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lunedì 12 dicembre 2022

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venerdì 28 ottobre 2016

Beati gli umili

… l’ umiltà è la presunzione di chi l’ ha preso in quel posto…
anonimo
Ma che significa essere “umili”?
In un saggio sull’ argomento, Robert Roberts, docente di etica alla Baylor University, comincia facendo quello che faremmo tutti, ovvero legge alla voce “umiltà” dell’ English Oxford Dictionary:
… umiltà è la qualità dell’ essere umili, ovvero dell’ avere una modesta opinione di sé…
Ma avere “una bassa opinione di sé” è tutt’ altro che una virtù!
Purtroppo, Hume e altri filosofi appartenenti alla tradizione empirica, identificarono il sentimento di umiltà con una carente auto-stima.
Qualcuno cercò allora di aggiustare il tiro pensando all’ umile come a persona che, esente da presunzioni, riesce a giudicare se stesso e gli altri con una certa accuratezza.
Anche qui non ci siamo.
Forse che il più grande pianista del mondo è umile perché ritiene – giustamente - di essere tale? Costui, è vero, non si sovrastima ma, non scherziamo, l’ umiltà è altra cosa. Giudicare sé e gli altri in modo corretto, al limite, rivela onestà intellettuale più che umiltà:
… andrei oltre dicendo che chi si concentra troppo sui giudizi, sia verso sé che verso gli altri, difficilmente coltiverà la virtù dell’ umiltà…
Altri confondono umiltà e conformismo:
… essere umili non significa andare con il gregge, sebbene nella tradizione orientale qualcosa del genere, magari spurgato delle connotazioni negative… puo’ essere vero…
Non parliamo poi di chi assimila umiltà e servilismo. Costoro usano il termine in modo denigratorio.
umili
Secondo la tradizione cristiana, Gesù di Nazareth è il perfetto modello di umiltà. Vediamolo allora da vicino:
… abbiamo di fronte una persona che si disinteressa del suo status…
Gesù non è interessato a confezionare accattivanti “biglietti da visita”. La cura dell’ “immagine” non è in cima ai suoi pensieri.
Nasce in una stalla e lava i piedi ai suoi discepoli. Più sfigato di così!
Allo stesso tempo, Gesù, è perfettamente consapevole della sua condizione superiore di figlio di Dio e, quando si viene al dunque, non fa niente per dissimularla. Anzi, sul punto è “scandalosamente” chiaro, la sua “scorrettezza politica” rischia spesso di offendere l’ interlocutore. Pagherà cara la chiarezza e la mancanza di peli sulla lingua.
Secondo questo modello, quindi, l’ umiltà coincide con un disinteresse per l’ apparire. Un disinteresse ben lontano dall’ ignoranza circa le proprie doti e la propria natura. Trascurare le apparenze per dedicarsi alla sostanza è tipico di Gesù.
In questo senso Socrate lo anticipa. Il filosofo greco prende continuamente le distanze sia dalla falsa modestia che dalla ricerca di approvazione sociale. 
L’ esempio di questi giganti è straordinario, e ce lo conferma la scienza contemporanea:
… per i primati, incluso l’ uomo, la caratteristica saliente dell’ ambiente in cui sono immersi, è rappresentata dalle tensioni che la “caccia allo status” crea tra gli agenti… se mai esiste un sentimento universale nello spazio e nel tempo questi è l’ invidia…
Insomma, vogliamo essere degli “alpha”, se non in assoluto, perlomeno rispetto a qualcuno.
Solo quando questa ansia viene frenata – per esempio dall’ amore per Dio o da qualche altro interesse genuino – noi potremo imboccare la via dell’ umiltà.
Ricordiamo che dallo “status” dipende la nostra rispettabilità e la nostra reputazione sociale, nonché una serie di conseguenze pratiche. Per questo risulta tanto difficile trascurarlo.
Il progetto di fare dell’ umiltà una virtù si scontra allora con il fatto che potrebbe essere impossibile praticarla in modo verace e i “doveri impossibili” sono anche “doveri insensati”.
umil
La psicologia evolutiva interpreta praticamente tutto in termini di “caccia allo status”. Dallo status dipendono in modo cruciale le opportunità di riproduzione. Lo sfigato medio non ha una prole numerosa.
Perché desideriamo vestire bene? Perché essere eleganti ci piace, ma anche per curare il nostro status. Perché vogliamo una casa dignitosa? Perché abitare una bella casa è meglio che abitare una casa squallida, ma anche per coltivare il nostro status. Perché vogliamo fare “vacanze speciali”? Perché siamo alla ricerca di comodità o di emozioni forti, ma anche per innalzare il nostro status presso i terzi che ne vengono a conoscenza.
Non facciamo mai qualcosa (solo) per fare quella cosa, in realtà stiamo lavorando al nostro status. A chi nelle università  studia queste tematiche viene assegnato un sintomatico nomignolo: “departement isn’t”: non si cucina un piatto appetitoso perché ci piace mangiarlo, non si va a votare perché si sposa la linea di un certo partito, non ci si fidanza perché siamo intimamente innamorati di quella persona…
E le percentuali? Mah, vogliamo fare un 50 e 50?
Per lo psicologo evolutivo, insomma, l’ uomo è dominato da una fissa: lo status. Hai voglia a incitarlo all’ umiltà! L’ insegnamento di Cristo si rivolge a gente nei cui geni è scritta una storia differente. La personalità umile è  contro-natura.
Si parla di Homo Hypocritus proprio perché lo status, oltre a essere tremendamente importante, è anche facilmente falsificabile.
Lo status è sempre relativo, dipende quindi da un confronto con gli altri, una “guerra dei tutti contro tutti” in cui si sprecano energie preziose nel pompare in modo credibile il proprio e nel demistifcare il pompaggio altrui. 
In questa guerra l’ arte dell’ ipocrisia è cruciale e poiché l’ umiltà intacca proprio l’ ipocrisia, cominciamo a cogliere il legame tra “umiltà” e “verità”.
In merito a umiltà, status e ipocrisia, il prof. Robert Trivers ha elaborato una teoria ingegnosa quanto convincente. Per lui l’ arte dell’ ipocrisia è funzionale all’ implementazione di strategie vincenti dal punto di vista evolutivo.
Se riusciamo a presentarci meglio di cio’ che siamo e, nello stesso tempo, coltiviamo competenze idonee a smascherare l’ ipocrisia altrui, saremo dei vincenti.
C’ è un piccolo inconveniente: le competenze sviluppate dagli altri per smascherare la nostra ipocrisia progrediscono quanto la nostra abilità a dissimulare.
Smascherare l’ ipocrisia altrui non è poi così difficile. Chi mente manifesta segnali di nervosismo e chi riesce a dominare il nervosismo fa emergere comunque la classica freddezza artefatta del mentitore; insomma, ci sono mille segnali che ci denunciano! Inoltre, al mentitore viene richiesto un grande sforzo cognitivo: deve infatti distruggere l’ edificio della verità e rimpiazzarlo con uno fasullo! Mica paglia: la memoria è sottoposta a uno stress non indifferente, bisogna ricordarsi e incastrare le proprie bugie per non cadere in contraddizione sul lungo termine. Guai a chi non organizza in modo “scientifico” le proprie ipocrisie!
Sono problemi ardui che potrebbero orientarci verso una soluzione di “second best”: la sincerità. Ricordiamoci che in questa morra il “bugiardo” sopravanza il “sincero” ma il “bugiardo sbugiardato” perde con tutti.
Fortunatamente (o sfortunatamente), Madre Natura ha sviluppato nel nostro organismo un’ arma letale: l’ autoinganno. Ricorrendo all’ autoinganno, dominare il “nervosismo” e l’ “organizzazione” delle mezze verità diventa molto meno impegnativo. Autoingannandoci potremo sfoggiare un’ ipocrisia calma e coerente.
*** 
L’ umiltà è dunque un obiettivo molto ambizioso per almeno due motivi: 1. la presunzione è pur sempre una brutta gatta da pelare (temiamo il giudizio altrui) e 2. noi per primi crediamo di essere già umili a sufficienza (temiamo il giudizio della nostra coscienza).
Non ammetterei mai di avere preoccupazioni di status nel momento in cui scelgo una camicia, oppure se sistemo la casa dei miei sogni, né tantomeno quando si tratta di scegliere se e dove andare in vacanza. Anzi, trovo offensivo che qualcuno possa anche solo insinuare l’ esistenza di preoccupazioni tanto meschine. Oltretutto mi sento sincero quando nego un collegamento che invece è patente. Questo perché, spiega il Prof. Trivers, sia la trasparenza che l’ ipocrisia nuda e cruda sono strategie perdenti. L’ ipocrisia unita all’ autoinganno, per contro, vince su tutti i fronti!
Inutile aggiungere che, poiché la selezione naturale ci ha prescelti, la nostra strategia deve necessariamente essere quella vincente.
Il libro del prof. Trivers è ricco di aneddoti illuminanti. In uno, per esempio, le fotografie delle “cavie umane” vengono manipolate in modo da abbellire o imbruttire le persone che vi compaiono. Si è notato come gli interessati si riconoscano più velocemente nelle prime. Evidentemente – autoingannandosi - si pensano più belli di quel che sono.
In un altro viene detto a dei bambini di non spiare il giocattolo racchiuso in una scatola presente nella stanza dove verranno lasciati soli. Naturalmente la maggior parte di loro, tradendo la parola data, spia. Ma la cosa più interessante è che la probabilità di spiare cresce con l’ IQ del bambino. Poiché l’ intelligenza ci serve per rintracciare strategie vincenti, se ne deduce che la “propensione al tradimento” sia tale. L’ inganno e l’ autoinganno non fanno che rispecchiare una “propensione al tradimento”.
… l’ ipocrisia ci aiuta a rappresentare e a rappresentarci il mondo in modo distorto per affrontare al meglio la competizione con gli altri… cio’ comporta una continua inflazione delle nostre conquiste e delle nostre competenze… una svalutazione dei fallimenti e una razionalizzazione degli errori… l’ ipocrisia gioca un ruolo fondamentale in questo processo in quanto si mente molto più efficacemente agli altri se si sa mentire a se stessi… la capacità di autoingannarsi è un  caratteristica vincente selezionata dall’ evoluzione per vivere in società proprio come la pelle chiara è selezionata per vivere nelle regioni nordiche e quella scura per vivere all’ equatore…
***
C’ è chi si rassegna a considerare l’ ossessione per lo status connaturata all’ uomo e cerca di consolarsi: meglio le guerre non cruente che quelle cruente. Meglio la caccia allo status veicolata dalla pubblicità che quella veicolata dalle guerre.
Ci sono dei “rassegnati” che cercano poi di metterci una pezza esortando a costruire una società ricca e variegata in cui ciascuno di noi possa trovare una nicchia in cui primeggiare e appagare le sue vanità.
C’ è invece chi non si rassegna e grida “beati gli umili”, convinto che l’ umiltà si possa conquistare indipendentemente dal cablaggio dei nostri cervelli.
La mia posizione? Trovo che, tutto sommato, l’ introspezione sia un buon antidoto all’ autoinganno. Ma, proprio perché il resoconto di RT sembra abbastanza convincente, non saprei se raccomandarlo a tutti (me compreso): un’ introspezione troppo accurata potrebbe disarmarci lasciadoci inermi.
La conclusione è dunque sorprendente: l’ umiltà è una virtù élitaria. Roba per pochi. Roba per chi riesce a compensare l’ ipocrisia con altre doti evolutive. In partenza avrei detto il contrario, l’ umiltà mi appariva più come una virtù tipica della massa.
***
P.S. Umiltà e conoscenza
Una cosa comunque è certa: se l’ umiltà dichiara guerra alla “ricerca dello status”, dichiara guerra anche all’ “auotinganno” divenendo così, almeno all’ apparenza, uno strumento di verità.
Veniamo così alla cosiddetta “umiltà intellettuale”: perché desideriamo conoscere? In parte per amore della verità, in parte per coltivare il nostro status.
E le percentuali? Anche qui 50 e 50? Secondo il San Paolo della lettera ai Corinzi, quello per cui “la conoscenza inorgoglisce, l’ amore edifica”, probabilmente anche 40 e 60!
Ma l’ umiltà è poi davvero “strumento di verità”? Non ne sono del tutto convinto. Sicuramente alimenta il nostro amore per la verità, ma da qui a essere funzionale al suo conseguimento ne corre.
Purtroppo gli esempi di grandi scienziati “poco umili” sono parecchi.
Galilei non dubitò mai delle sue tesi pur avendo in mano ben poche prove oggettive.
James Watson
… nella sua biografia ammette candidamente che lui e Francis Crick, allorché scoprirono la struttura fondamentale del DNA, erano motivati da molto più che un desiderio di conoscenza scientifica… cercavano un posto nei libri di storia e il riconoscimento dei colleghi… in particolare temevano che Linus Pauling arrivasse prima alla scoperta e non esitarono a utilizzare la strumentazione ideata da Rosalind Franklin senza chiedere il suo permesso…
Spesso percepiamo la nostra immagine sfregiata dallo spettro di una correzione ricevuta da un nostro pari. Quando cio’ avviene, emerge l’ istinto di correre a buttarla in rissa pur di provare (innanzitutto a noi stessi) che siamo nel giusto e che la nostra condizione primigenia è stata ripristinata:
… per chi difetta di umiltà è particolarmente seccante essere corretto in un forum pubblico… il disturbo che se ne riceve fa passare presto in secondo piano la ricerca della verità…
Un sintomo dell’ arroganza è l’ attacco ad hominem:
… chi è intellettualmente umile considera gli argomenti indipendentemente dalle persone che li espongono… costui non sferrerà mai un attacco ad hominem, non è interessato alle persone e ai confronti tra persone… ma unicamente alle idee di cui sono portatrici...
RR si concentra poi sulle radici dell’ arroganza intellettuale:
… nella ricerca, i precoci successi rischiano di portare una certa arroganza negli scienziati affermati…
In effetti ho notato che è senz’ altro importante studiare il lavoro dei Nobel, purché ci si concentri su quello prodotto prima del ricevimento del premio. Quello successivo, spesso nemmeno esiste, e quando esiste di solito ha scarso valore.
Si osa perfino portare Einstein come esempio negativo:
… il suo biografo disse che dopo l’ elaborazione della teoria della relatività, non essendo riuscito ad accettare i fondamenti della meccanica quantistica, non riuscì mai nemmeno a dare un contributo apprezzabile in un campo tanto importante…

martedì 11 giugno 2013

La differenza tra il pauperismo e la povertà cristiana

La differenza tra il pauperismo e la povertà cristiana | UCCR: "Cosa dice Francesco? Che chi è povero di sé, chi è povero di orgoglio, cioè chi non lega la propria “autostima”, come si dice oggi, ai fatti, alle circostanze, al successo, alla fama, al riconoscimento degli altri, è veramente lieto. Nessuno infatti può portargli via nulla, perché ciò che gli sta a cuore non sono gli sguardi degli uomini, ma il sentirsi guardato, giudicato, amato da Dio."

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giovedì 21 febbraio 2013

Beati gli umili

… l’ umiltà è la presunzione di chi l’ ha preso in quel posto…
anonimo
Ma che significa essere “umili”?
In un saggio sull’ argomento, Robert Roberts, docente di etica alla Baylor University, comincia facendo quello che faremmo tutti, ovvero legge alla voce “umiltà” dell’ English Oxford Dictionary:
… umiltà è la qualità dell’ essere umili, ovvero dell’ avere una modesta opinione di sé…
Ma avere “una bassa opinione di sé” è tutt’ altro che una virtù!
Purtroppo, Hume e altri filosofi appartenenti alla tradizione empirica, identificarono il sentimento di umiltà con una carente auto-stima.
Qualcuno cercò allora di aggiustare il tiro pensando all’ umile come a persona che, esente da presunzioni, riesce a giudicare se stesso e gli altri con una certa accuratezza.
Anche qui non ci siamo.
Forse che il più grande pianista del mondo è umile perché ritiene – giustamente - di essere tale? Costui, è vero, non si sovrastima ma, non scherziamo, l’ umiltà è altra cosa. Giudicare sé e gli altri in modo corretto, al limite, rivela onestà intellettuale più che umiltà:
… andrei oltre dicendo che chi si concentra troppo sui giudizi, sia verso sé che verso gli altri, difficilmente coltiverà la virtù dell’ umiltà…
Altri confondono umiltà e conformismo:
… essere umili non significa andare con il gregge, sebbene nella tradizione orientale qualcosa del genere, magari spurgato delle connotazioni negative… puo’ essere vero…
Non parliamo poi di chi assimila umiltà e servilismo. Costoro usano il termine in modo denigratorio.
umili
Secondo la tradizione cristiana, Gesù di Nazareth è il perfetto modello di umiltà. Vediamolo allora da vicino:
… abbiamo di fronte una persona che si disinteressa del suo status…
Gesù non è interessato a confezionare accattivanti “biglietti da visita”. La cura dell’ “immagine” non è in cima ai suoi pensieri.
Nasce in una stalla e lava i piedi ai suoi discepoli. Più sfigato di così!
Allo stesso tempo, Gesù, è perfettamente consapevole della sua condizione superiore di figlio di Dio e, quando si viene al dunque, non fa niente per dissimularla. Anzi, sul punto è “scandalosamente” chiaro, la sua “scorrettezza politica” rischia spesso di offendere l’ interlocutore. Pagherà cara la chiarezza e la mancanza di peli sulla lingua.
Secondo questo modello, quindi, l’ umiltà coincide con un disinteresse per l’ apparire. Un disinteresse ben lontano dall’ ignoranza circa le proprie doti e la propria natura. Trascurare le apparenze per dedicarsi alla sostanza è tipico di Gesù.
In questo senso Socrate lo anticipa. Il filosofo greco prende continuamente le distanze sia dalla falsa modestia che dalla ricerca di approvazione sociale.
L’ esempio di questi giganti è straordinario, e ce lo conferma la scienza contemporanea:
… per i primati, incluso l’ uomo, la caratteristica saliente dell’ ambiente in cui sono immersi, è rappresentata dalle tensioni che la “caccia allo status” crea tra gli agenti… se mai esiste un sentimento universale nello spazio e nel tempo questi è l’ invidia…
Insomma, vogliamo essere degli “alpha”, se non in assoluto, perlomeno rispetto a qualcuno.
Solo quando questa ansia viene frenata – per esempio dall’ amore per Dio o da qualche altro interesse genuino – noi potremo imboccare la via dell’ umiltà.
Ricordiamo che dallo “status” dipende la nostra rispettabilità e la nostra reputazione sociale, nonché una serie di conseguenze pratiche. Per questo risulta tanto difficile trascurarlo.
Il progetto di fare dell’ umiltà una virtù si scontra allora con il fatto che potrebbe essere impossibile praticarla in modo verace e i “doveri impossibili” sono anche “doveri insensati”.
umil
La psicologia evolutiva interpreta praticamente tutto in termini di “caccia allo status”. Dallo status dipendono in modo cruciale le opportunità di riproduzione. Lo sfigato medio non ha una prole numerosa.
Perché desideriamo vestire bene? Perché essere eleganti ci piace, ma anche per curare il nostro status. Perché vogliamo una casa dignitosa? Perché abitare una bella casa è meglio che abitare una casa squallida, ma anche per coltivare il nostro status. Perché vogliamo fare “vacanze speciali”? Perché siamo alla ricerca di comodità o di emozioni forti, ma anche per innalzare il nostro status presso i terzi che ne vengono a conoscenza.
Non facciamo mai qualcosa (solo) per fare quella cosa, in realtà stiamo lavorando al nostro status. A chi nelle università  studia queste tematiche viene assegnato un sintomatico nomignolo: “departement isn’t”: non si cucina un piatto appetitoso perché ci piace mangiarlo, non si va a votare perché si sposa la linea di un certo partito, non ci si fidanza perché siamo intimamente innamorati di quella persona…
E le percentuali? Mah, vogliamo fare un 50 e 50?
Per lo psicologo evolutivo, insomma, l’ uomo è dominato da una fissa: lo status. Hai voglia a incitarlo all’ umiltà! L’ insegnamento di Cristo si rivolge a gente nei cui geni è scritta una storia differente. La personalità umile è  contro-natura.
Si parla di Homo Hypocritus proprio perché lo status, oltre a essere tremendamente importante, è anche facilmente falsificabile.
Lo status è sempre relativo, dipende quindi da un confronto con gli altri, una “guerra dei tutti contro tutti” in cui si sprecano energie preziose nel pompare in modo credibile il proprio e nel demistifcare il pompaggio altrui.
In questa guerra l’ arte dell’ ipocrisia è cruciale e poiché l’ umiltà intacca proprio l’ ipocrisia, cominciamo a cogliere il legame tra “umiltà” e “verità”.
In merito a umiltà, status e ipocrisia, il prof. Robert Trivers ha elaborato una teoria ingegnosa quanto convincente. Per lui l’ arte dell’ ipocrisia è funzionale all’ implementazione di strategie vincenti dal punto di vista evolutivo.
Se riusciamo a presentarci meglio di cio’ che siamo e, nello stesso tempo, coltiviamo competenze idonee a smascherare l’ ipocrisia altrui, saremo dei vincenti.
C’ è un piccolo inconveniente: le competenze sviluppate dagli altri per smascherare la nostra ipocrisia progrediscono quanto la nostra abilità a dissimulare.
Smascherare l’ ipocrisia altrui non è poi così difficile. Chi mente manifesta segnali di nervosismo e chi riesce a dominare il nervosismo fa emergere comunque la classica freddezza artefatta del mentitore; insomma, ci sono mille segnali che ci denunciano! Inoltre, al mentitore viene richiesto un grande sforzo cognitivo: deve infatti distruggere l’ edificio della verità e rimpiazzarlo con uno fasullo! Mica paglia: la memoria è sottoposta a uno stress non indifferente, bisogna ricordarsi e incastrare le proprie bugie per non cadere in contraddizione sul lungo termine. Guai a chi non organizza in modo “scientifico” le proprie ipocrisie!
Sono problemi ardui che potrebbero orientarci verso una soluzione di “second best”: la sincerità. Ricordiamoci che in questa morra il “bugiardo” sopravanza il “sincero” ma il “bugiardo sbugiardato” perde con tutti.
Fortunatamente (o sfortunatamente), Madre Natura ha sviluppato nel nostro organismo un’ arma letale: l’ autoinganno. Ricorrendo all’ autoinganno, dominare il “nervosismo” e l’ “organizzazione” delle mezze verità diventa molto meno impegnativo. Autoingannandoci potremo sfoggiare un’ ipocrisia calma e coerente.
*** 
L’ umiltà è dunque un obiettivo molto ambizioso per almeno due motivi: 1. la presunzione è pur sempre una brutta gatta da pelare (temiamo il giudizio altrui) e 2. noi per primi crediamo di essere già umili a sufficienza (temiamo il giudizio della nostra coscienza).
Non ammetterei mai di avere preoccupazioni di status nel momento in cui scelgo una camicia, oppure se sistemo la casa dei miei sogni, né tantomeno quando si tratta di scegliere se e dove andare in vacanza. Anzi, trovo offensivo che qualcuno possa anche solo insinuare l’ esistenza di preoccupazioni tanto meschine. Oltretutto mi sento sincero quando nego un collegamento che invece è patente. Questo perché, spiega il Prof. Trivers, sia la trasparenza che l’ ipocrisia nuda e cruda sono strategie perdenti. L’ ipocrisia unita all’ autoinganno, per contro, vince su tutti i fronti!
Inutile aggiungere che, poiché la selezione naturale ci ha prescelti, la nostra strategia deve necessariamente essere quella vincente.
Il libro del prof. Trivers è ricco di aneddoti illuminanti. In uno, per esempio, le fotografie delle “cavie umane” vengono manipolate in modo da abbellire o imbruttire le persone che vi compaiono. Si è notato come gli interessati si riconoscano più velocemente nelle prime. Evidentemente – autoingannandosi - si pensano più belli di quel che sono.
In un altro viene detto a dei bambini di non spiare il giocattolo racchiuso in una scatola presente nella stanza dove verranno lasciati soli. Naturalmente la maggior parte di loro, tradendo la parola data, spia. Ma la cosa più interessante è che la probabilità di spiare cresce con l’ IQ del bambino. Poiché l’ intelligenza ci serve per rintracciare strategie vincenti, se ne deduce che la “propensione al tradimento” sia tale. L’ inganno e l’ autoinganno non fanno che rispecchiare una “propensione al tradimento”.
… l’ ipocrisia ci aiuta a rappresentare e a rappresentarci il mondo in modo distorto per affrontare al meglio la competizione con gli altri… cio’ comporta una continua inflazione delle nostre conquiste e delle nostre competenze… una svalutazione dei fallimenti e una razionalizzazione degli errori… l’ ipocrisia gioca un ruolo fondamentale in questo processo in quanto si mente molto più efficacemente agli altri se si sa mentire a se stessi… la capacità di autoingannarsi è un  caratteristica vincente selezionata dall’ evoluzione per vivere in società proprio come la pelle chiara è selezionata per vivere nelle regioni nordiche e quella scura per vivere all’ equatore…
***
C’ è chi si rassegna a considerare l’ ossessione per lo status connaturata all’ uomo e cerca di consolarsi: meglio le guerre non cruente che quelle cruente. Meglio la caccia allo status veicolata dalla pubblicità che quella veicolata dalle guerre.
Ci sono dei “rassegnati” che cercano poi di metterci una pezza esortando a costruire una società ricca e variegata in cui ciascuno di noi possa trovare una nicchia in cui primeggiare e appagare le sue vanità.
C’ è invece chi non si rassegna e grida “beati gli umili”, convinto che l’ umiltà si possa conquistare indipendentemente dal cablaggio dei nostri cervelli.
La mia posizione? Trovo che, tutto sommato, l’ introspezione sia un buon antidoto all’ autoinganno. Ma, proprio perché il resoconto di RT sembra abbastanza convincente, non saprei se raccomandarlo a tutti (me compreso): un’ introspezione troppo accurata potrebbe disarmarci lasciadoci inermi.
La conclusione è dunque sorprendente: l’ umiltà è una virtù élitaria. Roba per pochi. Roba per chi riesce a compensare l’ ipocrisia con altre doti evolutive. In partenza avrei detto il contrario, l’ umiltà mi appariva più come una virtù tipica della massa.
***
P.S. Umiltà e conoscenza
Una cosa comunque è certa: se l’ umiltà dichiara guerra alla “ricerca dello status”, dichiara guerra anche all’ “auotinganno” divenendo così, almeno all’ apparenza, uno strumento di verità.
Veniamo così alla cosiddetta “umiltà intellettuale”: perché desideriamo conoscere? In parte per amore della verità, in parte per coltivare il nostro status.
E le percentuali? Anche qui 50 e 50? Secondo il San Paolo della lettera ai Corinzi, quello per cui “la conoscenza inorgoglisce, l’ amore edifica”, probabilmente anche 40 e 60!
Ma l’ umiltà è poi davvero “strumento di verità”? Non ne sono del tutto convinto. Sicuramente alimenta il nostro amore per la verità, ma da qui a essere funzionale al suo conseguimento ne corre.
Purtroppo gli esempi di grandi scienziati “poco umili” sono parecchi.
Galilei non dubitò mai delle sue tesi pur avendo in mano ben poche prove oggettive.
James Watson
… nella sua biografia ammette candidamente che lui e Francis Crick, allorché scoprirono la struttura fondamentale del DNA, erano motivati da molto più che un desiderio di conoscenza scientifica… cercavano un posto nei libri di storia e il riconoscimento dei colleghi… in particolare temevano che Linus Pauling arrivasse prima alla scoperta e non esitarono a utilizzare la strumentazione ideata da Rosalind Franklin senza chiedere il suo permesso…
Spesso percepiamo la nostra immagine sfregiata dallo spettro di una correzione ricevuta da un nostro pari. Quando cio’ avviene, emerge l’ istinto di correre a buttarla in rissa pur di provare (innanzitutto a noi stessi) che siamo nel giusto e che la nostra condizione primigenia è stata ripristinata:
… per chi difetta di umiltà è particolarmente seccante essere corretto in un forum pubblico… il disturbo che se ne riceve fa passare presto in secondo piano la ricerca della verità…
Un sintomo dell’ arroganza è l’ attacco ad hominem:
… chi è intellettualmente umile considera gli argomenti indipendentemente dalle persone che li espongono… costui non sferrerà mai un attacco ad hominem, non è interessato alle persone e ai confronti tra persone… ma unicamente alle idee di cui sono portatrici...
RR si concentra poi sulle radici dell’ arroganza intellettuale:
… nella ricerca, i precoci successi rischiano di portare una certa arroganza negli scienziati affermati…
In effetti ho notato che è senz’ altro importante studiare il lavoro dei Nobel, purché ci si concentri su quello prodotto prima del ricevimento del premio. Quello successivo, spesso nemmeno esiste, e quando esiste di solito ha scarso valore.
Si osa perfino portare Einstein come esempio negativo:
… il suo biografo disse che dopo l’ elaborazione della teoria della relatività, non essendo riuscito ad accettare i fondamenti della meccanica quantistica, non riuscì mai nemmeno a dare un contributo apprezzabile in un campo tanto importante…









martedì 5 febbraio 2013

“Non proprio quel che avevano in testa”

E’ un saggio del prof. Arnold Kling sulla burrasca finanziaria del 2007/2008.
Signori, parliamoci chiaramente, abbiamo avuto la fortuna/sfortuna di vivere uno degli eventi più significativi della storia economica di tutti i tempi!
Bene, lecchiamoci pure le ferite ma, per favore, cerchiamo anche di imparare qualcosina. L’ occasione è d’ oro!
Citando non so bene chi mi tocca dire che chi non impara dal passato è condannato a ripeterne gli errori.
Questo libro puo’ allora aiutarci, l’ Autore sembra avere le carte in regola. Più di Beppe Grillo, almeno.
Innanzitutto ci racconta le cose dal di dentro: ha lavorato a lungo nel mercato dei mutui americani, è stato “senior economist” in Fannie Mae e Freddie Mac, nonché autorevole consulente del Board of Governors del Federal Reserve System. Inoltre dimostra discreta onestà intellettuale, lo si nota anche dal solo fatto di proporre le sue ragioni “a integrazione” (e non in “sostituzione”) della vulgata.
***
Ma di cosa parliamo quando parliamo di crisi finanziaria?
Un libro del genere lo dà per scontato ma forse per noi è meglio partire da zero.
Dedico un paio di capoversi alla faccenda.
Nel corso degli ultimi decenni i cosiddetti “derivati” americani hanno “colonizzato” i bilanci di tutte le banche al di là e al di qua dell’ Oceano. Sigle esotiche spuntavano tutti i giorni sui nostri giornali (CDO, CDS, SIV…), ma cosa cavolo è un “derivato”? Semplice, è un titolo di credito che si appoggia in qualche modo a un mutuo ipotecario o a una combinazione di mutui. Poi, naturalmente, ci sono anche i derivati dei derivati, le assicurazioni sui derivati, i derivati sulle assicurazioni di derivati, eccetera eccetera. Andando al sodo, il castello di carte puo’ essere costruito nei modi più ingegnosi dosando con il bilancino i rischi incorporati, purché si sappia che alla base ci sta sempre un prestito immobiliare; il debitore ultimo, insomma, è chi compra casa: tu, banca, stipuli un mutuo con ipoteca sull’ immobile e, dopo averlo opportunamente ricombinato con altri prodotti finanziari, rivendi il tuo credito a terzi, i quali lo riconfezionano e lo rivendono a loro volta. E così via.
All’ epoca in cui si sgonfiò la bolla immobiliare statunitense, i valori delle case andarono a picco rispetto all’ entità nominale dei mutui stipulati. Una riduzione tanto drastica delle garanzie, accompagnata dalle prime insolvenze, trasformò i derivati in “titoli tossici”. Valutarli nei bilanci all’ infimo valore di mercato (principio contabile market-to-market) significava una sola cosa per tutte le banche che li avevano “in pancia”: portare i libri in Tribunale.
Un terremoto del genere ha fatto vacillare molti edifici, le costruzioni finanziarie più fragili sono andate al tappeto. E non è affatto detto che le “costruzioni finanziarie più fragili” fossero in prossimità dell’ epicentro: una moneta come l’ Euro, pur apparentemente distante dai “misfatti”, era costruita talmente male da aver barcollato paurosamente per mesi.
Ah, dimenticavo: la recessione dell’ economia e la disoccupazione sono la simpatica codina di tutte le crisi finanziarie di un certo peso. Si tratta di fenomeni che si prolungano, specie se i sistemi economici contagiati sono rigidi e faticano a cambiare.
Alt, mi fermo qui. Anche perché non è mia intenzione occuparmi di ciò che sta “a valle”, bensì di cio’ che sta “a monte”, e con lo scheletrico resoconto appena fornito, spero di aver chiarito cosa intendo quando dico “cio’ che sta a monte”.
Poniamoci allora una semplice domanda: perché una crisi tanto devastante e con radici ormai rintracciate con dovizia di particolari, a oltre quattro anni di distanza non ha ancora trovato cure adeguate? Certo, si cerca di attutirne gli effetti nefasti, ma sulle cause?
Sicuramente il Beppe Grillo che è in noi avrà già capito tutto e squadernerà la soluzione: siamo in presenza di un mercato selvaggio, di mancanza di regole, di far west finanziario e di spiriti animali scatenati: mettiamo le regole che mancano, facciamole rispettare in modo spietato e tutto si aggiusta. C’ è un buco nella rete del pollaio e le galline sono scappate? Rappezziamo il buco e non scapperanno più. Ma cosa lo impedisce, Beppe? Ovvio, la famelica lobby dei banchieri. Basta che i “buoni” sconfiggano i “cattivi” e il gioco è fatto!
D’ altronde, chiedetevi solo cosa deve pensare il profano che sente o legge il giornalista-unico mentre parla o scrive di “derivati”. Semplice, aboliamo i “derivati”, mettiamo in galera chi li ha inventati e tutto si risolve. Come se la “bolla di internet” si possa combattere “abolendo” internet o mettendo in galera “chi l’ ha inventata”.
[… nota bene: “Beppe Grillo” è solo un luogo della mente, la metafora del grande semplificatore, di colui che titilla la nostra pigrizia con soluzioni portatili. Avrei potuto fare altri nomi. Ricordo bene un Report sulla crisi dei mutui americani, una sequela di strazianti interviste a “neri sotto un ponte” – per lo più precari che avevano tentato l’ acquisto… del villone da 800 mila dollari –; con la solita formula televisiva “20%-informazione-80%-suggestione” si intendeva presentare come “buono” il debitore insolvente e come “cattivo” il creditore che l’ aveva preso in quel posto. ma perché meravigliarsi? Quando l’ educazione sentimentale della platea catodica italiota è affidata da anni alla coppia Santoro/Floris, anche una messa in scena del genere diventa plausibile… Chiudo la parentesi verde con un’ ammissione: sì, lo so bene, anche la presente condanna sommaria di certo giornalismo ha un sapore beppegrillesco; quindi, mi ricompongo e cerco di proseguire con un certo aplomb…] 
Ecco, se Beppe Grillo vi basta, potete anche scendere qui (laggiù c’ è la piazza dove urlare i vostri slogan). In caso contrario, potreste sentire cosa ha da dire in merito il prof. Kling.
Cominciamo allora con una dichiarazione di principio:
… il problema della regolamentazione finanziaria non assomiglia a un problema matematico, di quelli che quando trovi la soluzione poi giace lì “risolto” per sempre… è invece come un gioco tra regolatore e regolato, un gioco in cui il secondo si adatta ai vincoli messi dal primo, il quale è chiamato di volta in volta a rettificarli quando non a capovolgerli… ogni regime regolatorio si ritrova immediatamente sotto assalto e spesso l’ efficacia delle regole degrada fino a sparire… cio’ che oggi ci appare medicina, sarà il veleno che ci intossicherà domani… E’ relativamente facile modulare regole che impediscano il ripetersi di una crisi identica a quella passata, ma è altrettanto facile prevedere che la crisi futura sarà completamente diversa da quella passata e che regole buone per la prima non faranno che esacerbare la seconda…
C’ è inoltre un chiaro problema di “time inconsistency”:
… prima della crisi il regolatore cerca di convincere il sistema che nessun soggetto a rischio verrà salvato e che si lascerà fare alla disciplina di mercato… tuttavia, in tempi di crisi, il regolatore è soggetto a pressioni politiche che lo spingono puntualmente al “salvataggio”… poiché lo schemino si ripete nella storia, la lezione viene presto appresa dai protagonisti e si crea un problema di azzardo morale che sfuma i confini tra responsabilità private e responsabilità governative…
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Ma andiamo con ordine, passiamo in rassegna cio’ che maggiormente ha pesato sugli eventi che ci interessano.
Innanzitutto, non si puo’ negarlo, ci sono state una serie di “cattive decisioni” prese dagli operatori (bad bets):
… una cattiva decisione è una decisione di cui a posteriori ci dispiaciamo… se una serie di investimenti speculativi hanno gonfiato la bolla immobiliare… si trattava evidentemente di decisioni sbagliate… se un investitore decide di detenere titoli garantiti da mutui stipulati a carico di soggetti insolventi, compie “una cattiva decisione”… se un soggetto come AIG si specializza nell’ assicurare le perdite di valore dei titoli summenzionati, compie “una cattiva decisione”…
Ha contato poi anche l’ eccessiva “leva finanziaria” degli operatori:
… le banche e gli altri intermediari finanziari hanno preso rischi eccessivi senza avere una commisurata riserva di capitale… a posteriori molti di questi soggetti si sono rivelati colossi dai piedi d’ argilla non riuscendo a far fronte al crollo dei prezzi delle case su cui vantavano le loro ipoteche…
Non dimentichiamo la costante minaccia del cosiddetto “effetto domino”:
… la stretta interconnessione tra gli operatori ha reso difficile isolare e bonificare le aree di crisi… a poche ore di distanza da quando Lehman Brothers ha dichiarato fallimento, hanno cominciato a vacillare le quotazioni di soggetti fino a ieri insospettabili…
Non si capisce mai bene se faccia più guai l’ “effetto domino” o la consapevolezza che esista qualcosa del genere:
… i reali danni dell’ “effetto domino” ci sono sconosciuti poiché la politica si perita di intervenire puntualmente per tamponarlo puntellando le strutture che vacillano… d’ altronde questa linea d’ azione è nota in anticipo agli operatori stessi i quali, in molti casi, sanno benissimo di essere “too big to fail” (TBTF) perdendo, di fatto, ogni incentivo di mercato a comportarsi con prudenza…
In questi casi, va da sé, paga il contribuente (bail out).
L’ ultimo fattore da considerare è la legge fallimentare:
… si crea una pericolosa tensione finanziaria in quelle situazioni in cui chi si libera prima di titoli pericolosi ha un concreto vantaggio su chi è meno pronto nel farlo… se solo le leggi fallimentari potessero applicarsi velocemente stabilendo con chiarezza la priorità dei vari crediti, si eviterebbero mesi di incertezze legali e di stallo dei fondi…
E’ importante tenere a mente che la crisi richiede la compresenza di tutt’ e quattro i fattori elencati: senza “bad bets”, niente crisi. Ma anche le eccessive esposizioni sono state cruciali, così come il potenziale effetto domino o l’ impotenza nel pianificare con precisione sufficiente i fallimenti bancari.
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Quanto detto finora è, almeno in parte, compatibile con la narrativa convenzionale della crisi finanziaria: lavorare stanca (e rende poco), cosicché si preferisce provare con il casinò della finanza, qui pullulano le decisioni avventate (bad bets) prese da soggetti avidi (un tocco moralistico non guasta) che si sono esposti eccessivamente al rischio (leva finanziaria). Ora paghiamo noi per loro errori pur di esorcizzare la catastrofe (effetto domino) che non riusciremmo a schivare altrimenti (mancanza di un’ adeguata legge fallimentare).
Ma Kling ritiene monco questo racconto e, nonostante molte delle sue premesse siano compatibili con la narrazione tradizionale, imbocca presto una strada ben diversa. Cominciamo ad averne sentore quando introduce la distinzione tra mancanza di fiducia” e “decisioni errate”. 
Gli osservatori, e anche i politici, tendono a dare eccessiva importanza alla “perdita di fiducia” che si viene a creare. Leggete il giornale, guardate la TV, non si fa altro che parlare di “perdita di fiducia” e di “fiducia da ripristinare”. La “fiducia” diventa il bene supremo, la razionalità passa in secondo piano:
… le risposte del regolatore si focalizzano sulla “mancanza di fiducia” piuttosto che sulle “cattive decisioni”… tutti gli sforzi dei soccorritori sono tesi a ripristinare la fiducia andata perduta… si fa ben poco per incentivare decisioni più oculate, un aspetto che tende a scivolare in secondo piano… In questo senso la politica riflette i sentimenti dei protagonisti… le banche e le istituzioni finanziarie in genere si sentono sempre vittime di una “scarsa fiducia”… ma chiunque si ritrovi sul lastrico nutre un (ri)sentimento del genere: “se solo mi dessero ancora una chance!”… chiedete al CEO di un’ impresa fallita cosa ha causato il tracollo, si parlerà a lungo di quel maledetto funzionario di banca che non ha più rinnovato il fido, molto meno delle passate “bad bets”… ma se la mancanza di fiducia fosse davvero l’ elemento decisivo, allora qualche altra azienda troverebbe lucroso subentrare nella proprietà di banche solo temporaneamente a malpartito…
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Comincia qui una disanima storica della regolamentazione americana. Prendiamo, a titolo di esempio, un passaggio relativo ai mutui ipotecari:
… i tentativi di disciplinare questo mercato risalgono agli anni trenta, durante la Grande Depressione… vennero introdotti i mutui ipotecari trentennali a tasso fisso… prima i mutui ipotecari si articolavano in prestiti quinquennali con facoltà di rinnovo, e erano quindi accessibili solo ai debitori più solidi… si ritenevano che la soluzione “deregolamentata” strozzasse eccessivamente l’ economia limitandosi a servire una clientela elitaria… contestualmente si pose un tetto ai tassi d’ interesse praticabili e, contestualmente, i depositi bancari ricevettero una garanzia governativa con l’ effetto evidente di depotenziare l’ incentivo a curare il portafoglio rischi delle istituzioni finanziarie… la crisi  che ne seguì fu essenzialmente indotta dalle misure messe in campo per “tamponare” la crisi precedente… per fare un esempio, l’ alta inflazione rese assurdo porre un tetto ai tassi e proprio per aggirare questa regola obsoleta che prese piede il cosiddetto processo di “disintermediazione”… nacquero una serie di soggetti spericolati (“sistema bancario ombra”), spesso controllati dalle banche stesse, ma che operavano al di fuori dal circuito tradizionale …
Veniamo ora a vicende relativamente più recenti: cosa successe dopo il fallimento di “Save & Loan”?:
… dopo la crisi S&L il regolatore si convinse che i mutui ipotecari  “cartolarizzati” fossero qualitativamente superiori ai mutui ipotecari ordinari… si riteneva che l’ accesso ai mercati finanziari potesse sottoporre i mutui al vaglio di soggetti quali i fondi pensioni e altri investitori istituzionalizzati in grado di saggiare al meglio la qualità del rischio incorporato… inoltre era emerse con chiarezza l’ inaffidabilità dei “valori di libro” nella contabilizzazione del conto titoli, cosicché si pensò bene di passare al principio market-to-market… da ultimo si imparò una lezione che all’ epoca sembrò fondamentale: l’ entità delle riserve doveva essere commisurata alla qualità dei rischi incorporati nell’ attivo, bisognava trovare solo il modo di “misurarlo oggettivamente” attraverso modelli matematici… Oggi sappiamo che i mutui cartolarizzati divennero i “titoli tossici” che ben conosciamo e che i criteri market-to-market assieme alle regole del capitale di rischio “misurato oggettivamente” hanno contribuito in modo decisivo a esacerbare la crisi innescando l’ effetto domino… anche in questo caso la storia ci suggerisce che la risposta del regolatore a una crisi passata è spesso il primo passo verso la crisi successiva…
La politica USA sulla casa consisteva nell’ incoraggiare più persone possibile a divenire proprietarie. L’ impeto con cui i soggetti a basso reddito furono indirizzati verso i mutui ipotecari non ha eguali, le forme di sussidio sono sempre state numerose. In tutto cio’ un ruolo importante fu giocato dalla lobby dell’ edilizia:
… le politiche che spinsero verso i mutui immobiliari furono molte: innanzitutto la deducibilità degli interessi in dichiarazione dei redditi… poi una fiscalità privilegiata sui  capital gain relativo alla vendita della prima casa… inoltre una serie di garanzie federali per taluni mutui ipotecari…
Andrebbe sempre ricordato che la cartolarizzazione dei mutui fu dapprima un fenomeno governativo:
… nel 1968 il governo federale creò la Government National Mortgage Association come veicolo per piazzare mutui cartolarizzati garantiti con fondi pubblici e soggetti a regole di favore… in seguito programmi del genere, insieme a tutti i privilegi che si portavano dietro, vennero realizzati attraverso enti di fatto “parastatali” quali Fannie Mae e Freddie Mac… non è un caso se l’ epicentro della crisi furono proprio queste due istituzioni…
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Ma gli effetti più perversi sono legati soprattutto alla regolamentazione del capitale bancario:
… l’ accordo di Basilea (la madre di tutte le regolamentazioni finanziarie internazionali) spinsero il sistema verso l’ uso delle cartolarizzazioni e l’ impiego dei “derivati”, inoltre misero al centro l’ opera delle agenzie di rating… i titoli che incorporavano i mutui stipulati da Freddie Mae e Freddie Mac ricevettero “per legge” un privilegio su tutti gli altri in termini di peso del rischio, cio’ scatenò nei tardi anni novanta la corsa delle banche a detenere derivati su quei prodotti in modo tale da potersi permettere poi leve finanziarie più favorevoli… insomma, un derivato dei mutui FMFM tra le attività, migliorava la qualità dei bilanci rispetto a un mutuo stipulato in proprio… successivamente, il trattamento di altri soggetti fu parificato a quello di FMFM, questa evoluzione fece perdere quote di mercato all’ ente parastatale che pensò bene di reagire abbassando gli standard qualitativi per l’ accesso ai mutui scatenando una “race to the bottom” che coinvolse l’ intero settore…  
A Basilea ci si complimentava di aver finalmente messo in sicurezza i mercati finanziari…
… cio’ che emerse negli anni, invece, fu un sistema finanziario complesso quanto vulnerabile che si appoggiava completamente su mutui ipotecari a lungo termine e quindi, in ultima analisi, sul mercato immobiliare americano…
AK offre inoltre parecchie testimonianze di come il regolatore fosse “consapevole & contento” del fenomeno venutosi a creare: mutui per tutti!… e al centro del sistema soggetti con un filo diretto col governo. Anche l’ emergere si un “sistema bancario ombra” non sfuggì ai regolatori, i quali se ne mostrarono compiaciuti; le parole del Fondo Monetario Internazionale erano di questo tenore:
… la cartolarizzazione dei mutui e la loro incorporazione nei derivati consentono di disperdere meglio il rischio sul mercato rafforzandone la solidità e gli equilibri…
Come puo’ il profano sintetizzare in modo icastico tutto cio’? Potrebbe provarci pensando alla cronaca recente in questi termini: leggendo i giornali sul caso MPS, capiamo molto bene che c’ è una caccia al “colpevole”, ovvero del soggetto che ha imbottito di “derivati” la banca senese. Leggendo Kling, invece, capiamo molto bene che solo qualche anno prima il “colpevole” non sarebbe stato altro che un “benemerito” il cui contributo consentiva di mettere in sicurezza gli attivi della banca secondo le indicazioni dei più autorevoli regolatori internazionali.
Concludo questa sezione spendendo ancora due parole sulle agenzie di rating, ne vale la pena:
… quando il lavoro delle agenzie è al servizio del regolatore piuttosto che dell’ investitore, ecco che vengono a mancare i giusti incentivi di mercato per conservare una qualità accettabile… la reputazione di questi soggetti, fissata una volta per tutto dall’ ufficialità della Legge, cessò di essere coltivata quale asset principale dell’ intrapresa… come se non bastasse, le agenzie lasciavano volentieri trapelare l’ approssimazione del lavoro svolto sui conti delle banche, cio’ garantiva, dopo il nuovo ruolo assunto, di non disperdere del tutto il business degli investitori poiché questi ultimi avrebbero senz’ altro chiesto rating più accurati pagandoli come ai bei tempi…
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Si passa poi alla regolamentazione concorrenziale del settore bancario americano. L’ abolita separazione tra banche commerciali e banche d’ investimento (abolizione del Glass-Steagall Act) è stata vista da molti come deleteria:
… dopo l’ abolizione del GSA il sistema bancario divenne in effetti sempre più tentacolare e complesso ma non fece che evolvere su tendenze già consolidate… anzi, gran parte delle innovazioni finanziarie protagoniste di questo processo furono congegnate proprio per aggirare un divieto che, in ultima analisi, rendeva di fatto ancora più opaco il panorama… Ricordiamoci che il GSA non era altro che una “barriera all’ entrata”… è del tutto naturale (e salutare!) che un mercato protetto destinato a creare extra profitti sia costantemente assediato dall’ “innovazione tecnologica”… difficilmente una “barriera all’ entrata” promuove solidità e trasparenza, molto più facile che realizzi rendite passive… la domanda fondamentale è allora la seguente: l’ inefficienza di un “mercato protetto” è un prezzo congruo per la sicurezza marginale che eventualmente potrebbe garantirci?…
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Ci sarebbe molto da dire sull’ innovazione finanziaria degli ultimi 40 anni, la gran parte di esse sono buone. Pochi di noi vorrebbero vedere una parte della popolazione completamente esclusa dall’ accesso al credito. Pochi di noi vorrebbero tornare all’ epoca degli usurai. Purtroppo, pochi di noi si rendono conto che se certe epoche non torneranno lo dobbiamo alle nuove “tecnologie finanziarie”. Una campeggia su tutte: il “credit scoring”:
… il “credit scoring”, affidandosi alla statistica e agli automatismi, rimpiazzò in molti casi la relazione personale tra prestatore e prenditore, risparmiandoci così centinaia di dollari in commissioni… inoltre, anche il soggetto più “problematico” trova un suo posticino tra i clienti della banca a tassi adeguati… cio’ detto, difficilmente si puo’ negare che il “credit scoring” sia al centro delle turbolenze di cui ci occupiamo… durante il boom del mercato delle case ci fu chi attribuì meriti al “credit scoring”… evidentemente l’ ottimismo su questo strumento era malriposto… se le banche lo impiegarono massicciamente c’ è un motivo ben preciso, e cioè che fu soprattutto il regolatore a rimanere stregato dal suo fascino pretendendo che il rischio di portafoglio dei “regolati” fosse “pesato” secondo parametri prefissati… nessuno a quel punto potè più esimersi dall’ adottarlo… anche le banche “resistenti” venivano così “modernizzate” a suon di “regole”…
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Con il senno di poi si puo’ anche dire che la politica monetaria espansiva del periodo 2001-2003 preparò il terreno per la bolla immobiliare successiva:
… c’ è chi vide la politica monetaria americana di quel periodo come a uno strumento volto a traslare la “bolla internet” in una “bolla immobiliare”… tassi d’ interesse troppo bassi mantenuti artificiosamente troppo a lungo spingono verso decisioni d’ investimento non ortodosse…
Devo dire che Kling propone questa ipotesi solo come contorno. Anch’ io, nel mio piccolo, trovo più convincente chi sostiene la presenza di un errore contrario: la FED non è stata abbastanza “prodiga” di liquidità nel 2007-2008, quando un terremoto scuoteva alle fondamenta il mondo finanziario.
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Che insegnamento trarre da tutto quanto precede? Essenzialmente uno: ci vuole più umiltà.
Forse, in assenza di un indirizzo governativo e di distorsioni nella regolazione del capitale di rischio delle banche, il mercato avrebbe scelto soluzioni diverse per organizzare il mondo dei mutui ipotecari. Chi lo sa?
Se il problema è l’ ignoranza, allora sappiamo almeno due cose: la presunzione la fa degenerare e l’ umiltà la cura.
Se il problema è l’ ignoranza, le buone intenzioni non ci salvano, ci salvano solo l’ umiltà e la prudenza.
Se il problema è l’ ignoranza, tu puoi fare mille progetti ma devi sapere fin da subito che nel mondo della finanza si vive di feedback, non di “progetti”; devi sapere in anticipo che non si realizzerà mai “quello che hai in mente” (capito adesso da dove viene il titolo?). Questo non sembra essere molto chiaro né ai “regolati”, né ai “regolatori” disinvolti.
Più umiltà, caro Beppe Grillo! Qui non ci sono (solo) “buchi” da rappezzare, non ci sono (solo) furbetti da rieducare. Buco e furbetti sono una parte irrilevante della vicenda. Ci sono invece tanti ignoranti, e sono schierati su tutti i fronti, stanno sia tra i “regolatori” che tra i “regolati”.
Più umiltà cara Gabbanelli! Mettendo alla berlina l’ avidità dei banchieri si suscitano tante emozioni ma qui l’ avidità non c’ entra molto. Intervistare qualche disgraziato con la casa pignorata ci fa sentire più buoni e alza lo share ma spiega ben poco della crisi, i “mutui predatori” sono una componente irrilevante di essa. Il metodo di “narrare storie” funziona in TV ma inganna chi vuol capire come gira il mondo.
CRISI
All’ insegna dell’ umiltà sono quindi anche le soluzioni proposte dal prof. Kling. Il principio guida è semplice “not hard to break but easy to fix”.
1. Invertire gli incentivi fiscali: oggi è più conveniente indebitarsi che ricapitalizzarsi. Gli interessi sono deducibili, i dividendi no.
2. Decentralizzare la fonte delle regole. Il “casino” in certi casi è salutare, fa sorgere soggetti diversi con rischi non correlati, e quindi anche meno esposti all’ “effetto domino”.
3. Laddove è necessario, ricorrere pure allo “spezzatino” delle banche più grandi. E’ l’ unico modo per prevenire il TBTF e ripristinare la disciplina di mercato.
4. Limitare il ricorso allo strumento del mutuo ipotecario intervenendo sulla deducibilità degli interessi in dichiarazione dei redditi.
5. “Subordinated debt”. L’ idea: richiedere alle banche di emettere con regolarità obbligazioni non garantite. Cio’ le sottoporrebbe sempre al giudizio degli investitori, in questo modo verrebbe costantemente segnalata la percezione del rischio che hanno soggetti informati. Ma soprattutto ri-orienterebbe il lavoro delle agenzie di rating verso gli investitori.
6. rendere più flessibili i principi contabili in modo da stabilire le fattispecie in cui sia possibile passare dal “m2m” al “book value” nella valutazione del conto titoli. Non so se chi vive con il mito del “falso in bilancio” riesce a realizzare che l’ ottanta per cento delle valutazioni di bilancio sono soggettive.
7. riformare la legge fallimentare senza escludere forme di  nazionalizzazione delle banche in modo da far davvero piazza pulita delle cattive gestioni.
Un punto ce lo aggiungo io (Kling non sarebbe d’ accordo):
8. “NGDP targeting” per la banca centrale. Tradotto: la banca centrale deve mirare alla costante la crescita del PIL nominale. Ritradotto: più generosità della Banca centrale in tempi di “trappola della liquidità”. L’ inflazione (anche solo annunciata) garantisce tassi negativi e diminuzione dei salari, altrimenti troppo rigidi.
E l’ etica? Mettiamocela pure, inseriamo pure un nono punto. Ma evitiamo anche qui quell’ ambizione che puzza tanto di superbia. Evitiamo allora sia il sacro fuoco del savonaroleggiante Beppegrillo che i pietismi francescanoidi della Gabanelli. Ci basti un semplice “non rubare” (rispetto della proprietà altrui) e un semplice “non dire le bugie” (si ottemperi ai contratti); per il resto che sia consentito, se non auspicato, di fare al meglio gli affaracci propri (ovvero dei propri azionisti).