto la crisi...".



Perotti: falso.



Dopodichè, si passa giustamente all' analisi di accuse più serie e circostanziate. Es.: la maggioranza degli economisti non ha nè previsto nè capito la crisi perchè era all' oscuro di sostanziali innovazioni nel mercato del credito...

mercoledì 2 luglio 2008

Test e Rolling Stones

Pur caldeggiando l' introduzione di test e classifiche nelle nostre scuole, sono consapevole dei limiti di questo strumento. La lettura di Koretz in questo senso è illuminante.

Il test high stake è una roba seria. E' una roba sulla base della quale si distribuiscono i finanziamenti e si scaglionano le carriere. Dobbiamo quindi essere consapevoli sia della loro necessità, sia dei loro limiti.

Ne sintetizzo una dozzina tanto per capirsi.

Innanzitutto un buon test è difficile e costoso da costruire. E quando bisogna tirare la cinghia anche questo conta. Si rischia di ripiegare su cio' che sembra un po' inferiore ma in realtà è del tutto inservibile. Anche perchè la soglia tra il top e la robaccia sta molto vicino al top.

Il test è un sondaggio e la costruzione di un campione corretto è tutt' altro che scontata, così come è difficile individuare delle proxy affidabili.

A volte tanto lavorio si rivela vano.

Se non fosse così non si capirebbe come mai, secondo il PISA, gli studenti USA sopravanzano quelli norvegesi, mentre secondo il TIMSS sia vero il contrario. I due test sono molto rigorosi, peccato vengano sempre presentati senza enfatizzare la grande e inevitabile deviazione standard. Si scoprirebbe che ordinare sulle competenze matematiche norvegesi e americani è insignificante. Soldi buttati?

Cio' non toglie che gli studenti giapponesi apprendano la matematica meglio di americani e norvegesi. Lo dicono i test, ma questa volta lo dicono in modo chiaro.

Oltretutto molte virtù dello studente sfuggono ai test.

Posso conoscere l' algebra ma non sapere quando applicare queste conoscenze. Il test difficilmente segnala lacune del genere.

Altro inconveniente: un prof. puo' eccellere come motivatore. Se la sua carriera dipendesse unicamente dai test rischierebbe grosso.

Il test incentiva i prof a fare meglio, lo dicono tutti. Vero, li incentiva anche a barare però.

A barare materialmente durante la prova, innanzitutto.

Andiamoci a rileggere il primo capitolo di Frekeconomics dove l' economista investigatore risale ai prof disonesti studiando la topologia random degli errori. E' uno spasso ma è anche istruttivo.

E teniamo conto di una cosa: il numero di insegnanti "bari" insediati nel distretto scolastico di Chicago è nella media nazionale, ma la qualità professionale di chi dà loro la caccia laggiù, eccede di gran lunga quella media.

Gli onesti barano invece fornendo preparazioni mirate, in molti casi è possibile. Cio' distorce l'esito poichè quel test è tarato per misurare a campione una preparazione più ampia.

Per giudicare un prof bisogna considerare i "miglioramenti" rispetto al test d' ingresso. L' esperienza degli hight stake spesso ci dice che i miglioramenti sono strepitosi. Purtroppo sono anche molto inaffidabili in quanto dovuti a preparazioni mirate.

Anche le condizioni in cui un test viene somministrato contano. I casi di incoerenza negli esiti si sprecano e per lo più sono dovuti proprio a questa variabile.

Neutralizzare questa variabile è estremamente costoso. Spesso si fa prima rinunciando al test.

Poi c' è l' uso improprio. L' esperienza concreta insegna che test costruiti con certe finalità vengono poi utilizzati per altre che al profano sembrano simili. Chi li maneggia vuole risparmiare senza rendersi conto delle distorsioni che cio' procura.

Le School Chart dei vari sistemi scolastici americani sono un caso che Koretz descrive nel dettaglio.

La preparazione di un allievo dipende dalla qualità della scuola. Ma dipende anche dal contesto che lo ospita (famiglia, amici...). Per classificare le scuole bisogna fare la tara. Compito improbo! Chiedere a chi stima il cosiddetto SES (social economic status). Koretz dedica un capitolo all' acrostico.

L' esito di un test deve essere reso con una scala adeguata. Spesso quando tutto è stato fatto bene, quando il percorso sembra netto, s' inciampa rovinosamente nell' ultimo ostacolo.

***


Oggi nella scuola e tra i prof vige un egalitarismo ingiusto. I test aumenteranno di molto le diseguaglianze e manterranno elementi di ingiustizia. Il gioco vale la candela? Per me sì, ma se giudico dalla cultura sindacalese che impregna l' istituzione che più soffre l' ombra lunga del sessantotto, mi vengono i brividi.

Per me sì soprattutto se i test non saranno l' unico indicatore per giudicare la scuola (ecco alcune variabili alternative: profitto universitario degli alunni di provenienza, indicatori oggettivi sulle strutture, esami diretti ai professori, acquisizioni charter delle scuole low school, autonomia e competizione attraverso i vouchers tra istituti in presenza di forti college premium, test tarati con il SES, retta libera per le scuole high score...).

Che atteggiamento assumere dunque nei confronti dei test? Personalmente mi adeguo al principio "Rolling Stones". In molti non troveranno nei test mai cio' che cercano e sognano, cio' non toglie che potrebbero trovare ugualmente cio' di cui hanno un dannato bisogno.

"... No, you can't always get what you want... but if you try sometime... you find
You get what you need..."


... così almeno ho la scusa per riascoltarmi il pezzo.


add: anche Israel dubita: http://gisrael.blogspot.com/2010/12/la-scuola-fa-schifo-e-se-fosse-ottima.html